Note a margine
Posted: Sat Mar 05, 2022 8:48 am
Commento a Xenomelia di Alba359
Ora che lo scaldabagno era rotto, ed era inverno, era costretto ad andare dalla sorella per lavarsi a dovere. Ancora precario all’età di trentasei anni, il professore era molto indeciso su quale modello acquistare:
«Sei sicuro?» chiese la sorella, consultando il catalogo mentre sbucciava una mela.
«Trenta litri. Non basta?»
«Stai sempre una vita sotto la doccia.»
«Trenta litri…» pensò. «Dici che è troppo poco?» chiese, dubbioso, spalmando un panino con burro e marmellata.
«Trenta litri è poco e quel mezzo panetto di burro è troppo. Non sei più un ragazzo» disse la sorella, prendendo il panino e gettandolo nel cestino.
«Il fatto…» fece il professore, un po’ piccato perché a quel panino aveva cominciato ad affezionarsi «il fatto è che l’inflazione galoppa.»
«Quanto hai speso in libri questo mese?»
«I libri non costano tanto.»
«Sì, ma tu quanto hai speso?»
«Non so, non più di…» cercò di fare un calcolo a mente. Non facile. Ne comprava quasi ogni giorno.
«Va’ in biblioteca per un paio di mesi, anziché comprare libri. E prendi uno scaldabagno decente» concluse la donna, con lo stesso fare perentorio con cui aveva ucciso la colazione del fratello.
E sia. Ordinò uno scaldabagno capiente e andò in biblioteca per vedere di trovare qualcosa. Diede un’occhiata all’espositore degli ultimi arrivi. Gli sembrarono volgari e commerciali. Uno però lo colpì.
“Pianissimo, di Camillo Sbarbaro…. chi è costui?” si chiese, fermandosi nella sua ricerca. Aveva già letto il suo nome da qualche parte. Il professore leggeva disordinatamente, quello che gli capitava. Sbarbaro… un poeta. Forse un amico di Montale. Fece una rapida ricognizione della sua mappa mentale sui poeti minori del Novecento italiano. Decise di prenderlo in prestito.
«Professore…» disse la bibliotecaria, sorniona. «Non la si vede da queste parti dai tempi del concorso.»
«L’ho passato» rispose subito, trafelato, sentendosi in colpa. Non era contento della sua lentissima carriera lavorativa.
«Ora insegna, vero?»
«Una supplenza…» disse, impossibilitato a millantare da qualcosa di inscalfibile che era dentro di lui.
«Ma non ha passato il concorso?»
«Come idoneo.»
«Che significa?»
«Che bisogna aspettare un po’ per avere il ruolo.»
«E noi aspettiamo…» rispose la donna, sorniona, passando il libro di Sbarbaro sotto lo magnetizzatore.
«Francesca…» disse quella sera, chiamando la sorella, in ansia.
«Cosa?»
«Ho fatto un’immane cretinata.»
«Non capisco.»
«Ho scritto sul libro.»
«Non capisco.»
«Il libro che ho preso sulla biblioteca. Mi ero scordato che era in prestito. Sai che sono abituato a scrivere sui libri.»
«A penna o matita?»
«A penna.»
«Sui libri si scrive sempre a matita.»
«Ora che faccio?»
«Nulla.»
«Nulla?»
«Nessuno ci farà caso.»
«No?»
«Va’ a dormire. Non restare sveglio a leggere troppo a lungo.»
«Va bene…» disse l’uomo, pentito, spegnendo la luce, continuando a rigarsi nelle coperte, al pensiero della ramanzina della bibliotecaria.
Aspettò ventinove giorni, ma, infine, tornò in biblioteca.
«Camillo Sbarbaro…» disse la bibliotecaria, girandosi il libro fra le mani. Il professore cominciò a sudare freddo al pensiero che avrebbe sfogliato il libro e notato lo scempio. Ma, semplicemente, come aveva detto a sorella, lo mise fra gli altri da ricollocare a scaffale.
Un mese dopo, alle undici di sera, telefonò a sua sorella.
«Che c’è?»
«Sono un fallito.»
«Perché?»
«Non ho combinato nulla della vita. Non ho mai realizzato i miei sogni.»
«Il tuo sogno era insegnare.»
«Sono solo un idoneo. Faccio supplenze.»
«Se pazienti avrai il ruolo.»
«Sto pensando di scrivere una storia per Topolino.»
«Cosa?»
«Uno che conoscevo all’università. Non proprio un amico, ma ci frequentavamo. Ora è nella redazione. Magari mi pubblica una storia.»
«Che storia vuoi fare?»
«Ho un’idea per una storia di Pippo.»
«Fa’ Zio Paperone, è più divertente.»
«Non mi sei di supporto.»
«Più di così?»
«È un’idea terribile. La verità è che vorrei scrivere un libro di poesie, ma non ho il coraggio. E poi è quello che fanno tutti.»
«Fa’ quello che fanno tutti. Non è necessariamente un male.»
La sorella chiuse il telefono. Lui cominciò a rigirarsi nelle coperte, pensando che non conosceva abbastanza a fondo i poeti minori del Novecento italiano per fare un libro di poesie come si deve.
Il giorno dopo, andò in biblioteca per fare incetta di libri di poesia. Distrattamente, prese di nuovo Pianissimo di Sbarbaro, anche se non lo aveva tanto apprezzato.
Sedette a un tavolo libero e cominciò a sfogliarlo. Vide (orrore) il suo commento a penna:
“Banale studio sulla depressione, monotono nei temi e artificioso nell’espressione.”
Poi, sotto, c’era un altro commento, in una grafia minuta che non era la sua:
“Sei un asino. È un sublime studio sul dolore.”
Il professore cominciò a sudare freddo. Per uno che aveva fatto, come punto di onore della propria vita, “sapere le cose,” essere definito un asino era una grandissima umiliazione, sia pure un’anonima (gli pareva che la grafia fosse femminile).
Andò in bagnò e telefonò alla sorella.
«Secondo te sono un asino?»
«Sai meno di quello che credi, ma sei sufficientemente colto per fare il tuo mestiere. Perché me lo chiedi?»
«Oggi una mi ha detto che sono un asino.»
«Com’era?»
«Chi?»
«Questa donna.»
«Non lo so. Mi ha scritto un messaggio.»
«Su internet?»
«Su un libro.»
«Invitala a uscire.»
«È una che ha scritto su un libro. Non so come è fatta. Forse non è neppure una donna.»
«È tempo che ti sposi.»
«Mi ha insultato.»
«Vuole dialogare con te.»
«Non so com’è fatta.»
«Non starei troppo a vedere com’è fatta questa persona, alla tua età» rispose la sorella, e chiuse la telefonata.
Il professore prese qualche appunto sulle poesie di Amelia Rosselli, quindi replicò al commento sul libro di Sbarbaro nel modo che gli sembrò più intelligente possibile, correggendo parzialmente il suo giudizio troppo perentorio, e lo riportò alla bibliotecaria.
Un mese dopo (il suo libro di poesia arrancava, ma era riuscito a scrivere una discreta storia di Pippo) tornò in biblioteca.
«Lei ama molto questo testo» disse la bibliotecaria, dandogli quello di Sbarbaro. «Lo prende di nuovo in prestito?»
«No, consulto soltanto.»
Andò a un tavolo e cercò subito un nuovo commento, ma restò deluso. Perché sarebbe dovuto accadere? Era tutta una sua elucubrazione.
«Già fatto?»
«Oramai lo conosco bene.»
«Dovrebbe parlarne con la dottoressa Caramia.»
«Chi?»
«La coordinatrice del sistema museale. Lo ha preso anche lei il mese scorso.»
«Non la conosco.»
«È piuttosto in vista in città»
«Non conosco molte persone in città.»
«Non ci sono solo le persone dei libri.»
«No, non ci sono solo loro…» disse il professore, perplesso.
Nell’ingresso della biblioteca, diede un’occhiata, come da abitudine, alla bacheca degli eventi. Di lì a due giorni, c’era una presentazione di un libro di poesie. Sarebbe intervenuta anche la dottoressa Caramia.
Sedette in fondo. Le persone cominciarono a riempire l’auditorium della biblioteca. Salirono sul palco due donne, di cui una sula trentina, che giudicò straordinariamente avvenente, e un’altra di mezz’età. Non senza meschino sollievo, capì ben presto che la donna più giovane era la dottoressa Caramia, quella molto in vista in città. Cominciò a parlare con competenza della produzione poetica della sua ospite, tracciando un parallelo col “sublime studio sul dolore” di Sbarbaro.
«Dottoressa…» disse lui, approcciandola quando il convegno fu finito. «Lei non lo sa, ma mi ha dato dell’asino» disse, sorridendo cordialmente.
La dottoressa Caramia sorrise a sua volta:
«Lei è l’anonimo denigratore di Sbarbaro…»
«In persona.»
«Le va se ne discettiamo di fronte a un caffè?»
Il professore si rese conto, quando ebbe finito di fantasticare, che tutti avevano lasciato l’auditorium, tranne la solita bibliotecaria che doveva chiudere e lo invitava a uscire dalla sala.
«Ha conosciuto la dottoressa Caramia?» chiese, sorniona.
«Ci sarà modo» disse il professore.
«Già, ci sarà modo.»
Ora che lo scaldabagno era rotto, ed era inverno, era costretto ad andare dalla sorella per lavarsi a dovere. Ancora precario all’età di trentasei anni, il professore era molto indeciso su quale modello acquistare:
«Sei sicuro?» chiese la sorella, consultando il catalogo mentre sbucciava una mela.
«Trenta litri. Non basta?»
«Stai sempre una vita sotto la doccia.»
«Trenta litri…» pensò. «Dici che è troppo poco?» chiese, dubbioso, spalmando un panino con burro e marmellata.
«Trenta litri è poco e quel mezzo panetto di burro è troppo. Non sei più un ragazzo» disse la sorella, prendendo il panino e gettandolo nel cestino.
«Il fatto…» fece il professore, un po’ piccato perché a quel panino aveva cominciato ad affezionarsi «il fatto è che l’inflazione galoppa.»
«Quanto hai speso in libri questo mese?»
«I libri non costano tanto.»
«Sì, ma tu quanto hai speso?»
«Non so, non più di…» cercò di fare un calcolo a mente. Non facile. Ne comprava quasi ogni giorno.
«Va’ in biblioteca per un paio di mesi, anziché comprare libri. E prendi uno scaldabagno decente» concluse la donna, con lo stesso fare perentorio con cui aveva ucciso la colazione del fratello.
E sia. Ordinò uno scaldabagno capiente e andò in biblioteca per vedere di trovare qualcosa. Diede un’occhiata all’espositore degli ultimi arrivi. Gli sembrarono volgari e commerciali. Uno però lo colpì.
“Pianissimo, di Camillo Sbarbaro…. chi è costui?” si chiese, fermandosi nella sua ricerca. Aveva già letto il suo nome da qualche parte. Il professore leggeva disordinatamente, quello che gli capitava. Sbarbaro… un poeta. Forse un amico di Montale. Fece una rapida ricognizione della sua mappa mentale sui poeti minori del Novecento italiano. Decise di prenderlo in prestito.
«Professore…» disse la bibliotecaria, sorniona. «Non la si vede da queste parti dai tempi del concorso.»
«L’ho passato» rispose subito, trafelato, sentendosi in colpa. Non era contento della sua lentissima carriera lavorativa.
«Ora insegna, vero?»
«Una supplenza…» disse, impossibilitato a millantare da qualcosa di inscalfibile che era dentro di lui.
«Ma non ha passato il concorso?»
«Come idoneo.»
«Che significa?»
«Che bisogna aspettare un po’ per avere il ruolo.»
«E noi aspettiamo…» rispose la donna, sorniona, passando il libro di Sbarbaro sotto lo magnetizzatore.
«Francesca…» disse quella sera, chiamando la sorella, in ansia.
«Cosa?»
«Ho fatto un’immane cretinata.»
«Non capisco.»
«Ho scritto sul libro.»
«Non capisco.»
«Il libro che ho preso sulla biblioteca. Mi ero scordato che era in prestito. Sai che sono abituato a scrivere sui libri.»
«A penna o matita?»
«A penna.»
«Sui libri si scrive sempre a matita.»
«Ora che faccio?»
«Nulla.»
«Nulla?»
«Nessuno ci farà caso.»
«No?»
«Va’ a dormire. Non restare sveglio a leggere troppo a lungo.»
«Va bene…» disse l’uomo, pentito, spegnendo la luce, continuando a rigarsi nelle coperte, al pensiero della ramanzina della bibliotecaria.
Aspettò ventinove giorni, ma, infine, tornò in biblioteca.
«Camillo Sbarbaro…» disse la bibliotecaria, girandosi il libro fra le mani. Il professore cominciò a sudare freddo al pensiero che avrebbe sfogliato il libro e notato lo scempio. Ma, semplicemente, come aveva detto a sorella, lo mise fra gli altri da ricollocare a scaffale.
Un mese dopo, alle undici di sera, telefonò a sua sorella.
«Che c’è?»
«Sono un fallito.»
«Perché?»
«Non ho combinato nulla della vita. Non ho mai realizzato i miei sogni.»
«Il tuo sogno era insegnare.»
«Sono solo un idoneo. Faccio supplenze.»
«Se pazienti avrai il ruolo.»
«Sto pensando di scrivere una storia per Topolino.»
«Cosa?»
«Uno che conoscevo all’università. Non proprio un amico, ma ci frequentavamo. Ora è nella redazione. Magari mi pubblica una storia.»
«Che storia vuoi fare?»
«Ho un’idea per una storia di Pippo.»
«Fa’ Zio Paperone, è più divertente.»
«Non mi sei di supporto.»
«Più di così?»
«È un’idea terribile. La verità è che vorrei scrivere un libro di poesie, ma non ho il coraggio. E poi è quello che fanno tutti.»
«Fa’ quello che fanno tutti. Non è necessariamente un male.»
La sorella chiuse il telefono. Lui cominciò a rigirarsi nelle coperte, pensando che non conosceva abbastanza a fondo i poeti minori del Novecento italiano per fare un libro di poesie come si deve.
Il giorno dopo, andò in biblioteca per fare incetta di libri di poesia. Distrattamente, prese di nuovo Pianissimo di Sbarbaro, anche se non lo aveva tanto apprezzato.
Sedette a un tavolo libero e cominciò a sfogliarlo. Vide (orrore) il suo commento a penna:
“Banale studio sulla depressione, monotono nei temi e artificioso nell’espressione.”
Poi, sotto, c’era un altro commento, in una grafia minuta che non era la sua:
“Sei un asino. È un sublime studio sul dolore.”
Il professore cominciò a sudare freddo. Per uno che aveva fatto, come punto di onore della propria vita, “sapere le cose,” essere definito un asino era una grandissima umiliazione, sia pure un’anonima (gli pareva che la grafia fosse femminile).
Andò in bagnò e telefonò alla sorella.
«Secondo te sono un asino?»
«Sai meno di quello che credi, ma sei sufficientemente colto per fare il tuo mestiere. Perché me lo chiedi?»
«Oggi una mi ha detto che sono un asino.»
«Com’era?»
«Chi?»
«Questa donna.»
«Non lo so. Mi ha scritto un messaggio.»
«Su internet?»
«Su un libro.»
«Invitala a uscire.»
«È una che ha scritto su un libro. Non so come è fatta. Forse non è neppure una donna.»
«È tempo che ti sposi.»
«Mi ha insultato.»
«Vuole dialogare con te.»
«Non so com’è fatta.»
«Non starei troppo a vedere com’è fatta questa persona, alla tua età» rispose la sorella, e chiuse la telefonata.
Il professore prese qualche appunto sulle poesie di Amelia Rosselli, quindi replicò al commento sul libro di Sbarbaro nel modo che gli sembrò più intelligente possibile, correggendo parzialmente il suo giudizio troppo perentorio, e lo riportò alla bibliotecaria.
Un mese dopo (il suo libro di poesia arrancava, ma era riuscito a scrivere una discreta storia di Pippo) tornò in biblioteca.
«Lei ama molto questo testo» disse la bibliotecaria, dandogli quello di Sbarbaro. «Lo prende di nuovo in prestito?»
«No, consulto soltanto.»
Andò a un tavolo e cercò subito un nuovo commento, ma restò deluso. Perché sarebbe dovuto accadere? Era tutta una sua elucubrazione.
«Già fatto?»
«Oramai lo conosco bene.»
«Dovrebbe parlarne con la dottoressa Caramia.»
«Chi?»
«La coordinatrice del sistema museale. Lo ha preso anche lei il mese scorso.»
«Non la conosco.»
«È piuttosto in vista in città»
«Non conosco molte persone in città.»
«Non ci sono solo le persone dei libri.»
«No, non ci sono solo loro…» disse il professore, perplesso.
Nell’ingresso della biblioteca, diede un’occhiata, come da abitudine, alla bacheca degli eventi. Di lì a due giorni, c’era una presentazione di un libro di poesie. Sarebbe intervenuta anche la dottoressa Caramia.
Sedette in fondo. Le persone cominciarono a riempire l’auditorium della biblioteca. Salirono sul palco due donne, di cui una sula trentina, che giudicò straordinariamente avvenente, e un’altra di mezz’età. Non senza meschino sollievo, capì ben presto che la donna più giovane era la dottoressa Caramia, quella molto in vista in città. Cominciò a parlare con competenza della produzione poetica della sua ospite, tracciando un parallelo col “sublime studio sul dolore” di Sbarbaro.
«Dottoressa…» disse lui, approcciandola quando il convegno fu finito. «Lei non lo sa, ma mi ha dato dell’asino» disse, sorridendo cordialmente.
La dottoressa Caramia sorrise a sua volta:
«Lei è l’anonimo denigratore di Sbarbaro…»
«In persona.»
«Le va se ne discettiamo di fronte a un caffè?»
Il professore si rese conto, quando ebbe finito di fantasticare, che tutti avevano lasciato l’auditorium, tranne la solita bibliotecaria che doveva chiudere e lo invitava a uscire dalla sala.
«Ha conosciuto la dottoressa Caramia?» chiese, sorniona.
«Ci sarà modo» disse il professore.
«Già, ci sarà modo.»