[LAB1 FC] La maschera
Posted: Wed May 18, 2022 7:32 pm
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L’ubriacone gridava il suo sconnesso soliloquio nel bel mezzo della strada.
Caryl tirò la leva del freno e la moto rallentò quanto bastava per poterlo evitare, poi ridette gas.
Per fortuna, le strade attorno all’astroporto erano pressoché deserte, a quell’ora della sera: non ci avrebbe messo molto a raggiungere il Palazzo della Principessa del Lago.
Sentiva più che mai il bisogno di passare del tempo con Arien. Negli ultimi mesi, la malsana palude della politica iridese lo aveva completamento assorbito, logorandolo. Non ricordava l'ultima volta che aveva dormito una notte intera, né riusciva più ad ignorare quella sensazione di vivere perennemente asserragliato, circondato com'era solo dai pochi fedelissimi del suo entourage.
Arien era il suo porto sicuro, il rimedio contro le tensioni che scaturivano dalle responsabilità di governo. Lei gli trasmetteva serenità. Forse c'entravano gli insegnamenti del culto di cui era la somma sacerdotessa o forse era semplicemente una donna straordinaria, ma starle accanto aveva su di lui un effetto rigenerante.
E poi, era impaziente di accertare che la gravidanza procedesse bene: l’ultima volta che era stato su Violleth, suo figlio già scalciava.
Rallentò, ancora una volta, in prossimità di alcuni capannoni, stavolta per assicurarsi di imboccare la svolta giusta, e lo vide. Sotto la luce di un lampione, che sembrava additarlo al mondo intero, un inconsapevole Mihan Davos veniva verso di lui.
Era smagrito e, in qualche modo, invecchiato, ma era proprio lui. Non potevano esserci dubbi. I suoi uomini lo cercavano da giorni ma, fino a quel momento, il ragazzo era sempre riuscito a sfuggire alla cattura. E ci sarebbe riuscito anche stasera se lui non si fosse trovato per caso nel posto giusto.
Poggiò i piedi a terra per stabilizzare la moto.
«Davos!» Chiamò, e nella notte silenziosa quel nome risuonò come una sentenza di morte.
Il ragazzo si arrestò, alzando lo sguardo nella direzione da cui proveniva la voce.
«Sei Davos, vero?» Insistette.
Vide il giovane guardarsi alle spalle e tutt’intorno, lo sguardo indecifrabile. Poi, avanzare fino a raggiungere un carretto abbandonato ai bordi del viottolo e afferrare un ramo robusto e nodoso.
«Si, sono Mihan Davos.»
Quello era il suo guanto di sfida, comprese il signore di Irida. Quello, e il ramo contorto che teneva nella destra. Scosse il capo, lentamente, con platealità. Poi aprì il giubbotto, corto alla vita, fino a rendere visibile una fondina ascellare da cui fuoriusciva il calcio di una rivoltella.
«Sai chi sono?» lo interrogò.
La rabbia e la rassegnazione trasfigurarono il volto del giovane che portò indietro il braccio e scagliò lontano da sé, l’improvvisato manganello.
Il bastone rimbalzò, rumoroso, sul muro di mattoni di una casupola e poi sul pavimento acciottolato della stradina.
«Sei Caryl Chiroy!» fu la risposta secca.
Lui si limitò ad annuire.
«Dove vai, Davos, a quest'ora della notte?» lo incalzò.
Al nadaiano sfuggì una risatina nervosa.
«All'astroporto. C'è una nave che mi aspetta, perciò se per te non è un problema...» Rispose con un sorriso forzato e la voce che ostentava un tono spavaldo del tutto fuori luogo.
Bravo, ragazzo, mi piace il coraggio con cui stai affrontando la fine. La mano di Caryl correva già verso il calcio della pistola.
«E allora? Restiamo a fare discussione? Comincia a fare freddo.» Lo provocò ancora l’altro.
No, faremo presto, vedrai. Te lo meriti. E dopo riparerò tra le braccia di Arien. E lei non saprà mai che ho ucciso, con le mie stesse mani, il ragazzo amato dalla sua migliore amica. E la recita della mia vita proseguirà sui binari di sempre.
Socchiuse gli occhi, inspirando. Arien era lì che lo fissava.
«Tu non sei cattivo.»
«Eh?»
La luce dell’alba penetrava obliqua dai finestroni ogivali della grande casa di campagna. Lui e Arien riposavano dopo aver fatto l’amore.
«Tu non sei cattivo.» Ripeté lei.
Si era voltato su un fianco per guardarla. Era seduta sul letto; il suo volto gentile aveva l’espressione risoluta di chi comunicava una certezza.
«È vero, all’inizio non sapevo cosa aspettarmi da te: c’era la brutta fama che accomuna la classe dirigente del tuo pianeta – gente sanguinaria, si diceva in giro – non se ne salva nessuno di quelli – e c'erano i tuoi modi da spaccone…» Aveva sorriso. «Insomma, sembrava proprio che le peggiori dicerie trovassero conferma. Ma mi è bastato frequentarti questi pochi giorni per capire che la tua arroganza è solo una corazza, una maschera; la indossi quando entra in azione il leader cinico e spietato... La indossi per darti coraggio, perché altrimenti non riusciresti a farle, quelle cose.»
L'aveva vista allungare una mano verso di lui; aveva sentito le sue dita delicate tra i capelli e sul viso.
«Io lo so che, sotto sotto, sei una persona sensibile che soffre per i suoi errori, però...»
«Nessun errore.» Si era scostato da lei in modo più brusco di quanto avesse voluto. «Certe cose vanno fatte se vuoi raggiungere uno scopo. Tutto qui. Chi non ha il coraggio, o lo stomaco, per farle non sarà mai un leader.»
Arien si era morsicata il labbro inferiore.
«E quando finalmente avrai raggiunto lo scopo, dopo un'infinità di... compromessi… quel leader sarai ancora tu, o sarà la maschera a portare in giro la tua faccia?»
Irritato, non le aveva risposto.
«Vorrei che mi facessi una promessa, te ne prego. Per me è importante.»
I grandi occhi nocciola di Arien erano umidi.
«Promettimi che non consentirai alla maschera di soffocare l’uomo che sei. Qualunque cosa dovesse accadere.»
Quando riaprì gli occhi, Mihan era ancora davanti a lui. Cercava di nascondere la paura ma ogni secondo di quel silenzio carico di tensione contribuiva a intaccare la sua compostezza esteriore. Tra poco, ne era certo, sarebbe scoppiato a piangere.
È solo un ragazzo, un ragazzo che ha perso tutto: la casa, la famiglia, persino la dignità. E adesso vorremmo togliergli anche il diritto di vivere solo perché quegli esaltati, che si definiscono la resistenza di Nàdà, potrebbero vedere in lui una bandiera attorno alla quale riunirsi?
«Promettimi che non consentirai alla maschera di soffocare l’uomo che sei.» Gli aveva detto Arien.
Sì, era stanco del sangue, della violenza, della paura... almeno per quella sera.
Tirò su la zip del giubbotto e premette il pulsante "start" sul manubrio della moto. Il rombo del quattro cilindri fece vibrare il terreno.
Guardò il ragazzo; sembrava non sapere che fare.
«Che ci fai ancora lì? Non c’era una nave ad aspettarti, da qualche parte?»
Innestò la prima e si avviò. Direzione, il Palazzo della Principessa del Lago.
Caryl tirò la leva del freno e la moto rallentò quanto bastava per poterlo evitare, poi ridette gas.
Per fortuna, le strade attorno all’astroporto erano pressoché deserte, a quell’ora della sera: non ci avrebbe messo molto a raggiungere il Palazzo della Principessa del Lago.
Sentiva più che mai il bisogno di passare del tempo con Arien. Negli ultimi mesi, la malsana palude della politica iridese lo aveva completamento assorbito, logorandolo. Non ricordava l'ultima volta che aveva dormito una notte intera, né riusciva più ad ignorare quella sensazione di vivere perennemente asserragliato, circondato com'era solo dai pochi fedelissimi del suo entourage.
Arien era il suo porto sicuro, il rimedio contro le tensioni che scaturivano dalle responsabilità di governo. Lei gli trasmetteva serenità. Forse c'entravano gli insegnamenti del culto di cui era la somma sacerdotessa o forse era semplicemente una donna straordinaria, ma starle accanto aveva su di lui un effetto rigenerante.
E poi, era impaziente di accertare che la gravidanza procedesse bene: l’ultima volta che era stato su Violleth, suo figlio già scalciava.
Rallentò, ancora una volta, in prossimità di alcuni capannoni, stavolta per assicurarsi di imboccare la svolta giusta, e lo vide. Sotto la luce di un lampione, che sembrava additarlo al mondo intero, un inconsapevole Mihan Davos veniva verso di lui.
Era smagrito e, in qualche modo, invecchiato, ma era proprio lui. Non potevano esserci dubbi. I suoi uomini lo cercavano da giorni ma, fino a quel momento, il ragazzo era sempre riuscito a sfuggire alla cattura. E ci sarebbe riuscito anche stasera se lui non si fosse trovato per caso nel posto giusto.
Poggiò i piedi a terra per stabilizzare la moto.
«Davos!» Chiamò, e nella notte silenziosa quel nome risuonò come una sentenza di morte.
Il ragazzo si arrestò, alzando lo sguardo nella direzione da cui proveniva la voce.
«Sei Davos, vero?» Insistette.
Vide il giovane guardarsi alle spalle e tutt’intorno, lo sguardo indecifrabile. Poi, avanzare fino a raggiungere un carretto abbandonato ai bordi del viottolo e afferrare un ramo robusto e nodoso.
«Si, sono Mihan Davos.»
Quello era il suo guanto di sfida, comprese il signore di Irida. Quello, e il ramo contorto che teneva nella destra. Scosse il capo, lentamente, con platealità. Poi aprì il giubbotto, corto alla vita, fino a rendere visibile una fondina ascellare da cui fuoriusciva il calcio di una rivoltella.
«Sai chi sono?» lo interrogò.
La rabbia e la rassegnazione trasfigurarono il volto del giovane che portò indietro il braccio e scagliò lontano da sé, l’improvvisato manganello.
Il bastone rimbalzò, rumoroso, sul muro di mattoni di una casupola e poi sul pavimento acciottolato della stradina.
«Sei Caryl Chiroy!» fu la risposta secca.
Lui si limitò ad annuire.
«Dove vai, Davos, a quest'ora della notte?» lo incalzò.
Al nadaiano sfuggì una risatina nervosa.
«All'astroporto. C'è una nave che mi aspetta, perciò se per te non è un problema...» Rispose con un sorriso forzato e la voce che ostentava un tono spavaldo del tutto fuori luogo.
Bravo, ragazzo, mi piace il coraggio con cui stai affrontando la fine. La mano di Caryl correva già verso il calcio della pistola.
«E allora? Restiamo a fare discussione? Comincia a fare freddo.» Lo provocò ancora l’altro.
No, faremo presto, vedrai. Te lo meriti. E dopo riparerò tra le braccia di Arien. E lei non saprà mai che ho ucciso, con le mie stesse mani, il ragazzo amato dalla sua migliore amica. E la recita della mia vita proseguirà sui binari di sempre.
Socchiuse gli occhi, inspirando. Arien era lì che lo fissava.
«Tu non sei cattivo.»
«Eh?»
La luce dell’alba penetrava obliqua dai finestroni ogivali della grande casa di campagna. Lui e Arien riposavano dopo aver fatto l’amore.
«Tu non sei cattivo.» Ripeté lei.
Si era voltato su un fianco per guardarla. Era seduta sul letto; il suo volto gentile aveva l’espressione risoluta di chi comunicava una certezza.
«È vero, all’inizio non sapevo cosa aspettarmi da te: c’era la brutta fama che accomuna la classe dirigente del tuo pianeta – gente sanguinaria, si diceva in giro – non se ne salva nessuno di quelli – e c'erano i tuoi modi da spaccone…» Aveva sorriso. «Insomma, sembrava proprio che le peggiori dicerie trovassero conferma. Ma mi è bastato frequentarti questi pochi giorni per capire che la tua arroganza è solo una corazza, una maschera; la indossi quando entra in azione il leader cinico e spietato... La indossi per darti coraggio, perché altrimenti non riusciresti a farle, quelle cose.»
L'aveva vista allungare una mano verso di lui; aveva sentito le sue dita delicate tra i capelli e sul viso.
«Io lo so che, sotto sotto, sei una persona sensibile che soffre per i suoi errori, però...»
«Nessun errore.» Si era scostato da lei in modo più brusco di quanto avesse voluto. «Certe cose vanno fatte se vuoi raggiungere uno scopo. Tutto qui. Chi non ha il coraggio, o lo stomaco, per farle non sarà mai un leader.»
Arien si era morsicata il labbro inferiore.
«E quando finalmente avrai raggiunto lo scopo, dopo un'infinità di... compromessi… quel leader sarai ancora tu, o sarà la maschera a portare in giro la tua faccia?»
Irritato, non le aveva risposto.
«Vorrei che mi facessi una promessa, te ne prego. Per me è importante.»
I grandi occhi nocciola di Arien erano umidi.
«Promettimi che non consentirai alla maschera di soffocare l’uomo che sei. Qualunque cosa dovesse accadere.»
Quando riaprì gli occhi, Mihan era ancora davanti a lui. Cercava di nascondere la paura ma ogni secondo di quel silenzio carico di tensione contribuiva a intaccare la sua compostezza esteriore. Tra poco, ne era certo, sarebbe scoppiato a piangere.
È solo un ragazzo, un ragazzo che ha perso tutto: la casa, la famiglia, persino la dignità. E adesso vorremmo togliergli anche il diritto di vivere solo perché quegli esaltati, che si definiscono la resistenza di Nàdà, potrebbero vedere in lui una bandiera attorno alla quale riunirsi?
«Promettimi che non consentirai alla maschera di soffocare l’uomo che sei.» Gli aveva detto Arien.
Sì, era stanco del sangue, della violenza, della paura... almeno per quella sera.
Tirò su la zip del giubbotto e premette il pulsante "start" sul manubrio della moto. Il rombo del quattro cilindri fece vibrare il terreno.
Guardò il ragazzo; sembrava non sapere che fare.
«Che ci fai ancora lì? Non c’era una nave ad aspettarti, da qualche parte?»
Innestò la prima e si avviò. Direzione, il Palazzo della Principessa del Lago.