[MI161] Il Capo
Posted: Mon Jan 24, 2022 12:52 am
LINK al mio commento
Traccia di mezzanotte: L’antipatico
Merda, suona il telefono (confesso d’essere al lavoro, mentre scrivo): è il mio Capo. Mi vuole nel suo ufficio.
M’alzo e prendo l’ascensore per salire all’ultimo piano.
Sono nel suo antro. È un guscio di pareti di vetro satinato: in alcuni punti persistono ancora gocce di sangue rinsecchito da precedenti riunioni.
(scherzo!)
Mi seggo di fronte a lui.
È come vedere il Signor Bonaventura in carne e ossa. Sapete, quel personaggio alto e allampanato con la blusa rossa e i calzoni bianchi? Quello con il nasone e la pelata tonda che alla fine di ogni striscia, senza alcun merito, guadagnava un milione? Ecco, è lui. Compreso il milione (fidatevi, per il mio ruolo vedo tutti gli stipendi) e con un ulteriore elemento peggiorativo: il mio capo è anche francese.
Ed è con la sua pronuncia scivolosa dall’italiano stentato che mi trafigge:
–Voglio cambiare quelque cosa- dice dal suo scranno, –Finalement metterò qualcun altro al tuo posto.
La mascella mi cade come quella dei cartoon d’una volta.
“Cosa cazzo dici, imbecille? Ma su che fottuto pianeta stai? Io ho moglie e figli da mantenere e tu mi fanculizzi così? Coglione!”
Vorrei rispondergli così, ma non lo faccio.
Invece, mi accade come nei film, quando lo spirito esce dal protagonista e segue la scena dall’esterno (ma forse è un cliché perché non riesco a ricordarne uno dove ciò accada).
Comunque sia, mi guardo incassare il montante (metaforico) del mio Capo e vedo il mio sangue schizzare accanto alle altre gocce rinsecchite (metaforico?).
Che devo dire? Che cosa penso?
Guardo me, poi guardo lui e penso… Dottor Strange! Ecco un film dove lo spirito esce e guarda da fuori!
Ok, ok, scusate: in realtà mi chiedo come faccia a guardarsi nello specchio la mattina, mi domando se non si vergogna di sé e penso un sacco di altre cose cattive.
Ma soprattutto, decido che con uno del genere non voglio avere più nulla a che fare:
–Cosa mi offri?– chiedo.
Lui sorride di quel sorriso borioso, no: superiore, del Capo che viene da un Paese civile per mettere al loro posto les italiennes maffiossi e sembra fare un piccolo peto con la bocca (l’intercalare d’oltralpe che corrisponde alla nostra alzata di spalle) prima di snobbarmi con un:
–Ci penserò. Vedremo. Adesso non ho tempo, puoi andare a casa, pour aujourd’hui.
Mi congeda con un gesto della mano degno del Re Sole.
A casa, mia moglie reagisce alla notizia serrando la mascella e incenerendomi con lo sguardo.
Ho di nuovo la sensazione di vedermi da fuori (alla dottor Strange, per capirci), ma lei artiglia il mio karma, o quel che è, e lo rificca dentro al corpo:
–Coglione!
Sì, lei lo dice davvero…
Comunque: la figlia grande (17) chiede garanzie sulla stabilità della paga settimanale mentre il maschio (12) schiva una mitragliata a Fortnite.
Il cane non c’è (nel senso che non lo abbiamo proprio).
Passa un mese d’inferno.
In ufficio piango nascosto negli angoli. Soffro e fingo che nulla sia (commozione, please…).
Poi finisce anche l’ultimo giorno e me ne vado frastornato.
Ho bisogno della famiglia, dell’amore dei miei cari.
Così guido come un pazzo verso casa, brucio tutti i semafori e finalmente…
Trovo la casa semi vuota.
Ladri? penso. Ci mancano solo i ladri.
–Amore?– chiamo mia moglie.
Lei si affaccia dalle scale, porta una grossa valigia. La guardo confuso, a bocca aperta:
–Ma cosa…– riesco a dire.
–Io vado da lui– spiega, mentre mi passa accanto senza nemmeno rallentare.
–E chi cazzo è lui?
Si ferma sulla soglia, alza una sopracciglia:
–Il tuo ex Capo. Sto con lui da sei mesi, co…
Mi risparmia l’epiteto finale.
–Ma, e i ragazzi?
–Tienili tu…– e si sbatte la porta alle spalle.
Vago inebetito per casa per almeno una settimana.
I figli sono dispersi, il cane è sempre assente (non avendolo…) e arrivano una multa per eccesso di velocità e due per aver bruciato i semafori (c’erano telecamere che mi hanno ripreso mentre appiccavo il fuoco…).
Sì, la vita scorre intorno a me, ma davanti agli occhi ho sempre e solo il Signor Bonaventura che ride mentre mi sventola in faccia il suo milione, con mia moglie impegnata tra le sue gambe.
–Porca troia!– urlo infine.
E incazzato nero, giuro che avrò vendetta.
Dalla classica scatola di latta sotto il letto (diamine, chi non ne tiene una là sotto?) estraggo il vecchio revolver di mio nonno. Residuo della Seconda guerra mondiale.
Lui si rammaricava sempre di non aver sparato un solo colpo: carico l’arma.
Sarò io a farlo per te, nonno!
(Immaginate musica enfatica. Luce dal fondo e io che mi staglio inquadrato dal basso… fatto? Ok, andiamo avanti)
Sono appostato nell’androne di casa del mio ex Capo, onnipotente e tappabuchi in mia vece.
L’arma saldamente in pugno. Il mento maschio e volitivo.
È già calato il crepuscolo, quando l’inconfondibile ombra bonaventuriana del mio bersaglio si proietta sul pavimento, si avvicina a me.
Balzo fuori dall’angolo e, spianata la pistola, gli grido:
–Muori!
Sono rapido per non lasciargli tempo di reagire.
E funzionerebbe, se non avessi scordato un dettaglio: lui è stato in Legione Straniera, o Parà (incredibile come la realtà superi la fantasia) e quel che conta è la scena successiva:
Lui, in completo grigio, camicia rosa e cravatta gialla a pois rossi (ehi, che volete farci, è francese!) che mi punta contro l’arma rubatami (non ho neanche capito come).
Io, infradito, bermuda e maglietta Emergency, a terra che me la faccio sotto.
–Coglione!
Sì, anche lui come mia moglie (ex) lo dice davvero, poi spara.
Tira il grilletto e mi centra il cuore.
E io muoio.
Ma felice, perché capisco la ragione per cui il nonno ha campato sino a 112 anni: non ha mai usato il revolver!
Cosa intendo?
Beh, che l’arma esplode nelle mani del Capo e il cane viene scagliato verso di lui. Dentro di lui, in realtà: diritto in mezzo ai suoi occhi!
Io muoio, sì, ma lui viene con me:
-Coglio…- provo a dire, spirando.
E trapasso; cado su una candida nuvola vaporosa.
Rimbalzo sofficemente allegro.
Tutt’intorno, tante altre nuvolette e una pioggia di defunti d’ogni sesso ed età.
C’è pure lui che rimbalza di culo sulla sua nube.
M’alzo e al bordo della nuvola vedo la cabina d’un ascensore. Ovvio che sia lì per me e quindi vi entro.
Nessun bottone, aspetto che le porte si chiudano e il contenitore si muova.
Picchietto con la punta del piede fischiettando nervoso finché, con un clangore inatteso, il moto comincia.
Santo cielo, avete idea della felicità che provo quando comincio a salire verso l’alto?
Cavoli, penso: Paradiso. Si sale ai piani alti, ragazzi!
Certo, uno ci spera sempre ma, perdio (si può dire qui, vero?), vi assicuro che gli istanti prima di muoversi sono da paura… ti viene una tale strizza!
Comunque, a me è andata bene e saltello di gioia! Continuo a ridere anche quando l’ascensore si ferma, quando ne esco e mi trovo davanti ai fottuti, meravigliosi cancelli del cielo.
C’è pure il caro vecchio Pietro dalla barba bianca, con tanto di chiave al collo.
–Buongiorno!– saluto allegro.
Mi sfrego le mani felice.
–E così sono in Paradiso, alla fine. Io qui e il mio Capo all’inferno per avermi assassinato! Per la miseria, questa sì che è una vendetta!
Eseguo pure il gesto dell’ombrello, mentre San Pietro mi sorride bonario.
–Vieni figliolo, voglio mostrati una cosa.
Mi cinge le spalle e m’accompagna fin sul bordo della gigantesca nuvola. Guardo l’indescrivibile panorama:
–Vedo, Pietro, l’infinita bellezza del creato…
–No figliolo, non quello, guarda qui– e mi mostra lo schermo di un tablet con scritti due numeri.
–Non capisco, cosa sono?
–Figliolo caro, vedi, questi sono gli estratti conto tuoi e del tuo ex capo. Il tuo è quello con tre zeri. Il suo invece…
–Otto zeri…– dico io.
–Appunto, figliolo mio. Senza rancore, ma dovendo scegliere… sai, con tutte le spese che ci sono…
E mentre lo dice, mi spinge oltre il bordo, giù dalla nuvola, facendomi precipitare verso l’Inferno.
–Mavvaffanculooooo– grido cadendo, e non è il peggio.
No, non lo è.
Perché mentre precipito, passa uno degli ascensori.
Ovviamente c’è dentro il mio ex Capo: va su al posto mio.
Anche lui mi vede e, sorridendo, muove le labbra.
–Coglione…– mima.
Io alzo le spalle.
Precipito.
Traccia di mezzanotte: L’antipatico
Merda, suona il telefono (confesso d’essere al lavoro, mentre scrivo): è il mio Capo. Mi vuole nel suo ufficio.
M’alzo e prendo l’ascensore per salire all’ultimo piano.
Sono nel suo antro. È un guscio di pareti di vetro satinato: in alcuni punti persistono ancora gocce di sangue rinsecchito da precedenti riunioni.
(scherzo!)
Mi seggo di fronte a lui.
È come vedere il Signor Bonaventura in carne e ossa. Sapete, quel personaggio alto e allampanato con la blusa rossa e i calzoni bianchi? Quello con il nasone e la pelata tonda che alla fine di ogni striscia, senza alcun merito, guadagnava un milione? Ecco, è lui. Compreso il milione (fidatevi, per il mio ruolo vedo tutti gli stipendi) e con un ulteriore elemento peggiorativo: il mio capo è anche francese.
Ed è con la sua pronuncia scivolosa dall’italiano stentato che mi trafigge:
–Voglio cambiare quelque cosa- dice dal suo scranno, –Finalement metterò qualcun altro al tuo posto.
La mascella mi cade come quella dei cartoon d’una volta.
“Cosa cazzo dici, imbecille? Ma su che fottuto pianeta stai? Io ho moglie e figli da mantenere e tu mi fanculizzi così? Coglione!”
Vorrei rispondergli così, ma non lo faccio.
Invece, mi accade come nei film, quando lo spirito esce dal protagonista e segue la scena dall’esterno (ma forse è un cliché perché non riesco a ricordarne uno dove ciò accada).
Comunque sia, mi guardo incassare il montante (metaforico) del mio Capo e vedo il mio sangue schizzare accanto alle altre gocce rinsecchite (metaforico?).
Che devo dire? Che cosa penso?
Guardo me, poi guardo lui e penso… Dottor Strange! Ecco un film dove lo spirito esce e guarda da fuori!
Ok, ok, scusate: in realtà mi chiedo come faccia a guardarsi nello specchio la mattina, mi domando se non si vergogna di sé e penso un sacco di altre cose cattive.
Ma soprattutto, decido che con uno del genere non voglio avere più nulla a che fare:
–Cosa mi offri?– chiedo.
Lui sorride di quel sorriso borioso, no: superiore, del Capo che viene da un Paese civile per mettere al loro posto les italiennes maffiossi e sembra fare un piccolo peto con la bocca (l’intercalare d’oltralpe che corrisponde alla nostra alzata di spalle) prima di snobbarmi con un:
–Ci penserò. Vedremo. Adesso non ho tempo, puoi andare a casa, pour aujourd’hui.
Mi congeda con un gesto della mano degno del Re Sole.
A casa, mia moglie reagisce alla notizia serrando la mascella e incenerendomi con lo sguardo.
Ho di nuovo la sensazione di vedermi da fuori (alla dottor Strange, per capirci), ma lei artiglia il mio karma, o quel che è, e lo rificca dentro al corpo:
–Coglione!
Sì, lei lo dice davvero…
Comunque: la figlia grande (17) chiede garanzie sulla stabilità della paga settimanale mentre il maschio (12) schiva una mitragliata a Fortnite.
Il cane non c’è (nel senso che non lo abbiamo proprio).
Passa un mese d’inferno.
In ufficio piango nascosto negli angoli. Soffro e fingo che nulla sia (commozione, please…).
Poi finisce anche l’ultimo giorno e me ne vado frastornato.
Ho bisogno della famiglia, dell’amore dei miei cari.
Così guido come un pazzo verso casa, brucio tutti i semafori e finalmente…
Trovo la casa semi vuota.
Ladri? penso. Ci mancano solo i ladri.
–Amore?– chiamo mia moglie.
Lei si affaccia dalle scale, porta una grossa valigia. La guardo confuso, a bocca aperta:
–Ma cosa…– riesco a dire.
–Io vado da lui– spiega, mentre mi passa accanto senza nemmeno rallentare.
–E chi cazzo è lui?
Si ferma sulla soglia, alza una sopracciglia:
–Il tuo ex Capo. Sto con lui da sei mesi, co…
Mi risparmia l’epiteto finale.
–Ma, e i ragazzi?
–Tienili tu…– e si sbatte la porta alle spalle.
Vago inebetito per casa per almeno una settimana.
I figli sono dispersi, il cane è sempre assente (non avendolo…) e arrivano una multa per eccesso di velocità e due per aver bruciato i semafori (c’erano telecamere che mi hanno ripreso mentre appiccavo il fuoco…).
Sì, la vita scorre intorno a me, ma davanti agli occhi ho sempre e solo il Signor Bonaventura che ride mentre mi sventola in faccia il suo milione, con mia moglie impegnata tra le sue gambe.
–Porca troia!– urlo infine.
E incazzato nero, giuro che avrò vendetta.
Dalla classica scatola di latta sotto il letto (diamine, chi non ne tiene una là sotto?) estraggo il vecchio revolver di mio nonno. Residuo della Seconda guerra mondiale.
Lui si rammaricava sempre di non aver sparato un solo colpo: carico l’arma.
Sarò io a farlo per te, nonno!
(Immaginate musica enfatica. Luce dal fondo e io che mi staglio inquadrato dal basso… fatto? Ok, andiamo avanti)
Sono appostato nell’androne di casa del mio ex Capo, onnipotente e tappabuchi in mia vece.
L’arma saldamente in pugno. Il mento maschio e volitivo.
È già calato il crepuscolo, quando l’inconfondibile ombra bonaventuriana del mio bersaglio si proietta sul pavimento, si avvicina a me.
Balzo fuori dall’angolo e, spianata la pistola, gli grido:
–Muori!
Sono rapido per non lasciargli tempo di reagire.
E funzionerebbe, se non avessi scordato un dettaglio: lui è stato in Legione Straniera, o Parà (incredibile come la realtà superi la fantasia) e quel che conta è la scena successiva:
Lui, in completo grigio, camicia rosa e cravatta gialla a pois rossi (ehi, che volete farci, è francese!) che mi punta contro l’arma rubatami (non ho neanche capito come).
Io, infradito, bermuda e maglietta Emergency, a terra che me la faccio sotto.
–Coglione!
Sì, anche lui come mia moglie (ex) lo dice davvero, poi spara.
Tira il grilletto e mi centra il cuore.
E io muoio.
Ma felice, perché capisco la ragione per cui il nonno ha campato sino a 112 anni: non ha mai usato il revolver!
Cosa intendo?
Beh, che l’arma esplode nelle mani del Capo e il cane viene scagliato verso di lui. Dentro di lui, in realtà: diritto in mezzo ai suoi occhi!
Io muoio, sì, ma lui viene con me:
-Coglio…- provo a dire, spirando.
E trapasso; cado su una candida nuvola vaporosa.
Rimbalzo sofficemente allegro.
Tutt’intorno, tante altre nuvolette e una pioggia di defunti d’ogni sesso ed età.
C’è pure lui che rimbalza di culo sulla sua nube.
M’alzo e al bordo della nuvola vedo la cabina d’un ascensore. Ovvio che sia lì per me e quindi vi entro.
Nessun bottone, aspetto che le porte si chiudano e il contenitore si muova.
Picchietto con la punta del piede fischiettando nervoso finché, con un clangore inatteso, il moto comincia.
Santo cielo, avete idea della felicità che provo quando comincio a salire verso l’alto?
Cavoli, penso: Paradiso. Si sale ai piani alti, ragazzi!
Certo, uno ci spera sempre ma, perdio (si può dire qui, vero?), vi assicuro che gli istanti prima di muoversi sono da paura… ti viene una tale strizza!
Comunque, a me è andata bene e saltello di gioia! Continuo a ridere anche quando l’ascensore si ferma, quando ne esco e mi trovo davanti ai fottuti, meravigliosi cancelli del cielo.
C’è pure il caro vecchio Pietro dalla barba bianca, con tanto di chiave al collo.
–Buongiorno!– saluto allegro.
Mi sfrego le mani felice.
–E così sono in Paradiso, alla fine. Io qui e il mio Capo all’inferno per avermi assassinato! Per la miseria, questa sì che è una vendetta!
Eseguo pure il gesto dell’ombrello, mentre San Pietro mi sorride bonario.
–Vieni figliolo, voglio mostrati una cosa.
Mi cinge le spalle e m’accompagna fin sul bordo della gigantesca nuvola. Guardo l’indescrivibile panorama:
–Vedo, Pietro, l’infinita bellezza del creato…
–No figliolo, non quello, guarda qui– e mi mostra lo schermo di un tablet con scritti due numeri.
–Non capisco, cosa sono?
–Figliolo caro, vedi, questi sono gli estratti conto tuoi e del tuo ex capo. Il tuo è quello con tre zeri. Il suo invece…
–Otto zeri…– dico io.
–Appunto, figliolo mio. Senza rancore, ma dovendo scegliere… sai, con tutte le spese che ci sono…
E mentre lo dice, mi spinge oltre il bordo, giù dalla nuvola, facendomi precipitare verso l’Inferno.
–Mavvaffanculooooo– grido cadendo, e non è il peggio.
No, non lo è.
Perché mentre precipito, passa uno degli ascensori.
Ovviamente c’è dentro il mio ex Capo: va su al posto mio.
Anche lui mi vede e, sorridendo, muove le labbra.
–Coglione…– mima.
Io alzo le spalle.
Precipito.