[MI 160 fuori concorso] Il picnic

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Traccia di mezzanotte: Blackout

Commento

Dopo il cancello d'ingresso bisognava percorrere un viale e poi svoltare a sinistra. Da lì era facile, bastava fare attenzione e seguire le frecce, disposte in modo apparentemente casuale.
«Sei sicuro che sia di qua?»
«Abbastanza. Ci sono stato qualche anno fa, in gita. Ecco, guarda là in basso, vedi?»
«Non vedo niente. Aspetta, uso l'accendino».
«Sei matto? Vuoi farci scoprire subito? Fidati, l'ho vista io».
I due ragazzi camminarono in silenzio per qualche secondo. Davanti a loro i profili degli alberi secolari formavano sagome indistinte e gonfie di misteri irrisolti. Poi, alla loro sinistra, un bisbiglio, rauco ma chiaro.
«Parola d'ordine?»
«Paul Stanley non sa cantare».
Qualche attimo di silenzio, poi il brillare di una fiammella.
«Da questa parte».
I ragazzi seguirono la voce. Da anni la tomba di Jim Morrison era stata circondata da una ragnatela di transenne metalliche, contro gli assalti dei vandali o dei fan troppo appassionati. Nelle ultime due settimane, però, era successo di tutto e nessuno aveva più pensato a inezie come l'ordine di quelle transenne. Il loro interlocutore li aspettava seduto sul bordo della tomba. Era talmente grosso che, nonostante fosse seduto, sembrava stesse in piedi. I ragazzi videro la fiamma di un accendino, una sagoma scura e una serie di luccichii metallici. Probabilmente aveva diversi anelli alle dita.
«Ciao ragazzi, io sono il Boyler» disse con una voce che cercava di mantenersi bassa, ma che sembrava abituata a esprimersi con un'intensità ben maggiore.
«Io sono Newton».
«Io Leehman».
«Prego, accomodatevi».
Il Boyler parlò come se si trovasse nel salotto di casa sua, invece che sulla tomba di un membro del Club dei 27.
«Niente nomi, mi raccomando. Se non ci si aiuta fra noi italiani, ci mancherebbe, ma niente nomi. Se succede qualcosa, io non vi conosco e voi non mi avete mai visto, intesi?»
«Certo».
«Chiaro».
«Perfetto. Allora, che cosa avete di buono?»
Leehman aveva con sé una borsa a tracolla. L'aprì e dispose il contenuto in ordine sul selciato.
«Metti qua, che fai? Tanto a Jim cosa vuoi che gliene importi?»
«Scusa».
«Figurati, lo dico per te. Aspettate un attimo».
Il Boyler fece scintillare un accendino. In breve, tre lumini rossi rischiaravano l'ambiente in modo adeguato.
«Ecco, adesso ci vediamo in faccia e non corriamo pericoli. Mamma mia, che faccini avete! Dai, su, che stiamo un po' qua e poi iniziamo a pensare a come tornare a casa. Io sono di Monte San Pietro, vicino Bologna, voi?»
«Noi siamo di Cesenatico» disse Newton. Leehman nel frattempo tirava fuori dalla borsa una confezione da venti di crackers salati, una di biscotti Bucaneve e quattro Buondì un po' schiacciati.
«Ottimo, allora possiamo fare tutta la strada insieme. Calzature? Sandali o scarpe chiuse?»
I due ragazzi sollevarono i piedi e mostrarono due paia di Nike quasi nuove.
«Bravi. Io ho ancora quattro lattine di tonno, del pane da toast, e soprattutto ho la birra. È calda, per forza, ma... E ditemi, cosa facevate qui? Vacanze?»
«No, siamo in Erasmus. Eravamo arrivati da due giorni, non avevamo neanche imparato quale linea di metropolitana dovevamo prendere per andare all'università, quando...»
Newton e Leehman ripensarono alle ultime due settimane. Stavano camminando lungo un marciapiedi di Montmartre, quando l'insegna del Moulin Rouge davanti a loro si era spenta all'improvviso. Seguita, subito dopo, dal resto delle insegne di Pigalle e da tutte le luci delle case attorno.
All'inizio avevano riso. La città della luce senza luce era un bel paradosso. Poi la madre di Leehman, apprensiva come poche, gli aveva telefonato urlando che a Cesenatico era andata via la luce in tutta la città, grattacielo compreso. La ragazza di Newton, che abitava a Lido delle Nazioni, gli aveva telefonato dicendo la stessa cosa. E le luci non si erano più accese. Internet non si era più riattivato, così come le televisioni e i computer. Rientrando allo studentato, e la camminata non era durata poco, Newton e Leehman avevano visto zone illuminate a sprazzi, piccole chiazze isolate in un buio desolante e rumoroso. Poi avevano capito che si trattava dei generatori di emergenza degli ospedali.
I primi giorni, solo smarrimento. Con quel poco di francese che masticavano, avevano capito dai compagni di studentato che il blackout aveva invaso tutto il continente, una macchia d'inchiostro unica dall'Islanda a Lampedusa. Durante il giorno, complice l'estate, sembrava più o meno tutto come sempre. La notte succedeva di tutto. Girava voce che ronde di sudamericani avessero sfasciato la piramide del Louvre e bruciato centinaia di dipinti per fare luce e fuoco. Chissà se era vero. Le bancarelle di libri sulla Senna erano cadute ancora prima che il fiume si riempisse di frigoriferi traboccanti di carne andata a male. Resistevano intatte, e questo era paradossale, le vetrine di lusso del Faubourg Saint-Honoré e di Place Vendôme. I gioielli di Bulgari e Cartier non si mangiano.
Poi, quella mattina, Newton e Leehman si erano spinti dalle parti di Notre-Dame. Si raccontava in giro che la Chiesa francese avesse scorte ingenti di cibo, ma più che quello li spinse la volontà di chiedere aiuto a qualcuno per tornare a casa. Con qualsiasi mezzo; i proprietari di biciclette, monopattini e skateboard rischiavano di essere aggrediti a ogni incrocio, ma loro non osavano spingersi a tanto.
Forse qualcuno li sentì parlare dei passatelli in brodo di casa Leehman, fatto sta che si sentirono apostrofare.
«Italiani?»
«Sì?»
«Serve aiuto?»
«No... grazie, tutto a posto».
«Sì, certo. Sentite, se volete tornare in Italia, conosco chi vi può aiutare».
Lo sconosciuto aveva allungato un foglietto: “Cimitero Père Lachaise, tomba di Jim Morrison, chiedete del Boyler”, e la parola d'ordine.
«Allora, ragazzi, il piano è questo» disse il Boyler, mentre contemplavano le scorte di cibo. «Ci muoviamo di giorno per uscire dalla città, poi ci spostiamo sempre verso sud. Non parliamo a nessuno, facciamo finta di essere tedeschi, che per ora pare tengano botta. Voi sapete il tedesco?»
Newton e Leehman scossero la testa.
«Oh, ma siete proprio due formaggini, eh? Allora non parlate per niente. Io ho una vecchia guida della Francia, useremo quella. A Grenoble ho degli amici che ci potranno aiutare. Si tratta solo di arrivarci, ma stiamo attenti, non perdiamoci di vista neanche per andare in bagno e non fidiamoci di nessuno, chiaro?»
i ragazzi annuirono timidi.
«Bravi. Allora, adesso ci mangiamo un pacchetto di cracker a testa e poi ci riposiamo, così domani, appena fa luce, ci mettiamo in marcia. Chi fa il primo turno?»
«Turno?»
«Di guardia, formaggino. Credi che siamo al sicuro qua? Non sai che ci sono i Ceffi?»
«I... Ceffi?»
«I Ceffi della Bolognina. Sono in cinque, si sono accampati intorno alla tomba di Oscar Wilde. A loro non frega niente che siamo tutti italiani, quelli se vi beccano, prima vi fregano tutto il cibo, poi vi spezzano il collo e poi vi salutano. Quindi, turni di guardia. Io faccio quello centrale, da mezzanotte alle tre».
«Lo faccio io» disse Leehman.
«Bravo, stracchino. E buon appetito».
I tre scartarono un pacchetto di cracker ciascuno e masticarono piano. Temevano che anche i movimenti delle mascelle potessero far irrompere i Ceffi da dietro una sepoltura.
«Ma tu, come mai sei qui?»
«Io?» rispose il Boyler a bocca piena «Faccio il DJ. Ho fatto ballare mezza Italia e avevo venti serate in programma in un club di Belleville. Volete sentire qualcosa?»
«Come fai, scusa? Hai un generatore di emergenza anche tu? Usi le candele?»
«No, no, faccio tutto io. Conoscete gli Hardcore Superstar?»
«Mai sentiti».
«Peccato, potevate fare i cori. Allora vi faccio sentire We Don't Celebrate Sundays».
E, dopo avere finito di masticare, si mise a imitare il suono di una chitarra elettrica che ritmava su una base veloce. Con la mano destra teneva il tempo e ruotava la sinistra in cerchio, come se stesse manovrando la manopola di una console.
Era bello stare lì, a godersi quella parvenza di normalità.
Tanto la notte capirà: http://www.argentovivoedizioni.it/scheda.aspx?k=capira
"Anna, non fare come quelle band che mi parlano del loro secondo disco quando devono ancora pubblicare il primo!" (cit.)

Re: [MI 160 fuori concorso] Il picnic

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Ciao, questo racconto surreale rispetta la traccia circa l'oscurità ma non mi pare autoconclusivo. Mancano mille risposte, e risulta più come uno spaccato o un estratto. Le immagini ci sono, l'atmosfera si percepisce, ma risulta poco convincente. Il d.j. credo si palesi come un truffatore, infatti architettare una fuga del genere solo per loro due sarebbe assurdo. Eppure, mi mancano gli elementi concreti, o meglio mi ha sfiorato il sospetto ma non ne sono certa. La scrittura in sè e buona, è scorrevole e riesce a catturare. Ciò che mi ha lasciato perplessa è proprio la trama. Capisco che un contest ha tempi brevi e sono certa che sia questo il motivo che ha fatto zoppicare l'intreccio. 
Ciao e alla prossima

Re: [MI 160 fuori concorso] Il picnic

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@Adel J. Pellitteri ti assicuro che nelle mie intenzioni il Boyler è sincero e animato da buone intenzioni, ma capisco che possa sembrare ambiguo. 
Grazie mille per le considerazioni, che anzi mi hanno dato lo spunto per iniziare a pensare a quali avventure potrebbero avere i tre nel loro viaggio di ritorno. Ci penserò su, potrebbe essere divertente.  :)
Tanto la notte capirà: http://www.argentovivoedizioni.it/scheda.aspx?k=capira
"Anna, non fare come quelle band che mi parlano del loro secondo disco quando devono ancora pubblicare il primo!" (cit.)

Re: [MI 160 fuori concorso] Il picnic

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@pale star 

Ciao, ho letto il tuo interessante racconto. Parto da qualche considerazione di ordine generale, che spero ti possa essere utile. Di recente, rileggendo "L'isola del tesoro" di Stevenson, mi sono imbattuto in una critica di Henry James. Pur riconoscedo l'indubbio valore del testo, il grande autore statunitense rimproverava a Stevenson di aver scritto un romanzo basato unicamente sulla trama, e non sui personaggi. James sosteneva che un testo di narrativa, per essere considerato artisticamanete autonomo, deve soprattutto rappresentare la situazione psicologica dei protagonisti. Naturalmente sia James che Stevenson erano dei geni della lettartura, perciò a mio avviso, per noi "piccoli", è interessante studiare i loro diversi approcci, e vedere come entrambi portino a capolavori, per quanto molti diversi fra di loro. Se Stevenson si basava sempre su un'idea accattivante, come hai fatto tu, che poteva andar bene per grandi narrazioni popolari come quelle di Stephen King o di serie come "Lost," James era più un pittore che ricama attentamente una scena per farci vedere in profondità l'anima di una persona. A mio avviso, possiamo ispirarci a entrambi. Scusa se divago troppo...

Tutto ciò mi è venuto in mente ciò leggendo il tuo racconto: la trama è sicuramente accattivante, anche se forse poteva essere resa in modo leggermente più chiaro (io, anche se forse per limiti miei, ho dovuto leggerlo due volte per comprenderla del tutto). Però è un ottimo spunto, l'idea che ci sia un blackout generale in tutta Europa e vedere come i protagonisti si comportano. Dovendo fare un paragone fra i due estremi, quello di Stevenson dove la trama è fondamentale, e quello di James dove sono fondamentali i personaggi, il racconto si colloca sicuramente nel primo. In questo, a mio avviso, non c'è nulla di male: si può scrivere una storia soddisfacente anche senza approfondire troppo le psicologie dei personaggi, quando la trama è accattivante, e la tua lo è. Il problema però si presenta quando si arriva alla fine del racconto: più che un storia autoconclusiva, siamo di fronte a un primo capitolo, a un incipit. Forse potrebbe valer la pena di continuare per fare un racconto più lungo o, perché no, un piccolo romanzo. Insomma, si rimane a bocca asciutta perché non si sa come va a finire!

Fatta salva questa critica, devo dire che (perdonami se sono troppo generico) il racconto mi sembra ben scritto. Lo stile è nitido e realistico. E' vero che i personaggi sono funzionali alla trama, ma agiscono realisticamente e permettono il processo di identificazione. Inoltre, a mio avviso l'atmosfera è resa molto bene. Ho trovato interessante che i protagonisti siano dei giovani Erasmus, questo mi ha ricordato il classico horror movie americano che ha per protagonisti spauriti universitari. 

Infine, se già non li conosci, ti consiglio di usare come riferimenti il libro "Picnic sul ciglio della strada" dei fratelli Strugackij e il film (tratto dal libro) "Stalker" del regista Andrej Tarkvoskij. Mi sembra queste opere abbiano qualcosa in comune col tuo racconto. Potrebbero essere una buona ispirazione.

Insomma, il mio consiglio è di continuare con la storia per vedere cosa ne esce fuori, potrebbe valerne la pena.

Grazie per la lettura,
Domenico
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: [MI 160 fuori concorso] Il picnic

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@Domenico S. caspita, intanto complimenti a te per avere tirato in ballo nomi così altisonanti e riflessioni così costruttive... non conosco assolutamente il libro che mi hai citato, mentre di Tarkovskij ho visto Andrej Rublev, ma non Stalker. Annoto e spero di poter approfondire quanto prima.  :)
Che dire, anche i tuoi spunti sulla storia sono molto interessanti; a questo punto, visto che siete già in due che lo suggerite, il discorso prima o poi si potrebbe ampliare, anche solo per mio diletto e Ceffi della Bolognina permettendo. Vedremo. Intanto grazie ancora. 
Tanto la notte capirà: http://www.argentovivoedizioni.it/scheda.aspx?k=capira
"Anna, non fare come quelle band che mi parlano del loro secondo disco quando devono ancora pubblicare il primo!" (cit.)

Re: [MI 160 fuori concorso] Il picnic

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Domenico S. ha scritto: Di recente, rileggendo "L'isola del tesoro" di Stevenson, mi sono imbattuto in una critica di Henry James. Pur riconoscedo l'indubbio valore del testo, il grande autore statunitense rimproverava a Stevenson di aver scritto un romanzo basato unicamente sulla trama, e non sui personaggi. James sosteneva che un testo di narrativa, per essere considerato artisticamanete autonomo, deve soprattutto rappresentare la situazione psicologica dei protagonisti. Naturalmente sia James che Stevenson erano dei geni della lettartura, perciò a mio avviso, per noi "piccoli", è interessante studiare i loro diversi approcci, e vedere come entrambi portino a capolavori, per quanto molti diversi fra di loro. Se Stevenson si basava sempre su un'idea accattivante, come hai fatto tu, che poteva andar bene per grandi narrazioni popolari come quelle di Stephen King o di serie come "Lost," James era più un pittore che ricama attentamente una scena per farci vedere in profondità l'anima di una persona. A mio avviso, possiamo ispirarci a entrambi
Proprio in questi giorni discutevo con un amico di questo argomento, i suoi testi hanno molta trama e tante azioni, mentre io sostenevo che senza approfondimento psicologico dei personaggi ogni trama resta piatta. Bene, sappi che questo stralcio del tuo commento l'ho copiato e incollato per farlo leggere all'amico in questione. In pratica ci hai risolto un problema (anche se poi ce ne restano mille :lol:) grazie.

Re: [MI 160 fuori concorso] Il picnic

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@Adel J. Pellitteri Sono lieto di essere stato utile, anche se mi ero limitato a "scopiazzare" un concetto che avevo trovato nell'introduzione della mia edizione dell'Isola del tesoro . Se posso aggiungere un'osservazione personale alla discussione, devo dire che letto quel libro quando ero un adolescente, mi ero molto appassionato alle vicende del mozzo Jim Hawkins. Rileggendolo da adulto, ho notato che in effetti il personaggio non ha un grande spessore, non era come lo ricordavo. Essendo L'isola del tesoro rivolta soprattutto a un pubblico per ragazzi, Stevenson aveva sapientemente creato un ragazzo generico in cui tutto potevano identificarsi. Questa può essere forse la chiave di volta per scrivere una storia plot-driven ma che non risulti troppo piatta. Alla prossima.
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: [MI 160 fuori concorso] Il picnic

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ciao @pale star . Mi porto avanti con il commento dato che dovrò correre per riuscire a partecipare.. :D


La traccia che hai scelto è stata quella del blackout; anch'io ho fatto la stessa scelta.

Dopo il cancello d'ingresso bisognava percorrere un viale e poi svoltare a sinistra. Da lì era facile, bastava fare attenzione e seguire le frecce, disposte in modo apparentemente casuale.
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Direi che è un inizio che ti spinge immediatamente dentro la mischia. L'idea di questa prima scena nel bel mezzo della notte mi pare obbligatoria, dato che è il buio il protagonista. Il buio inteso come elemento che crea quella atmosfera di mistero e di precarietà necessaria al fine dell'ambientazione.
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«Sei sicuro che sia di qua?»
«Abbastanza. Ci sono stato qualche anno fa, in gita. Ecco, guarda là in basso, vedi?»
«Non vedo niente. Aspetta, uso l'accendino».
«Sei matto? Vuoi farci scoprire subito? Fidati, l'ho vista io».
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Qui si comincia a capire che ci sono due persone in fuga
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«Parola d'ordine?»
«Paul Stanley non sa cantare».
Qualche attimo di silenzio, poi il brillare di una fiammella.
«Da questa parte».
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i due hanno un appuntamento con una terza persona
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 Probabilmente aveva diversi anelli alle dita.
«Ciao ragazzi, io sono il Boyler» disse con una voce che cercava di mantenersi bassa, ma che sembrava abituata a esprimersi con un'intensità ben maggiore.
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data la sua enorme stazza, il nome in codice  di Boyler si addice...
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«Prego, accomodatevi».
Il Boyler parlò come se si trovasse nel salotto di casa sua, invece che sulla tomba di un membro del Club dei 27.
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questo in neretto mi pare troppo cordiale e non congeniale, considerato il gergo usato  tra giovani
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«Niente nomi, mi raccomando. Se non ci si aiuta fra noi italiani, ci mancherebbe, ma niente nomi. Se succede qualcosa, io non vi conosco e voi non mi avete mai visto, intesi?»
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la storia diviene misteriosa... cosa mai renderà necessario il segreto assoluto sulla loro identità?
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. Mamma mia, che faccini avete! Dai, su, che stiamo un po' qua e poi iniziamo a pensare a come tornare a casa. Io sono di Monte San Pietro, vicino Bologna, voi?»
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anche questo neretto non è in linea con un gergo giovanile e attuale: lui appare come un anziano metallaro, come un papà che è vissuto sopra una Harley e che ancora si porta appresso gli anni 70... eppure, gli anelli che porta al dito, parrebbe una indicazione alla sua età, che appare un mistero...
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Newton e Leehman ripensarono alle ultime due settimane. Stavano camminando lungo un marciapiedi di Montmartre, quando l'insegna del Moulin Rouge davanti a loro si era spenta all'improvviso. Seguita, subito dopo, dal resto delle insegne di Pigalle e da tutte le luci delle case attorno.
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I primi giorni, solo smarrimento. Con quel poco di francese che masticavano, avevano capito dai compagni di studentato che il blackout aveva invaso tutto il continente, una macchia d'inchiostro unica dall'Islanda a Lampedusa. Durante il giorno, complice l'estate, sembrava più o meno tutto come sempre. La notte succedeva di tutto. Girava voce che ronde di sudamericani avessero sfasciato la piramide del Louvre e bruciato centinaia di dipinti per fare luce e fuoco.
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 Chissà se era vero. Le bancarelle di libri sulla Senna erano cadute ancora prima che il fiume si riempisse di frigoriferi traboccanti di carne andata a male. Resistevano intatte, e questo era paradossale, le vetrine di lusso del Faubourg Saint-Honoré e di Place Vendôme. I gioielli di Bulgari e Cartier non si mangiano.
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Questi tre passi spiegano la situazione ma appaiono molto inverosimili. Una città come Parigi senza Polizia per le strade notturne, la Senna piena di frigoriferi pieni di carne andata male? ti sembra facile gettare un frigorifero con tutto quello che vi è dentro?  :P e poi ancora: gruppi di sudamericani che sfasciano tutto e lasciano indenni i negozi di lusso? non si capisce perché di questa impostazione, di questo taglio della sovversione, della sommossa che sta avvenendo. In genere, quando scoppia la rivolta, sono i negozi di lusso che vengono depredati, certo assieme ai negozi di alimentari. Ma da come elenchi gli avvenimenti qualcosa stride..
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«Oh, ma siete proprio due formaggini, eh? Allora non parlate per niente. Io ho una vecchia guida della Francia, useremo quella. A Grenoble ho degli amici che ci potranno aiutare. Si tratta solo di arrivarci, ma stiamo attenti, non perdiamoci di vista neanche per andare in bagno e non fidiamoci di nessuno, chiaro?»
i ragazzi annuirono timidi.
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idem,
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«Di guardia, formaggino. Credi che siamo al sicuro qua? Non sai che ci sono i Ceffi?»
«I... Ceffi?»
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a questo punto saltano in campo i misteriosi antagonisti....
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«I Ceffi della Bolognina. Sono in cinque, si sono accampati intorno alla tomba di Oscar Wilde. A loro non frega niente che siamo tutti italiani, quelli se vi beccano, prima vi fregano tutto il cibo, poi vi spezzano il collo e poi vi salutano.
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questa frase rivela una situazione più drammatica di quella che traspare all'inizio: adesso si rischia addirittura la vita.
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e lì, a godersi quella parvenza di normalità.
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questo finale appare improvviso e spezza la storia... insomma, come hanno già detto gli amici prima di me, la tua storia appare solo l'introduzione a qualcosa di molto più lungo che ha bisogno di essere svelato pian piano. Infatti mancano tanti riferimenti, come quelli politici che dovrebbero svelare il perché di quella situazione mondiale. Mancano altresì gli elementi per arrivare a capire come mai appena dopo qualche giorno di blackout si arrivi a una situazione così tragica e nefasta. Una città importante in mano a misteriose gang che agiscono la notte... anche la fuga dei ragazzi a piedi ha bisogno di essere spiegata. Evidente che tutti questi elementi rimasti ignoti, costituiscono il preludio ad una trama da svelare, come già detto, pian piano, in un lungo racconto.
ciao socia... :sss:
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI 160 fuori concorso] Il picnic

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Ciao socio @bestseller2020 ! Grazie per essere passato a commentare e in modo così dettagliato. Per quanto riguarda il fatto di non sapere cosa abbia portato a una situazione di pericolo e simil guerriglia urbana (oltre al limite dei caratteri che si possono utilizzare per un MI, che comunque  è un vincolo che spinge a condensare le proprie idee, e quindi è un vincolo positivo), ti dico semplicemente che secondo me nelle storie che scriviamo non c'è sempre bisogno di spiegare tutto per filo e per segno. Cioè, a me non sempre viene voglia di fare gli spiegoni, ma più che altro di scattare una specie di istantanea immaginaria di un'idea lampo che mi viene d'istinto, e che quindi non so spiegare sempre fino in fondo. Mi rendo conto che sia un modo di scrivere molto istintivo, e che quindi possa essere un mio limite. Comunque, se pensi a un grande libro del filone distopico come La stdada di Cormac Mc Carthy, anche lì manca la spiegazione delle cause che portano in quella situazione (con questo non voglio assolutamente paragonarmi a Mc Carthy, eh, sia chiaro). Capisco che a volte possa sembrare una soluzione di comodo o che possa lasciare l'amaro in bocca a qualche lettore; come dico, può essere visto come un limite o come una strada per spaziare in modo ulteriore con la propria fantasia.
Comunque, mi prendo l'impegno formale a proseguire in qualche modo e con i miei tempi super dilatati le vicende di Newton, Leehman e del Boyler.  :)
Tanto la notte capirà: http://www.argentovivoedizioni.it/scheda.aspx?k=capira
"Anna, non fare come quelle band che mi parlano del loro secondo disco quando devono ancora pubblicare il primo!" (cit.)
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