[MI165] La fotografia
Posted: Sun Mar 27, 2022 1:40 pm
Commento a "Il vaso scoperchiato" di Ivalibri
Traccia di mezzogiorno
Flavia sedeva al primo banco e indossava scarpe da tennis bianche. Ogni tanto, durante un momento della lezione in cui il professore non spiegava (seguiva attenta), si chinava, perché uno dei fantasmini erano finiti all’interno della calzatura. Era per gesti come quello (o come quando, senza smettere di prendere appunti, portava una ciocca nera di capelli dietro l’orecchio) che Francesco, che sedeva all’ultimo banco, e raramente prendeva appunti, aveva finito per invaghirsi di lei.
Non riteneva d’avere speranze. Era uno solitario. Non aveva amici a scuola. Flavia a malapena doveva avere registrato la sua esistenza. La ragazza, durante la ricreazione, andava in corridoio, sotto le finestre grandi, piene di luce, e parlava con le amiche, in modo allegro, prendendo frutta con una forchettina di plastica da un piccolo contenitore. Francesco, avvolto nelle sue grandi felpe e nei pantaloni larghi, si trascinava verso il bagno, o giù in cortile, dove fumava una sigaretta da solo.
Dal cortile di sotto, poteva vedere Flavia contro la finestra. Il bel collo, i jeans, le scarpe bianche.
«Devi aiutare tuo padre a sgomberare il garage.»
Il ragazzo di distrasse brevemente dalla console di videogiochi, mugugnando.
«Ho da fare.»
«Quello non è fare qualcosa» disse la madre, piegando dei vestiti. «Va’ giù da tuo padre.»
Il padre di Francesco era un uomo pratico, che si teneva occupato, nei fine settimana, facendo quella serie di lavori. C’erano scatoloni accatastati sul fondo, vecchie biciclette, scaffali pieni di roba. Non si prospettava come una cosetta veloce.
«Comincia da lì» disse laconicamente l’uomo, indicando un angolo. «Porta tutto fuori.»
Francesco iniziò a lavorare di malavoglia alle scatole, trascinando fuori ceramiche e ninnoli vari, cianfrusaglie che la sua famiglia aveva accumulato nel corso dei decenni, da prima che lui nascesse. In un cartone, trovò un album di fotografie: ricordi di una vacanza a mare, di quando lui aveva pochi anni. La mamma, ancora bella, che sorrideva e si riparava dal sole con una mano, mentre con l’altro braccio teneva una gigantesca anguria. La nonna, quando stava ancora bene, seduta sotto la veranda con un giornale enigmistico. In una foto, trovò di nuovo se stesso con una bambina dai capelli neri e l’aspetto vivace, che non ricordava d’avere mai conosciuto.
Nonostante non fosse un sentimentale, pensò che la madre avrebbe preferito tenere l’album di fotografie anziché gettarlo, perciò lo portò da lei. Stava ancora piegando il bucato, in grandi contenitori che poi profumava spruzzandoli di un’essenza agli agrumi.
«Mamma, l’hai poi mangiata da sola questa anguria?»
La donna rise.
«Credo di sì.»
«Tipico tuo.»
Il ragazzo continuò a sfogliare l’album, in apparenza noncurante, fino a quando non arrivò alle foto in cui giocava con dei bambini.
«Non è la cugina Carla questa, vero?»
«No, lei era rossa da piccola. Fammi pensare. Ah, sì, la figlia del dottor Anglani. Quell’estate eravate inseparabili. Non ricordi di lei?»
«Per nulla…» disse Francesco. Flavia, la ragazza di cui era invaghito (non innamorato), era una “Anglani,” e somigliava alquanto a quella della fotografia.
Decise che non gli sarebbe importato più di tanto. Cosa contava, in fondo, anche se giocavano insieme da piccoli? Si dedicò ai suoi videogiochi, e poi andò in stanza a fare i compiti, in fretta e di malavoglia, per il lunedì successivo.
«Prendi l’ombrello» disse il padre, quando lo vide uscire di casa con lo zaino.
«Secondo me non piove.»
«Prendilo, ho detto.»
Il padre di Francesco era di poche parole. Il ragazzo scelse un ombrello portatile, colorato, e lo mise nello zaino, tanto per accontentare il vecchio.
La scuola era a cinque minuti a piedi. Gli pareva che anche Flavia andasse a piedi. Flavia Anglani. Chissà se era la stessa della fotografia.
«Oggi interrogazione a sorpresa di trigonometria» disse il prof, alla terza ora.
Francesco storse il muso. Non era il suo forte, ma fu chiamato proprio lui.
«Le metto impreparato.»
«Prof, non si fanno le interrogazioni a sorpresa. È incostituzionale.»
L’intera classe rise. Anche Flavia. Lui non aveva voluto fare una battuta. Gli era sorta spontanea.
All’uscita di scuola, pioveva. Vide che Flavia era indecisa se avventurarsi o meno. Non aveva un ombrello. Pensò che avrebbe potuto offrirle il suo e, perché no, chiederle se era poi la figlia del dottor Anglani, e se, anni prima, d’estate, erano stati inseparabili.
Un figuro con giacca di jeans e capelli ingellati arrivò con un bell’ombrello nero, per proteggere la ragazza dalla pioggia. Si presero per mano e andarono insieme in auto.
Traccia di mezzogiorno
Flavia sedeva al primo banco e indossava scarpe da tennis bianche. Ogni tanto, durante un momento della lezione in cui il professore non spiegava (seguiva attenta), si chinava, perché uno dei fantasmini erano finiti all’interno della calzatura. Era per gesti come quello (o come quando, senza smettere di prendere appunti, portava una ciocca nera di capelli dietro l’orecchio) che Francesco, che sedeva all’ultimo banco, e raramente prendeva appunti, aveva finito per invaghirsi di lei.
Non riteneva d’avere speranze. Era uno solitario. Non aveva amici a scuola. Flavia a malapena doveva avere registrato la sua esistenza. La ragazza, durante la ricreazione, andava in corridoio, sotto le finestre grandi, piene di luce, e parlava con le amiche, in modo allegro, prendendo frutta con una forchettina di plastica da un piccolo contenitore. Francesco, avvolto nelle sue grandi felpe e nei pantaloni larghi, si trascinava verso il bagno, o giù in cortile, dove fumava una sigaretta da solo.
Dal cortile di sotto, poteva vedere Flavia contro la finestra. Il bel collo, i jeans, le scarpe bianche.
«Devi aiutare tuo padre a sgomberare il garage.»
Il ragazzo di distrasse brevemente dalla console di videogiochi, mugugnando.
«Ho da fare.»
«Quello non è fare qualcosa» disse la madre, piegando dei vestiti. «Va’ giù da tuo padre.»
Il padre di Francesco era un uomo pratico, che si teneva occupato, nei fine settimana, facendo quella serie di lavori. C’erano scatoloni accatastati sul fondo, vecchie biciclette, scaffali pieni di roba. Non si prospettava come una cosetta veloce.
«Comincia da lì» disse laconicamente l’uomo, indicando un angolo. «Porta tutto fuori.»
Francesco iniziò a lavorare di malavoglia alle scatole, trascinando fuori ceramiche e ninnoli vari, cianfrusaglie che la sua famiglia aveva accumulato nel corso dei decenni, da prima che lui nascesse. In un cartone, trovò un album di fotografie: ricordi di una vacanza a mare, di quando lui aveva pochi anni. La mamma, ancora bella, che sorrideva e si riparava dal sole con una mano, mentre con l’altro braccio teneva una gigantesca anguria. La nonna, quando stava ancora bene, seduta sotto la veranda con un giornale enigmistico. In una foto, trovò di nuovo se stesso con una bambina dai capelli neri e l’aspetto vivace, che non ricordava d’avere mai conosciuto.
Nonostante non fosse un sentimentale, pensò che la madre avrebbe preferito tenere l’album di fotografie anziché gettarlo, perciò lo portò da lei. Stava ancora piegando il bucato, in grandi contenitori che poi profumava spruzzandoli di un’essenza agli agrumi.
«Mamma, l’hai poi mangiata da sola questa anguria?»
La donna rise.
«Credo di sì.»
«Tipico tuo.»
Il ragazzo continuò a sfogliare l’album, in apparenza noncurante, fino a quando non arrivò alle foto in cui giocava con dei bambini.
«Non è la cugina Carla questa, vero?»
«No, lei era rossa da piccola. Fammi pensare. Ah, sì, la figlia del dottor Anglani. Quell’estate eravate inseparabili. Non ricordi di lei?»
«Per nulla…» disse Francesco. Flavia, la ragazza di cui era invaghito (non innamorato), era una “Anglani,” e somigliava alquanto a quella della fotografia.
Decise che non gli sarebbe importato più di tanto. Cosa contava, in fondo, anche se giocavano insieme da piccoli? Si dedicò ai suoi videogiochi, e poi andò in stanza a fare i compiti, in fretta e di malavoglia, per il lunedì successivo.
«Prendi l’ombrello» disse il padre, quando lo vide uscire di casa con lo zaino.
«Secondo me non piove.»
«Prendilo, ho detto.»
Il padre di Francesco era di poche parole. Il ragazzo scelse un ombrello portatile, colorato, e lo mise nello zaino, tanto per accontentare il vecchio.
La scuola era a cinque minuti a piedi. Gli pareva che anche Flavia andasse a piedi. Flavia Anglani. Chissà se era la stessa della fotografia.
«Oggi interrogazione a sorpresa di trigonometria» disse il prof, alla terza ora.
Francesco storse il muso. Non era il suo forte, ma fu chiamato proprio lui.
«Le metto impreparato.»
«Prof, non si fanno le interrogazioni a sorpresa. È incostituzionale.»
L’intera classe rise. Anche Flavia. Lui non aveva voluto fare una battuta. Gli era sorta spontanea.
All’uscita di scuola, pioveva. Vide che Flavia era indecisa se avventurarsi o meno. Non aveva un ombrello. Pensò che avrebbe potuto offrirle il suo e, perché no, chiederle se era poi la figlia del dottor Anglani, e se, anni prima, d’estate, erano stati inseparabili.
Un figuro con giacca di jeans e capelli ingellati arrivò con un bell’ombrello nero, per proteggere la ragazza dalla pioggia. Si presero per mano e andarono insieme in auto.