Il più grande lepidottero del mondo

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Questo racconto è stato ispirato a dei fatti veri legati a persone che non rivedrò mai più, ci sono molto affezionata e ho pensato di riproporlo qui


Mi guarda da dietro il vetro, senza scampo, inchiodata a un cartoncino ingiallito per mano di uno spillo dalla rossa capocchia. L’unica miserabile epigrafe concessa a quell’essere è una scritta tracciata a mano con penna e inchiostro: Ornithoptera alexandrae, il più grande lepidottero del mondo. Sicuramente non si tratta di una farfalla comune: l’apertura alare è paragonabile a quella delle mie mani. Come ipnotizzato ne osservo i colori e le forme. Nonostante la stazza, appare elegante e leggera, le ali presentano tonalità del marrone, del verde e anche una punta di giallo. Non posso fare a meno di pensare che sia bellissima.

La osservo incantato per qualche secondo prima di concedere la mia attenzione anche alle altre piccole salme, disposte nel quadro per soddisfare la curiosità e il diletto umano. Da sinistra a destra si trova: un uovo, un bruco e una crisalide. Il bruco è marrone, tutto il suo corpo è ricoperto di quelle che sembrano spine e la testa mi sembra tonda, calva e lucida. Non un bello spettacolo. Nulla farebbe presagire che un tale essere orripilante abbia in se le potenzialità per trasformarsi in quella meraviglia terrena che si trova più a destra e che qualcuno aveva deciso di crocifiggere a un quadro.

Dicono che le farfalle vivano solo pochi giorni, una durata breve rispetto alla loro vita come bruchi. Mi chiedo se ne valga la pena, passare tutta la vita da bruco, chiudersi in una crisalide per poi uscirne con due lucenti ali. Mi rispondo che sì, probabilmente ne vale la pena. Chissà se l’uomo è infelice perché non ha giorni da farfalla, o semplicemente perché quando li sta vivendo non se ne rende conto.

Le mie riflessioni sono interrotte da una voce lontana che sembra chiamare il mio nome. Sento il suono attutito come se provenisse da dietro una parete o da un’altra dimensione.

«La mamma vuole vederti.»

È mio figlio, non si trova in un altra dimensione e neanche nell’altra stanza ma accanto a me, vedo che la sua mano sinistra è appoggiata alla mia spalla destra. Che strano, non me ne ero accorto. Ha l’aria triste e mi parla lentamente, come si parla ai matti.

«Figliolo, hai visto che bello questo lepidottero?» gli chiedo, senza mai distogliere lo sguardo dal quadro. Non posso sopportare di vedere le lacrime sospese in quegli occhi così simili ai miei.

«Papà, per favore, vieni di là, la mamma vuole tanto vederti.»

«È strano sai, questo bruco qui è in grado di cambiare in pochi giorni e diventare una meravigliosa farfalla. Noi umani invece facciamo spesso il percorso contrario.»

Mio figlio lascia scivolare via la mano dalla mia spalla, forse mi sta ascoltando o forse mi sta ignorando. Probabilmente pensa che il suo vecchio abbia iniziato a farneticare e che sia inutile cercare di riportarlo alla realtà. Ma io so benissimo di cosa sto parlando. Se si potesse paragonare il mondo umano a quello dei lepidotteri sua madre, mia moglie, sarebbe sicuramente una di queste: bellissima e elegante.

Forse era questo che avevo pensato la prima volta che l’avevo incontrata su quella spiaggia da ragazzi. Ogni tanto ci ripenso e non riesco a ricordare cosa indossasse o cosa mi avesse colpito di lei. Mi piacerebbe ricordare. Lei quando racconta il nostro incontro è sempre così ricca di dettagli; io invece mi ricordo a malapena il modo goffo in cui le chiesi di uscire. Forse avevo pensato che assomigliasse a una bellissima Ornithoptera alexandrae. Probabilmente no, ero troppo stupido e ignorante all’epoca, ma è grazie a lei se sono diventato quello che sono oggi. Ci nutrivamo l’uno dell’altra crescendo a ogni nostro sussurro d’amore o litigata furiosa. Lei diceva che ci completavamo, che ci reggevamo l’uno sulle spalle dell’altro, mai io ho sempre avuto la sensazione che mi avesse trasformato in una persona migliore senza mai chiedere nulla in cambio. Lei era stata il ramo su cui avevo costruito la mia crisalide.

Avevamo avuto una vita perfetta: una casa in periferia in un quartiere tranquillo, un figlio maschio e tanti amici. Il nostro viaggio sereno era poi stato interrotto dalla sua improvvisa metamorfosi.

«Papà, parché continui a fissare questo stupido quadro? A cosa pensi?»

Pensavo se ne fosse andato, invece mio figlio è ancora lì accanto a me. Forse, dopo tutto, lui ha ancora qualche speranza. La cosa mi tranquillizza, il peso della verità è meglio non caricarlo anche sulle sue spalle.

«Pensavo a come tua madre prima fosse una farfalla e ora sia solo un bruco.»

Questa volta mio figlio se ne va davvero e mi ritrovo di nuovo solo.

Sono contento che un ragazzo giovane come lui conservi ancora un briciolo di ottimismo. Sono stato dai medici questa mattina e, come sempre, non mi hanno detto la verità. Non sanno che anche io sono oncologo e so leggere i risultati degli esami. Possibilità di guarigione del trenta percento su cinque anni hanno detto. Chi pensano di prendere in giro? Non capisco perché i medici debbano sempre pensare che le persone non siano in grado di sopportare la verità. Regalano speranze che verranno infrante nel giro di pochi mesi pensando di fare una buona azione. Vorrei poter dire di non averlo mai fatto con i famigliari dei miei pazienti, ma improvvisamente non mi sento così sicuro. Quanta crudeltà siamo in grado di commettere quando possiamo controllare le aspettative altrui.

Sento di nuovo una voce che mi chiama, questa volta non è mio figlio, è lei, il mio lepidottero. La voce è flebile e spezzata dalla secchezza provocata dalla terapia. Mi faccio coraggio e entro nella camera. La stessa metamorfosi della farfalla appesa in corridoio si ripresenta davanti ai miei occhi nella sua versione ribaltata, da farfalla a bruco, con tutta la sua crudeltà. Era iniziato tutto con la perdita dei capelli e due occhiaie più marcate, quando la speranza era ancora tanta. Ora davanti ai miei occhi si presentava un corpo stanco, deperito, con il capo calvo e gli occhi infossati privi di sopracciglia. Un bruco che non è più in grado di tornare la farfalla che era. Eppure io non riesco a vedere nient’altro che quella ragazza sulla spiaggia, con indosso un vestito verde e giallo, i cui occhi azzurri mi conquistarono dal primo istante.

La mia vista si fa annebbiata, cammino veloce verso il letto e mi immergo nel suo abbraccio. Il profumo della sua pelle mi entra nelle narici misto a quello dell’ospedale, come a ricordarmi l’incubo in cui siamo immersi.

Io, senza di lei, in cosa mi trasformerò?

Re: Il più grande lepidottero del mondo

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Questo racconto è stato ispirato a dei fatti veri legati a persone che non rivedrò mai più, ci sono molto affezionata e ho pensato di riproporlo qui
Hai fatto benissimo, @Thea, perché un gran bel testo, ricco di originalità. Stralunato e affascinante il breve dialogo col figlio. Complimenti.
Ti segnalo due piccole cose che ho notato:
Forse era questo che avevo pensato la prima volta che l’avevo incontrata su quella spiaggia da ragazzi
qui toglierei "da ragazzi" posto alla fine, inserendolo magari dopo "pensato", tra due virgole.
quella ragazza sulla spiaggia, con indosso un vestito verde e giallo
qui mi pare ci sia una lieve incongruenza col fatto che poco prima l'uomo aveva detto che non ricordava come la moglie fosse vestita.

Sono felice di averlo letto: l'ho trovato per caso, scorrendo indietro i racconti.
Ciao, cara, un abbraccio, e grazie.
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Re: Il più grande lepidottero del mondo

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Ciao @Thea, non ti leggo da un po' e mi fa piacere rileggerti. Passo per un commento con pulci, per postare, anche se ho capito che è un tuo vecchio racconto magari ti può essere utile lo stesso.
Thea ha scritto: per mano di uno spillo dalla rossa capocchia
Questa espressione mi ha davvero stranito. Per "mano" di uno spillo? Lo spillo non ha mano, non funziona. Opterei per un più semplice "inchiodata da uno spillo", anche perché la frase è già di per se un po' troppo articolata, a mio avviso.
Thea ha scritto: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]quell’essere è una scritta tracciata a mano con penna e [/font]inchiostro
A proposito di articolato... è irrinunciabile aggiungere "con penna e inchiostro"? Credo che sia voluto e sia una scelta di stile, ma non so quanto ripaga. Io, nel dubbio, asciugherei. Tanto più che in questi tre righi usi tre volte la parola "mano", facci caso (la terza è quel "paragonabile all'apertura delle mie mani"): lascerei solo la terza, l'unica che mi sembra sostanziale, le prime due zack!
Thea ha scritto: Come ipnotizzato ne osservo
Thea ha scritto: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]La osservo incantato [/font]
eviterei di ripetere il concetto
Thea ha scritto: Da sinistra a destra si trova: un uovo, un bruco e una crisalide.
Perché il verbo al singolare?
Thea ha scritto: il suo corpo è ricoperto di quelle che sembrano spine e la testa mi sembra tonda, calva e lucida.
 
Non userei il secondo "sembra", anche perché non mi "sembra" calzante. Dierei semplicemente "è", oppure "appare"
Thea ha scritto: Nulla farebbe presagire che un tale essere orripilante abbia in se le potenzialità per trasformarsi in quella meraviglia terrena che si trova più a destra e che qualcuno aveva deciso di crocifiggere a un quadro.  in farfalla
too much. Attenta, refuso, sul se va l'accento
Thea ha scritto: bellissima e elegante.
Una volta tanto, tra vocali uguali, la d eufonica la metterei

Thea ha scritto: Quanta crudeltà siamo in grado di commettere
Direi o quante crudeltà o che cose crudeli siamo in grado di commettere, perché la crudeltà come concetto astratto non si commette

Thea ha scritto: La stessa metamorfosi della farfalla appesa in corridoio si ripresenta davanti ai miei occhi nella sua versione ribaltata, da farfalla a bruco, con tutta la sua crudeltà.
Troppo complicato, e infatti ti perdi un po'. è crudele l'immagine, ma non la moglie, mentre così sembra sia crudele la moglie, perché "la versione ribaltata della metamorfosi" fuori metafora, è lei. Insomma, in alcuni punto andrebbero semplificate le immagini e accorciate le frasi.


Mi ha convinto a metà, @Thea  . La metafora è azzeccata, e il testo è molto delicato. Lo asciugherei molto, però, perché diventa un po' ripetitivo e ridondante. Prima che parta e assuma un ritmo, ad esempio, indugi molto: farei capire un po' prima che si sta parlando per metafore, perché dopo qualche riga uno si chiede se davvero stiamo a disquisire di lepidotteri, il che sicuramente può essere interessante, ma magari non è ciò che ci si aspetta da un racconto.  Sarei curioso di sapere di quanto tempo fa è il testo, perché secondo me oggi lo scriveresti privo di questi difetti, e allora rimarrebbero le cose che mi convincono.  ;)
Scrittore maledetto due volte
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