[MI163] Xenomelia
Posted: Sun Feb 20, 2022 8:46 pm
Traccia di Mezzanotte: Amputazioni.
Xenomelia
La mano schizzò lontano dall’avambraccio, la lama intaccò il tagliere d’acacia, il sangue cominciò a inondare il tavolo. Elias riaprì gli occhi, alzò lo sguardo verso la ghigliottina: il marchingegno che, secondo lui, era stato ispirato direttamente dalla sua mano, aveva fatto il suo dovere. Finalmente ora si sentiva libero e in qualche modo completo.
Strinse il laccio emostatico, immerse il moncherino nella bacinella del disinfettante; il bruciore gli fece girare la testa. L’anestesia locale stava funzionando e l’euforia per non aver fallito lo aiutò a non cedere. Cominciò a usare il cauterio che aveva comprato su internet: sapeva che sarebbe stata un’operazione lunga e aveva bisogno di riposare ma continuò fino a che il dolore non divenne insopportabile. Si fece l’iniezione di antidolorifico, pulì bene i contorni della ferita, allentò il laccio emostatico e tirò la pelle in avanti, quindi lo strinse di nuovo, quando vide che perdeva meno sangue si fasciò come meglio poté e si sdraiò sul letto. Aspettava che il medicinale facesse effetto, dalla nebbia e la confusione degli ultimi eventi emerse il colloquio avuto con il chirurgo qualche settimana prima.
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«Che cosa significa per lei abbondanza? Per me, dottore, significa infelicità, è un pezzo del mio corpo che non mi appartiene. Vede, io le chiedo soltanto di separarmi da questa mano che non è mia, è di troppo, non posso vivere con questa propaggine scomoda, devo liberarmene.»
«Mi faccia capire, lei vuole che io le amputi la mano sinistra? ma la sua mano non ha nulla che non vada.»
Elias si arrotolò la manica fino al gomito, prese un pennarello dalla scrivania del chirurgo e disse.
«Guardi, è esattamente da questo punto che la mano non mi appartiene.» Fece una linea diritta due centimetri sopra il polso, girò con la punta del pennarello lungo la circonferenza e poi mostrò l’arto al medico.
«Vede, da qui alla punta delle dita io non riconosco la carne e le ossa che stanno attaccate al mio corpo, non mi appartengono. Lei deve aiutarmi, la pagherò molto bene.»
Il medico lo guardò preoccupato, conosceva quella malattia e il pericolo che correva il suo paziente. Sapeva che alcuni soggetti affetti da xenomelia arrivavano ad amputarsi, da soli, l’arto indesiderato. Per quanto facesse fatica a sopportare quella situazione, si disse che non poteva liquidare Elias dandogli solo delle pasticche. Per edulcorare un po' la sua diagnosi e rimandare a un altro giorno la sua decisione, si alzò, gli poggiò una mano sulla spalla e disse.
«Per adesso prendi queste compresse, Elias, una al mattino e una la sera. Tra due settimane torna qui e parleremo dell’amputazione.»
Elias si alzò lo squadrò e disse, «non cerchi di prendermi in giro, tra quattordici giorni lei mi opererà o mi rimpinzerà di nuovo di pasticche?»
«Elias, forse questa cura ti aiuterà, il tempo che ci vorrà aiuterà anche me a valutare una questione così rischiosa, lo sai che amputare arti sani è punito dalla legge. »
Elias non rispose. Usci dallo studio, nascose la mano aliena dentro la tasca dei pantaloni e si avviò verso casa.
Quella sensazione era dentro di lui da quando aveva otto anni, i suoi genitori non si erano mai spiegati la quantità d’incidenti alla mano sinistra che capitavano al loro bambino. La sofferenza era stata tanta, per tutti quegli anni lui non aveva mai parlato con nessuno del suo disagio, fino a che, abbastanza grande, decise che non era pazzo e che gli altri dovevano capire quello che provava.
Il chirurgo pensò di avvertire la polizia, o gli assistenti sociali, qualcuno che potesse sorvegliarlo ma il suo rimase un pensiero vago e per i successivi quattordici giorni e oltre si dimenticò completamente quello strano paziente.
Elias passò in farmacia, mostrò la ricetta alla ragazza dietro al bancone; gli sembrò che la donna lo stesse deridendo dentro di sé. Le vide il pensiero formulato stampato in fronte: “dove se ne va quest’uomo con quella sinistra che non è la sua?” Lui la guardò in viso e pensò la stessa cosa delle sue labbra al botulino. Ritirò la sua medicina e stava per andarsene, quando un uomo sulla settantina con un braccio solo gli si affiancò. Rimase affascinato da quella manica vuota e dall’andatura un po' sbilanciata, dalla mano destra, così agile da non aver nessun bisogno della sinistra per aprire il portafogli. L’uomo con il portamonete nella mano, si sentì osservato e gli lanciò un’occhiata eloquente, Elias si riscosse e lo aspettò fuori dal locale.
L’anziano se lo ritrovò davanti. « Mi scusi per prima.» Elias si propose senza lasciagli modo di protestare, « non voglio essere invadente, è che, forse, io ho la soluzione al problema del suo braccio mancante. Vede la mia mano sinistra? A me non serve, vorrei donargliela. Pagherei io tutte le spese, ma dobbiamo trovare un chirurgo disposto a…»
«Per carità» disse l’altro, «come potrei vivere con la mano di un'altra persona, la ringrazio per il pensiero ma non se ne parla proprio.» Scosse il capo “Oddio, ma che strana gente gira oggigiorno”se ne andò in un brontolio di parole incomprensibili.
Elias confuso e desolato tornò a casa. Si buttò sul divano, guardò con disprezzo la mano estranea, quel pezzo di carne e ossa non poteva essere suo; la tastò, cominciò a pizzicarla, la battè più volte sul tavolino da fumo. In un lampo di dolore qualcosa nel cervello si accese, “Fallo! Fallo!” Una voce interna gridava imperiosa, “fallo!” No, non era lui che formulava quelle parole. Spaventato, prese con la destra la mano indesiderata per lenire il dolore ma in quel gesto gli sembrò che quella non volesse essere toccata. “Fallo!” La voce gli imponeva di commettere un’azione che lui avrebbe dovuto sapere ma in quel momento non ricordava “Devi farlo da solo. Tagliami via da te e sarai finalmente felice.”
Andò in bagno di corsa, prese una lametta da barba e provò a eseguire una piccola incisione lungo la linea sbiadita che aveva fatto nello studio medico; stranamente al dolore si aggiunse piacere. Una sottile vena di felicità lo avvolse per un solo attimo e tanto bastò a riempirlo di consapevolezza e fiducia.
Ci volle poco, seguendo le istruzioni della voce: di lì a due giorni la ghigliottina era pronta, e finalmente era fatta.
Il moncherino gli faceva un male terribile ma doveva alzarsi a controllare la ferita, dare una ripulita in cucina, decidere cosa fare della mano che giaceva ancora sul tagliere e forse farsi anche un’altra iniezione.
Con l’asciugamano avvolto sull’avambraccio, si alzò e si diresse verso la cucina. Prese un bicchiere d’acqua dal rubinetto e lo bevve d’un fiato, aprì un cassetto e prelevò un sacchetto di plastica per metterci la mano. Non aveva ancora deciso come disfarsene quando il lampo nel cervello si riaccese, “cosa vorresti fare? Seppellirmi? Non pensarci nemmeno.” Elias si girò di scatto, guardò sul tagliere: la mano era sparita.
In seguito non passò un giorno o una notte che non la sentisse grattare in giro per casa, a volte si svegliava di soprassalto con la sensazione che qualcuno gli stesse toccando i capelli, mentre mangiava sentiva smuovere le stoviglie dentro gli stipetti o, a volte, se decideva di tirare le tende per far entrare il sole, la mano le richiudeva non appena lui usciva dalla stanza. Era iniziato un nuovo periodo della sua vita, senza dubbio era felice di non avere più quel pezzo di troppo attaccato al suo corpo ma era ancora più soddisfatto di quell’epilogo strano. Cavolo, come doveva essere stata male lei con un corpo intero appiccicato e estraneo alla sua natura? Aveva capito che anche la mano aveva avuto bisogno della sua libertà e che forse aveva sofferto quanto lui. Tutto ciò lo fece sentire in pace e in grado di sopportare i suoi scherzi per tutto il tempo necessario.