[MI 162 Fuori concorso] Il santone
Posted: Thu Feb 10, 2022 7:40 pm
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Traccia di mezzogiorno: Lei
Il santone
Si era svegliata presto Dolly, quel mattino di aprile del 1982.
Si era alzata prima dell'alba a Donervath, aveva rotto il salvadanaio di ceramica a forma di porcellino rosa e con i suoi 24 dollari e 78 centesimi aveva aspettato la corriera delle 7.40, quella che porta a Houston e percorre la statale 55.
Era arrivata presto, dunque, ma non abbastanza da non trovare un sacco di gente in coda davanti alla Casa dei Numeri. La facciata istoriata da una gran quantità di cifre era uno spettacolo, si diceva che ad ogni numero corrispondesse un miracolo.
"Vengono da tutta la contea" le aveva detto una donna anziana, seduta accanto a un uomo su una coperta "e dormono qui". Dolly fece vagare lo sguardo sulla folla accampata sul prato di fronte alla casa. I volti erano annoiati.
"Numero 15" una donna giovane, latina sia d'aspetto che di inflessione, aprì la porta mentre annunciava il turno del prossimo. Fece entrare un uomo con le stampelle e si richiuse la porta alle spalle. Una lunga coda di cavallo nera ondeggiò sopra al suo sedere, come a confermare quello che Dolly aveva già intuito. Chicana, senza dubbio. Come me. Il pensiero di condividere qualcosa se non con il sensitivo, almeno con la sua aiutante, segretaria o infermiera che fosse, la rincuorò.
Davanti ai suoi occhi di quattordicenne che si allontanava per la prima volta da Donervath sfilò una ricca e assortita umanità. Tutti diversi, uomini, donne, anziani, bambini al seguito di genitori, ma tutti accomunati da un'aura di miseria, da un'offesa nel corpo o nello spirito. Quando calò il sole, Dolly si decise a comprare una empanada da una famiglia di messicani in attesa sul prato, sacrificando con pena un dollaro del suo gruzzoletto. Il tramezzino e l'arancia che aveva portato con sé se li era mangiati per pranzo.
Era già notte quando la segretaria chicana uscì ad annunciare che le visite erano finite.
Dolly riuscì ad entrare due giorni dopo e con tre dollari in meno in tasca. Tutti spesi in cibo, perché dormì lì sul prato insieme agli altri in attesa.
Il santone sembrava una vecchia rock star: pantaloni di pelle nera, camicia di jeans e capelli lunghi, nonostante l'incipiente pelata sulla sommità del capo.
"Perché sei qui?" domandò a Dolly.
"Voglio sapere dov'è finito mio padre".
Il sensitivo prese un ciondolo di vetro attaccato a un laccio di cuoio.
"Le predizioni costano 10 dollari. Pagamento anticipato".
Dolly tirò fuori dalla tasca i soldi, monete e banconote arruffate, e li porse all'uomo.
"Non è tanto, eh" si sentì in dovere di dire, come per giustificarsi, "le guarigioni costano molto di più".
Poi iniziò a far oscillare il ciondolo sopra a un tavolo in cui erano sparsi tanti bigliettini ripiegati.
"Tu che pensi?" chiese il santone.
"Di cosa?"
"Di tuo padre?"
Dolly sorrise, maliziosa: "Dovrebbe dirmelo lei, no?"
Il sensitivo scoppiò a ridere.
"Brava ragazzina, sei sveglia, tu. Da dove vieni?"
"Da Donervath, ma sono messicana"
"Questo lo vedo", rise ancora il santone.
Quindi prese un bigliettino e lo srotolò.
"Est" disse l'uomo mentre già si alzava per accompagnarla alla porta, "Prosegui verso est e troverai tuo padre".
Dolly si irrigidì e gli si parò di fronte. L'istantanea dei fratelli Méndez che si portavano via di peso suo padre gli comparve davanti agli occhi. Non aveva fatto tutta quella strada per avere un'indicazione così vaga.
Con la mano gli afferrò il braccio. Il santone ebbe un sussulto.
"Dimmi almeno se è vivo o morto".
Dolly lo guardò in faccia. Era la prima volta da quando era entrata nella Casa che i loro occhi si incontravano. Fece a tempo a vederne le iridi cerulee da bianco protestante e le pupille tremanti.
"Vivo. È vivo, ragazzina".
La vede da lontano. La riconosce subito, nonostante adesso sia deserta. Accosta la macchina un po' più in là e si avvicina piano. L'aura ingiallita da museo che la avvolge ne mantiene l'aspetto magniloquente e stravagante di quindici anni prima. L'aria intorno invece è satura di caldo estivo e desolazione.
Dolly va a bussare ma nessuno le apre. Decide allora di sedersi su una poltrona abbandonata davanti alla porta. Aspetterà un po', qualcuno si farà vivo prima o poi.
Passa qualche macchina di fronte alla casa, ma sfrecciano via tutte lasciandosi dietro una nuvola di polvere grigiastra.
È tardo pomeriggio, quando un'automobile rallenta. Una donna latina si avvicina. Dolly è spaparanzata sulla poltrona senza alcun ritegno. Si è scolata le quattro lattine di birra che aveva in borsa e se ne sta a gambe aperte nonostante la minigonna.
"Aspetta qualcuno?" le chiede la donna.
"Eh già, aspetto il santone".
"Allora c'è n'hai da aspettare".
"Che fine ha fatto?" chiede Dolly.
"Ha raggiunto i suoi clienti che non ce l'hanno fatta.".
Dolly sorride. Poi, come se l'avesse appena riconosciuta, le domanda:
"Tu sei la sua aiutante? L'infermiera?"
La ragazza scoppia a ridere: "Sono la figlia. Credo che tu stia pensando a mia madre"
"E lui era tuo padre?" chiede Dolly.
"Sì."
Dolly si alza, si scrolla la polvere di dosso e si china a raccogliere la borsa buttata a terra.
Tuo padre era un imbroglione, vorrebbe dirle, ma non lo fa. In fondo andare a est le ha portato bene. Ha incontrato Dan a Houston, poi ha conosciuto gli altri musicisti del gruppo e ora è una delle cantanti folk più famose della contea.
"Ma tutti quei numeri, cosa significano davvero?" domanda invece.
"Non lo so. Mio padre faceva degli strani calcoli per le sue magie e diceva che ogni tanto qualcuno gli riusciva. E allora lo pitturava sulla facciata".
Le due donne sono ormai vicine alle macchine, pronte ad andarsene per la propria strada.
"Chissà se c'è anche il mio numero tra quelli" osserva Dolly.
"Il tuo miracolo è riuscito?"
"Veramente, no".
"Da quando lui è morto non ci viene più nessuno qui, neanche mia madre. Ma io ci passo sempre davanti".
"Beh, è una gran bella casa. E poi anche se il mio numero non l'ha proprio azzeccato, secondo me da qualche parte della facciata è scritto".
La figlia del santone le sorride: "Mio padre diceva che il primo passo per esaudire i desideri è dirli".
"Eh già, mi sa che aveva ragione".
Dolly si ferma un attimo e si volta verso la casa. C'è una bella luce, pensa, ed è un peccato che nessuno si fermi più qui davanti come quando era ragazzina.
"Senti," dice allora "me lo faresti un favore?"
"Cosa?"
"Se mi metto lì davanti, me la faresti una foto?"
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Traccia di mezzogiorno: Lei
Il santone
Si era svegliata presto Dolly, quel mattino di aprile del 1982.
Si era alzata prima dell'alba a Donervath, aveva rotto il salvadanaio di ceramica a forma di porcellino rosa e con i suoi 24 dollari e 78 centesimi aveva aspettato la corriera delle 7.40, quella che porta a Houston e percorre la statale 55.
Era arrivata presto, dunque, ma non abbastanza da non trovare un sacco di gente in coda davanti alla Casa dei Numeri. La facciata istoriata da una gran quantità di cifre era uno spettacolo, si diceva che ad ogni numero corrispondesse un miracolo.
"Vengono da tutta la contea" le aveva detto una donna anziana, seduta accanto a un uomo su una coperta "e dormono qui". Dolly fece vagare lo sguardo sulla folla accampata sul prato di fronte alla casa. I volti erano annoiati.
"Numero 15" una donna giovane, latina sia d'aspetto che di inflessione, aprì la porta mentre annunciava il turno del prossimo. Fece entrare un uomo con le stampelle e si richiuse la porta alle spalle. Una lunga coda di cavallo nera ondeggiò sopra al suo sedere, come a confermare quello che Dolly aveva già intuito. Chicana, senza dubbio. Come me. Il pensiero di condividere qualcosa se non con il sensitivo, almeno con la sua aiutante, segretaria o infermiera che fosse, la rincuorò.
Davanti ai suoi occhi di quattordicenne che si allontanava per la prima volta da Donervath sfilò una ricca e assortita umanità. Tutti diversi, uomini, donne, anziani, bambini al seguito di genitori, ma tutti accomunati da un'aura di miseria, da un'offesa nel corpo o nello spirito. Quando calò il sole, Dolly si decise a comprare una empanada da una famiglia di messicani in attesa sul prato, sacrificando con pena un dollaro del suo gruzzoletto. Il tramezzino e l'arancia che aveva portato con sé se li era mangiati per pranzo.
Era già notte quando la segretaria chicana uscì ad annunciare che le visite erano finite.
Dolly riuscì ad entrare due giorni dopo e con tre dollari in meno in tasca. Tutti spesi in cibo, perché dormì lì sul prato insieme agli altri in attesa.
Il santone sembrava una vecchia rock star: pantaloni di pelle nera, camicia di jeans e capelli lunghi, nonostante l'incipiente pelata sulla sommità del capo.
"Perché sei qui?" domandò a Dolly.
"Voglio sapere dov'è finito mio padre".
Il sensitivo prese un ciondolo di vetro attaccato a un laccio di cuoio.
"Le predizioni costano 10 dollari. Pagamento anticipato".
Dolly tirò fuori dalla tasca i soldi, monete e banconote arruffate, e li porse all'uomo.
"Non è tanto, eh" si sentì in dovere di dire, come per giustificarsi, "le guarigioni costano molto di più".
Poi iniziò a far oscillare il ciondolo sopra a un tavolo in cui erano sparsi tanti bigliettini ripiegati.
"Tu che pensi?" chiese il santone.
"Di cosa?"
"Di tuo padre?"
Dolly sorrise, maliziosa: "Dovrebbe dirmelo lei, no?"
Il sensitivo scoppiò a ridere.
"Brava ragazzina, sei sveglia, tu. Da dove vieni?"
"Da Donervath, ma sono messicana"
"Questo lo vedo", rise ancora il santone.
Quindi prese un bigliettino e lo srotolò.
"Est" disse l'uomo mentre già si alzava per accompagnarla alla porta, "Prosegui verso est e troverai tuo padre".
Dolly si irrigidì e gli si parò di fronte. L'istantanea dei fratelli Méndez che si portavano via di peso suo padre gli comparve davanti agli occhi. Non aveva fatto tutta quella strada per avere un'indicazione così vaga.
Con la mano gli afferrò il braccio. Il santone ebbe un sussulto.
"Dimmi almeno se è vivo o morto".
Dolly lo guardò in faccia. Era la prima volta da quando era entrata nella Casa che i loro occhi si incontravano. Fece a tempo a vederne le iridi cerulee da bianco protestante e le pupille tremanti.
"Vivo. È vivo, ragazzina".
La vede da lontano. La riconosce subito, nonostante adesso sia deserta. Accosta la macchina un po' più in là e si avvicina piano. L'aura ingiallita da museo che la avvolge ne mantiene l'aspetto magniloquente e stravagante di quindici anni prima. L'aria intorno invece è satura di caldo estivo e desolazione.
Dolly va a bussare ma nessuno le apre. Decide allora di sedersi su una poltrona abbandonata davanti alla porta. Aspetterà un po', qualcuno si farà vivo prima o poi.
Passa qualche macchina di fronte alla casa, ma sfrecciano via tutte lasciandosi dietro una nuvola di polvere grigiastra.
È tardo pomeriggio, quando un'automobile rallenta. Una donna latina si avvicina. Dolly è spaparanzata sulla poltrona senza alcun ritegno. Si è scolata le quattro lattine di birra che aveva in borsa e se ne sta a gambe aperte nonostante la minigonna.
"Aspetta qualcuno?" le chiede la donna.
"Eh già, aspetto il santone".
"Allora c'è n'hai da aspettare".
"Che fine ha fatto?" chiede Dolly.
"Ha raggiunto i suoi clienti che non ce l'hanno fatta.".
Dolly sorride. Poi, come se l'avesse appena riconosciuta, le domanda:
"Tu sei la sua aiutante? L'infermiera?"
La ragazza scoppia a ridere: "Sono la figlia. Credo che tu stia pensando a mia madre"
"E lui era tuo padre?" chiede Dolly.
"Sì."
Dolly si alza, si scrolla la polvere di dosso e si china a raccogliere la borsa buttata a terra.
Tuo padre era un imbroglione, vorrebbe dirle, ma non lo fa. In fondo andare a est le ha portato bene. Ha incontrato Dan a Houston, poi ha conosciuto gli altri musicisti del gruppo e ora è una delle cantanti folk più famose della contea.
"Ma tutti quei numeri, cosa significano davvero?" domanda invece.
"Non lo so. Mio padre faceva degli strani calcoli per le sue magie e diceva che ogni tanto qualcuno gli riusciva. E allora lo pitturava sulla facciata".
Le due donne sono ormai vicine alle macchine, pronte ad andarsene per la propria strada.
"Chissà se c'è anche il mio numero tra quelli" osserva Dolly.
"Il tuo miracolo è riuscito?"
"Veramente, no".
"Da quando lui è morto non ci viene più nessuno qui, neanche mia madre. Ma io ci passo sempre davanti".
"Beh, è una gran bella casa. E poi anche se il mio numero non l'ha proprio azzeccato, secondo me da qualche parte della facciata è scritto".
La figlia del santone le sorride: "Mio padre diceva che il primo passo per esaudire i desideri è dirli".
"Eh già, mi sa che aveva ragione".
Dolly si ferma un attimo e si volta verso la casa. C'è una bella luce, pensa, ed è un peccato che nessuno si fermi più qui davanti come quando era ragazzina.
"Senti," dice allora "me lo faresti un favore?"
"Cosa?"
"Se mi metto lì davanti, me la faresti una foto?"