La rosa invisibile

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Commento a "La poesia cura" di Irene

Buenos Aires, 1963. Joachim St.Thomas fu convocato nell’ufficio del responsabile del dipartimento di letterature comparate. Era quasi certo che si sarebbe preso un rimprovero perché, nella sua eterna indecisione, non aveva ancora presentato la proposta di ricerca per il dottorato.
«Lei è di madrelingua inglese, vero?» chiese invece il responsabile, dietro i pesanti occhiali neri.
«Mio padre è inglese.»
«Sì, ma il suo livello d’inglese è da madrelingua.»
«Sì.»
«Domani si presenti alla biblioteca nazionale di Buenos Aires. Ho un amico non vedente che ha bisogno della sua assistenza. Faccia il mio nome alla reception».
«Assistenza?»
«Le sto proponendo un lavoro. Lei vive ancora coi suoi genitori, vero?»
“Con la borsa di studio che mi passate…” stava per rispondere Joachim, ma si fermò.
«Un lavoretto per arrotondare non sarebbe male.»
«Bene. Vada.»
Prima di tornare a casa, si fermò alla biblioteca del dipartimento per prelevare un libro di poesie di Melville (noto ai più come autore di Moby Dick). Era quasi certo che avrebbe fatto la tesi su di lui.

Il grande viale alberato che conduceva alla biblioteca nazionale si stava spogliando delle sue foglie gialle, che volavano nel vento formando correnti gradevoli e leggiadre. Lì per lì non ci fece caso.
La receptionist della biblioteca lo mandò all’ultimo piano, ufficio in fondo. Joachim si chiedeva chi fosse quest’amico del capo del suo dipartimento in cerca d’assistenza. Bussò, ma non rispose. Si sedette fuori dall’ufficio col suo libro di poesie di Melville e cominciò a compulsarlo.
Un uomo alto, magro ed elegante uscì dall’ufficio. Si chiese se fosse la persona con cui doveva lavorare, ma era evidentemente dotato di vista, perché disse:
«Le poesie di Melville?»
«Per la mia tesi di dottorato.»
«Ne parli a Jorge, sarà contento di aiutarla. Non si spaventi, è la persona più civile che ci sia al mondo.»
Il ragazzo si chiese perché dovesse spaventarsi…
Nel suo ufficio, un uomo era seduto in penombra. Sulle gambe aveva un grosso libro giallo che sfogliava lentamente.
«Ormai lo faccio solo per abitudine» spiegò. «Sia gentile, prenda il libro nero che sta sulla sedia di fronte alla scrivania, si sieda, e cominci a leggere.»
«Va bene.»
Joachim prese il libro. Disse.
«Nella stanza non c’è luce.»
«No, certo. Apra la tenda.»
Joachim eseguì. Una bellissima veduta di Buenos Aires dall’ultimo piano del grande edificio.
Iniziò a leggere. Erano poesie di John Milton (un poeta cieco, noto ai più come autore di Paradiso perduto.)
Joachim andò avanti per circa un’ora e mezza. Quindi l’uomo gli disse di fermarsi e di prendere il magnetofono che era da qualche parte per la stanza e di porlo sulla scrivania. Cominciò a dettare degli appunti sulle poesie che Joachim aveva appena lette. Quando finì, l’uomo disse:
«Lei sta conseguendo il suo dottorato.»
«Sì.»
«Su cosa sta ricercando?»
«Le poesie di Melville. Credo.»
«Crede, o ne è sicuro?»
«Penso di sì.»
«Bene. Ora mi dica com’è il tempo fuori. Sia onesto. Bioy dice sempre che è terribile, ma non può essere terribile ogni giorno.»
«È una bellissima giornata d’autunno. È piacevole camminare nella brezza.»
«Lo sospettavo. Lei legge bene Milton. Può tornare domani?»
«Ne sarei onorato.»
«Perché?»
«Insomma, lei è…»
«Un umile poeta minore. Non si scomponga. Venga domani. Dirò alla mia segretaria di farle trovare del materiale su Melville.»
«Grazie.»
«Buona giornata» concluse seccamente l’uomo, e ricominciò a sfogliare il libro che aveva in grembo, quello che non poteva leggere perché, da qualche anno, era completamente cieco.

Isabella era molto piacevole da guardare. Un volto pieno, bei occhi lucenti, una fantastica corona di capelli neri tagliati corti. Ogni tanto pensava di farle delle avances, ma non voleva rovinare la sua amicizia. Era l’unica donna (fra quelle che conosceva) che avesse un profondo intendimento della letteratura.
«Com’è andata la giornata?»
«Sono stato alla biblioteca nazionale.»
«Nulla di nuovo.»
«Insomma. Sono stato ai piani alti.»
«Che intendi dire?»
«Intendo dire che sono stato dal direttore.»
La ragazza rise e cominciò a tempestarlo con pallottole di pane. Il cameriere servì loro baccalà fritto e polpette al sugo. Erano seduti al tavolo di un bistrot economico, per studenti.
«Vuoi dire che sei stato ricevuto dal direttore della biblioteca nazionale argentina?»
«Sì.»
«Vuoi dire, in altri termini, che sei stato ricevuto dal maggiore poeta argentino vivente?»
«Secondo alcuni. A mio parere…»
«Vuoi dire che… aspetta, non stai scherzando. Si vede quando menti. Sei stato veramente da Borges?»
Joachim spiegò all’amica tutta la situazione. Lei era di gran lunga una maggiore ammiratrice dell’opera del poeta argentino rispetto al suo amico. Il suo volto s’arrossò d’invidia. Chiese:
«Com’è?»
«Estremamente civile.»
«Ti odio. Stasera paghi tu il conto.»
«Beh, dal momento che ho un nuovo lavoro…»
Isabella ricominciò a colpirlo con una tempesta di molliche di pane.

Il giorno dopo, si presentò puntuale all’ufficio di Borges, alle dieci del mattino. Quel giorno Bioy (che non poteva non essere Bioy Casares, stretto collaboratore del poeta e, a sua volta, scrittore di fama) non c’era. Le tende erano aperte. Borges aveva già con sé il magnetofono.
«Si sieda. Ricominci da dove s’era interrotto ieri.»
«Certo.»
Quella volta, Borges lo fermò quasi subito.
«Sento una gran nuvola in tesa. Credo che dovrò comporre una poesia. Le spiace lasciarmi la mia privacy?»
«Certo.»
«Aspetti fuori.»
Joachim uscì dalla stanza, confuso. Rimase ad attendere per circa due ore, quindi Borges s’affacciò alla porta per richiamarlo. Si sedettero di nuovo uno di fronte all’altro.
«La mia segretaria ha il materiale su Melville di cui le parlavo ieri. L’ho selezionato personalmente.»
«Lei è gentile. So che il suo tempo è prezioso.»
«Lei leggi bene Milton, ma per ora ho concluso.»
«Capisco.»
«Buona giornata.»

Qualche mese dopo, erano in primavera, Joachim, mentre prendeva una scorciatoia per evitare il capo del suo dipartimento (non aveva ancora avanzato la sua proposta di tesi) sentì qualcosa inseguirlo e percuoterlo in testa con un libro.
«È uscito» disse Isabella, prendendolo sottobraccio.
«Non capisco.»
Gli mostrò L’altro, lo stesso. L’ultimo libro di poesie di Borges.
«Ti confesso che non è fra i miei preferiti.»
«Perché non hai gusto. Sediamoci a un bar, te ne leggo una.»
Una scusa per rinviare una visita al dipartimento. Perché no.
Ordinarono due caffè ai tavolini di ferro battuto.
Isabella, felice, sfogliò il libro e lesse:

«Una rosa a Milton.
Delle generazioni delle rose
che nel fondo del tempo si sono perdute
voglio che una si salvi dall’oblio,
una senza marchio o segno tra le cose
che furono. Il destino mi concede
questo dono di nominare per la prima volta
quel fiore silenzioso, l’ultima
rosa che Milton avvicinò al suo viso,
senza vederla. Oh tu, vermiglia e gialla
o bianca rosa di un giardino cancellato,
lascia magicamente il tuo passato
immemorabile e in questi versi brilla,
oro, sangue o avorio e tenebrosa
come nelle sue mani, invisibile rosa.*»

Isabella si fermò, rossa in viso, estasiata.
«Che pensi?» chiese a Joachim.
«Milton era cieco, come lui.»
«Sì.»
Si sentiva scosso. La cameriera arrivò coi caffè, ma lui ignorò il suo.
«Penso che descriva… l’ultima rosa che ha visto» concluse, semplicemente, mentre affiorava qualche lacrima. Pensava di non essere un sentimentale.

* Traduzione di Livia Bacchi Wilcock, in Poesie di Jorge Luis Borges, BUR.
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: La rosa invisibile

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Ciao, @@Domenico S., ho letto il tuo racconto. Provo a darti la mia opinione attingendo alle mie personali esperienze di autrice e editor.

Il racconto presenta diversi punti di forza: la caratterizzazione di Isabella (ottima l'idea della raffica di molliche di pane, che la rende ricordabile e unica), lo stile narrativo asciutto, i botta e risposta che sostengono la narrazione con un buon ritmo. Interessante la figura di Borges e forte l'emozionalità che trasmetti, nel finale, parlando della sua cecità in relazione alla poesia citata.

A questi pregi si accompagnano, a mio parere, alcuni aspetti di debolezza. I più evidenti sono tre: due strutturali, uno di tipo stilistico.

La prima e più pervasiva debolezza strutturale è quella connessa al tema. Ti pongo una domanda: di cosa parla la tua storia? Non mi sto riferendo alla vicenda, la trama la ho chiara. Ma di quale tematica parla?
Il titolo suggerisce un nesso con il tema della cecità, che ricorre anche nell'elemento di Milton, citato nel testo. In che modo, però, ciò si rispecchia nel protagonista? Qual è il suo conflitto minore, come viene aiutato da ciò che gli succede nella storia e qual è il suo arco di trasformazione? L'aver conosciuto Borges, l'aver letto per lui e leggere quella poesia nel finale come ha cambiato Joachim? L'impressione - questa è la seconda debolezza strutturale - è che rimanga lo stesso dall'inizio alla fine, il che non funziona, perché suggerisce implicitamente al lettore che la storia che hai scritto e l'esperienza vissuta dal protagonista non siano importanti. Se Joachim non avesse conosciuto o letto per Borges sarebbe rimasto comunque uguale a sé stesso. Nel testo si menziona una sua indecisione sulla tesi da presentare, ma è un problema non connesso al tema o alla spina dorsale della narrazione: infatti, lui resta indeciso fino alla fine, la storia non lo cambia.

Per risolvere la problematica penso tu debba focalizzare meglio il tema della cecità, una cecità che non ha impedito a Borges di scrivere la meravigliosa poesia che il protagonista legge nel finale insieme a Isabella. E se il tuo protagonista, fino a quel momento, avesse dimostrato una certa cecità per un aspetto della sua vita? La poesia finale potrebbe rappresentare un momento di epifania per Joachim, che solo in quell'istante potrebbe accorgersi di quanto prima fosse stato cieco.

Una volta centrati in modo più efficace il tema e l'evoluzione del protagonista, ti consiglierei anche di affrontare la debolezza stilistica di cui ti ho accennato prima: si tratta della famosa regola "mostra, non dire", che in alcuni punti del tuo racconto viene meno. Ti faccio qualche esempio citando dal testo.

"Il grande viale alberato che conduceva alla biblioteca nazionale si stava spogliando delle sue foglie gialle, che volavano nel vento formando correnti gradevoli e leggiadre. Lì per lì non ci fece caso."

Se il tuo personaggio non ci fa caso, chi è il narratore? Stai usando un narratore esterno oppure stai usando una terza persona soggettiva? Se il narratore è il tuo protagonista, come sembra nelle parti successive (sebbene ci sia qualche ingerenza del narratore esterno qui e là, come quando spieghi che Borges era da tempo cieco), allora non è possibile dire che non fa caso a qualcosa, ma al contempo descriverla ugualmente. Se invece stai usando un narratore esterno, si può fare, però in tal caso sarebbe necessario evitare aggettivi generici come "gradevoli": gradevoli per chi? Una cosa gradevole per qualcuno può non esserlo per altre persone. Cosa intendi per gradevole? E' necessario mostrare la gradevolezza e farla dedurre al lettore, non dirgliela in modo esplicito, come "assicurandogli" che le cose stanno così anche se non le hai mostrate o descritte. Sarebbe come scrivere "Giorgio era molto arrabbiato" invece di, per fare un esempio: "Giorgio serrò i pugni. Sulle piastrelle gocciolò sangue ferroso. Fissò le scaglie dello specchio frantumato con il petto che andava su e giù, ansimando. I suoi occhi verdi bruciavano.".

"Si chiese se fosse la persona con cui doveva lavorare, ma era evidentemente dotato di vista [...]."

Ti suggerisco di non spiegare le cose al lettore: se il personaggio osserva qualcosa e tramite il dialogo è evidente che sia così, non sottolinearlo nel sommario, indebolisce la narrazione. Altre spiegazioni le ho riscontrate quando espliciti le opere di Melville, Milton e il nome del collaboratore di Borges: rischi che il lettore si senta sminuito, non dimostrare che sai le cose, lascia al lettore spazio per partecipare alla narrazione colmando i vuoti.

"Isabella era molto piacevole da guardare. Un volto pieno, bei occhi lucenti, una fantastica corona di capelli neri tagliati corti."

Anche qui, "molto piacevole" è una descrizione generica, la piacevolezza è soggettiva. Il lettore deve poter leggere una descrizione e pensare: però, com'è piacevole questo viso, senza che l'autore nomini mai quel termine per descriverlo. Allo stesso modo, la corona di capelli l'hai definita "fantastica", ma è un aggettivo incolore perché non indica alcuna qualità specifica o ricordabile. Setosa? Crespa? Regale? Gargantuesca? Sontuosa? Fondente? Lucente? Ti suggerisco di allenarti a scegliere aggettivi, sostantivi e verbi forti e precisi: il tuo stile, già trascinante e godibile, ne gioverà.

Spero di averti dato qualche spunto di riflessione costruttivo e di aver espresso il mio pensiero in modo chiaro. Se ti va, resto a disposizione per un ulteriore confronto. Buona serata.
Alan Thomas Bassi
Editor e autore
https://www.rifiutiletterari.it

Ovunque tu sia, se ti senti perso, invisibile in un universo editoriale troppo vasto, sappi che non sei solo. La soluzione per scrivere la versione migliore del tuo romanzo c’è, e io posso aiutarti a trovarla.

Re: La rosa invisibile

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@Alice Bassi Ciao, innanzitutto ti ringrazio per il grande aiuto che mi stai dando su questo piccolo racconto.

Allora, per quanto riguarda la tua critica contenutistica: hai senz'altro ragione, nel racconto il tema centrale non è a fuoco. La sua indecisione sulla tesi da presentare non è importante, è solo un dettaglio di colore: alcuni studiosi sono fatti così. Nella storia è solo accennato (non esplicitato) che il protagonista, pur rispettando l'autorevolezza di Borges, non ha grande stima della sua poesia, che ritiene sentimentale. Poi, lo aiuta nello scriverla e, quando Isabella gliela legge, comprende il suo errore: c'è una differenza fra l'essere sobri e il non avere il cuore. Joachim, ascoltando la poesia su Milton, riscopre un pezzetto di cuore. Tutto ciò però non è sufficientemente esplicitato: l'effetto finale non arriva, e di questo mi rendevo conto come scrivevo. Ti ringrazio per avermi fatto capire il problema.

Per quanto riguarda le critiche stilistiche: essendo un racconto che parla anche del problema della cecità, ho ritenuto che Joachim, al momento di camminare per un viale alberato durante una piacevole brezza, non ci facesse caso. Ho pensato che il lettore avrebbe compreso il perché dell'inserimento di questo dettaglio atmosferico quando Borges chiede com'è il tempo fuori. Joachim si rende conto di quanto sia fortunato ad avere il senso della vista: o forse no, questo gli sfugge ancora. Lo stesso dicasi per la beatifica vista di Isabella. Conosco la regola "mostrare e non raccontare", ma a me piace anche raccontare ogni tanto. Se ho uno stile mio, direi che fa parte del mio stile.

Ero dubbioso se inserire le varie informazioni su Melville, Milton e sul celebre collaboratore di Borges. Questi racconti sono effettivamente pubblicati su una testata giornalistica locale. Pensavo che non tutti i miei lettori potrebbero avere le mie conoscenze letterarie. Qualcuno, anzi, sicuramente molti, potrebbero saperne anche più di me, ma non tutti. Però forse queste notazioni possono risultare saccenti. Rifletterò se toglierle o modificarle.

Ti ringrazio molto del tuo prezioso aiuto. Di solito quando pubblico qui è perché un racconto non mi convince fino in fondo. A volte li cestino, ma forse questo ha del potenziale che mi stai aiutando ad esprimere.

A presto, Domenico.
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: La rosa invisibile

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Ciao, @Domenico S., sono contenta che tu abbia apprezzato il mio intervento. Grazie per le tue parole.
Come dici tu, credo anch'io che il racconto abbia del potenziale e che valga la pena lavorare sugli aspetti di debolezza che per ora presenta. Nulla di irrisolvibile.

Mi permetto di risponderti, sempre nello spirito del confronto e dell'aiuto reciproco, solo in merito al tema del "mostra, non dire". Capisco ciò che intendevi trasmettere, tuttavia, se il tuo obiettivo è far comprendere in modo sottocutaneo al lettore che Joachim pecca di cecità nonostante abbia la bellezza davanti, allora ti consiglio di sfruttare il narratore esterno con saggezza in questo senso, mostrando elementi di grande bellezza (senza descriverli come tali: non sta al narratore esprimere un giudizio di qualità su quanto l'autore sta scrivendo, altrimenti diventa un testo autoreferenziale) che, però, il protagonista non coglie.
Per farti un esempio, mi viene in mente un film, Non è romantico?, in cui la protagonista è allergica a ogni forma di amore e romanticheria e, mentre una coppia per strada sta camminando mano nella mano e vivendo un momento di grande comunione e affetto, lei ci cammina in mezzo e li separa, per poi tirare dritto senza neanche far caso ai due alle sue spalle, sbigottiti. Questo sistema d'immagini fa comprendere allo spettatore il carattere della protagonista, che nemmeno si accorge di ciò che fa, senza che il narratore intervenga in modo didascalico.
In aggiunta, potresti sfruttare gli altri personaggi della storia, in particolar modo Borges e Isabella, che invece sono sensibili alla bellezza della vita e dell'ambientazione in cui sono immersi, mostrando le differenze tra le loro reazioni a determinati stimoli e quelle di Joachim.
Tralasciando i gusti personali, dire al posto di mostrare è qualcosa che può - con parsimonia - essere fatto, l'importante è avere una ragione narrativa.

Buona scrittura e buon lavoro, ti auguro il meglio per questo racconto.
Alan Thomas Bassi
Editor e autore
https://www.rifiutiletterari.it

Ovunque tu sia, se ti senti perso, invisibile in un universo editoriale troppo vasto, sappi che non sei solo. La soluzione per scrivere la versione migliore del tuo romanzo c’è, e io posso aiutarti a trovarla.

Re: La rosa invisibile

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@Alice Bassi Ciao, mi sembra che il tuo suggerimento sia molto utile, soprattutto quando evidenzi che il mio modo di fare potrebbe risultare didascalico. Rifletterò, nel revisionare il racconto, su un modo per risultare a un tempo più sottile, ma anche più efficace. Mi sembra anche utile il tuo suggerimento di differenziare quello che può essere un modo di vedere la vita di Isabella, e anche Borges, rispetto al protagonista. Grazie ancora per il grande aiuto. A presto.
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Re: La rosa invisibile

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Ciao @Domenico S., anch'io come @Alice Bassi,   ho avvertito la mancanza del conflitto così come non ho percepito l'eventuale evoluzione o cambiamento del personaggio principale. Lui semplicemente pare assecondi gli eventi senza che questi lascino in lui una traccia significativa. 
Alice ha fatto un'analisi più dettagliata ed esaustiva, e so di non avere aggiunto nulla di utile, ma almeno ti ho fatto sapere che ho letto il tuo racconto. 
Nell'occasione ringrazio Alice Bassi per il tipo di commento utile a molti, me compresa. 
Ultima modifica di Adel J. Pellitteri il lun gen 17, 2022 3:39 pm, modificato 1 volta in totale.

Re: La rosa invisibile

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Adel J. Pellitteri ha scritto: Lui semplicemente pare assecondi gli eventi senza che questi lascino in lui una traccia significativa. 
In realtà alla fine piange, perciò pur essendo una persona fredda ha un sommovimento emotivo. Però sono d'accordo che si possa lavorare molto di più sull'evoluzione del protagonista del racconto. Ti ringrazio per la tua utile opinione @Adel J. Pellitteri a presto!
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Re: La rosa invisibile

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Adel J. Pellitteri ha scritto: Ciao @Domenico S., anch'io come @Alice Bassi,   ho avvertito la mancanza del conflitto così come non ho percepito l'eventuale evoluzione o cambiamento del personaggio principale. Lui semplicemente pare assecondi gli eventi senza che questi lascino in lui una traccia significativa. 
Alice ha fatto un'analisi più dettagliata ed esaustiva, e so di non avere aggiunto nulla di utile, ma almeno ti ho fatto sapere che ho letto il tuo racconto. 
Nell'occasione ringrazio Alice Bassi per il tipo di commento utile a molti, me compresa. 
Ciao, @Adel J. Pellitteri, grazie mille per le tue parole.  :)
Alan Thomas Bassi
Editor e autore
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Ovunque tu sia, se ti senti perso, invisibile in un universo editoriale troppo vasto, sappi che non sei solo. La soluzione per scrivere la versione migliore del tuo romanzo c’è, e io posso aiutarti a trovarla.

Re: La rosa invisibile

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Ciao @Domenico S. 

ti lascio qualche appunto di carattere personale (butta via se non servono!) e la sensazione che ho avuto leggendo il tuo bel testo. Proprio vero che i lettori non sono tutti uguali!
  ha scritto:Domenico S.Buenos Aires, 1963. Joachim St.Thomas fu convocato nell’ufficio del responsabile del dipartimento di letterature comparate. Era quasi certo che si sarebbe preso un rimprovero perché, nella sua eterna indecisione, non aveva ancora presentato la proposta di ricerca per il dottorato.
Andrei a capo, non so perché ma mi aspetto che la frase che segue la data, nella stessa riga, sia all'indicativo presente. 

Buenos Aires, 1963. 
Joachim St.Thomas fu convocato nell’ufficio del responsabile del dipartimento di letterature comparate. Era quasi certo che si sarebbe preso un rimprovero perché, nella sua eterna indecisione, non aveva ancora presentato la proposta di ricerca per il dottorato.
  ha scritto:Domenico S.Prima di tornare a casa, si fermò alla biblioteca del dipartimento per prelevare un libro di poesie di Melville (noto ai più come autore di Moby Dick). Era quasi certo che avrebbe fatto la tesi su di lui.
Ho letto che stai valutando se togliere le spiegazioni tra parentesi; io le toglierei, mettendo piuttosto un rimando con asterisco a fine pagina 
  ha scritto:Domenico S.Il grande viale alberato che conduceva alla biblioteca nazionale si stava spogliando delle sue foglie gialle, che volavano nel vento formando correnti gradevoli e leggiadre. Lì per lì non ci fece caso.
Secondo me la frase sottolineata non è molto riuscita; potrebbe essere resa meno incisiva, qualcosa tipo: "vi buttò un occhio distratto", oppure la toglierei del tutto. La sensazione di essere fortunato a possedere il dono della vista l’hai resa molto bene con la frase sotto messa in neretto, è già sufficiente:
  ha scritto:Domenico S.«Buona giornata» concluse seccamente l’uomo, e ricominciò a sfogliare il libro che aveva in grembo, quello che non poteva leggere perché, da qualche anno, era completamente cieco.

Isabella era molto piacevole da guardare. Un volto pieno, bei occhi lucenti,
begli occhi lucenti 
  ha scritto:Domenico S.La receptionist della biblioteca lo mandò all’ultimo piano, ufficio in fondo. Joachim si chiedeva chi fosse quest’amico del capo del suo dipartimento in cerca d’assistenza. Bussò, ma non rispose.
La receptionist della biblioteca lo mandò all’ultimo piano, ufficio in fondo.
Bussò, curioso di scoprire chi fosse l'amico del capo del suo dipartimento in cerca di assistenza, ma nessuno rispose.
(mi suona meglio).

  ha scritto:Domenico S.Un uomo alto, magro ed elegante uscì dall’ufficio. Si chiese se fosse la persona con cui doveva lavorare, ma era evidentemente dotato di vista, perché disse:
«Le poesie di Melville?»
Joachim si chiese 
  ha scritto:Domenico S.«Ne parli a Jorge, sarà contento di aiutarla. Non si spaventi, è la persona più civile che ci sia al mondo.»
Il ragazzo si chiese perché dovesse spaventarsi…
 Non mi entusiasmano la frase con i puntini (gusto personale) e l’aggettivo “civile” detto dal collaboratore, metterei "gentile" o qualcosa di simile
  ha scritto:Domenico S.Joachim prese il libro. Disse.
«Nella stanza non c’è luce.»
Joachim prese il libro. 
«Nella stanza non c’è luce» disse. 
  ha scritto:Domenico S.Cominciò a dettare degli appunti sulle poesie che Joachim aveva appena lette. Quando finì, l’uomo disse:
«Lei sta conseguendo il suo dottorato.»
"Mi hanno detto che sta conseguendo il suo dottorato."
  ha scritto:Domenico S.Una scusa per rinviare una visita al dipartimento. Perché no.
Qui la focalizzazione è troppo marcata (gusto personale), metterei: 
Perché no, una scusa per rinviare una visita al dipartimento, pensò Joachim.
 Domenico S. ha scritto: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Domenico S.[/font]
«Penso che descriva… l’ultima rosa che ha visto» concluse, semplicemente, mentre affiorava qualche lacrima. Pensava di non essere un sentimentale.
Mi suona meglio "Se ne stupì. Non pensava di essere un sentimentale."

Gli appunti sopra sono di carattere personale; nel complesso il racconto mi è piaciuto molto, così come mi è piaciuta l'atmosfera che hai creato. Io credo che racconto abbia un senso e il suo perché, resi molto bene con la frase finale. 

A rileggerti :)  
Già.
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