[MI 165] Scarpe

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Traccia di mezzogiorno: Le scarpe.
Scarpe
Una goccia di pioggia gli cadde sul volto. Un'unica goccia ma grande abbastanza da bagnargli la fronte. Vi passò il braccio sopra per asciugarsi. La manica, già piuttosto sporca, si imbrattò di terra e fango. Che iniziasse a piovere non gli dispiaceva. Avrebbe bevuto, almeno, semplicemente aprendo la bocca. Era l'unica azione che poteva fare in quel momento. Non fece in tempo a pensarlo che una cascata di acqua fresca gli piovve addosso. Bevve, bevve tanto. E si lavò. Quindi iniziò a dimenarsi per liberare la gamba intrappolata sotto al trave. Sperava di aver ritrovato le forze e di riuscire a togliersi da quella trappola. Ma la gamba era incastrata bene e ad ogni sforzo per smuoverla il dolore si acuiva. La pioggia non cessava e gli parve di scorgere una figura riparata da un ombrello che lo osservava da lontano. Ma poteva essere un'illusione.
Quando smise di piovere e di sperare di liberarsi, vide un uomo avvicinarsi cauto a lui. Era un soldato semplice, molto giovane. E, per fortuna, del suo esercito. Da come era conciato, aveva la divisa stracciata ed era scalzo, doveva essere stato coinvolto anche lui nell'esplosione. Ma sembrava illeso.
- Aiutami, ragazzo! Sposta questa trave! Per favore.
Il ragazzo ci provò più volte senza smuoverla di un centimetro.
Si sedette di fronte a lui. Quindi riprovò ancora.
Poi si sdraiò accanto a lui, le teste vicine, e si accese una sigaretta.
- Vuoi un tiro? - gli chiese.
- Grazie.
I due fumarono in silenzio. Finché la sigaretta finì.
- Io vado - disse il soldato giovane.
L'altro annuì senza dire niente.
Il soldato giovane si avviò, fece pochi passi, e poi tornò indietro.
- Senti, - gli disse - non è che potresti darmi le tue scarpe? Così non farò molta strada.
Lui lo guardò senza parlare, impotente.
- Tanto a te non servono più. 

Teresa spense la tele. L'ennesimo film di guerra. Non era dell'umore di guardare certe cose. Sbirciò il cellulare: le nove e quaranta e nessun messaggio in arrivo. Michele aveva detto che sarebbe venuto per cena. Sarà in ritardo, ma arriverà a momenti, pensò. Aveva organizzato questa serata per salutarlo. L'indomani sarebbe partita con la sua classe per una gita di istruzione. Si era sentita obbligata ad andare: era l'unica insegnante non sposata e senza figli.
Fece un giro per la casa per vedere se ci fosse ancora qualcosa da mettere a posto. Tutto era pulito e in ordine. In bagno diede un'ulteriore occhiata al trucco. Passò dalla camera da letto per guardarsi nello specchio dell'armadio. La gonna nuova le stava benissimo, così come la camicetta di seta blu. Sembrava fatta apposta per abbinarsi alle decollété col tacco a spillo che si sarebbe messa non appena fosse arrivato Michele. Per ora indossava le ciabatte, non voleva farsi gonfiare i piedi inutilmente.
In sala da pranzo era tutto pronto. La tavola apparecchiata. Aveva messo anche una tovaglia e dei tovaglioli blu che si intonavano alla sua camicia e alle scarpe. Lui non ci avrebbe fatto caso, ma le sembrò comunque una bella idea. Il risotto ai frutti di mare si era raffreddato nella pentola, ma, pazienza, l'avrebbe riscaldato e sarebbe stato buono comunque.
Alle dieci e un quarto prese il cellulare. Gli avrebbe mandato un messaggio. Sapeva che non doveva, lui era con sua moglie e sarebbe venuto non appena si fosse liberato. Ma non le importò. "Allora? Quando vieni?" digitò con rabbia.
Accese di nuovo la tele. Il film di guerra era finito e abbassò il volume. Anche il suo cellulare taceva ma lo prese lo stesso. Iniziò a sfogliare la galleria di foto. Scorse rapidamente le foto di Michele, le faceva male guardarle. Si soffermò allora sull'immagine di sua sorella Sara con il suo bimbo in braccio. L'aveva scattata al reparto maternità. Lei in camicia da notte, spettinata, il volto tirato ma felice. Pensò che doveva ancora andare a portarle il regalo. Un paio di scarpine da neonato, tanto inutili quanto deliziose.
Michele suonò alla porta alle undici e mezzo.
Teresa sussultò. Si era addormentata sul divano. Fece sedere Michele a tavola e servì il risotto: una palla collosa in cui spiccavano gusci di vongole e tentacoli attorcigliati.
- Grazie, - disse Michele - ma non posso fermarmi a mangiare. Sono solo passato a salutarti. Ho detto a mia moglie che uscivo un attimo.
Teresa perse le staffe:
- Vattene! - gli urlò - Sparisci dalla mia vita!
Michele  non se lo fece ripetere, sollevato dal poter tornare presto a casa sua ed evitare di litigare pure con sua moglie.
Teresa lo spinse fuori in malo modo e sbatté la porta.
Una volta chiusa guardò a terra. Le decollété, impettite e inutili, erano rimaste accanto all'ingresso. Teresa si guardò i piedi, le vecchie pantofole, ridicole, che contrastavano con i vestiti eleganti.

Il bambino si era appena addormentato. Finalmente. Era capace di piangere per ore senza alcun motivo apparente. O per lo meno senza che Sara lo capisse. Lo attaccava al seno ma le ragadi le facevano troppo male. Il piccolo sembrava esserne consapevole e si staccava dal capezzolo urlando. Allora gli cambiava il pannolino. Sapeva che i neonati possono piangere perché si sentono bagnati o sporchi, oppure se hanno le coliche. Sara allora gli massaggiava il pancino, ma serviva a poco. Provava anche a mettergli in bocca il ciuccio ma anche questo lo distraeva per poco tempo.
Adesso si era addormentato in braccio a lei, pancia contro pancia. Il visetto appoggiato al suo petto. Sentiva il suo respiro regolare, il suo calore e il peso, leggero ma consistente. Sospirò mentre gli accarezzava i capelli. Erano radi e così sottili,sembravano di una materia diversa dai suoi. Pian piano lo appoggiò sulla culla. Il bimbo ebbe un lieve sussulto, dato dal distacco dal corpo caldo della madre, ma non si svegliò. Sara si sentì sollevata. Finalmente aveva un po' di tempo per sé stessa.
Però invece di allontanarsi dalla culla rimase a fissare suo figlio. Guardò la linea morbida delle guance, le labbra sottili. Con la mano lo sfiorò. Rimaneva sempre stupita di quanto fosse liscia la sua pelle. Poi guardò i piedini, indossava ancora le scarpine che gli aveva regalato sua sorella Teresa. Erano immacolate e così sarebbero rimaste per sempre perché non ci avrebbe mai camminato. Gliele sfilò e rimase ammirata a guardare i piedini paffutelli avvolti dai calzini. Senza un motivo particolare gli tolse anche quelli. Solo per il piacere di guardarli.
Poi le cadde lo sguardo sulle scarpette appoggiate sul tavolo. Un moto di tenerezza violento le fece venire le lacrime agli occhi.

Teresa camminava dietro la scolaresca. La sua collega era davanti e lei faceva da chiudi-fila. Il campo era pieno di visitatori, gruppi di persone seguivano le guide come in un qualsiasi museo. Si vergognava con sé stessa ma non sentì la commozione che si era immaginata. Il cancello con la scritta era trasfigurato dalla folla ben vestita, dagli studenti chiassosi. Le baracche sembravano ripulite, edulcorate, ed era necessario sforzare l'immaginazione per percepire la sofferenza di cui erano state testimoni.
Entrarono quindi in un edificio più grande in cui erano affisse delle teche di vetro. Ognuna conteneva un tipo di oggetto diverso. C'erano le valige, i documenti. Una conteneva i capelli. Un enorme ammasso di capelli di colori diversi. Di fronte a quella vista era impossibile rimanere indifferenti. Teresa sentì la bocca dello stomaco che si chiudeva. Non riuscì a guardare a lungo e passò davanti a un'altra teca. Conteneva scarpe. Di tutti i tipi, da donna e da uomo, ma tutte di foggia antica, marroni e nere.
Più in là c'è n'era un'altra. Grande uguale e piena anch'essa di scarpe.
Solo che erano scarpe da bambini. Una montagna di scarpine.
Teresa rimase impietrita. Anche se quella vista era insostenibile, non riusciva a staccarne lo sguardo. Fu la sua collega a riportarla al presente, toccandole una spalla. Quando Teresa si girò verso di lei, si rese conto di avere il volto bagnato dalle lacrime.



Re: [MI 165] Scarpe

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@ivalibri Ciao, proprio oggi ho commentato un tuo altro racconto per partecipare al contest. Devo dire che questo mi è piaciuto molto di più, l'ho trovato pieno di inventiva e sorprendente, e mi ha fatto venire voglia di leggere altro. Mi è sembrato quasi un romanzo in miniatura, o il riassunto di un racconto più grande, visto che tante situazioni che inserisci. Sicuramente può essere sviluppato in qualcosa di più complesso. Complimenti.
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: [MI 165] Scarpe

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@ivalibri       :)

Hai articolato il tuo racconto in aneddoti rispondenti alla traccia delle scarpe, che si riallacciano al vissuto di un'unica protagonista, direttamente o per interposta persona.

Da un film di guerra, a una stanza della Maternità, a un incontro amoroso fallito, a un viaggio d'istruzione in un ex lager nazista.

Sei stata brava, Ivana!
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI 165] Scarpe

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Ciao @ivalibri , mi è piaciuta la tua idea di concatenare scene diverse che c'entrano tutte con un personaggio, con le scarpe che fanno da filo conduttore.
Ogni scena ha senso compiuto, ben descritta.

Quello che io ti suggerirei di fare è di collegarle una all'altra con dei particolari che dall'ultima frase della scena precedente vengono riportati nella prima frase della scena successiva.
Mi spiego meglio:
Ad esempio, tra la 2° e la 3° scena metterei come ultima frase della 2° scena la frase in cui Teresa scorre le foto e si sofferma sulla foto della sorella con la bimba e pensa alle scarpette che le regalerà. Dopodiché, nella prima frase della 3° scena compaiono le scarpette ai piedi della bimba.
E così via per le altre scene.
Vuole essere solo un suggerimento, eh!  ;) 

Re: [MI 165] Scarpe

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Ciao @ivalibri 

ivalibri ha scritto: Gliele sfilò e rimase ammirata a guardare i piedini paffutelli avvolti dai calzini. Senza un motivo particolare gli tolse anche quelli. Solo per il piacere di guardarli.
Poi le cadde lo sguardo sulle scarpette appoggiate sul tavolo. Un moto di tenerezza violento le fece venire le lacrime agli occhi.
Secondo me il pezzo evidenziato potrebbe essere sistemato meglio, perché mi ha fatto pensare, in prima lettura, che fossero delle altre scarpe, notate solo in quel momento
qualcosa tipo: guardò le scarpette che aveva appoggiato sul tavolo 

Ogni episodio trasmette emozioni, ed è molto riuscito il collegamento tra il primo e il secondo :) 
Già.

Re: [MI 165] Scarpe

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Il racconto è ottimamente scritto, come di consueto. La traccia è perfettamente centrata: addirittura le scarpe sono protagoniste di tutti e quattro i blocchi narrativi. Eppure il testo non mi convince del tutto, e proverò a spiegare il perché.
Il lettore inizia a leggere e, dopo parecchie righe, si accorge che non è ancora nel racconto ma dentro un film. Mi è parso eccessivo lo spazio dedicato a questa parte in rapporto alla lunghezza del racconto. 
Inizia poi il cuore dello scritto, che mi è sembrato ottimo: la penosa attesa di Teresa, le scarpe belle lasciate sole, lo scarto tra abiti e pantofole. Hai rappresentato con vividezza la superficialità di Michele e la profonda, sciocca solitudine della donna. 
Nel terzo blocco narrativo la telecamera si sposta in casa della sorella di Teresa: Leitmotiv, le scarpette regalatele. 
Il raccordo ulteriore è rappresentato dallo scioccante contrasto tra le scarpette del neonato, collocato con la madre nella tranquilla gioia domestica, e le scarpette dei bambini morti nei lager. 
A mio parere, tutto questo terzo blocco potrebbe essere eliminato (lasciando l'accenno di Teresa alle scarpette del nipotino) a favore di un ampliamento del secondo, "il cuore": forse darei più spazio al diverbio tra i due. 
Così, senza passare per casa della sorella, avremmo un raccordo più solido e lineare: film/guerra/dolore/ - solitudine/diverbio (una "guerra" casalinga) - guerra/atrocità/sbigottimento/disperazione. Il tutto raccordato dalle "scarpe" e dalle loro diverse funzioni e valenze.
Ribadisco, al netto delle perplessità sopra elencate e dovute al mio personalissimo e opinabile parere, che la tua scrittura è sempre molto gradevole. 
Grazie mille per la partecipazione e un caro saluto, @ivalibri.
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Re: [MI 165] Scarpe

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Ciao @Adel J. Pellitteri
Grazie per il passaggio. Sono contenta che il racconto ti sia piaciuto!
Ciao @Ippolita
Grazie per il tuo commento e per la tua osservazione. Ero partita dall'idea di fare tanti quadri centrati sulle scarpe ma slegati fra loro. Poi, scrivendo, mi è venuto da legarli in qualche modo e mi sembrava funzionasse bene. Ero però in dubbio sulla tenuta in generale del racconto nel suo insieme. Tu dunque elimineresti la parte della sorella con il neonato? Perché il mio dubbio verteva di più sull'ultima parte, quella del campo di concentramento, per paura che risultasse slegata e quindi forzata.
Ti ringrazio ancora.
Ciao 

Re: [MI 165] Scarpe

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ivalibri ha scritto: Tu dunque elimineresti la parte della sorella con il neonato? Perché il mio dubbio verteva di più sull'ultima parte, quella del campo di concentramento, per paura che risultasse slegata e quindi forzata.
L'ultima parte non mi è parsa forzata, perchè l'hai introdotta con l'accenno alla gita scolastica e soprattutto tramite lo spezzone del film (seppur lungo). Inoltre vi è il particolare delle scarpette da neonato. 
E l'assurdità straziante delle scarpe nel lager mi è sembrata un finale adatto nella sua tragicità, perchè l'hai descritta con levità, con rispetto.
Il blocco centrale della sorella, invece, mi pare sposti troppo l'unità che, seppur con lo sbalzo di tempo e luogo della gita, sei andata a creare. 
Come ti scrivevo sopra, amplierei la discussione tra i due, articolandola.
Grazie a te, cara.
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Re: [MI 165] Scarpe

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@ivalibri ciao.  Mi pare che tu abbia messo troppa carne al fuoco. Eppure ci sono molti spunti buoni ma che messi tutti insieme non permette di prendere posizione. Forse l'ultimo, quello che riguarda la visita al lager, poteva essere infilato coerentemente dentro alla trama iniziale.
Il film dove il soldato chiede le scarpe esiste veramente: devo averlo visto perché mi è familiare la scena. Buona prova. ci <3 ao 
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI 165] Scarpe

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bestseller2020 ha scritto: film dove il soldato chiede le scarpe esiste veramente: devo averlo visto perché mi è familiare la scena. Buona prova. ci <3 ao 
Davvero? Perché me lo sono inventato... oppure chissà magari è una scena che ho visto e poi ho dimenticato. 

Grazie per essere passato a leggere e a lasciare il tuo parere che mi sarà senz'altro utile.
Ci vediamo al prossimo MI allora!
A presto, @bestseller2020

Re: [MI 165] Scarpe

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Ciao @ivalibri 
 Complimenti per la struttura di questo testo. Il titolo avvalora in modo ottimale il narrato e costitutisce il fil rouge che attraversa la storia.
O meglio, le tante storie accumunate dal tema “scarpe”  in un intreccio che appassiona.

Nella prima parte del racconto non avevo assolutamente percepito che si trattasse di scene di un film. La cinepresa fissa un momento drammatico. Non avevo neppure capito che si trattasse di un soldato. Avevo pensato a un uomo rimasto sotto le macerie dopo un terremoto (da brivido!)  quindi la scena di guerra mi ha tolto un po’ di quel terrore perché è diventata più plausibile come situazione. Il vero colpo da maestra lo hai inferto con questa frase
ivalibri ha scritto: indietro.
- Senti, - gli disse - non è che potresti darmi le tue scarpe?
Agghiacciante e così efficace che ti consiglierei di asciugarla così 
ivalibri ha scritto: - Senti, - gli disse - non è che potresti darmi le tue scarpe? Così non farò molta strada.
Lui lo guardò senza parlare, impotente.
- Tanto a te non servono più
Toglierei anche questa informazione. A cosa serve? 
ivalibri ha scritto: . Si era sentita obbligata ad andare: era l'unica insegnante non sposata e senza figli.
ivalibri ha scritto: Fece sedere Michele a tavola e servì il risotto: una palla collosa in cui spiccavano gusci di vongole e tentacoli
Dici che Teresa fece sedere Michele a tavola, ma lui risponde che non si ferma a cena. Allora trovo un po’  incoerente il tutto. Lei è l’amante. L’uomo è in ritardo e quando arriva lo mette seduto a tavola e gli serve il riso scotto? Non funziona molto secondo me. Se sono due amanti non avrebbe avuto senso dopo tanto ritardo e a quell’ora servirlo a tavola. Ma è una mia sensazione come lettore.
ivalibri ha scritto: Poi guardò i piedini, indossava ancora le scarpine che gli aveva regalato sua sorella Teresa.
Questo è bel pugno. Ottimo.
ivalibri ha scritto: e i piedini paffutelli
Visto il tenore del testo, eliminerei l’aggettivo. I piedini dei nei neonati sono così, non importa sottolineare e poi é un aggettivo che stona un po’ col contenuto. Almeno io l’ho percepito così .
ivalibri ha scritto: Poi le cadde lo sguardo sulle scarpette appoggiate sul tavolo. Un moto di tenerezza violento le fece venire le lacrime agli occhi.
Questa frase non l’ho capita. Perché dovrebbe piangere vedendo le scarpine sul tavolo? Tenerezza? Oppure Sara sospetta la verità ?

La parte della visita con la scuola è quella che ho preferito meno e riconduce il racconto su canali meno originali.

Tutto ciò non toglie nulla alla bellezza della scrittura. Complimenti 

Re: [MI 165] Scarpe

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Ciao @ivalibri 
 Complimenti per la struttura di questo testo. Il titolo avvalora in modo ottimale il narrato e costitutisce il fil rouge che attraversa la storia.
O meglio, le tante storie accumunate dal tema “scarpe”  in un intreccio che appassiona.

Nella prima parte del racconto non avevo assolutamente percepito che si trattasse di scene di un film. La cinepresa fissa un momento drammatico. Non avevo neppure capito che si trattasse di un soldato. Avevo pensato a un uomo rimasto sotto le macerie dopo un terremoto (da brivido!)  quindi la scena di guerra mi ha tolto un po’ di quel terrore perché è diventata più plausibile come situazione. Il vero colpo da maestra lo hai inferto con questa frase
ivalibri ha scritto: indietro.
- Senti, - gli disse - non è che potresti darmi le tue scarpe?
Agghiacciante e così efficace che ti consiglierei di asciugarla così 
ivalibri ha scritto: - Senti, - gli disse - non è che potresti darmi le tue scarpe? Così non farò molta strada.
Lui lo guardò senza parlare, impotente.
- Tanto a te non servono più
Toglierei anche questa informazione. A cosa serve? 
ivalibri ha scritto: . Si era sentita obbligata ad andare: era l'unica insegnante non sposata e senza figli.
ivalibri ha scritto: Fece sedere Michele a tavola e servì il risotto: una palla collosa in cui spiccavano gusci di vongole e tentacoli
Dici che Teresa fece sedere Michele a tavola, ma lui risponde che non si ferma a cena. Allora trovo un po’  incoerente il tutto. Lei è l’amante. L’uomo è in ritardo e quando arriva lo mette seduto a tavola e gli serve il riso scotto? Non funziona molto secondo me. Se sono due amanti non avrebbe avuto senso dopo tanto ritardo e a quell’ora servirlo a tavola. Ma è una mia sensazione come lettore.
ivalibri ha scritto: Poi guardò i piedini, indossava ancora le scarpine che gli aveva regalato sua sorella Teresa.
Questo è bel pugno. Ottimo.
ivalibri ha scritto: e i piedini paffutelli
Visto il tenore del testo, eliminerei l’aggettivo. I piedini dei nei neonati sono così, non importa sottolineare e poi é un aggettivo che stona un po’ col contenuto. Almeno io l’ho percepito così .
ivalibri ha scritto: Poi le cadde lo sguardo sulle scarpette appoggiate sul tavolo. Un moto di tenerezza violento le fece venire le lacrime agli occhi.
Questa frase non l’ho capita. Perché dovrebbe piangere vedendo le scarpine sul tavolo? Tenerezza? Oppure Sara sospetta la verità ?

La parte della visita con la scuola è quella che ho preferito meno e riconduce il racconto su canali meno originali.

Tutto ciò non toglie nulla alla bellezza della scrittura. Complimenti 
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