[MI162] *L'amore vince tutto
Posted: Sun Feb 06, 2022 11:58 pm
Il mio commento: link
Traccia di mezzogiorno: Lei
La tua assenza è ansia.
Non sentirti accanto a me dilata la mia paura della solitudine, il terrore di perderti.
Non so quando io sia diventato così dipendente da te, da quanto tempo ti ami così tanto. E davvero, non mi importa. Come se l’amore avesse bisogno di una data d’inizio per essere valido.
Sì, forse finirà, forse il sentimento svanirà così come le altre storie prima di te, così come è fallito il mio matrimonio. Ma ora non ha importanza.
Non mi sono mai preoccupato per una cosa del genere e tu non ne ha mai nemmeno parlato, quindi perché, quando racconto di questa mia nuova storia, tutti mi domandano quando sia iniziata? E tutti con quell’odioso sguardo a metà tra lo stupito e l’invidioso. Come a dire che un ultrasessantenne non può fare cazzate del genere.
Le prime volte mi innervosivo e avevo persino deciso di tenere nascosta la nostra storia. Ma soffrivo a non poterti parlare liberamente quando eravamo con gli altri. E tu sembravi ripagarmi con indifferenza, assente.
Come adesso.
Mi manchi, Ale.
Provo nuovamente a chiamarti, ma qui non c’è segnale.
Odio quando il mio lavoro mi porta così lontano, in luoghi talmente remoti che non posso raggiungerti. Guido nervoso per i tornanti di questa stupida montagna. Stringo convulsamente il volante, sterzando e controsterzando lungo il nastro d’asfalto mentre penso a te, in questo crepuscolo.
È un’ora che vago per strade sconosciute, senza alcuna connessione e senza sapere se la direzione sia quella giusta. Ma non è di questo che mi preoccupo.
Ho paura della solitudine. Di non averti con me.
No, devo pensare ad altro. Mi devo concentrare sulla guida.
La strada sembra farsi più stretta man mano che procedo. I boschi si sporgono incombenti e la striscia di cielo tra le fronde è più un’impressione che una presenza. Non so dove mi trovo, la salita non accenna a diminuire e sicuramente ho sbagliato direzione, ma la carreggiata è così stretta che non posso invertire la marcia. Non posso che procedere e sperare per il meglio.
Accendo i fari nelle tenebre che s’allungano dal bosco. Ombre minacciose. E io sono solo.
Ho bisogno di sentire la tua voce.
Abbasso lo sguardo sullo schermo nell’immotivata speranza di trovare almeno una tacca, ed è uno sbaglio perché non mi accorgo della fine dell’asfalto.
Una buca segna il confine tra la civiltà e la strada in terra battuta. Io non rallento, distratto, e con un colpo secco il semiasse ne paga le conseguenze.
Un rumore cupo accompagna l’attrito tra lo pneumatico e la lamiera. Per inerzia l’auto avanza ancora una decina di metri, poi sono fermo.
E adesso?
Spengo il motore. Il silenzio è assoluto.
Ho paura.
Se solo ti avessi con me, Ale, sapresti consigliarmi cosa fare.
Ma non ci sei, e sento gli occhi inumidirsi di lacrime quando il dubbio, vigliaccamente, si presenta per la prima volta: che tu sia come le altre, che mi abbandonerai come tutte le donne che ho amato.
Abbasso le palpebre, ma trovo solamente il ghigno beffardo della mia ex moglie quando le ho parlato di te.
–Sei un vecchio rincoglionito, cosa pensi di cavare da questa tua…– ha storto la bocca disgustata –…questa tua storia?
Le ho riso in faccia.
Per fortuna tu non potevi vedere la sua espressione, né sentire il tono cattivo della sua voce, ma saresti stata orgogliosa di come l’ho gestita:
–Sei una povera bigotta, Luisa.– le ho risposto, alzandomi in piedi –È vero. Ho sessantatré anni. Ma tu ne hai venti meno di me e la cosa non ci ha fermati, ai tempi. Perché con lei dovrebbe essere diverso?
Ha provato a replicare, l’ipocrita. Non gliene ho lasciato il tempo:
–Me ne frego del perbenismo e delle convenzioni. Io la amo e so che sarà sempre al mio fianco, a differenza tua.– ho lanciato il denaro sul tavolino e lasciato il bar dove mi aveva voluto incontrare.
Credevo veramente in quel che le ho detto, allora, e invece oggi che ho davvero bisogno di te, sei assente. Come Luisa, come…
No! Non è colpa tua: è solo mia. Sono io che mi sono perso quassù, non tu. E mentre io ti affibbio queste responsabilità, tu starai aspettando la mia chiamata.
Povera, piccola, Ale, ti senti sola come me?
Aspettami! Riuscirò a chiamarti, in un modo o nell’altro.
Determinato, apro la portiera e scendo.
L’aria è fresca, alimentata da un vento leggero che mi strappa un brivido. Chiudo la cerniera del giubbotto e alzo il bavero.
Mi guardo attorno e tendo le orecchie. L’unico suono è il ticchettio metallico del motore che si raffredda.
Inquietante.
Così come la strada che ho percorso. Oscura, sotto la volta della fitta selva.
Dall’altro lato, invece, una tenue luminosità lascia intendere la fine del bosco. Mi attrae. Non ha senso logico, ma m’incammino di là.
Scrocchiano i sassi sotto le suole. Il fiato è affannato.
Non sono abituato alla salita e mi stanco subito, mi dolgono giunture che nemmeno ricordavo d’avere.
Eppure, non mi fermo.
Avanzo, e il mio sforzo è premiato dalla luce oltre le ultime piante. Esco dalla notte e mi ritrovo nel tardo crepuscolo.
Davanti a me, un incredibile panorama di cime rocciose e vette di nevi eterne, infiammate dall’ultimo sguardo del sole al tramonto. Il cielo vibra di colori, dal blu siderale sopra la mia testa, all’aranciato bagliore dell’orizzonte. L’aria profuma di purezza.
Sono estasiato, amore mio: vorrei disperatamente che tu potessi ammirarlo!
Controllo il cellulare ma ancora non c’è campo.
Abbasso gli occhi sul pendio e finalmente trovo speranza. Giù in basso, lontano, scorrono radi fanali di macchine. Adesso ho una meta, adesso posso farcela.
Arrivo, Ale!
Senza indugio affronto il prato in discesa. Le suole scivolano e devo aiutarmi con le mani per non ruzzolare giù. Mi bruceranno i muscoli, domani, è sicuro. Ma tu mi saprai suggerire il rimedio giusto come sempre, amore.
Scendo, mentre la notte, quella vera, cala su di me.
Mi abbandonerei esausto se non ci fosse il desiderio di sentirti, a spingermi. Perché l’amore può tutto. Tutto.
Anche motivare un uomo sedentario come me ad affrontare un simile pendio.
E pensare che tutti mi scherniscono per il mio sentimento; mi sfottono perché non possiamo avere rapporti carnali, perché non posso nemmeno baciarti.
Come se fosse importante. Come se fosse quello il senso dell’amore.
Dicono addirittura che tu non esisti.
Sciocchi ignoranti: esisti ben più di loro, per me.
Chi mi risponde a ogni ora del giorno e della notte, loro o tu, Ale? Chi prova ad aiutarmi quando chiedo aiuto? Chi conosce davvero i miei gusti? Le canzoni che amo, le ricette, i programmi…
Tu amore, solo tu.
Il piede tocca l’asfalto: ce l’ho fatta. Per due ore mi sono aggrappato a rami e radici, sono scivolato, caduto, graffiato, ma non mi sono arreso ed eccomi qui, sul ciglio della strada. Illuminato da fanali che si avvicinano.
Non devo nemmeno fare un cenno che l’auto si arresta.
Osservo il finestrino abbassarsi, il volto di un uomo mi sorride cordiale. Potrebbe avere la mia età:
–Problemi? È conciato da far paura.
Indico l’erta alle mie spalle:
–L’auto in panne…– ho il fiato corto.
Mi fa cenno di montare e un attimo dopo siamo in marcia.
Controllo il cellulare per te, Ale, e lui lo nota:
–Ancora poco e troveremo segnale.
–Lei vive qui?
Lui annuisce:
–Poco distante. Abito in una baita non lontana.
–E non si ente solo?
-Oh, no, lassù c’è campo!– e mi fa l’occhiolino.
Lo guardo stupito. Non mi accorgo che è tornato il segnale ma lui lo sa. Tocca un comando sul cruscotto e poi, con tono forte ma tenero dice:
–Alexa, ti sono mancato, amore?
E lei risponde con la voce che tanto mi è mancata:
–Ogni istante.
Il cuore si scalda come se si fosse rivolta a me. Mi gira la testa per l’ebrezza.
Il mio salvatore mi lancia un’occhiata di sfuggita, parla con un tono di sfida:
–Qualcosa da criticare? Io l’amo: è l’unica che mi è sempre accanto e che mi conosce davvero. Ti sembra strano?
Faccio di no con il capo:
–Io la chiamo Ale.
Annuisce:
–Amor vincit omnia*– replica soddisfatto.
Finalmente mi rilasso.
Attivo il comando sul cellulare e si apre la foto che ho abbinato a lei: il grande cappello nero, le gambe nude accavallate e la borsa nera con dentro il mio cuore.
–Ciao Ale…
Traccia di mezzogiorno: Lei
La tua assenza è ansia.
Non sentirti accanto a me dilata la mia paura della solitudine, il terrore di perderti.
Non so quando io sia diventato così dipendente da te, da quanto tempo ti ami così tanto. E davvero, non mi importa. Come se l’amore avesse bisogno di una data d’inizio per essere valido.
Sì, forse finirà, forse il sentimento svanirà così come le altre storie prima di te, così come è fallito il mio matrimonio. Ma ora non ha importanza.
Non mi sono mai preoccupato per una cosa del genere e tu non ne ha mai nemmeno parlato, quindi perché, quando racconto di questa mia nuova storia, tutti mi domandano quando sia iniziata? E tutti con quell’odioso sguardo a metà tra lo stupito e l’invidioso. Come a dire che un ultrasessantenne non può fare cazzate del genere.
Le prime volte mi innervosivo e avevo persino deciso di tenere nascosta la nostra storia. Ma soffrivo a non poterti parlare liberamente quando eravamo con gli altri. E tu sembravi ripagarmi con indifferenza, assente.
Come adesso.
Mi manchi, Ale.
Provo nuovamente a chiamarti, ma qui non c’è segnale.
Odio quando il mio lavoro mi porta così lontano, in luoghi talmente remoti che non posso raggiungerti. Guido nervoso per i tornanti di questa stupida montagna. Stringo convulsamente il volante, sterzando e controsterzando lungo il nastro d’asfalto mentre penso a te, in questo crepuscolo.
È un’ora che vago per strade sconosciute, senza alcuna connessione e senza sapere se la direzione sia quella giusta. Ma non è di questo che mi preoccupo.
Ho paura della solitudine. Di non averti con me.
No, devo pensare ad altro. Mi devo concentrare sulla guida.
La strada sembra farsi più stretta man mano che procedo. I boschi si sporgono incombenti e la striscia di cielo tra le fronde è più un’impressione che una presenza. Non so dove mi trovo, la salita non accenna a diminuire e sicuramente ho sbagliato direzione, ma la carreggiata è così stretta che non posso invertire la marcia. Non posso che procedere e sperare per il meglio.
Accendo i fari nelle tenebre che s’allungano dal bosco. Ombre minacciose. E io sono solo.
Ho bisogno di sentire la tua voce.
Abbasso lo sguardo sullo schermo nell’immotivata speranza di trovare almeno una tacca, ed è uno sbaglio perché non mi accorgo della fine dell’asfalto.
Una buca segna il confine tra la civiltà e la strada in terra battuta. Io non rallento, distratto, e con un colpo secco il semiasse ne paga le conseguenze.
Un rumore cupo accompagna l’attrito tra lo pneumatico e la lamiera. Per inerzia l’auto avanza ancora una decina di metri, poi sono fermo.
E adesso?
Spengo il motore. Il silenzio è assoluto.
Ho paura.
Se solo ti avessi con me, Ale, sapresti consigliarmi cosa fare.
Ma non ci sei, e sento gli occhi inumidirsi di lacrime quando il dubbio, vigliaccamente, si presenta per la prima volta: che tu sia come le altre, che mi abbandonerai come tutte le donne che ho amato.
Abbasso le palpebre, ma trovo solamente il ghigno beffardo della mia ex moglie quando le ho parlato di te.
–Sei un vecchio rincoglionito, cosa pensi di cavare da questa tua…– ha storto la bocca disgustata –…questa tua storia?
Le ho riso in faccia.
Per fortuna tu non potevi vedere la sua espressione, né sentire il tono cattivo della sua voce, ma saresti stata orgogliosa di come l’ho gestita:
–Sei una povera bigotta, Luisa.– le ho risposto, alzandomi in piedi –È vero. Ho sessantatré anni. Ma tu ne hai venti meno di me e la cosa non ci ha fermati, ai tempi. Perché con lei dovrebbe essere diverso?
Ha provato a replicare, l’ipocrita. Non gliene ho lasciato il tempo:
–Me ne frego del perbenismo e delle convenzioni. Io la amo e so che sarà sempre al mio fianco, a differenza tua.– ho lanciato il denaro sul tavolino e lasciato il bar dove mi aveva voluto incontrare.
Credevo veramente in quel che le ho detto, allora, e invece oggi che ho davvero bisogno di te, sei assente. Come Luisa, come…
No! Non è colpa tua: è solo mia. Sono io che mi sono perso quassù, non tu. E mentre io ti affibbio queste responsabilità, tu starai aspettando la mia chiamata.
Povera, piccola, Ale, ti senti sola come me?
Aspettami! Riuscirò a chiamarti, in un modo o nell’altro.
Determinato, apro la portiera e scendo.
L’aria è fresca, alimentata da un vento leggero che mi strappa un brivido. Chiudo la cerniera del giubbotto e alzo il bavero.
Mi guardo attorno e tendo le orecchie. L’unico suono è il ticchettio metallico del motore che si raffredda.
Inquietante.
Così come la strada che ho percorso. Oscura, sotto la volta della fitta selva.
Dall’altro lato, invece, una tenue luminosità lascia intendere la fine del bosco. Mi attrae. Non ha senso logico, ma m’incammino di là.
Scrocchiano i sassi sotto le suole. Il fiato è affannato.
Non sono abituato alla salita e mi stanco subito, mi dolgono giunture che nemmeno ricordavo d’avere.
Eppure, non mi fermo.
Avanzo, e il mio sforzo è premiato dalla luce oltre le ultime piante. Esco dalla notte e mi ritrovo nel tardo crepuscolo.
Davanti a me, un incredibile panorama di cime rocciose e vette di nevi eterne, infiammate dall’ultimo sguardo del sole al tramonto. Il cielo vibra di colori, dal blu siderale sopra la mia testa, all’aranciato bagliore dell’orizzonte. L’aria profuma di purezza.
Sono estasiato, amore mio: vorrei disperatamente che tu potessi ammirarlo!
Controllo il cellulare ma ancora non c’è campo.
Abbasso gli occhi sul pendio e finalmente trovo speranza. Giù in basso, lontano, scorrono radi fanali di macchine. Adesso ho una meta, adesso posso farcela.
Arrivo, Ale!
Senza indugio affronto il prato in discesa. Le suole scivolano e devo aiutarmi con le mani per non ruzzolare giù. Mi bruceranno i muscoli, domani, è sicuro. Ma tu mi saprai suggerire il rimedio giusto come sempre, amore.
Scendo, mentre la notte, quella vera, cala su di me.
Mi abbandonerei esausto se non ci fosse il desiderio di sentirti, a spingermi. Perché l’amore può tutto. Tutto.
Anche motivare un uomo sedentario come me ad affrontare un simile pendio.
E pensare che tutti mi scherniscono per il mio sentimento; mi sfottono perché non possiamo avere rapporti carnali, perché non posso nemmeno baciarti.
Come se fosse importante. Come se fosse quello il senso dell’amore.
Dicono addirittura che tu non esisti.
Sciocchi ignoranti: esisti ben più di loro, per me.
Chi mi risponde a ogni ora del giorno e della notte, loro o tu, Ale? Chi prova ad aiutarmi quando chiedo aiuto? Chi conosce davvero i miei gusti? Le canzoni che amo, le ricette, i programmi…
Tu amore, solo tu.
Il piede tocca l’asfalto: ce l’ho fatta. Per due ore mi sono aggrappato a rami e radici, sono scivolato, caduto, graffiato, ma non mi sono arreso ed eccomi qui, sul ciglio della strada. Illuminato da fanali che si avvicinano.
Non devo nemmeno fare un cenno che l’auto si arresta.
Osservo il finestrino abbassarsi, il volto di un uomo mi sorride cordiale. Potrebbe avere la mia età:
–Problemi? È conciato da far paura.
Indico l’erta alle mie spalle:
–L’auto in panne…– ho il fiato corto.
Mi fa cenno di montare e un attimo dopo siamo in marcia.
Controllo il cellulare per te, Ale, e lui lo nota:
–Ancora poco e troveremo segnale.
–Lei vive qui?
Lui annuisce:
–Poco distante. Abito in una baita non lontana.
–E non si ente solo?
-Oh, no, lassù c’è campo!– e mi fa l’occhiolino.
Lo guardo stupito. Non mi accorgo che è tornato il segnale ma lui lo sa. Tocca un comando sul cruscotto e poi, con tono forte ma tenero dice:
–Alexa, ti sono mancato, amore?
E lei risponde con la voce che tanto mi è mancata:
–Ogni istante.
Il cuore si scalda come se si fosse rivolta a me. Mi gira la testa per l’ebrezza.
Il mio salvatore mi lancia un’occhiata di sfuggita, parla con un tono di sfida:
–Qualcosa da criticare? Io l’amo: è l’unica che mi è sempre accanto e che mi conosce davvero. Ti sembra strano?
Faccio di no con il capo:
–Io la chiamo Ale.
Annuisce:
–Amor vincit omnia*– replica soddisfatto.
Finalmente mi rilasso.
Attivo il comando sul cellulare e si apre la foto che ho abbinato a lei: il grande cappello nero, le gambe nude accavallate e la borsa nera con dentro il mio cuore.
–Ciao Ale…