[MI 161] Il pranzo
Posted: Sun Jan 23, 2022 8:33 pm
Traccia di mezzanotte: L'antipatico
Il pranzo
Il pugno sbattuto sul tavolo faceva tintinnare i piatti fondi su quelli piani. L'acqua nei bicchieri di noi bambini e il vino dei grandi vibravano, come per effetto di una lieve scossa di terremoto.
- Lo sapevo! Come al solito! La minestra è fredda.
La lamentela era la stessa di sempre. O meglio era una delle varianti in tema di minestra. Nonno Turi si lagnava se la minestra era tiepida e se era bollente. Quando nonna riusciva a servirla alla temperatura giusta grazie a sapienti acrobazie ai fornelli, si lagnava comunque. Troppo liquida, troppo densa, con i pezzi di verdura troppo grossi, o troppo piccoli, per non parlare di quali tipi di verdura venivano scelti e con quali accostamenti. I broccoli con le carote non ci stanno, né le patate con i piselli, la zucca, poi, è un ortaggio solitario che al massimo si abbina alla cipolla. Quindi c'era la discussione sui tipi di pastina o sui crostini. Gli spaghetti spezzati, un orrore, il riso, un abominio. Bisogna dire che la zuppa si prestava bene alle lagnanze di nonno Turi, con le sue infinite varianti. Sembrava quasi che nonna Rosa lo facesse apposta a prepararla, ogni domenica, e se la ridesse sotto i baffi.
Dopo il primo era il turno del secondo, e qui si scatenava il repertorio di un'altra serie di proteste: il pane. "Il sacro pane" era un altro dei bersagli preferiti del nonno, o meglio una delle frecce con cui scoccava attacchi ai familiari. Il secondo round della messinscena - "la pantomima" o "l'operetta" secondo il lessico di nonna - prevedeva rimproveri rivolti soprattutto a nuore e generi su come il pane andasse tagliato, in caso di pagnotta, o spezzato, se si trattava di filoncino, e, soprattutto, sulla quantità a cui ogni membro della famiglia avesse diritto.
E qui si scatenava la fantasia di Turi con regole arzigogolate sulla quantità di crosta che toccava a ognuno, nonché sul fatto che ai membri di famiglia acquisiti e non di sangue, quindi mariti e mogli dei figli, non spettassero più fette che agli altri.
- Semmai di meno! - tuonava con la voce da baritono.
- Ma perché ci invita tutte le domeniche? - domandava poi Maria, la moglie dello zio Nino, alla nonna mentre l'aiutava a sparecchiare la tavola.
- Non farci caso, - era la risposta di nonna - can che abbaia non morde.
Eh, sì, perché guai a mancare all'appuntamento domenicale, la minaccia di venire diseredati era niente di fronte al broncio che avrebbe tenuto il nonno.
Il repertorio andava avanti con il formaggio fino alla frutta, con sorprendenti variazioni su come si taglia il pecorino o l'anguria.
E infine, il pezzo forte finale del pranzo: il caffè. Nonno Turi dava il meglio di sé con l'ultimo atto dell'operetta. Oltre alla critica alla temperatura e alla consistenza, troppo forte o troppo annacquato, la famiglia ascoltava la dissertazione sulla preparazione.
- La moka è un metodo da pelandroni, per non parlare di quelle macchinette infernali che imitano i bar. Il vero caffè si fa con la caffettiera napoletana.
Il nonno elencava le qualità organolettiche del caffè napoletano con un ardire che nessuno osava contraddirlo. Perché c'è solo un modo di fare le cose, ripeteva, quello giusto, ossia il suo.
La pantomima finiva con la scenetta dello zucchero e del latte. Il vero caffè è quello amaro ma nonno Turi concedeva volentieri l'uso di dolcificanti, probabilmente perché era occasione di rimbrotti. Chi osava mettere più di due cucchiaini di zucchero o troppo latte veniva redarguito. La nonna riempiva un piccolo bricco con il latte e se avanzava erano improperi, ma anche se non bastava e qualcuno rimaneva a secco, segno che qualche furbo ne aveva preso troppo.
Finito il pranzo, nonno Turi si alzava da tavola soddisfatto e andava a schiacciare un pisolino. Il nonno che russava era il segnale che la visita domenicale era finita. Meglio che ognuno se ne andasse a casa propria, ché i nipoti iniziavano a far chiasso e potevano svegliare il nonno.
E così passavano le domeniche, e le settimane e gli anni. Cambiavano le cose, persino i commensali, membri che si aggiungevano o che se ne andavano, come zio Nicola quando divorziò da zia Lucia, ma non cambiava la pantomima. O meglio, cambiava anche quella, modificandosi in mille variazioni, come la frutta di stagione, ma il copione era quello. Perché nonno Turi era il protagonista.
Come per tutti i grandi attori, quando venne il momento di lasciare le scene, il resto della troupe provò a far andare avanti lo spettacolo. Qualcuno tentò pure di sostituirsi a lui, in fondo anche i film di James Bond o di Superman hanno cambiato attore. Ma domenica dopo domenica la commedia perdeva il suo mordente e poco a poco la sua ragione d’essere.
Quando anche nonna Rosa abbandonò lo spettacolo venne meno del tutto lo spirito della pantomima e i pranzi domenicali da radi che erano diventati cessarono del tutto.
Ora sono diventato grande e mi sono sposato. Nessuno si lamenta della zuppa e ognuno taglia il pane come gli pare e pure il formaggio. Ma quando prendiamo il caffè, controllo quanto zucchero e latte ci mette mia moglie e se esagera, glielo faccio notare.
Anche un grande protagonista inizia con un ruolo di comparsa.
Il pranzo
Il pugno sbattuto sul tavolo faceva tintinnare i piatti fondi su quelli piani. L'acqua nei bicchieri di noi bambini e il vino dei grandi vibravano, come per effetto di una lieve scossa di terremoto.
- Lo sapevo! Come al solito! La minestra è fredda.
La lamentela era la stessa di sempre. O meglio era una delle varianti in tema di minestra. Nonno Turi si lagnava se la minestra era tiepida e se era bollente. Quando nonna riusciva a servirla alla temperatura giusta grazie a sapienti acrobazie ai fornelli, si lagnava comunque. Troppo liquida, troppo densa, con i pezzi di verdura troppo grossi, o troppo piccoli, per non parlare di quali tipi di verdura venivano scelti e con quali accostamenti. I broccoli con le carote non ci stanno, né le patate con i piselli, la zucca, poi, è un ortaggio solitario che al massimo si abbina alla cipolla. Quindi c'era la discussione sui tipi di pastina o sui crostini. Gli spaghetti spezzati, un orrore, il riso, un abominio. Bisogna dire che la zuppa si prestava bene alle lagnanze di nonno Turi, con le sue infinite varianti. Sembrava quasi che nonna Rosa lo facesse apposta a prepararla, ogni domenica, e se la ridesse sotto i baffi.
Dopo il primo era il turno del secondo, e qui si scatenava il repertorio di un'altra serie di proteste: il pane. "Il sacro pane" era un altro dei bersagli preferiti del nonno, o meglio una delle frecce con cui scoccava attacchi ai familiari. Il secondo round della messinscena - "la pantomima" o "l'operetta" secondo il lessico di nonna - prevedeva rimproveri rivolti soprattutto a nuore e generi su come il pane andasse tagliato, in caso di pagnotta, o spezzato, se si trattava di filoncino, e, soprattutto, sulla quantità a cui ogni membro della famiglia avesse diritto.
E qui si scatenava la fantasia di Turi con regole arzigogolate sulla quantità di crosta che toccava a ognuno, nonché sul fatto che ai membri di famiglia acquisiti e non di sangue, quindi mariti e mogli dei figli, non spettassero più fette che agli altri.
- Semmai di meno! - tuonava con la voce da baritono.
- Ma perché ci invita tutte le domeniche? - domandava poi Maria, la moglie dello zio Nino, alla nonna mentre l'aiutava a sparecchiare la tavola.
- Non farci caso, - era la risposta di nonna - can che abbaia non morde.
Eh, sì, perché guai a mancare all'appuntamento domenicale, la minaccia di venire diseredati era niente di fronte al broncio che avrebbe tenuto il nonno.
Il repertorio andava avanti con il formaggio fino alla frutta, con sorprendenti variazioni su come si taglia il pecorino o l'anguria.
E infine, il pezzo forte finale del pranzo: il caffè. Nonno Turi dava il meglio di sé con l'ultimo atto dell'operetta. Oltre alla critica alla temperatura e alla consistenza, troppo forte o troppo annacquato, la famiglia ascoltava la dissertazione sulla preparazione.
- La moka è un metodo da pelandroni, per non parlare di quelle macchinette infernali che imitano i bar. Il vero caffè si fa con la caffettiera napoletana.
Il nonno elencava le qualità organolettiche del caffè napoletano con un ardire che nessuno osava contraddirlo. Perché c'è solo un modo di fare le cose, ripeteva, quello giusto, ossia il suo.
La pantomima finiva con la scenetta dello zucchero e del latte. Il vero caffè è quello amaro ma nonno Turi concedeva volentieri l'uso di dolcificanti, probabilmente perché era occasione di rimbrotti. Chi osava mettere più di due cucchiaini di zucchero o troppo latte veniva redarguito. La nonna riempiva un piccolo bricco con il latte e se avanzava erano improperi, ma anche se non bastava e qualcuno rimaneva a secco, segno che qualche furbo ne aveva preso troppo.
Finito il pranzo, nonno Turi si alzava da tavola soddisfatto e andava a schiacciare un pisolino. Il nonno che russava era il segnale che la visita domenicale era finita. Meglio che ognuno se ne andasse a casa propria, ché i nipoti iniziavano a far chiasso e potevano svegliare il nonno.
E così passavano le domeniche, e le settimane e gli anni. Cambiavano le cose, persino i commensali, membri che si aggiungevano o che se ne andavano, come zio Nicola quando divorziò da zia Lucia, ma non cambiava la pantomima. O meglio, cambiava anche quella, modificandosi in mille variazioni, come la frutta di stagione, ma il copione era quello. Perché nonno Turi era il protagonista.
Come per tutti i grandi attori, quando venne il momento di lasciare le scene, il resto della troupe provò a far andare avanti lo spettacolo. Qualcuno tentò pure di sostituirsi a lui, in fondo anche i film di James Bond o di Superman hanno cambiato attore. Ma domenica dopo domenica la commedia perdeva il suo mordente e poco a poco la sua ragione d’essere.
Quando anche nonna Rosa abbandonò lo spettacolo venne meno del tutto lo spirito della pantomima e i pranzi domenicali da radi che erano diventati cessarono del tutto.
Ora sono diventato grande e mi sono sposato. Nessuno si lamenta della zuppa e ognuno taglia il pane come gli pare e pure il formaggio. Ma quando prendiamo il caffè, controllo quanto zucchero e latte ci mette mia moglie e se esagera, glielo faccio notare.
Anche un grande protagonista inizia con un ruolo di comparsa.