[MI 164] Sangue nel fiume
Posted: Sun Mar 06, 2022 9:18 pm
Traccia di mezzogiorno: Il segreto.
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Alla fine degli anni Cinquanta, come ogni settimana la corriera che veniva dalla città si fermò nel paese di Luggestra. Scese un uomo anziano, vestito con un abito stazzonato e una valigia di cartone. Nessuno sembrava conoscerlo. Davanti al bar di zio Gonario alcuni vecchi bevevano una birra fresca, seduti ai tavoli all’esterno sotto un portico.
Lo sconosciuto li guardò, girò le spalle e si avviò lungo la strada che costeggiava la chiesa, perdendosi dentro il paese. Zio Carmine sonnecchiava appoggiato a un muretto vicino al bar, con un pezzo di sigaro fra le labbra, la brace accesa dentro la bocca, come usavano tutti i reduci della Grande Guerra.
Socchiuse i suoi occhi grigi e seguì con lo sguardo lo sconosciuto. Sospirò e disse piano, come a sé stesso —Mi pare s’anda de Antioglu de Pilimu buon’anima. Torrau este.
(Mi sembra la camminata di Antioco figlio di Pilimu buon’anima. È tornato).
Era cominciata una quarantina d’anni prima, sul finire della Grande Guerra. A Luggestra si sentiva quest’aria, ma c’era poco da far festa, con tanti suoi giovani partiti al fronte e molti caduti. Oltre ai lavori nei campi dava da vivere una cava di pietra scavata in una montagna, posta all'inizio di una pianura sotto il paese, digradante al mare. Antioglu aveva quindici anni e andava a lavorare con i suoi paesani.
Non riusciva a capire chi fossero quella dozzina di uomini silenziosi che lavoravano con loro, vestiti di avanzi di divise azzurro cenere, sempre accompagnati da un gruppo di soldati e qualche carabiniere.
—Quelli, prigionieri sono— gli aveva detto qualcuno.
—Ma come?
—Sono austriaci. Nemici. Il governo li manda a lavorare con noi e li paga la giornata.
Un giorno, nel momento d’intervallo per mangiare Antioglu si avvicinò a loro con una brocca.
—Volete pricciolu?
I prigionieri guardarono in silenzio. Uno di loro, poco più grande di Antioglu chiese —Cosa è?
—Vino nuovo mischiato con acqua. Per la sete. Non ubriaca.
Il prigioniero tradusse agli altri che accettarono la brocca e bevvero avidamente a turno.
—Come ti chiami?— chiese il prigioniero.
Antioglu disse il suo nome. —Io Ludwig— disse il prigioniero sorridendo.
Un carabiniere lì vicino si accese una sigaretta guardando cupo, in silenzio.
Un giorno Antioglu andò a pescare anguille nella foce di un fiume vicino al mare, posto vicino a terreni che suo padre aveva. Chiese a sua sorella Jubannedda, di poco più piccola, di accompagnarlo e montarono entrambi su Strja, la loro cavalla. Antioglu non era un pescatore, disdegnava l’acqua e pescava all’antica, pestando con una pietra le radici bianche di un’erba, su lucchittu e gettando il succo lattiginoso nell’acqua; le anguille impazzivano e saltavano fuori, facendosi acchiappare dentro un canestro. Jubannedda si bagnava i piedi divertita un poco più avanti, con la gonna alzata. Poi si mise a urlare. Antioglu si voltò e la vide immobile con la gonna sollevata intorno a lei come una cupola sull’acqua. Le corse incontro, il fiume era basso. La prese per le spalle e la trascinò a riva. Si accorse che Jubannedda lasciava sotto di sé una sottile scia di sangue che andava a unirsi all’acqua come un serpentello. Antioglu non capiva perché la sorella gli dicesse di allontanarsi da lei.
—Vattene! Non toccarmi! Vattene!
Antioglu concluse che stava male e avvicinò la cavalla per tornare a casa. A stento Jubannedda gli permise d’aiutarla a salire reggendole un piede, ma notò che non si mise a cavalcioni come un uomo, com’era solita fare, ma di traverso, come fanno tutte le donne. Quando Antioglu fece per salire anche lui a cavallo Jubannedda lo cacciò, ingiungendogli di camminare a piedi reggendo le briglia.
E così tornarono in paese. Alle prime case Jubannedda si mise il fazzoletto in testa, chiudendo la sua bocca dentro i lembi annodati. Delle donne videro, si avvicinarono e una prese le briglia della cavalla, guidandola fino a casa loro. Chiamarono Annedda, la madre di Antioglu, insieme entrarono in casa, lasciando fuori il ragazzo che non capiva. Poi uscì suo padre, Pilimu.
—Ma niente, niente— disse al figlio accendendosi una sigaretta. —Cose di donne. Non preoccuparti.
Un giorno Antioglu vide due prigionieri che zappavano la vigna con suo padre e chiese il perché.
—Al comune hanno dato il permesso che si poteva chiedere il loro aiuto, basta dare la paga di bracciante. Prendi una zappa anche tu, così facciamo quattro filari alla volta.
Antioglu vide che uno dei prigionieri era quel Ludwig il quale lo riconobbe e gli sorrise.
Suo padre, oltre a pagargli la giornata li invitò a pranzo, con il permesso dei carabinieri.
Fu un pranzo molto strano, perché solo Ludwig sapeva parlare un po’ d’italiano, l’altro no. Ma mangiavano e bevevano di buon appetito e sorridevano.
Gli austriaci circolavano quasi liberamente nel paese,
Ludwig faceva spesso dei lavori anche nei campi e veniva a casa loro invitato a pranzo.
Un giorno portò dei fiori di campo che regalò alla moglie di Pilimu e a Jubannedda.
Antioglu si accorse subito che i fiori di Jubannedda erano più belli e profumati, con in mezzo anche spighe di grano dorato, come gioielli d’oro. Jubannedda li accettò sorridendo e diventando rossa. E Antioglu non era contento. Un giorno Pilimu venne a casa con un giornale, lo aprì e indicò un angolo di pagina dicendo —Bachisiu dal fronte ci manda saluti assieme ad altri paesani. Bachisiu sta scritto qui, me lo ha detto il maresciallo!— Pilimu era felice e anche sua moglie.
Antioglu guardò sua sorella che aveva lo sguardo perso e sussultava ad ogni rumore che veniva fuori dalla porta. Aspettava che venisse Ludwig? Perché?
Passò ancora del tempo e si avvicinava la festa della santa Patrona in quell’agosto del 1918.
—… e il maresciallo ha dato il permesso per la festa— diceva Pilimu a sua moglie.
—Quale permesso?— chiese Antioglu che aveva sentito le ultime parole.
—Gli abbiamo chiesto che Ludovico— così chiamava Ludwig— possa portare la santa al posto di Bachisiu, mettendosi come portatore per un piccolo tratto.
—Ma che bisogno c’è?
—È di buon augurio. Così Bachisiu ritorna dalla guerra.
—Ma Bachisiu spara a Ludwig se lo vede! Perché Ludwig deve portare la santa al posto suo?
Il padre e la madre non seppero rispondergli e Antioglu se ne andò arrabbiato. Credeva di aver capito ormai. Ludwig, al quale aveva offerto pricciolu, voleva Jubannedda, si sarebbero sposati. Ma era troppo!
E poi Antioglu cosa avrebbe fatto in casa da solo se Bachisiu non fosse più tornato? Come avrebbe potuto vivere senza avere Jubannedda vicina? Un suo amico gli aveva spiegato cosa voleva dire quel sangue che Jubannedda aveva perso nel fiume e da quel giorno Antioglu non era più riuscito a dormire.
—Anche Maria, la madre di nostro signore lasciò il tempio per quel sangue…— gli disse don Fitoriu esitante, in confessione.
—Ma Jubannedda non deve andarsene mai!— aveva urlato Antioglu.
Venne il giorno della festa, Antioglu si nascose nel fienile poco prima di andare in chiesa, mentre i suoi genitori e Jubannedda si preparavano.
Vide venire i carabinieri a casa, bussare alla porta. Suo padre, col vestito della festa aprì. I carabinieri scattarono sull’attenti portando la mano sul berretto e consegnandogli un foglio. La madre si mise a urlare. Antioglu corse a casa.
Bachisiu era eroicamente caduto al fronte.
Antioglu prese il fucile del padre e uscì, con Jubannedda che gli correva dietro urlando, con i capelli al vento. Incontrarono Ludwig mentre andava alla processione. Antioglu sollevò il fucile, Jubannedda si mise davanti.
—No! Aspetto un figlio da lui! Pietà!
Antioglu sparò. Prima Jubannedda e poi Ludwig.
Erano passati quarant’anni. Ma il sangue versato nel fiume della vita non scorre mai invano, nel bene e nel male e non si può dimenticare.