[CN2021/R] Tutta la verità
Posted: Sat Jan 08, 2022 11:39 pm
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Traccia n°4 - Scrivo da sola
Davide Moroni, primogenito della Meccaniche Moroni, non aveva seguito le orme del padre. Il successo l’aveva trovato in un altro settore, tanto che a trentacinque anni era il conduttore televisivo più ambito. Partecipare al suo programma Tutta la Verità faceva la differenza tra essere invisibili o non esserlo.
Bello, prestante, carismatico. Le donne sognavano il divano del set. E non solo per poggiarci il sedere. Anche farsi sbattere su quel velluto poteva fare la differenza.
«Brava. Ma puoi fare di meglio» diceva lasciando che lei gli richiudesse la lampo «Ci vuole impegno e dedizione. Tu hai queste qualità? Dimostramelo.»
Se te lo chiedeva, era fatta. Lo sapevano tutte. Anche sua moglie Viki, donna capace di portare le corna con un misto di eleganza e sollievo «Lo vuole fare continuamente» diceva «Anche dieci volte al giorno. Mi domando dove trovi tempo per il resto.»
Fu quel Natale, uno come tanti. In redazione brindisi e risate. Gli avevano regalato il solito dopobarba, a lui, che la barba la portava da anni. Più che uno scherzo, ormai una tradizione.
«Vado, ragazzi. Fate i bravi.» fece per avviarsi ‘Le chiavi!’ Tornò indietro. Aveva lasciato anche il pc acceso, chissà dove aveva la testa. Colpa di Adele. Ragazza capace, ottime potenzialità. Specie da dietro. Le chiavi sulla scrivania. Dal monitor l’avviso di una nuova mail. Questione di un attimo.
«Caro Davide…»
Ancora! Chiuse di scatto il pc. Quella mail lo perseguitava da giorni. La cestinava e riappariva.
Scherzo del cazzo. Oppure un mitomane. Oppure davvero lui: il killer di Natale. Balle. Avesse dato retta a tutti quelli che…
«Tesoro, tra dieci minuti sono a casa.»
Parcheggiò nel vialetto. Luci spente. E brava Viki, queste erano le sorprese che gli piacevano. Niente di meglio che una ripassata prima di cena. Genitori e suoceri avrebbero aspettato. A venti chilometri da lì, con l’aperitivo in mano, davanti all’albero. Poi, a tavola, avrebbe spiegato. Roba da maschi, sarebbe piaciuta.
«Tesoro, sono tornato».
Silenzio. Uno strano silenzio. E buio.
Cercò l’interruttore. Niente. Vallo a trovare un elettricista sotto le feste.
«Viki!»Avanzò a tentoni. Qualcosa di viscido sotto le scarpe.
Accese la torcia del cellulare. Per terra un tappeto di cocci. Le scarpe di Viki. E quella. Una scia scura che andava verso la scala della taverna. Il sangue di Viki!
Il cuore si fermò per un attimo. Poi prese a martellargli la testa.
«Caro Davide…»
No, non era uno scherzo.
Corse verso la scala.
Lo sentì con il collo del piede. Un cavetto sottile, teso da una parte all’altra. Cadde. Rotolò urlando mentre ogni gradino gli mordeva gambe, schiena e braccia. E alla fine rimase così. Senza fiato, ai piedi della scala.
Le note di Jingle Bells. Dal soffitto una sfera luminosa proiettava mille stelline mentre una vocetta metallica cantilenava: « Da terra puoi ancora sollevarti, ma quando vedi il firmamento sai che da lì dovrai allontanarti. Però fa' attenzione al movimento altrimenti sarai tu il prossimo regalo».
La filastrocca della mail! Quel pazzo stava giocando.
Le sue vittime, regali per lui. E adesso si era preso Viki! Chi era? Che voleva? Perché lo perseguitava? Qualcuno che gliel’aveva giurata, certo, ma chi? Una parata prese a sfilargli nella testa. Politici corrotti, troiette ambiziose, ricattati e ricattatori. Tutti erano passati dal suo studio. Tutti avevano avuto quello che cercavano.
Tutta la Verità. Milioni di telespettatori, sciacalli con la bava alla bocca che solo a conoscere la merda degli altri smettevano di sentire il fetore della propria.
Informazione. Giornalismo investigativo. Balle. Per dieci minuti di video si sarebbero venduti la madre.
E allora chi? Perché?
«Devo dire che sono rimasto un po' deluso dall'accoglienza che hai riservato ai miei regali degli ultimi Natali... Nemmeno ti sei accorto che la puttanella con i fuseaux rosa nella metro e l'assicuratore al capolinea del tram della linea cinque erano miei doni per te.»
Giocare, giocare, il killer voleva questo. E la posta in gioco? I pensieri gli turbinavano in testa come le stelline sul muro.
La puttanella con i fuseaux rosa nella metro, l'assicuratore al capolinea del tram. Una con la vagina intasata di bambole, l’altro con i testicoli tranciati da un catetere. Una aveva abbandonato il feto in un cassonetto, l’altro il padre disabile, da solo in casa, a morire di fame. Abbandonatori seriali. A suo modo, il killer aveva fatto giustizia.
Ma perché ce l’aveva con lui? La mail. La filastrocca. Gli stava dicendo qualcosa.
Cercò di alzarsi. Una lama di dolore gli strappò un grido. Guardò la sua gamba piegata come quella di un fenicottero. Frattura. Sangue sui calzoni Frattura esposta. Non ce l’avrebbe fatta manco a cannonate. Gli era andata bene. A cadere dalle scale la gente ci lascia la spina dorsale.
Le stelline che roteavano sul muro. Il dolore che gli toglieva il fiato. E quella vocetta che ripeteva la sua cantilena « Da terra puoi ancora sollevarti, ma quando vedi il firmamento …»
«Sta zitta, piantala!»
«Però fa' attenzione al movimento altrimenti …»
Strisciando sui gomiti riuscì a raggiungere un cassettone addossato al muro. Dolore. Dolore atroce. Si aggrappò, raccolse le forze e, con urlo che gli squarciò la gola, riuscì a tirarsi in piedi.
Fu in quel momento che la sentì.
«Davide!» la voce di Viki dietro la porta di ferro.
«Sono qui!»
Si trascinò cercando di non poggiare la gamba, che pesava come fosse di marmo, che gli spremeva lacrime e gemiti.
«Però fa' attenzione al movimento altrimenti …» gracchiava la vocetta.
«Zitta, sta zitta!»
Raggiunse la porta. Ci si buttò contro con tutto il peso, quella si aprì. E vide l’orrore.
Nello stesso momento, anche in commissariato era Natale. Lo si capiva dall’alberello in portineria. «Immagino la sua preoccupazione, dottor Moroni, ma non possiamo intervenire».
«Perché, cristo santo, perché?»
«È prematuro. Suo figlio…»
«Mio figlio doveva essere qui per le otto. Sono le undici e mezza e non risponde al cellulare. Posso essere preoccupato o no?»
«Certo, certo. Ma le ripeto…»
«Mio figlio è…»
«Lo so chi è. Ma le ripeto…»
«Preghi il cielo che non sia successo niente o si pentirà di essere nato!»
Oltre la porta di ferro, la struttura si stagliava nella penombra.
Un meccanismo faceva ruotare i personaggi di un gigantesco presepe. Pastori, artigiani e bottegai, a grandezza naturale, entravano e uscivano da nicchie laterali. Si fermavano un momento davanti alla stalla e riprendevano barcollando il loro girotondo.
Viki, legata a una sedia accanto al bambinello, lo fissava con gli occhi pieni di lacrime, mentre l’angelo con la stella cometa, ad ogni giro si abbassava un poco di più.
L’angelo. Grondava sangue. Inchiodato ai raggi acuminati della stella che affondavano nella carne. Ogni giro un poco di più.
L’angelo, con la sua stella mortale. Meno di un metro e avrebbe raggiunto Viki.
L’angelo, che fissava Davide «Sapevo che saresti venuto» gli disse con un filo di voce.
«Non mi hai dato scelta»
«L’hai avuta, invece. Ma l’hai sciupata.»
Ottanta centimetri. Viki fissava le punte atterrita.
«Perché mi stai facendo questo?» gridò Davide.
«Te l’ho scritto, è il mio regalo di Natale: una seconda possibilità.»
Settanta centimetri.
Viki. La casa, la carriera, il successo.
Sessanta centimetri.
E lui. Angelo. Inchiodato ai sogni che erano stati anche i suoi.
E che invece aveva abbandonato, tradito.
Angelo. L’amore della sua vita. Scoperti dal padre una sera d’estate e presi a cinghiate.
Scappati e ripresi. Catturati come bestie e rinchiusi. E allora via, lontano. Per cancellare tutto. Per dimenticare. E solo allora il perdono. Solo allora il permesso di ricominciare. E di mentire. Mentire sempre.
Angelo. Che invece non aveva dimenticato. Che quell’amore se l’era portato dentro e l’aveva custodito nel nido caldo della sua follia.
Che gli scriveva per Natale. Che si firmava Tuo per sempre.
Cinquanta centimetri.
Davide si lanciò in avanti. Una spallata, Viki rotolò a terra.
E lui restò lì, a braccia aperte.
A riprendersi tutta la verità.
Davide e Angelo. In mezzo una stella.
Traccia n°4 - Scrivo da sola
Davide Moroni, primogenito della Meccaniche Moroni, non aveva seguito le orme del padre. Il successo l’aveva trovato in un altro settore, tanto che a trentacinque anni era il conduttore televisivo più ambito. Partecipare al suo programma Tutta la Verità faceva la differenza tra essere invisibili o non esserlo.
Bello, prestante, carismatico. Le donne sognavano il divano del set. E non solo per poggiarci il sedere. Anche farsi sbattere su quel velluto poteva fare la differenza.
«Brava. Ma puoi fare di meglio» diceva lasciando che lei gli richiudesse la lampo «Ci vuole impegno e dedizione. Tu hai queste qualità? Dimostramelo.»
Se te lo chiedeva, era fatta. Lo sapevano tutte. Anche sua moglie Viki, donna capace di portare le corna con un misto di eleganza e sollievo «Lo vuole fare continuamente» diceva «Anche dieci volte al giorno. Mi domando dove trovi tempo per il resto.»
Fu quel Natale, uno come tanti. In redazione brindisi e risate. Gli avevano regalato il solito dopobarba, a lui, che la barba la portava da anni. Più che uno scherzo, ormai una tradizione.
«Vado, ragazzi. Fate i bravi.» fece per avviarsi ‘Le chiavi!’ Tornò indietro. Aveva lasciato anche il pc acceso, chissà dove aveva la testa. Colpa di Adele. Ragazza capace, ottime potenzialità. Specie da dietro. Le chiavi sulla scrivania. Dal monitor l’avviso di una nuova mail. Questione di un attimo.
«Caro Davide…»
Ancora! Chiuse di scatto il pc. Quella mail lo perseguitava da giorni. La cestinava e riappariva.
Scherzo del cazzo. Oppure un mitomane. Oppure davvero lui: il killer di Natale. Balle. Avesse dato retta a tutti quelli che…
«Tesoro, tra dieci minuti sono a casa.»
Parcheggiò nel vialetto. Luci spente. E brava Viki, queste erano le sorprese che gli piacevano. Niente di meglio che una ripassata prima di cena. Genitori e suoceri avrebbero aspettato. A venti chilometri da lì, con l’aperitivo in mano, davanti all’albero. Poi, a tavola, avrebbe spiegato. Roba da maschi, sarebbe piaciuta.
«Tesoro, sono tornato».
Silenzio. Uno strano silenzio. E buio.
Cercò l’interruttore. Niente. Vallo a trovare un elettricista sotto le feste.
«Viki!»Avanzò a tentoni. Qualcosa di viscido sotto le scarpe.
Accese la torcia del cellulare. Per terra un tappeto di cocci. Le scarpe di Viki. E quella. Una scia scura che andava verso la scala della taverna. Il sangue di Viki!
Il cuore si fermò per un attimo. Poi prese a martellargli la testa.
«Caro Davide…»
No, non era uno scherzo.
Corse verso la scala.
Lo sentì con il collo del piede. Un cavetto sottile, teso da una parte all’altra. Cadde. Rotolò urlando mentre ogni gradino gli mordeva gambe, schiena e braccia. E alla fine rimase così. Senza fiato, ai piedi della scala.
Le note di Jingle Bells. Dal soffitto una sfera luminosa proiettava mille stelline mentre una vocetta metallica cantilenava: « Da terra puoi ancora sollevarti, ma quando vedi il firmamento sai che da lì dovrai allontanarti. Però fa' attenzione al movimento altrimenti sarai tu il prossimo regalo».
La filastrocca della mail! Quel pazzo stava giocando.
Le sue vittime, regali per lui. E adesso si era preso Viki! Chi era? Che voleva? Perché lo perseguitava? Qualcuno che gliel’aveva giurata, certo, ma chi? Una parata prese a sfilargli nella testa. Politici corrotti, troiette ambiziose, ricattati e ricattatori. Tutti erano passati dal suo studio. Tutti avevano avuto quello che cercavano.
Tutta la Verità. Milioni di telespettatori, sciacalli con la bava alla bocca che solo a conoscere la merda degli altri smettevano di sentire il fetore della propria.
Informazione. Giornalismo investigativo. Balle. Per dieci minuti di video si sarebbero venduti la madre.
E allora chi? Perché?
«Devo dire che sono rimasto un po' deluso dall'accoglienza che hai riservato ai miei regali degli ultimi Natali... Nemmeno ti sei accorto che la puttanella con i fuseaux rosa nella metro e l'assicuratore al capolinea del tram della linea cinque erano miei doni per te.»
Giocare, giocare, il killer voleva questo. E la posta in gioco? I pensieri gli turbinavano in testa come le stelline sul muro.
La puttanella con i fuseaux rosa nella metro, l'assicuratore al capolinea del tram. Una con la vagina intasata di bambole, l’altro con i testicoli tranciati da un catetere. Una aveva abbandonato il feto in un cassonetto, l’altro il padre disabile, da solo in casa, a morire di fame. Abbandonatori seriali. A suo modo, il killer aveva fatto giustizia.
Ma perché ce l’aveva con lui? La mail. La filastrocca. Gli stava dicendo qualcosa.
Cercò di alzarsi. Una lama di dolore gli strappò un grido. Guardò la sua gamba piegata come quella di un fenicottero. Frattura. Sangue sui calzoni Frattura esposta. Non ce l’avrebbe fatta manco a cannonate. Gli era andata bene. A cadere dalle scale la gente ci lascia la spina dorsale.
Le stelline che roteavano sul muro. Il dolore che gli toglieva il fiato. E quella vocetta che ripeteva la sua cantilena « Da terra puoi ancora sollevarti, ma quando vedi il firmamento …»
«Sta zitta, piantala!»
«Però fa' attenzione al movimento altrimenti …»
Strisciando sui gomiti riuscì a raggiungere un cassettone addossato al muro. Dolore. Dolore atroce. Si aggrappò, raccolse le forze e, con urlo che gli squarciò la gola, riuscì a tirarsi in piedi.
Fu in quel momento che la sentì.
«Davide!» la voce di Viki dietro la porta di ferro.
«Sono qui!»
Si trascinò cercando di non poggiare la gamba, che pesava come fosse di marmo, che gli spremeva lacrime e gemiti.
«Però fa' attenzione al movimento altrimenti …» gracchiava la vocetta.
«Zitta, sta zitta!»
Raggiunse la porta. Ci si buttò contro con tutto il peso, quella si aprì. E vide l’orrore.
Nello stesso momento, anche in commissariato era Natale. Lo si capiva dall’alberello in portineria. «Immagino la sua preoccupazione, dottor Moroni, ma non possiamo intervenire».
«Perché, cristo santo, perché?»
«È prematuro. Suo figlio…»
«Mio figlio doveva essere qui per le otto. Sono le undici e mezza e non risponde al cellulare. Posso essere preoccupato o no?»
«Certo, certo. Ma le ripeto…»
«Mio figlio è…»
«Lo so chi è. Ma le ripeto…»
«Preghi il cielo che non sia successo niente o si pentirà di essere nato!»
Oltre la porta di ferro, la struttura si stagliava nella penombra.
Un meccanismo faceva ruotare i personaggi di un gigantesco presepe. Pastori, artigiani e bottegai, a grandezza naturale, entravano e uscivano da nicchie laterali. Si fermavano un momento davanti alla stalla e riprendevano barcollando il loro girotondo.
Viki, legata a una sedia accanto al bambinello, lo fissava con gli occhi pieni di lacrime, mentre l’angelo con la stella cometa, ad ogni giro si abbassava un poco di più.
L’angelo. Grondava sangue. Inchiodato ai raggi acuminati della stella che affondavano nella carne. Ogni giro un poco di più.
L’angelo, con la sua stella mortale. Meno di un metro e avrebbe raggiunto Viki.
L’angelo, che fissava Davide «Sapevo che saresti venuto» gli disse con un filo di voce.
«Non mi hai dato scelta»
«L’hai avuta, invece. Ma l’hai sciupata.»
Ottanta centimetri. Viki fissava le punte atterrita.
«Perché mi stai facendo questo?» gridò Davide.
«Te l’ho scritto, è il mio regalo di Natale: una seconda possibilità.»
Settanta centimetri.
Viki. La casa, la carriera, il successo.
Sessanta centimetri.
E lui. Angelo. Inchiodato ai sogni che erano stati anche i suoi.
E che invece aveva abbandonato, tradito.
Angelo. L’amore della sua vita. Scoperti dal padre una sera d’estate e presi a cinghiate.
Scappati e ripresi. Catturati come bestie e rinchiusi. E allora via, lontano. Per cancellare tutto. Per dimenticare. E solo allora il perdono. Solo allora il permesso di ricominciare. E di mentire. Mentire sempre.
Angelo. Che invece non aveva dimenticato. Che quell’amore se l’era portato dentro e l’aveva custodito nel nido caldo della sua follia.
Che gli scriveva per Natale. Che si firmava Tuo per sempre.
Cinquanta centimetri.
Davide si lanciò in avanti. Una spallata, Viki rotolò a terra.
E lui restò lì, a braccia aperte.
A riprendersi tutta la verità.
Davide e Angelo. In mezzo una stella.