[MI167] Addio
Posted: Sun Apr 24, 2022 10:13 pm
commento: https://www.costruttoridimondi.org/forum/viewtopic.php?p=33633#p33633
Traccia di mezzanotte: La Perdita
Un incolmabile vuoto hai lasciato
quel dì da tempo immemore ormai andato.
Altre parole non ho per descrivere il dolore che provai quel giorno, fu una di quelle disgrazie che nessuno avrebbe mai desiderato. Per alcuni è una perdita difficile da comprendere: quella persona all'apparenza per me non era niente. Se non fosse un lutto, pare non ci sarebbe altro di così terribile. Ma una persona cara mi venne a mancare.
Tutto iniziò quando scelsi di iscrivermi a Fisica. Provenivo da un liceo che non mi diede un'ottima base scientifica, e il programma di matematica in cinque anni lo si poteva paragonare a quello di uno scientifico nei primi due. Nessuno però capiva che io ero un genio incompreso, e che la mia scelta di iscrivermi a quel liceo in seguito si era dimostrata un errore. A casa, da autodidatta, di matematica e di fisica studiavo tanto e avevo appreso tanti di quei concetti che nemmeno lo studente più bravo dello scientifico poteva equipararmi. Pertanto già partivo con una solida base che per niente mi rese difficoltoso lo studio.
Quando ero al liceo inoltre nessuno mi stava simpatico. Restavo nel mio banchetto, in disparte, e non socializzavo con nessuno. Ero circondato da coetanei che non avevano in testa lo studio, ma solo desiderio di perdere tempo all'infinito, e quanto ad ideali non ci trovavamo. Io avevo tanti altri progetti, e l'essere il primo nella classe era per me una sofferenza. Mi diplomai con il massimo dei voti, mentre tutti gli altri miei compagni si fermavano, bene o male, al sessanta.
Quando invece iniziai l'università fu completamente diverso. Subito feci amicizia con tanti miei colleghi, e mi sentivo ben accolto da tutti, ed era per me bello condividere i miei studi con chi aveva le stesse mie aspettative. Potevo liberamente parlare di integrali, derivate, leggi di Newton e tanti altri concetti matematici e scientifici, condividendo persino argomenti filosofici.
Era il primo anno di corso, e ogni mattina andavo all'università per seguire le lezioni. Era per me bello, prima di iniziare, e nelle pause, chiacchierare con gli altri miei colleghi. Qualcuno di loro portava con sé un mazzo di carte, e spesso facevamo anche delle partite. Quando avevamo altri corsi il pomeriggio, di solito, mangiavamo insieme alla mensa o in pizzeria.
Fu in quei giorni che io conobbi Ginevra, una ragazza meravigliosa. Prendevamo lo stesso treno ogni mattina: io provenivo da una città, lei da un'altra più lontana. Aveva una personalità molto particolare, che in parte somigliava alla mia: introversa, semplice di cuore, ma anche molto solare e empatica. Fu lei a fare il primo passo, e sino a quel momento non la consideravo, sedendomi nell'aula lontano da lei. Erano circa le tredici, ed io lasciata l'università andai alla stazione. Prima varcai il sottopasso, e osservai il terminale per vedere a che ora il treno fosse partito, allora non ero abituato e ancora non avevo imparato a memoria gli orari. Appurai tuttavia che il treno delle tredici e un quarto era stato soppresso, e avrei dovuto prendere il successivo. Amareggiato tornai indietro.
Scesi le scale, la incontrai e lei mi salutò. Che figura quando mi girai indietro e non vidi nessun altro: lei salutava proprio me! Allora la salutai anche io: "Buongiorno, comunque dobbiamo prendere l'altro treno", non sapevo cos'altro dirle. Lei mi sorrise. "Va bene, allora ci tocca aspettare un altro poco", mi disse. Ci muovemmo presso il binario, e in attesa ci dicemmo tante cose. Principalmente parlammo dello studio, ma qualsiasi parola avessimo scambiato non mi importava, per me era bello parlare con lei e aver fatto la sua conoscenza. Fu amore a prima vista!
Iniziarono le lezioni nel laboratorio di fisica, e il professore ci chiese di formare dei gruppetti. Non sapendo con chi altro stare le chiesi se avessi potuto stare con lei, insieme ad un'altra collega con la quale lei già era amica. Questo trio era destinato ad essere compatto anche al di fuori del laboratorio: insieme pranzavamo, studiavamo, ci davamo supporto l'uno con l'altra. Poi arrivò la prima sessione di esami, quella invernale.
Il primo esame andò male, per tutti e tre. Io fui il solo, seppur con un basso voto, a superarlo, loro due purtroppo no. Inoltre fui anche l'unico che riuscii a sostenere altri due esami nella stessa sessione, prendendo però stavolta alti voti. Fu forse per questo che Ginevra iniziò ad avere dei dubbi sulla sua iscrizione, probabilmente quell'università non sarebbe stata per lei.
Tuttavia insieme continuammo a seguire le lezioni del secondo semestre. Ogni giorno, se non già la incontravo sul treno, l'aspettavo alla stazione. Era bello per me vederla arrivare, e con lei proseguire il mio percorso sino all'ateneo. Se non arrivava, pazienza, voleva dire che avrebbe preso il treno successivo, pur facendo ritardo per la lezione. Ma se non veniva più mi mancava. A lei piaceva sedersi vicino a me, e talvolta mi chiedeva di riservarle il posto quando tardava, e altrettanto io amavo stare vicino a lei.
La primavera si approssimava, e giunsero le belle giornate, di quelle piacevoli per una passeggiata. E allora provai a coltivare almeno un'amicizia al di fuori dell'università, se di amore era ancora prematuro parlarne. Un sabato la invitai ad uscire, non lei soltanto ma anche l'altra nostra amica. Lei disse di si, ed io ero tutto contento. Tuttavia proprio in quei giorni avvenne quella tragica perdita.
Era un martedì, il dì del solstizio di primavera. Quella mattina l'aspettai alla stazione, ma non la vidi. Le riservai il posto, però alla lezione non venne.
Quando uscii, tuttavia, la vidi fuori dall'aula, ed ero tutto contento. Mi pareva però un fantasma, e neanche il tempo di chiederle: "Che fine hai fatto?" che lei disse a me, e agli altri colleghi, quello che mai avrei voluto udire:
"Fisica è troppo difficile per me, ho deciso di cambiare corso. Oggi vi saluto".
Mi sentii molto amareggiato, e l'ultimo contatto fu quel bacio con cui lei mi salutò. "Ci sei ancora sabato?", le chiesi. "Si", mi rispose. Pensavo che l'amicizia in ogni caso sarebbe rimasta, e anche lei pareva lo volesse. Nel resto della giornata non riuscii a seguire le altre lezioni, mi sentivo molto triste: già mi mancava tanto! Me ne andai. Fu allora, poco prima di entrare nel treno, che ricevetti un ulteriore tragico messaggio: "Mi dispiace, sabato non ci sono, devo andare da una mia amica".
In cuore avevo ancora una speranza, per settimane provai ad organizzare diversi incontri. Ma non la rividi più, mai più... Ero devastato, per me era come se avessi perso una persona cara, come se fosse volata in cielo. Ma lei era, e tutt'oggi è, su questa terra, e l'idea di non doverla più rivedere mi consuma: l'amore è una fiamma che o la si doma oppure tutto brucia sino a divenire cenere.
Traccia di mezzanotte: La Perdita
Un incolmabile vuoto hai lasciato
quel dì da tempo immemore ormai andato.
Altre parole non ho per descrivere il dolore che provai quel giorno, fu una di quelle disgrazie che nessuno avrebbe mai desiderato. Per alcuni è una perdita difficile da comprendere: quella persona all'apparenza per me non era niente. Se non fosse un lutto, pare non ci sarebbe altro di così terribile. Ma una persona cara mi venne a mancare.
Tutto iniziò quando scelsi di iscrivermi a Fisica. Provenivo da un liceo che non mi diede un'ottima base scientifica, e il programma di matematica in cinque anni lo si poteva paragonare a quello di uno scientifico nei primi due. Nessuno però capiva che io ero un genio incompreso, e che la mia scelta di iscrivermi a quel liceo in seguito si era dimostrata un errore. A casa, da autodidatta, di matematica e di fisica studiavo tanto e avevo appreso tanti di quei concetti che nemmeno lo studente più bravo dello scientifico poteva equipararmi. Pertanto già partivo con una solida base che per niente mi rese difficoltoso lo studio.
Quando ero al liceo inoltre nessuno mi stava simpatico. Restavo nel mio banchetto, in disparte, e non socializzavo con nessuno. Ero circondato da coetanei che non avevano in testa lo studio, ma solo desiderio di perdere tempo all'infinito, e quanto ad ideali non ci trovavamo. Io avevo tanti altri progetti, e l'essere il primo nella classe era per me una sofferenza. Mi diplomai con il massimo dei voti, mentre tutti gli altri miei compagni si fermavano, bene o male, al sessanta.
Quando invece iniziai l'università fu completamente diverso. Subito feci amicizia con tanti miei colleghi, e mi sentivo ben accolto da tutti, ed era per me bello condividere i miei studi con chi aveva le stesse mie aspettative. Potevo liberamente parlare di integrali, derivate, leggi di Newton e tanti altri concetti matematici e scientifici, condividendo persino argomenti filosofici.
Era il primo anno di corso, e ogni mattina andavo all'università per seguire le lezioni. Era per me bello, prima di iniziare, e nelle pause, chiacchierare con gli altri miei colleghi. Qualcuno di loro portava con sé un mazzo di carte, e spesso facevamo anche delle partite. Quando avevamo altri corsi il pomeriggio, di solito, mangiavamo insieme alla mensa o in pizzeria.
Fu in quei giorni che io conobbi Ginevra, una ragazza meravigliosa. Prendevamo lo stesso treno ogni mattina: io provenivo da una città, lei da un'altra più lontana. Aveva una personalità molto particolare, che in parte somigliava alla mia: introversa, semplice di cuore, ma anche molto solare e empatica. Fu lei a fare il primo passo, e sino a quel momento non la consideravo, sedendomi nell'aula lontano da lei. Erano circa le tredici, ed io lasciata l'università andai alla stazione. Prima varcai il sottopasso, e osservai il terminale per vedere a che ora il treno fosse partito, allora non ero abituato e ancora non avevo imparato a memoria gli orari. Appurai tuttavia che il treno delle tredici e un quarto era stato soppresso, e avrei dovuto prendere il successivo. Amareggiato tornai indietro.
Scesi le scale, la incontrai e lei mi salutò. Che figura quando mi girai indietro e non vidi nessun altro: lei salutava proprio me! Allora la salutai anche io: "Buongiorno, comunque dobbiamo prendere l'altro treno", non sapevo cos'altro dirle. Lei mi sorrise. "Va bene, allora ci tocca aspettare un altro poco", mi disse. Ci muovemmo presso il binario, e in attesa ci dicemmo tante cose. Principalmente parlammo dello studio, ma qualsiasi parola avessimo scambiato non mi importava, per me era bello parlare con lei e aver fatto la sua conoscenza. Fu amore a prima vista!
Iniziarono le lezioni nel laboratorio di fisica, e il professore ci chiese di formare dei gruppetti. Non sapendo con chi altro stare le chiesi se avessi potuto stare con lei, insieme ad un'altra collega con la quale lei già era amica. Questo trio era destinato ad essere compatto anche al di fuori del laboratorio: insieme pranzavamo, studiavamo, ci davamo supporto l'uno con l'altra. Poi arrivò la prima sessione di esami, quella invernale.
Il primo esame andò male, per tutti e tre. Io fui il solo, seppur con un basso voto, a superarlo, loro due purtroppo no. Inoltre fui anche l'unico che riuscii a sostenere altri due esami nella stessa sessione, prendendo però stavolta alti voti. Fu forse per questo che Ginevra iniziò ad avere dei dubbi sulla sua iscrizione, probabilmente quell'università non sarebbe stata per lei.
Tuttavia insieme continuammo a seguire le lezioni del secondo semestre. Ogni giorno, se non già la incontravo sul treno, l'aspettavo alla stazione. Era bello per me vederla arrivare, e con lei proseguire il mio percorso sino all'ateneo. Se non arrivava, pazienza, voleva dire che avrebbe preso il treno successivo, pur facendo ritardo per la lezione. Ma se non veniva più mi mancava. A lei piaceva sedersi vicino a me, e talvolta mi chiedeva di riservarle il posto quando tardava, e altrettanto io amavo stare vicino a lei.
La primavera si approssimava, e giunsero le belle giornate, di quelle piacevoli per una passeggiata. E allora provai a coltivare almeno un'amicizia al di fuori dell'università, se di amore era ancora prematuro parlarne. Un sabato la invitai ad uscire, non lei soltanto ma anche l'altra nostra amica. Lei disse di si, ed io ero tutto contento. Tuttavia proprio in quei giorni avvenne quella tragica perdita.
Era un martedì, il dì del solstizio di primavera. Quella mattina l'aspettai alla stazione, ma non la vidi. Le riservai il posto, però alla lezione non venne.
Quando uscii, tuttavia, la vidi fuori dall'aula, ed ero tutto contento. Mi pareva però un fantasma, e neanche il tempo di chiederle: "Che fine hai fatto?" che lei disse a me, e agli altri colleghi, quello che mai avrei voluto udire:
"Fisica è troppo difficile per me, ho deciso di cambiare corso. Oggi vi saluto".
Mi sentii molto amareggiato, e l'ultimo contatto fu quel bacio con cui lei mi salutò. "Ci sei ancora sabato?", le chiesi. "Si", mi rispose. Pensavo che l'amicizia in ogni caso sarebbe rimasta, e anche lei pareva lo volesse. Nel resto della giornata non riuscii a seguire le altre lezioni, mi sentivo molto triste: già mi mancava tanto! Me ne andai. Fu allora, poco prima di entrare nel treno, che ricevetti un ulteriore tragico messaggio: "Mi dispiace, sabato non ci sono, devo andare da una mia amica".
In cuore avevo ancora una speranza, per settimane provai ad organizzare diversi incontri. Ma non la rividi più, mai più... Ero devastato, per me era come se avessi perso una persona cara, come se fosse volata in cielo. Ma lei era, e tutt'oggi è, su questa terra, e l'idea di non doverla più rivedere mi consuma: l'amore è una fiamma che o la si doma oppure tutto brucia sino a divenire cenere.