[MI160] Un airone a Berlino
Posted: Sun Dec 12, 2021 11:56 pm
Il mio commento
Traccia di mezzogiorno : Un uomo entra in un bar...
Boa: deve comparire un airone.
“Un uomo entra in un bar e…?”, si domanda, sedendosi al bancone e ordinando un whiskey.
È completamente solo nell’alba berlinese.
Era stato invitato lì, al Festival Internazionale del Libro, perché il suo romanzo stava spopolando. Tanto che lui era uno degli ospiti principali.
Mentre sua moglie Laura saliva in camera, lui si era recato direttamente allo stand dove avrebbe scritto le dediche.
Il salone era gelido di aria condizionata, affollato di lettori. Alle pareti spesse tende rosso scuro e luci intense che incrociavano le ombre.
La giornata sarebbe trascorsa così: due ore di autografi, mezz’ora di conferenza e poi di nuovo lo stesso schema fino al pranzo (con sandwich) e da capo fino alla cena di gala delle 20.
Sorridendo, si era subito dedicato alla fila di lettori che lo attendeva. Gratificante.
Ore più tardi, stava mangiando il suo sandwich, quando si era sentito chiamare da una voce italiana e conosciuta.
Valter, un amico di tempi passati, gli veniva incontro con espressione meravigliata:
-Marco, che coincidenza!- aveva rumoreggiato, -Quando ho visto il tuo nome sulla locandina non ci credevo!
Gli aveva assestato una vigorosa pacca sulla spalla, mentre Marco rimaneva con la mano inutilmente protesa.
-Così scrivi, eh? E ci campi?- aveva domandato Valter mentre rigirava tra le dita uno dei volumi.
-Come mai sei a Berlino, Valter? Lavoro?
-E cosa se no? Sempre a lavorare io, mica faccio la bella vita come te, sai?
-È quel che gli dico sempre anch’io. Ciao Valter.- si era intromessa sua moglie, comparsa dal nulla, per poi chiedere quale fosse il programma della serata.
-Che palle ‘ste cene di gala! Io non ci vengo, piuttosto resto in camera.
-Io vado fuori con degli amici, Laura.- si era intrufolato Valter -Se vuoi aggregarti, sarà un piacere. Poi tu Marco ci raggiungi. Che ne dite?
Lei si era illuminata all’idea, ma era stato un attimo:
-Ti ringrazio, ma preferisco rimanere qui-, e con aria sacrificale, -Cenerò anch’io di gala...
-Come vuoi. Se cambi idea: nella hall alle 19:30.
Era stato solo dopo le 19 che la sequela di fan era terminata.
Stanco ma contento, si stava finalmente allontanando, quando la sua attenzione era stata attratta da uno stand con una lunga fila ancora in attesa.
Una locandina presentava la scrittrice, Jara Omari, e, senza una vera ragione, si era accodato, acquistando una copia del suo libro Heron.
Mentre la fila avanzava, Marco aveva sfogliato il volume, leggendo pagine a caso. Gli era parso che l’argomento fosse il volo di un airone attraverso i sogni degli uomini, alla ricerca del senso di ciò che stavano facendo al mondo. “Molto contemporaneo”, aveva pensato, e anche ben scritto.
Paziente, aveva atteso in coda almeno dieci minuti prima di poterla finalmente osservare.
Era rimasto stupefatto dalla sua bellezza mediorientale. Dagli zigomi alti, la pelle ambrata, gli occhi profondamente neri.
Si era ritrovato senza parole, con il libro in mano, senza accorgersi che era il suo turno.
-Hallo, ist dein name?- le aveva chiesto lei senza guardarlo.
Lui non aveva reagito e la ragazza aveva alzato lo sguardo. Era parsa riconoscerlo, stupita:
-Marco Sinelli, che onore!
-Tu parli italiano-, era stato tutto quel che aveva saputo dire, mentre le porgeva il libro:
Lei aveva preso il volume e risposto:
-Ho vissuto a Milano per anni. Sono a Berlino solamente da due. Ti seguo fin dal primo libro e ho sempre desiderato di poterti conoscere. Non immagini la gioia, quando ho visto che siamo assegnati al medesimo tavolo, per la cena.
Lui non sapeva neppure che i posti fossero preassegnati.
-Senti, mi mancano pochi autografi,- aveva proseguito Jara, -che ne dici se ci troviamo al bar tra dieci minuti? Poi andiamo insieme nel salone di gala.
Marco le aveva sorriso, annuendo.
Aveva fatto solo pochi passi, quando era comparsa sua moglie, in jeans e con un giubbotto corto, nero:
-Non hai risposto al messaggio. Ti ho scritto chiedendoti se ti dispiaceva se uscivo con Valter e i suoi amici. Io alla cena non ce la faccio proprio a venire. Ci raggiungi dopo.
Era stato sul punto di risponderle che il cellulare era scarico e che sì, gli dispiaceva, quando: Hallo, ist dein name? aveva sentito ripetere alle sue spalle, e si era reso conto che avrebbe avuto l’opportunità di parlare liberamente con Jara. Da solo.
Quindi, sentendosi un po’ in colpa, aveva risposto che gli dispiaceva, certo, ma che la capiva e che li avrebbe raggiunti dopo cena.
Ma non lo aveva fatto.
Al bar, il dialogo con Jara era stato come l’emergere di una affinità preesistente. Proseguita durante l’insopportabile cena, parlottando dentro a una bolla tutta loro, e infine di nuovo sui divanetti del bar, continuando a raccontarsi senza falsi costrutti. Mostrandosi per ciò che erano veramente.
E a mano a mano che le ore passavano, Marco era sempre più rapito. Era come se lei gli nutrisse l’anima, il cuore.
S’intristiva al pensiero di averla incontrata solamente per perderla.
Il primo silenzio tra loro era giunto che l’aria già rischiarava.
Jara era sembrata respirare affannata, mentre lo fissava diritto negli occhi.
-È come se ti conoscessi da sempre- si era trovato a dire lui, -Come se fossimo fatti per…- gli era mancato il coraggio di terminare. Non a lei:
-Ti amo.
Lui aveva deglutito a fatica, prima di usare le medesime parole, incredulo che lo stesse veramente facendo.
Finalmente si erano baciati, perdendosi nei battiti dei loro cuori impazziti. Felici e inebriati.
-Marco, tra mezz’ora ho un taxi per l’aeroporto. Non posso rinunciare. Lo so che non ha senso, ma vorrei che tu venissi con me.
-Non lo so, mia moglie…- aveva cominciato a spiegare, ma non aveva saputo proseguire, perché sentiva che non c’era nulla da spiegare, nulla.
-Un altro whiskey!- ordina al banco, solo nell’alba berlinese. “Un uomo entra in un bar… No, era: un uomo entra in un caffè…”, pensa, e intanto ricorda un’ora prima, quando percorreva il corridoio verso la sua camera euforico ma anche preoccupato per come avrebbe reagito Laura.
Era intontito, con la gola arsa dal tanto chiacchierare e dall’ardore dei baci.
A metà del corridoio di moquette, aveva visto un secchio con dentro una bottiglia di champagne. Galleggiava ancora tappata sotto al cartello do not disturb e, dai gemiti che trapassavano il legno della porta, comprese cosa li avesse trattenuti dal recuperarla. Gli parve distinguere delle frasi in italiano. Una voce di uomo che suonava famigliare, sembrava quella di Valter.
Augurò all’amico di divertirsi e ripartì a passo spedito verso la sua stanza, verso sua moglie, che avrebbe dovuto svegliare per spiegare il suo addio.
Rimase impietrito quando trovò la stanza vuota.
Lei non c’era, non era ancora rientrata.
Sicuramente stava tirando l’alba per locali e se lui non avesse avuto il telefono scarico, l’avrebbe di saputo.
Si sedette sul bordo del letto.
Aveva sbagliato credendo di riconoscere Valter in quella camera: lui era ancora in giro con gli amici e Laura.
Eppure, quei gemiti femminili sembravano tanto quelli di… “No! non è così, lei è in un qualche locale”.
Si sdraiò sul letto.
Strinse gli occhi, non riuscendo a trattenere la mente dall’immagine di lei nuda tra le braccia di Valter. Sentiva il petto svuotarsi d’aria, come se non potesse più immetterne di nuova, sentendosi soffocare.
E intanto la vedeva aprirsi a lui, muoversi al suo tempo, avvinghiata.
-Jara- mormorò, cercando in quel nome la forza per tornare al sogno della loro fuga, ma ormai era tardi. Non vedeva che Laura con l’altro uomo, mentre lo baciava, mentre lo amava...
-Un uomo entra in un caffè…- dice al terzo whiskey, solo nell’alba berlinese.
Dalla finestra della camera ha spiato Jara allontanarsi con il taxi.
Lo ha atteso fino all’ultimo istante e lui l’ha guardata scomparire come un sogno al risveglio. Come l’airone del suo libro che vaga tra le illusioni degli uomini.
Poi è uscito.
Si è fermato davanti alla bottiglia di champagne, alla porta con dietro la voce di sua moglie.
Davvero Valter era lì per caso?
Si è voltato e ha lasciato l’albergo.
È entrato in un bar, no, in un caffè, e…
…splash!
Traccia di mezzogiorno : Un uomo entra in un bar...
Boa: deve comparire un airone.
“Un uomo entra in un bar e…?”, si domanda, sedendosi al bancone e ordinando un whiskey.
È completamente solo nell’alba berlinese.
Era stato invitato lì, al Festival Internazionale del Libro, perché il suo romanzo stava spopolando. Tanto che lui era uno degli ospiti principali.
Mentre sua moglie Laura saliva in camera, lui si era recato direttamente allo stand dove avrebbe scritto le dediche.
Il salone era gelido di aria condizionata, affollato di lettori. Alle pareti spesse tende rosso scuro e luci intense che incrociavano le ombre.
La giornata sarebbe trascorsa così: due ore di autografi, mezz’ora di conferenza e poi di nuovo lo stesso schema fino al pranzo (con sandwich) e da capo fino alla cena di gala delle 20.
Sorridendo, si era subito dedicato alla fila di lettori che lo attendeva. Gratificante.
Ore più tardi, stava mangiando il suo sandwich, quando si era sentito chiamare da una voce italiana e conosciuta.
Valter, un amico di tempi passati, gli veniva incontro con espressione meravigliata:
-Marco, che coincidenza!- aveva rumoreggiato, -Quando ho visto il tuo nome sulla locandina non ci credevo!
Gli aveva assestato una vigorosa pacca sulla spalla, mentre Marco rimaneva con la mano inutilmente protesa.
-Così scrivi, eh? E ci campi?- aveva domandato Valter mentre rigirava tra le dita uno dei volumi.
-Come mai sei a Berlino, Valter? Lavoro?
-E cosa se no? Sempre a lavorare io, mica faccio la bella vita come te, sai?
-È quel che gli dico sempre anch’io. Ciao Valter.- si era intromessa sua moglie, comparsa dal nulla, per poi chiedere quale fosse il programma della serata.
-Che palle ‘ste cene di gala! Io non ci vengo, piuttosto resto in camera.
-Io vado fuori con degli amici, Laura.- si era intrufolato Valter -Se vuoi aggregarti, sarà un piacere. Poi tu Marco ci raggiungi. Che ne dite?
Lei si era illuminata all’idea, ma era stato un attimo:
-Ti ringrazio, ma preferisco rimanere qui-, e con aria sacrificale, -Cenerò anch’io di gala...
-Come vuoi. Se cambi idea: nella hall alle 19:30.
Era stato solo dopo le 19 che la sequela di fan era terminata.
Stanco ma contento, si stava finalmente allontanando, quando la sua attenzione era stata attratta da uno stand con una lunga fila ancora in attesa.
Una locandina presentava la scrittrice, Jara Omari, e, senza una vera ragione, si era accodato, acquistando una copia del suo libro Heron.
Mentre la fila avanzava, Marco aveva sfogliato il volume, leggendo pagine a caso. Gli era parso che l’argomento fosse il volo di un airone attraverso i sogni degli uomini, alla ricerca del senso di ciò che stavano facendo al mondo. “Molto contemporaneo”, aveva pensato, e anche ben scritto.
Paziente, aveva atteso in coda almeno dieci minuti prima di poterla finalmente osservare.
Era rimasto stupefatto dalla sua bellezza mediorientale. Dagli zigomi alti, la pelle ambrata, gli occhi profondamente neri.
Si era ritrovato senza parole, con il libro in mano, senza accorgersi che era il suo turno.
-Hallo, ist dein name?- le aveva chiesto lei senza guardarlo.
Lui non aveva reagito e la ragazza aveva alzato lo sguardo. Era parsa riconoscerlo, stupita:
-Marco Sinelli, che onore!
-Tu parli italiano-, era stato tutto quel che aveva saputo dire, mentre le porgeva il libro:
Lei aveva preso il volume e risposto:
-Ho vissuto a Milano per anni. Sono a Berlino solamente da due. Ti seguo fin dal primo libro e ho sempre desiderato di poterti conoscere. Non immagini la gioia, quando ho visto che siamo assegnati al medesimo tavolo, per la cena.
Lui non sapeva neppure che i posti fossero preassegnati.
-Senti, mi mancano pochi autografi,- aveva proseguito Jara, -che ne dici se ci troviamo al bar tra dieci minuti? Poi andiamo insieme nel salone di gala.
Marco le aveva sorriso, annuendo.
Aveva fatto solo pochi passi, quando era comparsa sua moglie, in jeans e con un giubbotto corto, nero:
-Non hai risposto al messaggio. Ti ho scritto chiedendoti se ti dispiaceva se uscivo con Valter e i suoi amici. Io alla cena non ce la faccio proprio a venire. Ci raggiungi dopo.
Era stato sul punto di risponderle che il cellulare era scarico e che sì, gli dispiaceva, quando: Hallo, ist dein name? aveva sentito ripetere alle sue spalle, e si era reso conto che avrebbe avuto l’opportunità di parlare liberamente con Jara. Da solo.
Quindi, sentendosi un po’ in colpa, aveva risposto che gli dispiaceva, certo, ma che la capiva e che li avrebbe raggiunti dopo cena.
Ma non lo aveva fatto.
Al bar, il dialogo con Jara era stato come l’emergere di una affinità preesistente. Proseguita durante l’insopportabile cena, parlottando dentro a una bolla tutta loro, e infine di nuovo sui divanetti del bar, continuando a raccontarsi senza falsi costrutti. Mostrandosi per ciò che erano veramente.
E a mano a mano che le ore passavano, Marco era sempre più rapito. Era come se lei gli nutrisse l’anima, il cuore.
S’intristiva al pensiero di averla incontrata solamente per perderla.
Il primo silenzio tra loro era giunto che l’aria già rischiarava.
Jara era sembrata respirare affannata, mentre lo fissava diritto negli occhi.
-È come se ti conoscessi da sempre- si era trovato a dire lui, -Come se fossimo fatti per…- gli era mancato il coraggio di terminare. Non a lei:
-Ti amo.
Lui aveva deglutito a fatica, prima di usare le medesime parole, incredulo che lo stesse veramente facendo.
Finalmente si erano baciati, perdendosi nei battiti dei loro cuori impazziti. Felici e inebriati.
-Marco, tra mezz’ora ho un taxi per l’aeroporto. Non posso rinunciare. Lo so che non ha senso, ma vorrei che tu venissi con me.
-Non lo so, mia moglie…- aveva cominciato a spiegare, ma non aveva saputo proseguire, perché sentiva che non c’era nulla da spiegare, nulla.
-Un altro whiskey!- ordina al banco, solo nell’alba berlinese. “Un uomo entra in un bar… No, era: un uomo entra in un caffè…”, pensa, e intanto ricorda un’ora prima, quando percorreva il corridoio verso la sua camera euforico ma anche preoccupato per come avrebbe reagito Laura.
Era intontito, con la gola arsa dal tanto chiacchierare e dall’ardore dei baci.
A metà del corridoio di moquette, aveva visto un secchio con dentro una bottiglia di champagne. Galleggiava ancora tappata sotto al cartello do not disturb e, dai gemiti che trapassavano il legno della porta, comprese cosa li avesse trattenuti dal recuperarla. Gli parve distinguere delle frasi in italiano. Una voce di uomo che suonava famigliare, sembrava quella di Valter.
Augurò all’amico di divertirsi e ripartì a passo spedito verso la sua stanza, verso sua moglie, che avrebbe dovuto svegliare per spiegare il suo addio.
Rimase impietrito quando trovò la stanza vuota.
Lei non c’era, non era ancora rientrata.
Sicuramente stava tirando l’alba per locali e se lui non avesse avuto il telefono scarico, l’avrebbe di saputo.
Si sedette sul bordo del letto.
Aveva sbagliato credendo di riconoscere Valter in quella camera: lui era ancora in giro con gli amici e Laura.
Eppure, quei gemiti femminili sembravano tanto quelli di… “No! non è così, lei è in un qualche locale”.
Si sdraiò sul letto.
Strinse gli occhi, non riuscendo a trattenere la mente dall’immagine di lei nuda tra le braccia di Valter. Sentiva il petto svuotarsi d’aria, come se non potesse più immetterne di nuova, sentendosi soffocare.
E intanto la vedeva aprirsi a lui, muoversi al suo tempo, avvinghiata.
-Jara- mormorò, cercando in quel nome la forza per tornare al sogno della loro fuga, ma ormai era tardi. Non vedeva che Laura con l’altro uomo, mentre lo baciava, mentre lo amava...
-Un uomo entra in un caffè…- dice al terzo whiskey, solo nell’alba berlinese.
Dalla finestra della camera ha spiato Jara allontanarsi con il taxi.
Lo ha atteso fino all’ultimo istante e lui l’ha guardata scomparire come un sogno al risveglio. Come l’airone del suo libro che vaga tra le illusioni degli uomini.
Poi è uscito.
Si è fermato davanti alla bottiglia di champagne, alla porta con dietro la voce di sua moglie.
Davvero Valter era lì per caso?
Si è voltato e ha lasciato l’albergo.
È entrato in un bar, no, in un caffè, e…
…splash!