[Lab 1] Infrangerne una
Posted: Fri May 13, 2022 11:36 am
«Stai morendo?»
«Spero di no» la voce mi esce più gracchiante del solito, forse pure un po' più bassa. Niente male.
«Sei sicuro?»
«Abbastanza...» provo a muovere la testa «mica vedi la mia gamba?»
Lui si guarda intorno, scrutando la stanza. Mi indica un qualcosa, molto lontano da me, che ha la vaga forma di uno dei miei stivali. Vorrei andare a controllare, ma ho qualche impedimento
«Allora, riassumiamo» si siede a gambe conserte, poggiando il meno sottile sulla mano «una gamba recisa, un braccio spappolato sotto una statua, un fianco squarciato...»
«I capelli arruffati» dico io, alzando un dito «la cosa peggiore»
«Ah certo, lo so» alza le spalle, sorridendo «io sono te, in fondo»
Forse non tutti sperimentano una cosa del genere, ma davanti a me c'è me stesso. Alto, capelli rossicci, occhi neri, stesso abito.
Non credo di essere l'ultima persona con cui voglio parlare, prima di andarmene
«Non c'era di meglio?» alza un sopracciglio alla mia domanda «una bella donna provocante, magari?»
«Sei una bella donna provocante? Non chiederti troppo» ride, ed io spero che la mia risata non sia sempre suonata così stupida «detto ciò, vogliamo fare un poco il punto della situazione?»
«Non adesso, ho da fare» fingo di cercare il motivo per cui sono finito qui.
Il grosso corridoio è pieno di corpi, rovine, maledettissima sabbia. Anche potendomi muovere, ci impiegherei ore a trovare quello giusto
«Quindi, hai avuto una bella vita? Nessun rimpianto?» torno a farmi sotto a me stesso. Forse è vero che sono un dannato testardo
«Forse dovevo mangiarla» dico, non avendo di meglio da fare «la terza scodella di zuppa, stamattina»
«Unica cosa che avresti voluto fare?»
«Ehi, se sei me sai quanta roba avrei fatto» rido, e spero di star sputando solo sangue «ho ancora un elenco bello lungo»
«Beh, questo è il momento per fare mente locale, e provare a capire se questi ventiquattro anni sono stati degni di essere vissuti»
«Devo rifarmeli tutti?»
«Salteresti qualcosa? Sii sincero, tanto lo so, l'importante è ammetterlo»
Sbuffo, fissando il soffitto squarciato. Intravedo un pezzo della sala del trono, e pure uno spicchio di cielo azzurro
«Saltiamo la parte dell'infanzia? O devo ricordare ogni cosa?» domando, poco speranzoso
«Beh, una volta hai promesso di non rubare più» dico a me stesso «e sappiamo com'è finita»
«Ehi, ci abbiamo mangiato per una settimana con quei soldi!» provo a ridacchiare, ma il petto mi fa un male atroce «gli altri ragazzini mi credevano un eroe»
«Oh tranquillo, lo credono ancora. In fondo, tu sei quello che ce l'ha fatta, l'unico disgraziato che è riuscito a tirarsi fuori da quel buco di città, da quella casa fatiscente, dalla fame e dal freddo»
«Sai, detta così pare quasi epico, ma saltiamo anche i primi anni nell'esercito, grazie»
«Ah si, passiamo alle cose importanti: hai promesso alla direttrice che avresti mandato dei soldi, no?»
«L'ho fatto. Spesso» voglio provare ad essere sincero, almeno con me «mi ha scritto quella lunga lettera, un mese fa, prolissa come sempre, non la finiva più di dire tutto quello che ha comprato»
«Eh, sento un poco di gelosia che mi pervade?» ditemi che non faccio anch'io quel sorrisetto da schiaffi «beh, in effetti, tre pasti al giorno, letti caldi, un camino, vestiti puliti; pare l'elenco di quello che non hai avuto per i primi... quindici anni di vita? E cosa facevi? Pulivi le stalle, spalavi la merda congelata di cavalli che mangiavano meglio di te! Non fare quella faccia, lo hai sempre saputo! Hai odiato ogni singola vangata, e per vendicarti hai iniziato a rubare»
«Non si accorgevano nemmeno che lo facevo... e pure quella promessa, di smettere, ci ha creduto solo quell'idiota del barone» mi sto giustificando con me stesso, e mi sento meno idiota di quanto mi aspettassi «ma l'ho mantenuta, alla fine, quando...»
«Quando?» vengo incalzato da quel sorriso diabolico, sta, o meglio sto, facendo del mio meglio per non ridere «quando sei entrato nell'esercito, quando la Dea Regnante ti ha benedetto? Si, ti sei spaccato la schiena ogni dannato giorno, ogni dannata ora, tutto perché dovevi essere quello che combatteva meglio, quello più veloce con la spada, più preciso con l'arco. E alla fine...»
Mi fa un cenno con la mano, invitandomi a parlare. Sento i denti che provano a saldarsi, li scollo a forza
«Mi ha nominato Araldo» sospiro «un gran bel giorno...»
«Ti ha fatto assassino» commenta il mio doppio «ha fatto tutta la contrita, la nobile, con quel nasino e le lacrime agli occhi! Com'è che ha detto? Qualcosa del tipo "mi servono soldati, non eroi e nemmeno martiri", giusto? Intanto chi è che sta morendo qui, a mille miglia da casa, senza nemmeno un cane che lo venga a cercare?»
«Io...- mi mancano le parole, butto fuori la prima risposta che mi viene «ho giurato... ho promesso che avrei combattuto e vinto per lei»
Il mio doppio mi fissa, io guardo il vuoto. Mentivo meglio, una volta, o forse non ci riesco con me stesso
«Per "lei"? Lei chi? La Dea, che se ne sta al sicuro nel suo palazzo? L'araldo che guida l'esercito, che domani sarà portata in trionfo? O... Lei?»
«Va a bruciare» commento, lottando per alzare la mano al collo
«Oh, tranquillo, ci stiamo andando insieme- mi vedo sollevare un pezzo di ferro, attaccato ad una catenina «per lei, per la ragazza che ti ha dato questo prima di partire per l'esercito, la figlia di quei domestici!»
«Si» ammetterlo è più facile del previsto «perché... perché voleva...»
«Non lo sai nemmeno tu che voleva» rido triste «è diventata magistra all'accademia, e vi siete pure incontrati tante volte, vi siete scritti, avete parlato! A quella festa, prima della guerra; l'hai invitata a ballare, e quanto hai goduto a poterle stringere la mano, ed il corpo, mentre saltellavi come un coniglio! Oh, in due non facevate un ballerino, ma avete riso, vi siete fissati, siete arrossiti tutti e due come i ragazzini che siete!»
«Sta zitto...»
«E poi l'hai portata fuori, sulla terrazza, a parlare di tutto e di niente, a blaterare di sogni, ideali, passioni che non sapevi nemmeno di avere. Era la prima volta che chiacchieravi così tanto con una ragazza, stavi sudando più di adesso! Hai ascoltato a metà, troppo occupato a trattenerti, perché altrimenti ti ci saresti gettato su quelle labbra!»
«Sta zitto»
«Oh, ma tu volevi fare il galante, il sofisticato, il nobile! Ti sei interessato davvero ai suoi studi, ma mica le hai detto che facevi davvero! Non ce l'hai fatta, codardo, a dirle che sgozzi la gente nei loro letti! Che scatti e scodinzoli al minimo gesto dei generali, degli altri Araldi, della Dea Imperatrice! No, alla studiosa pacifista non l'hai saputo dire. E poi, quando lei ti ha detto che voleva sapere com'è il mare? Te lo ricordi, eh?»
«Sta zitto!»
«Come hai risposto? "No" e lei era tutta scioccata, e poi hai aggiunto "ti prometto che ti porterò a vederlo"!» il mio doppio sta morendo dal ridere, battendosi la mano sulla coscia «non sapeva nemmeno lei se voleva ringraziarti, picchiarti, piantarti lì o baciarti, e ve ne siete rimasti là, zitti, tu che ti vergognavi per quello che avevi detto e lei tutta timida non sapendo che dire»
«Io... io gliel'ho promesso, lo so! E adesso non potrò farlo!» urlo e provo di nuovo ad alzarmi, forse voglio strozzarmi, o fuggire, o almeno provarmi che non sono ancora morto «sei contento? Non potrò mantenere quella promessa, d'accordo! Non potrò mantenere l'unica dannata promessa che non volevo infrangere!»
Mi vedo sorridere triste
«Hai promesso ai bambini dell'orfanotrofio che li avresti aiutati, e l'hai fatto. Hai promesso alla Dea Regnante di farle vincere la guerra, e l'hai fatto. Muori con la coscienza pulita» il sorriso si allarga «Ma davvero vuoi andartene, senza mantenere l'unica promessa a cui tieni?»
«No» ci metto davvero poco a rispondere.
Il silenzio è pesante, opprimente, me lo sento addosso come una coperta ruvida
«Stai morendo?»
«Si»
«Vuoi morire?»
«No» mi volto verso il mio doppio.
Sono sicuro che, di solito, non ho quel sorriso innaturale, quei denti aguzzi, e che i miei occhi non brillano bluastri. Almeno spero.
«Spero di no» la voce mi esce più gracchiante del solito, forse pure un po' più bassa. Niente male.
«Sei sicuro?»
«Abbastanza...» provo a muovere la testa «mica vedi la mia gamba?»
Lui si guarda intorno, scrutando la stanza. Mi indica un qualcosa, molto lontano da me, che ha la vaga forma di uno dei miei stivali. Vorrei andare a controllare, ma ho qualche impedimento
«Allora, riassumiamo» si siede a gambe conserte, poggiando il meno sottile sulla mano «una gamba recisa, un braccio spappolato sotto una statua, un fianco squarciato...»
«I capelli arruffati» dico io, alzando un dito «la cosa peggiore»
«Ah certo, lo so» alza le spalle, sorridendo «io sono te, in fondo»
Forse non tutti sperimentano una cosa del genere, ma davanti a me c'è me stesso. Alto, capelli rossicci, occhi neri, stesso abito.
Non credo di essere l'ultima persona con cui voglio parlare, prima di andarmene
«Non c'era di meglio?» alza un sopracciglio alla mia domanda «una bella donna provocante, magari?»
«Sei una bella donna provocante? Non chiederti troppo» ride, ed io spero che la mia risata non sia sempre suonata così stupida «detto ciò, vogliamo fare un poco il punto della situazione?»
«Non adesso, ho da fare» fingo di cercare il motivo per cui sono finito qui.
Il grosso corridoio è pieno di corpi, rovine, maledettissima sabbia. Anche potendomi muovere, ci impiegherei ore a trovare quello giusto
«Quindi, hai avuto una bella vita? Nessun rimpianto?» torno a farmi sotto a me stesso. Forse è vero che sono un dannato testardo
«Forse dovevo mangiarla» dico, non avendo di meglio da fare «la terza scodella di zuppa, stamattina»
«Unica cosa che avresti voluto fare?»
«Ehi, se sei me sai quanta roba avrei fatto» rido, e spero di star sputando solo sangue «ho ancora un elenco bello lungo»
«Beh, questo è il momento per fare mente locale, e provare a capire se questi ventiquattro anni sono stati degni di essere vissuti»
«Devo rifarmeli tutti?»
«Salteresti qualcosa? Sii sincero, tanto lo so, l'importante è ammetterlo»
Sbuffo, fissando il soffitto squarciato. Intravedo un pezzo della sala del trono, e pure uno spicchio di cielo azzurro
«Saltiamo la parte dell'infanzia? O devo ricordare ogni cosa?» domando, poco speranzoso
«Beh, una volta hai promesso di non rubare più» dico a me stesso «e sappiamo com'è finita»
«Ehi, ci abbiamo mangiato per una settimana con quei soldi!» provo a ridacchiare, ma il petto mi fa un male atroce «gli altri ragazzini mi credevano un eroe»
«Oh tranquillo, lo credono ancora. In fondo, tu sei quello che ce l'ha fatta, l'unico disgraziato che è riuscito a tirarsi fuori da quel buco di città, da quella casa fatiscente, dalla fame e dal freddo»
«Sai, detta così pare quasi epico, ma saltiamo anche i primi anni nell'esercito, grazie»
«Ah si, passiamo alle cose importanti: hai promesso alla direttrice che avresti mandato dei soldi, no?»
«L'ho fatto. Spesso» voglio provare ad essere sincero, almeno con me «mi ha scritto quella lunga lettera, un mese fa, prolissa come sempre, non la finiva più di dire tutto quello che ha comprato»
«Eh, sento un poco di gelosia che mi pervade?» ditemi che non faccio anch'io quel sorrisetto da schiaffi «beh, in effetti, tre pasti al giorno, letti caldi, un camino, vestiti puliti; pare l'elenco di quello che non hai avuto per i primi... quindici anni di vita? E cosa facevi? Pulivi le stalle, spalavi la merda congelata di cavalli che mangiavano meglio di te! Non fare quella faccia, lo hai sempre saputo! Hai odiato ogni singola vangata, e per vendicarti hai iniziato a rubare»
«Non si accorgevano nemmeno che lo facevo... e pure quella promessa, di smettere, ci ha creduto solo quell'idiota del barone» mi sto giustificando con me stesso, e mi sento meno idiota di quanto mi aspettassi «ma l'ho mantenuta, alla fine, quando...»
«Quando?» vengo incalzato da quel sorriso diabolico, sta, o meglio sto, facendo del mio meglio per non ridere «quando sei entrato nell'esercito, quando la Dea Regnante ti ha benedetto? Si, ti sei spaccato la schiena ogni dannato giorno, ogni dannata ora, tutto perché dovevi essere quello che combatteva meglio, quello più veloce con la spada, più preciso con l'arco. E alla fine...»
Mi fa un cenno con la mano, invitandomi a parlare. Sento i denti che provano a saldarsi, li scollo a forza
«Mi ha nominato Araldo» sospiro «un gran bel giorno...»
«Ti ha fatto assassino» commenta il mio doppio «ha fatto tutta la contrita, la nobile, con quel nasino e le lacrime agli occhi! Com'è che ha detto? Qualcosa del tipo "mi servono soldati, non eroi e nemmeno martiri", giusto? Intanto chi è che sta morendo qui, a mille miglia da casa, senza nemmeno un cane che lo venga a cercare?»
«Io...- mi mancano le parole, butto fuori la prima risposta che mi viene «ho giurato... ho promesso che avrei combattuto e vinto per lei»
Il mio doppio mi fissa, io guardo il vuoto. Mentivo meglio, una volta, o forse non ci riesco con me stesso
«Per "lei"? Lei chi? La Dea, che se ne sta al sicuro nel suo palazzo? L'araldo che guida l'esercito, che domani sarà portata in trionfo? O... Lei?»
«Va a bruciare» commento, lottando per alzare la mano al collo
«Oh, tranquillo, ci stiamo andando insieme- mi vedo sollevare un pezzo di ferro, attaccato ad una catenina «per lei, per la ragazza che ti ha dato questo prima di partire per l'esercito, la figlia di quei domestici!»
«Si» ammetterlo è più facile del previsto «perché... perché voleva...»
«Non lo sai nemmeno tu che voleva» rido triste «è diventata magistra all'accademia, e vi siete pure incontrati tante volte, vi siete scritti, avete parlato! A quella festa, prima della guerra; l'hai invitata a ballare, e quanto hai goduto a poterle stringere la mano, ed il corpo, mentre saltellavi come un coniglio! Oh, in due non facevate un ballerino, ma avete riso, vi siete fissati, siete arrossiti tutti e due come i ragazzini che siete!»
«Sta zitto...»
«E poi l'hai portata fuori, sulla terrazza, a parlare di tutto e di niente, a blaterare di sogni, ideali, passioni che non sapevi nemmeno di avere. Era la prima volta che chiacchieravi così tanto con una ragazza, stavi sudando più di adesso! Hai ascoltato a metà, troppo occupato a trattenerti, perché altrimenti ti ci saresti gettato su quelle labbra!»
«Sta zitto»
«Oh, ma tu volevi fare il galante, il sofisticato, il nobile! Ti sei interessato davvero ai suoi studi, ma mica le hai detto che facevi davvero! Non ce l'hai fatta, codardo, a dirle che sgozzi la gente nei loro letti! Che scatti e scodinzoli al minimo gesto dei generali, degli altri Araldi, della Dea Imperatrice! No, alla studiosa pacifista non l'hai saputo dire. E poi, quando lei ti ha detto che voleva sapere com'è il mare? Te lo ricordi, eh?»
«Sta zitto!»
«Come hai risposto? "No" e lei era tutta scioccata, e poi hai aggiunto "ti prometto che ti porterò a vederlo"!» il mio doppio sta morendo dal ridere, battendosi la mano sulla coscia «non sapeva nemmeno lei se voleva ringraziarti, picchiarti, piantarti lì o baciarti, e ve ne siete rimasti là, zitti, tu che ti vergognavi per quello che avevi detto e lei tutta timida non sapendo che dire»
«Io... io gliel'ho promesso, lo so! E adesso non potrò farlo!» urlo e provo di nuovo ad alzarmi, forse voglio strozzarmi, o fuggire, o almeno provarmi che non sono ancora morto «sei contento? Non potrò mantenere quella promessa, d'accordo! Non potrò mantenere l'unica dannata promessa che non volevo infrangere!»
Mi vedo sorridere triste
«Hai promesso ai bambini dell'orfanotrofio che li avresti aiutati, e l'hai fatto. Hai promesso alla Dea Regnante di farle vincere la guerra, e l'hai fatto. Muori con la coscienza pulita» il sorriso si allarga «Ma davvero vuoi andartene, senza mantenere l'unica promessa a cui tieni?»
«No» ci metto davvero poco a rispondere.
Il silenzio è pesante, opprimente, me lo sento addosso come una coperta ruvida
«Stai morendo?»
«Si»
«Vuoi morire?»
«No» mi volto verso il mio doppio.
Sono sicuro che, di solito, non ho quel sorriso innaturale, quei denti aguzzi, e che i miei occhi non brillano bluastri. Almeno spero.