[MI 167] Solitudine mia compagna
Posted: Sun Apr 24, 2022 9:24 pm
Traccia di mezzanotte: La perdita
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Chi conosceva Samuele pensava che dopo la morte della sua Marisangela si sarebbe ucciso. Uomo d’altri tempi, oggi più nessuno sa niente di lui, nemmeno nel suo paese d’origine, un mucchio di case calcinate dal sole ai piedi della montagna.
Era quello che oggi potrebbe definirsi un delinquente ma allora, gli anni Trenta del secolo scorso, si chiamava “bandito”. Ma bandito da cosa? Era stato un eroe della Grande Guerra, decorato con medaglia d’argento al valor militare e innumerevoli croci di bronzo. Si era dovuto ben presto rendere conto della ferocia degli uomini in guerra, della sua ferocia. E lui non era un uomo cattivo, credeva in Dio, sapeva leggere e scrivere, cosa insolita per un contadino di uno dei luoghi più selvaggi e abbandonati del Regno. Amava la rude poesia improvvisata dai contadini e pastori.
Attraversando il Piave su una barca assieme a una dozzina di soldati furono mitragliati da un aereo nemico e tutti si buttarono in acqua scomparendo, tranne lui e un suo paesano. Samuele sapeva nuotare, l’altro no e gli si avvinghiò. Dovevano morire tutti e due ma Samuele non voleva morire. Urlando e piangendo estrasse la baionetta e pugnalò il suo paesano che si divincolò da lui. Samuele nuotò fino alla riva occupata dagli austriaci con la sola baionetta come arma, il fucile era andato perso.
Senza sapere niente delle posizioni nemiche strisciò nei pressi di una trincea dove c’era un ricovero coperto dal quale proveniva una musica di grammofono. Era un posto di comando ufficiali, li spiò mentre bevevano e ridevano in quattro. Lui era furioso per aver ucciso il suo paesano, irruppe nel ricovero come una tigre e con la baionetta, muovendosi fulmineo, li sgozzò come pecore. Prese una targa di legno con scritto il nome del reggimento e stringendola fra i denti riattraversò il Piave a nuoto per tornare alle sue linee.
Fu decorato e promosso sergente, ma durante una licenza si innamorò di Marisangela e non voleva più tornare a combattere. Ce lo accompagnarono i Carabinieri Reali e rimase al fronte sino alla fine della guerra.
Tornò a casa come un eroe, pensava di avere tutti i diritti, ma si scontrò con uomini gelosi delle sue gesta e del suo amore per Marisangela.
Lo accusarono di furto di bestiame, fu arrestato, portato in tribunale e condannato al carcere. Ma Samuele non lo riteneva giusto. Durante il tragitto a piedi dal tribunale alla prigione, ammanettato con i ferri da campagna, strattonò i due carabinieri che lo scortavano e si mise a correre come il vento. I carabinieri asserirono che prese la rincorsa e saltò una siepe di fichidindia, scomparendo alla vista. In campagna trovò chi l’aiutò a spezzare i ferri, poi mandò un messaggio a Marisangela per portargli cose che gli servivano: viveri, abiti, il suo fucile. La ragazza lo raggiunse con una sua amica e poi tornò a casa, fingendo di essere andata per legna. A quel punto Samuele poteva ancora costituirsi, ma in seguito aggravò la sua posizione in modo irrimediabile, uccidendo il suo principale accusatore. Da quel momento divenne “bandito” e visse sempre alla macchia, con Marisangela che gli faceva da vivandiera, andando e venendo con una sua amica.
Samuele in poco tempo divenne una leggenda, era velocissimo nella corsa, aveva una vista acuta e non faceva del male a chi non gli aveva fatto niente. Ma infieriva sui suoi accusatori, che uccideva uno a uno.
Al contempo si vedeva con la sua Marisangela andando a trovarla in paese di nascosto, sempre alla presenza dei genitori. Le aveva sempre detto che un giorno l’avrebbe sposata, quando le cose “si sarebbero messe a posto”.
Un giorno che era dalla fidanzata qualcuno lo tradì e il paese fu circondato da una moltitudine di carabinieri affluiti da tutte le stazioni del circondario e dal capoluogo. Si era in pieno inverno, era caduta la neve. Un carabiniere infreddolito camminava verso un posto di blocco all’uscita del paese, avvolto nella mantellina, fucile Carcano ‘91 a tracolla e alitandosi sulle mani per scaldarsi. Chiese ai commilitoni, con un accento veneto, dove fosse possibile trovare un fuoco. Difficile, gli risposero, giacché stavano presidiando all’esterno, però nessuno proibiva di accendere un fuoco e il carabiniere si offrì di fare un salto nel sottobosco che s’inerpicava sul monte sovrastante il paese per raccogliere un po’ di rami secchi. I commilitoni acconsentirono con piacere e il carabiniere andò nel bosco. Non tornò mai più indietro. Quel carabiniere era Samuele.
Era speciale nel trovare i rimedi più avventurosi e insoliti per sfuggire alle battute e tutti sapevano che non sparava mai ai carabinieri. Fanno il loro dovere, sono comandati, io lo so, diceva.
Ma diventava sempre più pesante e difficile vivere alla macchia. Poteva contare su pochi aiuti fidati e talvolta qualcuno lo tradiva. Prima o poi la sua vendetta lo raggiungeva. Gli omicidi non si contavano più.
Marisangela un giorno andò a portargli degli abiti e gli disse che aveva deciso di vivere con lui alla macchia. Samuele cercò di dissuaderla: era una vita pesante per una donna, ma lei non volle sentire ragioni. Nessuno conosceva quei territori meglio di Samuele. Trovò una grande grotta con un ingresso che sembrava una tana e si sistemarono lì. Erano ancora convinti che le cose un giorno si sarebbero messe a posto, ma forse non ci credevano più.
Per un po’ le cose parvero andare bene, Samuele rimaneva spesso con la sua donna, le male lingue asserivano che ora aveva dei motivi per darsi una calmata. Alcuni che parlavano più del dovuto si trovarono il fienile incendiato , il bestiame grosso ucciso a colpi di moschetto e le pecore sgozzate.
Le battute dei carabinieri si susseguivano senza sosta. Un giorno Samuele, scavalcando un masso in mezzo alla foresta si trovò faccia a faccia con un giovane carabiniere. Samuele aveva il fucile a tracolla, il carabiniere lo aveva in mano. Era finita. Invece no. Il carabiniere abbassò l’arma e gli fece cenno di passare dicendo ― Vai e che Dio ti aiuti.
Forse era un segno del destino, disse Marisangela quando sentì la storia. Un segno che lui doveva continuare a vivere. Ma che vita era quella?
Passò ancora del tempo e i disagi di quella vita cominciarono a farsi sentire sulla donna. Cominciò a tossire e ad essere febbricitante. Samuele era disperato. Non poteva riportarla in paese, l’avrebbero arrestata. Non si fidava del dottore, chiamò una vecchia levatrice che conosceva le erbe, ma poteva solo alleviare il suo dolore e la vecchia scuoteva piano la testa mentre preparava gli infusi.
Samuele la interpellò un giorno.
― Voi mi siete testimone ― le disse.
― Di cosa, Samuele?
― Che io ho sempre rispettato Marisangela, anche se vivevamo soli e lontani da tutti.
― Si. Lo so.
― Dovevamo sposarci.
― Lo so figlio mio. Che Dio vi aiuti.
Marisangela morì una mattina di primavera.
Samuele la vestì con l’abito e i gioielli della festa, che lei si era portata per il matrimonio. Sembrava una regina. Rimase un giorno a guardarla poi la prese in braccio e la portò fuori dalla grotta, camminando per un lungo tratto dentro il bosco. Con una vanga e un piccone scavò una fossa profonda nel terreno, la tappezzò di fiori di tutti i colori del mondo che raccolse intorno e ve la depositò delicatamente. Recitò delle preghiere e poi la coprì di terra nera come la sua anima. Aveva sentito qualcosa staccarsi dal suo corpo, tutt’intorno era calato il silenzio; lo avrebbe sentito per sempre. Lui adesso era l’unico abitante del mondo, non c’era nessun altro con cui parlare, nessuno da amare. Niente per cui vivere, nemmeno la vendetta, nemmeno la libertà.
Samuele non aveva mai cantato in vita sua.Non sei più qui ma per sempre in me. Adesso è sicuro davvero.
In questo mondo Solitudine sarà la mia compagna.