[MI 165] La rivolta dei numeri 38
Posted: Sun Mar 27, 2022 11:45 pm
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Traccia di mezzogiorno: scarpe
In un paese qualunque di una provincia qualunque, c'era la chiesa di Santa Tremebonda. Siccome il paese era molto piccolo, per i ragazzi del luogo c'erano solo due punti di ritrovo consentiti. Uno era il bar tabaccheria La Vanga, gestito dalla signora Iole, che sbagliava sempre a dare il resto e aveva una tresca con l'edicolante del paese vicino. L'altro era l'oratorio dedicato a don Aldebrando Santobono degli Spostati, vissuto quasi cento anni prima e morto in odore di santità.
Siccome il paese offriva poche attrattive, soprattutto in estate, a parte la festa del patrono e la sagra della cicoria arrosto, tutti gli anni i bravi animatori dell'oratorio organizzavano il campo estivo in montagna. Tutti i bambini dalla quarta elementare alla terza media venivano precettati e portati via per una settimana, a respirare aria buona e sentire la Messa tutti i giorni. Che pace in paese durante quella settimana!
I momenti più duri di ogni campo estivo erano le gite lunghe. Si partiva la mattina e si tornava a pomeriggio inoltrato, mangiando panini enormi e tutti uguali e tavolette di cioccolato al latte, che venivano sbranate nella prima mezz'ora di strada.
E poi, puntuale come la Quaresima, tutti gli anni c'era il problema delle scarpe. Perché, anche se era segnata come prima voce nell'elenco delle cose da mettere in valigia, c'era sempre qualcuno che non portava le scarpe adatte alla gita lunga. Fu memorabile quella volta in cui Paoletto Castagnolo, negli anni in cui era parroco don Rododendro, si presentò alla gita lunga con le infradito. Insomma, fra scarpe dal numero sbagliato, scarpe troppo nuove o troppo vecchie e scarpe da ginnastica che avevano visto solo il pavimento della palestra della scuola, i problemi spuntavano come funghi, anzi, come alluci da sotto una coperta rimboccata male. Per non parlare della puzza che si sprigionava da tutto quel campionario a fine giornata. Un repertorio assortito misto di odore di gomma bruciata, puzzone di Moena, cavolfiore e maccheroni scotti.
Le scarpe, dal canto loro, sopportavano da generazioni il trattamento che veniva riservato loro. Come se fosse colpa delle scarpe se i ragazzi non camminavano tanto quanto avrebbero voluto gli animatori, e soprattutto se dalle camerate, la sera, si sprigionava un tripudio di effluvi capace di causare un mancamento a suor Agnella, la cambusiera del gruppo. Lei, poi, era famosa nel paese perché girava sempre con un ombrello che si diceva fosse appartenuto a don Aldobrando.
Quell'anno i ragazzi erano peggio del solito dal punto di vista degli odori. Le scarpe, capeggiate da un paio di Vans numero 45 di proprietà di Federico Rondinone, si erano passate parola il primo giorno di campo con il loro linguaggio segreto, incomprensibile agli umani. Dovevano fare assolutamente qualcosa per avere la meglio su quell'angoscia olfattiva, o avrebbero avuto la peggio. Ma l'inevitabile si stava avvicinando. La gita lunga era programmata per il giorno seguente. Le scarpe erano già provate da un pomeriggio di torneo di palla guerra, non avrebbero resistito a una giornata intera su e giù fra boschi e prati, meta il rifugio della Marmotta Incatramata.
Furono gli scarponi numero 38, facendo leva sul fatto che erano in maggioranza, a proporre la rivolta durante la notte, quando gli animatori avevano già cantato la canzone del riposo e si erano ritrovati a mangiare Nutella di nascosto. Sempre nel loro linguaggio segreto, le scarpe si chiamarono a vicenda e si radunarono in corridoio. Confabularono per un po' e idearono un piano di fuga per quella notte. Ci fu qualche tentativo debole di protesta da parte degli scarponcini rosa di Barbarella Pansecchi, che avevano paura di sciuparsi la tomaia, ma poi tutti furono d'accordo.
Con passo felpato, le scarpe si allinearono in una fila ordinata e compatta e si diressero verso le scale. Saltellarono sulle punte un paio dopo l'altro e raggiunsero il portone d'ingresso. Le scarpe numero 38 si impilarono una sull'altra fino a raggiungere la maniglia della porta. Poi le Vans numero 45, le più grandi fra tutte le scarpe presenti, saltarono sulla maniglia fino ad aprire la porta.
La casa del campo era avvolta dal silenzio; neppure il parroco, don Gonzalo Harley Benton, che aveva il sonno leggero, sentì i suoi mocassini blu mentre si allontanavano. Fu Mattia Volemosebene, l'animatore anziano, a svegliarsi per primo la mattina seguente e ad accorgersi che le scarpe erano sparite, tutte. Gli unici indizi lasciati furono un pezzo di laccio ingrigito dalla polvere e una scia di impronte che scendevano dalle scale e si perdevano appena fuori dalla porta spalancata.
Le scarpe artefici di quella rivolta non tornarono mai indietro e non furono mai ritrovate. Forse sono ancora là fuori, fra un bosco e una siepe di more, verso il rifugio o lungo il castagneto. Forse qualcuna è scappata verso la grande città, o forse qualcuna è diventata la tana di uno scoiattolo. E se vi dovesse capitare di avvistarne una, non cercate di prenderla. Tanto, siatene certi, quella scarpa riuscirà a sparire senza lasciare traccia.
Traccia di mezzogiorno: scarpe
In un paese qualunque di una provincia qualunque, c'era la chiesa di Santa Tremebonda. Siccome il paese era molto piccolo, per i ragazzi del luogo c'erano solo due punti di ritrovo consentiti. Uno era il bar tabaccheria La Vanga, gestito dalla signora Iole, che sbagliava sempre a dare il resto e aveva una tresca con l'edicolante del paese vicino. L'altro era l'oratorio dedicato a don Aldebrando Santobono degli Spostati, vissuto quasi cento anni prima e morto in odore di santità.
Siccome il paese offriva poche attrattive, soprattutto in estate, a parte la festa del patrono e la sagra della cicoria arrosto, tutti gli anni i bravi animatori dell'oratorio organizzavano il campo estivo in montagna. Tutti i bambini dalla quarta elementare alla terza media venivano precettati e portati via per una settimana, a respirare aria buona e sentire la Messa tutti i giorni. Che pace in paese durante quella settimana!
I momenti più duri di ogni campo estivo erano le gite lunghe. Si partiva la mattina e si tornava a pomeriggio inoltrato, mangiando panini enormi e tutti uguali e tavolette di cioccolato al latte, che venivano sbranate nella prima mezz'ora di strada.
E poi, puntuale come la Quaresima, tutti gli anni c'era il problema delle scarpe. Perché, anche se era segnata come prima voce nell'elenco delle cose da mettere in valigia, c'era sempre qualcuno che non portava le scarpe adatte alla gita lunga. Fu memorabile quella volta in cui Paoletto Castagnolo, negli anni in cui era parroco don Rododendro, si presentò alla gita lunga con le infradito. Insomma, fra scarpe dal numero sbagliato, scarpe troppo nuove o troppo vecchie e scarpe da ginnastica che avevano visto solo il pavimento della palestra della scuola, i problemi spuntavano come funghi, anzi, come alluci da sotto una coperta rimboccata male. Per non parlare della puzza che si sprigionava da tutto quel campionario a fine giornata. Un repertorio assortito misto di odore di gomma bruciata, puzzone di Moena, cavolfiore e maccheroni scotti.
Le scarpe, dal canto loro, sopportavano da generazioni il trattamento che veniva riservato loro. Come se fosse colpa delle scarpe se i ragazzi non camminavano tanto quanto avrebbero voluto gli animatori, e soprattutto se dalle camerate, la sera, si sprigionava un tripudio di effluvi capace di causare un mancamento a suor Agnella, la cambusiera del gruppo. Lei, poi, era famosa nel paese perché girava sempre con un ombrello che si diceva fosse appartenuto a don Aldobrando.
Quell'anno i ragazzi erano peggio del solito dal punto di vista degli odori. Le scarpe, capeggiate da un paio di Vans numero 45 di proprietà di Federico Rondinone, si erano passate parola il primo giorno di campo con il loro linguaggio segreto, incomprensibile agli umani. Dovevano fare assolutamente qualcosa per avere la meglio su quell'angoscia olfattiva, o avrebbero avuto la peggio. Ma l'inevitabile si stava avvicinando. La gita lunga era programmata per il giorno seguente. Le scarpe erano già provate da un pomeriggio di torneo di palla guerra, non avrebbero resistito a una giornata intera su e giù fra boschi e prati, meta il rifugio della Marmotta Incatramata.
Furono gli scarponi numero 38, facendo leva sul fatto che erano in maggioranza, a proporre la rivolta durante la notte, quando gli animatori avevano già cantato la canzone del riposo e si erano ritrovati a mangiare Nutella di nascosto. Sempre nel loro linguaggio segreto, le scarpe si chiamarono a vicenda e si radunarono in corridoio. Confabularono per un po' e idearono un piano di fuga per quella notte. Ci fu qualche tentativo debole di protesta da parte degli scarponcini rosa di Barbarella Pansecchi, che avevano paura di sciuparsi la tomaia, ma poi tutti furono d'accordo.
Con passo felpato, le scarpe si allinearono in una fila ordinata e compatta e si diressero verso le scale. Saltellarono sulle punte un paio dopo l'altro e raggiunsero il portone d'ingresso. Le scarpe numero 38 si impilarono una sull'altra fino a raggiungere la maniglia della porta. Poi le Vans numero 45, le più grandi fra tutte le scarpe presenti, saltarono sulla maniglia fino ad aprire la porta.
La casa del campo era avvolta dal silenzio; neppure il parroco, don Gonzalo Harley Benton, che aveva il sonno leggero, sentì i suoi mocassini blu mentre si allontanavano. Fu Mattia Volemosebene, l'animatore anziano, a svegliarsi per primo la mattina seguente e ad accorgersi che le scarpe erano sparite, tutte. Gli unici indizi lasciati furono un pezzo di laccio ingrigito dalla polvere e una scia di impronte che scendevano dalle scale e si perdevano appena fuori dalla porta spalancata.
Le scarpe artefici di quella rivolta non tornarono mai indietro e non furono mai ritrovate. Forse sono ancora là fuori, fra un bosco e una siepe di more, verso il rifugio o lungo il castagneto. Forse qualcuna è scappata verso la grande città, o forse qualcuna è diventata la tana di uno scoiattolo. E se vi dovesse capitare di avvistarne una, non cercate di prenderla. Tanto, siatene certi, quella scarpa riuscirà a sparire senza lasciare traccia.