[MI 169] Meduse
Posted: Sun Jun 05, 2022 9:40 pm
commento
Traccia di mezzanotte
Il testo successivo all'edting di @GiorgiaScalise lo trovate qui.
Il cielo è una coperta grigia e uniforme. Sembra di guardare all’infinito dentro allo spazio, ma in realtà non si sta guardando nulla, solo una coltre di fumo che nasconde anche le vette dei grattacieli. Me ne sto sdraiato sul cemento, le mani dietro la testa, una canna in bocca, giusto per staccare un attimo. Non che non mi stia divertendo, ho solo bisogno di scollegarmi da tutto e da tutti per un po’, per ricaricarmi. Sono fatto così. Faccio un ultimo fiato e la passo a Gabriele, poi mi metto a sedere.
Le luci della città si riflettono sul mare e si deformano con dolcezza seguendo le onde. Sono luci calde, placide, sembra che la città stia dormendo; ma conosco l’illusione, so che è sempre sveglia, e ci osserva. Come le meduse sotto la superficie dell’acqua, le ho viste, ce ne sono parecchie, ma il riflesso della città le nasconde.
«Posso finirla?» Chiede Gabri.
«Fai pure». Mi picchio un paio di volte le cosce per pulire i pantaloni e faccio per alzarmi, mentre Gabriele fa l’ultimo fiato della canna e schicchera il mozzicone in acqua. Simona allunga una mano per tirarmi su, ma io ormai sono a metà movimento, arrossisco e non la prendo. Mi sento stupido, ma non dico nulla. Avrei voluto accettare la sua mano, ma sarebbe sembrato innaturale, o no? Fa niente, ormai è tardi, sono uno stupido.
Il molo abbandonato è così pieno di gente che si fa quasi fatica a camminare. Non sembra importare a nessuno del vento freddo che soffia dal mare: il molo, oggi, è un ecosistema a parte, caldo e pulsante. La musica è così alta che si fa fatica a sentirsi parlare, e si balla come dei forsennati, e si canta.
«Ohi, sono arrivati i miei amici», fa Simona, indicando un gruppo di ragazzi che si sta avvicinando. Non riesco a vederne i lineamenti, le uniche fonti di illuminazione sono i lampioni della città, lontani dal molo, e la luna, nascosta oltre il cielo. Ma va bene così: è intimo, eppure collettivo.
Facciamo un giro di presentazioni, poi torniamo a sederci vicino all’acqua e stappiamo le birre. Siamo un gruppo numeroso, forse una ventina di persone. Chiacchieriamo un po’, le amiche di Simona ballano, rovesciano una birra, ridiamo tutti. Vedo Gabri che ha lo sguardo puntato sulla più rumorosa delle ragazze, nonostante sia fidanzato. Io non riesco a distogliere gli occhi da Simona, ma ormai mi sono messo il cuore in pace che lo sanno tutti.
Parlo poco, anche quando il discorso mi interessa, anche quando avrei tanto da dire. Mi chiedo: quello che sto per dire è intelligente? È interessante? Gli altri lo vogliono sentire? E finisce che non dico niente, ormai la conversione è andata avanti, e io mi pento, ma lo rifaccio subito dopo. Gabriele è diverso, e io lo lascio parlare e non intervengo. Non so perché.
Mi capita spesso di sentire il richiamo di fare grandi cose, ma non so mai cosa, ed è frustrante. È come con le persone. Non riesco a inserirmi nella conversazione, non riesco a lasciare andare, e allora mi blocco, mi chiudo, penso a un mucchio di cose da dire ma le tengo per me. Mi sento fuor d’acqua. Sono uno spettatore, posso solo registrare la vita che mi scorre accanto, ma mai afferrare la sua mano.
«Che fai?» Simona si siede accanto a me e mi passa la bottiglia.
Faccio un sorso. «Guardo le meduse». Scarpe e calze accanto a me, sto a gambe penzoloni sull’acqua, e ogni tanto mi allungo per toccare con l’alluce la cupola di una medusa. «Sono bellissime».
«Sembra che si muovano a ritmo di musica».
Sorrido. «Chissà». Le ripasso la bottiglia. Resto in silenzio a fissarle, ho una frase in testa ma non so se dirla ad alta voce. Mi decido. «Non hanno pensieri, non hanno un cervello, eppure vivono, mangiano, si accoppiano, e non hanno bisogno di nient’altro. Vedi quelle sul fondo, immobili? Secondo te sono vive o morte?»
«Mh, non lo so».
«Esatto, è così sottile il confine. Sono di pura acqua, e il passaggio da vita a morte è solo un soffio. È pacifico, non trovi?»
Fa un mezzo sorriso. «Anche il corpo umano è fatto per il 60% da acqua. Forse siamo meduse anche noi».
Ridiamo.
«Le birre mi stanno dando alla testa, ho bisogno di muovermi un po’. Vieni a ballare?»
Mi rialzo, mi rimetto le scarpe e la seguo. Mi sento in imbarazzo, ma il ritmo è più forte di me, e mi lascio andare. Ho il cuore a mille, ma passa a duemila ogni volta che Simona mi guarda con quel suo mezzo sorriso. Balliamo fino ad avere le gambe doloranti, e facciamo i cretini, non ce ne frega niente. «Come le meduse!» Mi grida all’orecchio, e si mette a imitare il loro battito ondulatorio, e iniziamo a ballare così.
Voglio solo divertirmi, cerco di non farmi paranoie se io le piaccia o meno. Qualsiasi cosa dovrà accadere, accadrà. Ma anche solo pensare di volere divertirmi mi sembra mi stia frenando, in qualche modo. È così che ci si comporta? Una persona normale si lascerebbe andare e basta, no? Senza pensare al doversi divertire, lo fa e basta. Io invece ci rimugino su. Perché sono così? Cosa c’è di sbagliato in me?
«Gli sbirri!» Sento gridare. Ovviamente, era solo questione di tempo. Molti stanno già sciamando dal molo, cercando di dribblare i poliziotti che stanno sbarrando l’unica uscita.
«Io non me ne vado», digrigno i denti. «Questa era la nostra serata».
Non sono l’unico a pensarla così. Si sollevano insulti, urla sopra la musica. Una bottiglia vola verso gli agenti. La gente si schiaccia verso la parte più lontana del molo, sgomita.
Ci riuniamo agli altri del nostro gruppo. «Che facciamo?»
«Si scappa, che altro?»
«Io non voglio farmi fermare. Dobbiamo per forza passare di là in mezzo agli sbirri?»
«Vedi alternative?»
Io e Simona ci guardiamo. La spuma si infrange sul bordo del molo. «Saltiamo», dice lei.
«Voi siete pazzi», ribatte Gabriele. Ma i poliziotti si stanno facendo strada, e la folla si sta accalcando in fondo al molo, e hanno iniziato a volare bottiglie e pietre. La situazione precipiterà da un momento all’altro, e allora saremo tutti fregati.
Simona fa un mezzo sorriso, e io mi lancio. L’acqua è gelida, e mi sveglia come uno schiaffo, mi sveglia davvero. Poco dopo un tonfo mi dice che Simona ha fatto lo stesso.
«Siete fuori di testa!»
Nuotiamo, i tentacoli delle meduse sono urticanti ma è sopportabile, e mentre dal molo gli altri ci insultano, gridando più forte della musica che ancora non si ferma, noi non possiamo fare a meno di smettere di sorridere. Indica col dito verso il basso, e si immerge in apnea. Faccio lo stesso, scendiamo, e mi sembra di star volando su un cimitero di meduse.
Raggiungiamo il fondale, ci fermiamo un attimo, ci giriamo verso l’alto. Altri ragazzi hanno avuto la nostra stessa idea, e vediamo le loro silhouette nuotare nel buio, in alto, come uccelli sgraziati. C’è pace, qui sotto, e in questo istante eterno tutto ha perso di significato. Non c’è bisogno di parlare.
Le meduse sopra di noi si muovono come fantasmi opachi nella notte. Le meduse immobili attorno a noi hanno i tentacoli che si toccano e si intrecciano. Allunghiamo le braccia e le nostre mani si stringono l’una all’altra.
Traccia di mezzanotte
Il testo successivo all'edting di @GiorgiaScalise lo trovate qui.
Il cielo è una coperta grigia e uniforme. Sembra di guardare all’infinito dentro allo spazio, ma in realtà non si sta guardando nulla, solo una coltre di fumo che nasconde anche le vette dei grattacieli. Me ne sto sdraiato sul cemento, le mani dietro la testa, una canna in bocca, giusto per staccare un attimo. Non che non mi stia divertendo, ho solo bisogno di scollegarmi da tutto e da tutti per un po’, per ricaricarmi. Sono fatto così. Faccio un ultimo fiato e la passo a Gabriele, poi mi metto a sedere.
Le luci della città si riflettono sul mare e si deformano con dolcezza seguendo le onde. Sono luci calde, placide, sembra che la città stia dormendo; ma conosco l’illusione, so che è sempre sveglia, e ci osserva. Come le meduse sotto la superficie dell’acqua, le ho viste, ce ne sono parecchie, ma il riflesso della città le nasconde.
«Posso finirla?» Chiede Gabri.
«Fai pure». Mi picchio un paio di volte le cosce per pulire i pantaloni e faccio per alzarmi, mentre Gabriele fa l’ultimo fiato della canna e schicchera il mozzicone in acqua. Simona allunga una mano per tirarmi su, ma io ormai sono a metà movimento, arrossisco e non la prendo. Mi sento stupido, ma non dico nulla. Avrei voluto accettare la sua mano, ma sarebbe sembrato innaturale, o no? Fa niente, ormai è tardi, sono uno stupido.
Il molo abbandonato è così pieno di gente che si fa quasi fatica a camminare. Non sembra importare a nessuno del vento freddo che soffia dal mare: il molo, oggi, è un ecosistema a parte, caldo e pulsante. La musica è così alta che si fa fatica a sentirsi parlare, e si balla come dei forsennati, e si canta.
«Ohi, sono arrivati i miei amici», fa Simona, indicando un gruppo di ragazzi che si sta avvicinando. Non riesco a vederne i lineamenti, le uniche fonti di illuminazione sono i lampioni della città, lontani dal molo, e la luna, nascosta oltre il cielo. Ma va bene così: è intimo, eppure collettivo.
Facciamo un giro di presentazioni, poi torniamo a sederci vicino all’acqua e stappiamo le birre. Siamo un gruppo numeroso, forse una ventina di persone. Chiacchieriamo un po’, le amiche di Simona ballano, rovesciano una birra, ridiamo tutti. Vedo Gabri che ha lo sguardo puntato sulla più rumorosa delle ragazze, nonostante sia fidanzato. Io non riesco a distogliere gli occhi da Simona, ma ormai mi sono messo il cuore in pace che lo sanno tutti.
Parlo poco, anche quando il discorso mi interessa, anche quando avrei tanto da dire. Mi chiedo: quello che sto per dire è intelligente? È interessante? Gli altri lo vogliono sentire? E finisce che non dico niente, ormai la conversione è andata avanti, e io mi pento, ma lo rifaccio subito dopo. Gabriele è diverso, e io lo lascio parlare e non intervengo. Non so perché.
Mi capita spesso di sentire il richiamo di fare grandi cose, ma non so mai cosa, ed è frustrante. È come con le persone. Non riesco a inserirmi nella conversazione, non riesco a lasciare andare, e allora mi blocco, mi chiudo, penso a un mucchio di cose da dire ma le tengo per me. Mi sento fuor d’acqua. Sono uno spettatore, posso solo registrare la vita che mi scorre accanto, ma mai afferrare la sua mano.
«Che fai?» Simona si siede accanto a me e mi passa la bottiglia.
Faccio un sorso. «Guardo le meduse». Scarpe e calze accanto a me, sto a gambe penzoloni sull’acqua, e ogni tanto mi allungo per toccare con l’alluce la cupola di una medusa. «Sono bellissime».
«Sembra che si muovano a ritmo di musica».
Sorrido. «Chissà». Le ripasso la bottiglia. Resto in silenzio a fissarle, ho una frase in testa ma non so se dirla ad alta voce. Mi decido. «Non hanno pensieri, non hanno un cervello, eppure vivono, mangiano, si accoppiano, e non hanno bisogno di nient’altro. Vedi quelle sul fondo, immobili? Secondo te sono vive o morte?»
«Mh, non lo so».
«Esatto, è così sottile il confine. Sono di pura acqua, e il passaggio da vita a morte è solo un soffio. È pacifico, non trovi?»
Fa un mezzo sorriso. «Anche il corpo umano è fatto per il 60% da acqua. Forse siamo meduse anche noi».
Ridiamo.
«Le birre mi stanno dando alla testa, ho bisogno di muovermi un po’. Vieni a ballare?»
Mi rialzo, mi rimetto le scarpe e la seguo. Mi sento in imbarazzo, ma il ritmo è più forte di me, e mi lascio andare. Ho il cuore a mille, ma passa a duemila ogni volta che Simona mi guarda con quel suo mezzo sorriso. Balliamo fino ad avere le gambe doloranti, e facciamo i cretini, non ce ne frega niente. «Come le meduse!» Mi grida all’orecchio, e si mette a imitare il loro battito ondulatorio, e iniziamo a ballare così.
Voglio solo divertirmi, cerco di non farmi paranoie se io le piaccia o meno. Qualsiasi cosa dovrà accadere, accadrà. Ma anche solo pensare di volere divertirmi mi sembra mi stia frenando, in qualche modo. È così che ci si comporta? Una persona normale si lascerebbe andare e basta, no? Senza pensare al doversi divertire, lo fa e basta. Io invece ci rimugino su. Perché sono così? Cosa c’è di sbagliato in me?
«Gli sbirri!» Sento gridare. Ovviamente, era solo questione di tempo. Molti stanno già sciamando dal molo, cercando di dribblare i poliziotti che stanno sbarrando l’unica uscita.
«Io non me ne vado», digrigno i denti. «Questa era la nostra serata».
Non sono l’unico a pensarla così. Si sollevano insulti, urla sopra la musica. Una bottiglia vola verso gli agenti. La gente si schiaccia verso la parte più lontana del molo, sgomita.
Ci riuniamo agli altri del nostro gruppo. «Che facciamo?»
«Si scappa, che altro?»
«Io non voglio farmi fermare. Dobbiamo per forza passare di là in mezzo agli sbirri?»
«Vedi alternative?»
Io e Simona ci guardiamo. La spuma si infrange sul bordo del molo. «Saltiamo», dice lei.
«Voi siete pazzi», ribatte Gabriele. Ma i poliziotti si stanno facendo strada, e la folla si sta accalcando in fondo al molo, e hanno iniziato a volare bottiglie e pietre. La situazione precipiterà da un momento all’altro, e allora saremo tutti fregati.
Simona fa un mezzo sorriso, e io mi lancio. L’acqua è gelida, e mi sveglia come uno schiaffo, mi sveglia davvero. Poco dopo un tonfo mi dice che Simona ha fatto lo stesso.
«Siete fuori di testa!»
Nuotiamo, i tentacoli delle meduse sono urticanti ma è sopportabile, e mentre dal molo gli altri ci insultano, gridando più forte della musica che ancora non si ferma, noi non possiamo fare a meno di smettere di sorridere. Indica col dito verso il basso, e si immerge in apnea. Faccio lo stesso, scendiamo, e mi sembra di star volando su un cimitero di meduse.
Raggiungiamo il fondale, ci fermiamo un attimo, ci giriamo verso l’alto. Altri ragazzi hanno avuto la nostra stessa idea, e vediamo le loro silhouette nuotare nel buio, in alto, come uccelli sgraziati. C’è pace, qui sotto, e in questo istante eterno tutto ha perso di significato. Non c’è bisogno di parlare.
Le meduse sopra di noi si muovono come fantasmi opachi nella notte. Le meduse immobili attorno a noi hanno i tentacoli che si toccano e si intrecciano. Allunghiamo le braccia e le nostre mani si stringono l’una all’altra.