Ora è il tuo turno, numero dieci!
Posted: Sat Feb 19, 2022 12:09 pm
Commento a "Giorni e pagine" di Irene
Il nostro reportage si chiude col numero dieci. Abbiamo visto come tutti i membri della missione, da noi intervistati nelle puntate precedenti, hanno avuto grande riuscita nella vita e si sono spesi perché il loro vantaggio beneficiasse il prossimo. Ricercatori, capitani d’industria, artisti di fama. La numero tre, come ricorderete, ha fatto avanzare la ricerca sulle cellule staminali. Il numero cinque è un rinomato artista d’avanguardia, le cui opere sono esposte nelle gallerie di tutto il mondo. La numero nove con è la dirigente di un’organizzazione no profit che combatte il cambiamento climatico.
Ora è il tuo turno, numero dieci!
La sua casa è in apparenza dimessa, un villino di periferia con un giardino non troppo curato. Probabilmente il numero dieci è troppo preso dai suoi studi, dalle sue ricerche, dal suo lavoro al servizio del prossimo per curare questi dettagli. Ci è stato detto che non ha neanche creato una sua famiglia. Vediamo cosa avrà da dirci.
Suoniamo il campanello.
«Sì?»
«Siamo del giornale. Per l’intervista che avevamo concordato.»
«Ah, già. I giornalisti. Venite.»
Il numero dieci (come tutti gli altri è ormai sulla quarantina) si presenta con una barbetta bionda, sfatta, e una vestaglia, come se si fosse appena svegliato, anche se sono le undici di un lunedì mattina. Probabilmente è rimasto sveglio tutta la notte per lavorare. Ci fa strada per il suo salotto, anche questo in disordine.
«Volete un caffè?»
«Vorremmo cominciare subito, se non le spiace. Dobbiamo mandare il pezzo in redazione entro il pomeriggio.»
Toglie un cumulo di vestiti sporchi da un paio di poltrone di pelle e ci fa accomodare. Si siede di fronte a noi, poggia la gamba sul bracciolo del divano e accende una sigaretta.
«Come posso aiutarvi?»
Siamo perplessi, ma sappiamo che presto il numero dieci, al di là delle sue eccentricità, ci lascerà stupefatti, come tutti gli altri.
«Lei, trent’anni fa, è stato nello spazio.»
«Ricordo qualcosa del genere.»
«L’esperimento — lo riporto per i lettori che non hanno visto gli articoli precedenti delle serie — prevedeva che dieci bambini di dieci anni, cinque maschi e cinque femmine, passassero un anno a studiare nello stazione spaziale internazionale, istruiti dai migliori pedagogisti.»
«Sì, mandarono anche me.»
«Con la nostra serie di articoli, abbiamo intervistato gli altri membri della missione. Sei ancora in contatto con loro?»
«Abbiamo un gruppo Whatsapp, ma ci scrivo poco a dire il vero» dice il numero dieci, grattandosi la testa e continuando a fumare la sua sigaretta. Smoccola la cenere per terra.
«Il numero uno è in predicato di vincere il premio Nobel per l’economia.»
«Sarebbe il ragazzo indiano, vero? Cara persona.»
«La numero sette, dopo aver vinto uno slam di tennis, si è dedicata alla salvaguardia delle tartarughe marine, ormai in via d’estinzione.»
«Carla. Carissima ragazza.»
«Il numero otto…»
«So tutto sul numero otto.»
«Numero dieci, ci tolga dalle spine. Lei che ha fatto della sua vita?»
«Aspettate, devo prendere un posacenere.»
Va in cucina. Torna con una ciotola e delle lattine di birra.
«Volete?»
«Sono le undici del mattino.»
«Vi spiace se bevo?»
«Siamo a casa sua.»
Il numero dieci apre la lattina. Si accende un’altra sigaretta. Si gratta il capo.
«Cos’ho fatto con la mia vita. Bella domanda.»
«Voi partecipanti alla missione avevate a disposizione una borsa di studio illimitata. Potevate iscrivervi a qualsiasi università del mondo.»
«L’università. Sì, l’ho fatta, per qualche anno.»
«Cos’ha studiato?»
«Scienze sociali, mi pare.»
«Le pare?»
«Il periodo dell’università era un po’ confuso, se devo dirla tutta.»
«Perché aveva preso scienze sociali?»
«Non so. Il depliant dell’università mi era piaciuto.»
«Il depliant?»
«A casa ne mandavano di ogni. Da ogni parte. Quel depliant era carino. Mi piaceva la magnolia nella foto del cortile dell’università.»
«Le piaceva la magnolia.»
«Sì.»
«Per questo ha scelto scienze sociali.»
«Grossomodo.»
«Numero dieci, il numero quattro ha dedicato la sua vita allo riduzione delle testate atomiche.»
«L’università, dicevamo. Come periodo è un po’ confuso. Mi ricordo che il mercoledì sera si usciva. Ricordo anche che mangiavamo sempre spaghetti al tonno.»
«Spaghetti al tonno.»
«Sì.»
«È quello che ricorda dell’università?»
«Ricordo anche la magnolia. Mi pare che avevo… una fidanzatina. Andavamo lì a fare picnic.»
«Sotto la magnolia.»
«Sì.»
«Con quanto si è laureato?»
«Non ho preso la laurea.»
«Non è laureato?»
«No.»
«Cos’ha fatto dopo gli studi?»
«Per un po’ sono stato da mia madre.»
«È stato da sua madre.»
«Sì.»
«E che faceva?»
«All’epoca avevo le idee confuse. Guardavo la tv. Uscivo con gli amici del paese.»
«Perciò non lavorava.»
«No.»
«Né studiava.»
«Nemmeno.»
«Lei è stato nello spazio. Addestrato dai migliori pedagogisti…»
«Sì, ricordo di averlo fatto» risponde. Sembra infastidito quando gli parliamo della sua esperienza nel cosmo.
«Ora è ancora da sua madre?»
«No, no, ormai sono un adulto. Ho una casa mia. Ho anche un lavoro, sa?»
«Di cosa si occupa.»
«La stessa cosa che fa lei. Intervisto le persone.»
«Ah, capisco. Ora è tutto chiaro. Lei è un collega. Un giornalista. Come mai non ho mai sentito di lei, nell’ambiente? Sta lavorando sottotraccia a un’inchiesta che scoperchierà una santabarbara di corruzione?»
«Nulla del genere. Non sono un giornalista.»
«Ha detto che fa interviste.»
«Venite nel mio studio. Vi faccio vedere.»
Lo seguiamo. Anche lo studio è in disordine. La scrivania è disseminata di carte, lattine di birra e scarti di cibo.
«Questo è il questionario, vedete?» ci dice, mostrandoci un foglio con una lista di domande. «Devo intervistare le persone. Uso il telefono.»
«Lei fa interviste al telefono?»
«Sondaggi d’opinione. Non è un cattivo lavoro. Paga i conti.»
«Capisco, numero dieci.»
«Volete sapere altro da me?»
«Mi sa che abbiamo saputo fin troppo. Vediamo, non ha qualche hobby? Non fa del volontariato, per esempio? Qualcosa… al servizio del prossimo?»
«Mi piace camminare.»
«Camminare.»
«Sì.»
«Dove cammina?»
«Mi piace camminare nel bosco.»
«Perché le piace tanto?»
«Mi piacciono gli alberi. E il silenzio. Insomma, non è proprio un silenzio. Ci sono i rumori della natura. È un silenzio pieno.»
«Le piacciono gli alberi, perciò.»
«Sì, e i suoni della natura.»
«Numero dieci, non vogliamo metterla in cattiva luce. Ci dia qualcosa di buono da usare per l’articolo.»
Il numero dieci sospira. Getta il mozzicone di sigaretta in una lattina di birra vuota. Si gratta la barbetta.
«Va bene. Le darò qualcosa per l’articolo, visto che le interessa tanto. Sa perché mi piacciono gli alberi?»
«Sentiamo.»
«Perché non parlano.»
«Non capisco.»
«Lei è mai stata nello spazio?»
«Naturalmente no.»
«Perciò non conosce il silenzio dello spazio profondo.»
«No.»
«È quello che cerco quando cammino nei boschi.»
«Il silenzio.»
«Ma la natura non tace mai. Niente tace, se non nello spazio.»
«Numero dieci, a lei piacerebbe tornarci?»
Sorride. Ci accorgiamo ora che ha gli occhi dolci.
«Chi le dice che me ne sia mai andato?»
Il nostro reportage si chiude col numero dieci. Abbiamo visto come tutti i membri della missione, da noi intervistati nelle puntate precedenti, hanno avuto grande riuscita nella vita e si sono spesi perché il loro vantaggio beneficiasse il prossimo. Ricercatori, capitani d’industria, artisti di fama. La numero tre, come ricorderete, ha fatto avanzare la ricerca sulle cellule staminali. Il numero cinque è un rinomato artista d’avanguardia, le cui opere sono esposte nelle gallerie di tutto il mondo. La numero nove con è la dirigente di un’organizzazione no profit che combatte il cambiamento climatico.
Ora è il tuo turno, numero dieci!
La sua casa è in apparenza dimessa, un villino di periferia con un giardino non troppo curato. Probabilmente il numero dieci è troppo preso dai suoi studi, dalle sue ricerche, dal suo lavoro al servizio del prossimo per curare questi dettagli. Ci è stato detto che non ha neanche creato una sua famiglia. Vediamo cosa avrà da dirci.
Suoniamo il campanello.
«Sì?»
«Siamo del giornale. Per l’intervista che avevamo concordato.»
«Ah, già. I giornalisti. Venite.»
Il numero dieci (come tutti gli altri è ormai sulla quarantina) si presenta con una barbetta bionda, sfatta, e una vestaglia, come se si fosse appena svegliato, anche se sono le undici di un lunedì mattina. Probabilmente è rimasto sveglio tutta la notte per lavorare. Ci fa strada per il suo salotto, anche questo in disordine.
«Volete un caffè?»
«Vorremmo cominciare subito, se non le spiace. Dobbiamo mandare il pezzo in redazione entro il pomeriggio.»
Toglie un cumulo di vestiti sporchi da un paio di poltrone di pelle e ci fa accomodare. Si siede di fronte a noi, poggia la gamba sul bracciolo del divano e accende una sigaretta.
«Come posso aiutarvi?»
Siamo perplessi, ma sappiamo che presto il numero dieci, al di là delle sue eccentricità, ci lascerà stupefatti, come tutti gli altri.
«Lei, trent’anni fa, è stato nello spazio.»
«Ricordo qualcosa del genere.»
«L’esperimento — lo riporto per i lettori che non hanno visto gli articoli precedenti delle serie — prevedeva che dieci bambini di dieci anni, cinque maschi e cinque femmine, passassero un anno a studiare nello stazione spaziale internazionale, istruiti dai migliori pedagogisti.»
«Sì, mandarono anche me.»
«Con la nostra serie di articoli, abbiamo intervistato gli altri membri della missione. Sei ancora in contatto con loro?»
«Abbiamo un gruppo Whatsapp, ma ci scrivo poco a dire il vero» dice il numero dieci, grattandosi la testa e continuando a fumare la sua sigaretta. Smoccola la cenere per terra.
«Il numero uno è in predicato di vincere il premio Nobel per l’economia.»
«Sarebbe il ragazzo indiano, vero? Cara persona.»
«La numero sette, dopo aver vinto uno slam di tennis, si è dedicata alla salvaguardia delle tartarughe marine, ormai in via d’estinzione.»
«Carla. Carissima ragazza.»
«Il numero otto…»
«So tutto sul numero otto.»
«Numero dieci, ci tolga dalle spine. Lei che ha fatto della sua vita?»
«Aspettate, devo prendere un posacenere.»
Va in cucina. Torna con una ciotola e delle lattine di birra.
«Volete?»
«Sono le undici del mattino.»
«Vi spiace se bevo?»
«Siamo a casa sua.»
Il numero dieci apre la lattina. Si accende un’altra sigaretta. Si gratta il capo.
«Cos’ho fatto con la mia vita. Bella domanda.»
«Voi partecipanti alla missione avevate a disposizione una borsa di studio illimitata. Potevate iscrivervi a qualsiasi università del mondo.»
«L’università. Sì, l’ho fatta, per qualche anno.»
«Cos’ha studiato?»
«Scienze sociali, mi pare.»
«Le pare?»
«Il periodo dell’università era un po’ confuso, se devo dirla tutta.»
«Perché aveva preso scienze sociali?»
«Non so. Il depliant dell’università mi era piaciuto.»
«Il depliant?»
«A casa ne mandavano di ogni. Da ogni parte. Quel depliant era carino. Mi piaceva la magnolia nella foto del cortile dell’università.»
«Le piaceva la magnolia.»
«Sì.»
«Per questo ha scelto scienze sociali.»
«Grossomodo.»
«Numero dieci, il numero quattro ha dedicato la sua vita allo riduzione delle testate atomiche.»
«L’università, dicevamo. Come periodo è un po’ confuso. Mi ricordo che il mercoledì sera si usciva. Ricordo anche che mangiavamo sempre spaghetti al tonno.»
«Spaghetti al tonno.»
«Sì.»
«È quello che ricorda dell’università?»
«Ricordo anche la magnolia. Mi pare che avevo… una fidanzatina. Andavamo lì a fare picnic.»
«Sotto la magnolia.»
«Sì.»
«Con quanto si è laureato?»
«Non ho preso la laurea.»
«Non è laureato?»
«No.»
«Cos’ha fatto dopo gli studi?»
«Per un po’ sono stato da mia madre.»
«È stato da sua madre.»
«Sì.»
«E che faceva?»
«All’epoca avevo le idee confuse. Guardavo la tv. Uscivo con gli amici del paese.»
«Perciò non lavorava.»
«No.»
«Né studiava.»
«Nemmeno.»
«Lei è stato nello spazio. Addestrato dai migliori pedagogisti…»
«Sì, ricordo di averlo fatto» risponde. Sembra infastidito quando gli parliamo della sua esperienza nel cosmo.
«Ora è ancora da sua madre?»
«No, no, ormai sono un adulto. Ho una casa mia. Ho anche un lavoro, sa?»
«Di cosa si occupa.»
«La stessa cosa che fa lei. Intervisto le persone.»
«Ah, capisco. Ora è tutto chiaro. Lei è un collega. Un giornalista. Come mai non ho mai sentito di lei, nell’ambiente? Sta lavorando sottotraccia a un’inchiesta che scoperchierà una santabarbara di corruzione?»
«Nulla del genere. Non sono un giornalista.»
«Ha detto che fa interviste.»
«Venite nel mio studio. Vi faccio vedere.»
Lo seguiamo. Anche lo studio è in disordine. La scrivania è disseminata di carte, lattine di birra e scarti di cibo.
«Questo è il questionario, vedete?» ci dice, mostrandoci un foglio con una lista di domande. «Devo intervistare le persone. Uso il telefono.»
«Lei fa interviste al telefono?»
«Sondaggi d’opinione. Non è un cattivo lavoro. Paga i conti.»
«Capisco, numero dieci.»
«Volete sapere altro da me?»
«Mi sa che abbiamo saputo fin troppo. Vediamo, non ha qualche hobby? Non fa del volontariato, per esempio? Qualcosa… al servizio del prossimo?»
«Mi piace camminare.»
«Camminare.»
«Sì.»
«Dove cammina?»
«Mi piace camminare nel bosco.»
«Perché le piace tanto?»
«Mi piacciono gli alberi. E il silenzio. Insomma, non è proprio un silenzio. Ci sono i rumori della natura. È un silenzio pieno.»
«Le piacciono gli alberi, perciò.»
«Sì, e i suoni della natura.»
«Numero dieci, non vogliamo metterla in cattiva luce. Ci dia qualcosa di buono da usare per l’articolo.»
Il numero dieci sospira. Getta il mozzicone di sigaretta in una lattina di birra vuota. Si gratta la barbetta.
«Va bene. Le darò qualcosa per l’articolo, visto che le interessa tanto. Sa perché mi piacciono gli alberi?»
«Sentiamo.»
«Perché non parlano.»
«Non capisco.»
«Lei è mai stata nello spazio?»
«Naturalmente no.»
«Perciò non conosce il silenzio dello spazio profondo.»
«No.»
«È quello che cerco quando cammino nei boschi.»
«Il silenzio.»
«Ma la natura non tace mai. Niente tace, se non nello spazio.»
«Numero dieci, a lei piacerebbe tornarci?»
Sorride. Ci accorgiamo ora che ha gli occhi dolci.
«Chi le dice che me ne sia mai andato?»