Death Valley
Posted: Mon Nov 29, 2021 10:58 pm
viewtopic.php?f=9&t=2593
Death Valley
Era una notte come tante, nella valle della morte.
Le stelle pulsavano forti e illuminavano il silenzio del deserto. La luna pareva splendere di luce propria, perfettamente sopra di noi. Era imponente e piena, ma sempre più vicina.
Ogni tanto qualche grillo ci ricordava che quella valle non era poi del tutto morta.
Ci dissero che saremmo congelati dal freddo senza dei vestiti adeguati, ma non fu così. La stessa maglietta e gli stessi pantaloncini usati durante la giornata ci bastarono.
Tania mi prese per mano e mi invitò a ballare.
Iniziò a canticchiare una canzone, forse la prima che le venne in mente, e io sorrisi.
“Dai, muovi quei fianchi” disse scherzando. I suoi occhi brillavano come quelli di una gatta.
Iniziai a canticchiare pure io e stetti al gioco.
La strinsi a me e appoggiai la mia guancia sulla sua. Smettemmo di canticchiare e ci cullammo dolcemente per lunghi secondi. Potevo sentire il suo respiro così vicino.
Avvicinai le labbra al suo orecchio e le sussurrai cinque parole: “Ci rimane soltanto un’ora”.
Lei mi rispose: “Lo so, ma non potevo chiedere di meglio”.
Poi salì con la mano lungo la mia schiena e mi strinse ancora più forte, come per afferrarmi.
“Raccontami delle tue ombre, quello che mai mi hai detto e che mai mi avresti detto” le chiesi.
Tania lasciò per un attimo la presa su di me.
“Cosa intendi per ombre?”
“Voglio sapere se con me sei stata sempre sincera.”
“Riguardo che cosa?”
“Qualsiasi cosa di importante.”
“Hai dei dubbi su di me? pensi che non sono stata sincera?”
“Ogni tanto sì.”
Lei si sfilò leggermente da me, per potermi guardare negli occhi. Era incredula, o forse faceva finta di non capire.
Io insistei: “Lo hai ucciso, vero?”
Lei sorrise imbarazzata: “Ucciso? Chi avrei ucciso?”
Io puntai il mio sguardo sul suo ventre, poi le feci un piccolo cenno con il collo e dissi: “Nostro figlio.”
Quando sentì quelle parole, Tania si sfilò del tutto da me e indietreggio di un passo. Era buio, non vidi bene il suo volto, ma sentivo che aveva cambiato espressione.
Forse voleva piangere, ma non lo fece. Sarebbe stato un pianto di rabbia, lo potevo percepire, dopo tutti quei mesi passati insieme. Non so se era arrabbiata più con me o con sé stessa. Fatto sta che rimase di pietra, come colpita da un fulmine in una notte senza nuvole.
Io rincarai la dose: “Pensavi che non lo sapessi? Pensavi di portare il tuo segreto nella tomba? Dopo tutto quello che ho fatto per te”.
Tania tirò su col naso, ma non disse niente.
“Non dici niente?” chiesi sarcastico, “ti giuro che se avessi saputo…”
“Cosa? COSA?” mi interruppe urlando, “che cazzo vuoi saperne tu di questa storia, di quello che ho passato!
Tu mi guardi, e vedi solo questo, ma c’è anche altro, quello che non vuoi vedere o che non sai vedere! Troppo comodo giudicarmi, darmi della pazza, senza sapere cosa sia la pazzia!
Te lo dico io cos’è la pazzia: è vivere la vita respirando l’aria del mattino, correre tra le nuvole, tuffarsi nell’oceano controcorrente. Non siamo tutte fatte per essere madri!”
Tania si svuotò di tutte quelle parole pesanti, che tratteneva da troppo tempo.
Poi ci fu uno strano silenzio. Sarà durato qualche secondo, ma mi sembrò lungo un giorno.
Prima di morire volevo dirglielo, ma poi non mi sentii meglio. Anzi, se solo avessi messo da parte il mio onore, ce ne saremmo andati diversamente; magari in un lungo abbraccio, come due fossili di Pompei.
Ma come potevo accettare quel gesto? Quale uomo avrebbe mai accettato?
“Mi fai schifo, sei una merda di donna” le dissi, senza riflettere più di tanto.
“E tu mi fai ancora più schifo, ecco, questo è quello che sei veramente! Una persona arida, cattiva, sei cattivo in fondo! Con i tuoi giudizi prevenuti!”
“Sei una merda di donna Tania, hai ucciso mio figlio” le dissi con tono fermo, facendo un passo in avanti.
“E lo rifarei…” rispose, trattenendo le lacrime.
Appena udii quelle parole mi precipitati contro quella donna, serrando a più non posso il pugno della mia mano destra.
“Ora mi paghi tutto quanto…” le dissi.
Sono sicuro che dentro ognuno di noi riposa un demone. Un peso che ci trasciniamo fin dal primo momento della nostra vita.
Giace lì, immobile, come i draghi addormentati delle leggende medioevali.
Molti neanche sanno della sua esistenza, ed alcuni moriranno senza averlo mai guardato negli occhi.
Ma la maggioranza delle persone lo ha conosciuto almeno una volta nella vita. E loro sanno quanto è potente il demone. Quanto è difficile cavalcare il drago, mentre brucia quello che hai costruito con amore.
Non sto dicendo che sono innocente. Troppo facile scaricare le colpe al mio demone.
Ma non voglio neanche piangermi addosso, come quei mezzi uomini che picchiano le proprie donne e poi invocano il loro perdono.
Io non chiedo misericordia cristiana.
Qui, ora, a pochi minuti dalla fine di questo mondo, pensi che me ne frega qualcosa di apparire migliore di quello che sono?
Alzai lo sguardo, la luna rovinava su di me come un asteroide impazzito.
Poi mi guardai le mani, e lasciai colare il suo sangue fino ai gomiti.
Infine la guardai, giaceva a terra, immobile.
Era sdraiata a pancia in su, con le braccia buttate a caso. Il suo viso poggiava da un lato, sporco del suo sangue e dei suoi capelli. Quello che mi colpì davvero furono i suoi occhi: spenti, ma rivolti verso di me.
Fu una sensazione strana, come quando incroci lo sguardo di una bambola. Solo che Tania non era una bambola. Doveva essere la madre dei miei figli…
Death Valley
Era una notte come tante, nella valle della morte.
Le stelle pulsavano forti e illuminavano il silenzio del deserto. La luna pareva splendere di luce propria, perfettamente sopra di noi. Era imponente e piena, ma sempre più vicina.
Ogni tanto qualche grillo ci ricordava che quella valle non era poi del tutto morta.
Ci dissero che saremmo congelati dal freddo senza dei vestiti adeguati, ma non fu così. La stessa maglietta e gli stessi pantaloncini usati durante la giornata ci bastarono.
Tania mi prese per mano e mi invitò a ballare.
Iniziò a canticchiare una canzone, forse la prima che le venne in mente, e io sorrisi.
“Dai, muovi quei fianchi” disse scherzando. I suoi occhi brillavano come quelli di una gatta.
Iniziai a canticchiare pure io e stetti al gioco.
La strinsi a me e appoggiai la mia guancia sulla sua. Smettemmo di canticchiare e ci cullammo dolcemente per lunghi secondi. Potevo sentire il suo respiro così vicino.
Avvicinai le labbra al suo orecchio e le sussurrai cinque parole: “Ci rimane soltanto un’ora”.
Lei mi rispose: “Lo so, ma non potevo chiedere di meglio”.
Poi salì con la mano lungo la mia schiena e mi strinse ancora più forte, come per afferrarmi.
“Raccontami delle tue ombre, quello che mai mi hai detto e che mai mi avresti detto” le chiesi.
Tania lasciò per un attimo la presa su di me.
“Cosa intendi per ombre?”
“Voglio sapere se con me sei stata sempre sincera.”
“Riguardo che cosa?”
“Qualsiasi cosa di importante.”
“Hai dei dubbi su di me? pensi che non sono stata sincera?”
“Ogni tanto sì.”
Lei si sfilò leggermente da me, per potermi guardare negli occhi. Era incredula, o forse faceva finta di non capire.
Io insistei: “Lo hai ucciso, vero?”
Lei sorrise imbarazzata: “Ucciso? Chi avrei ucciso?”
Io puntai il mio sguardo sul suo ventre, poi le feci un piccolo cenno con il collo e dissi: “Nostro figlio.”
Quando sentì quelle parole, Tania si sfilò del tutto da me e indietreggio di un passo. Era buio, non vidi bene il suo volto, ma sentivo che aveva cambiato espressione.
Forse voleva piangere, ma non lo fece. Sarebbe stato un pianto di rabbia, lo potevo percepire, dopo tutti quei mesi passati insieme. Non so se era arrabbiata più con me o con sé stessa. Fatto sta che rimase di pietra, come colpita da un fulmine in una notte senza nuvole.
Io rincarai la dose: “Pensavi che non lo sapessi? Pensavi di portare il tuo segreto nella tomba? Dopo tutto quello che ho fatto per te”.
Tania tirò su col naso, ma non disse niente.
“Non dici niente?” chiesi sarcastico, “ti giuro che se avessi saputo…”
“Cosa? COSA?” mi interruppe urlando, “che cazzo vuoi saperne tu di questa storia, di quello che ho passato!
Tu mi guardi, e vedi solo questo, ma c’è anche altro, quello che non vuoi vedere o che non sai vedere! Troppo comodo giudicarmi, darmi della pazza, senza sapere cosa sia la pazzia!
Te lo dico io cos’è la pazzia: è vivere la vita respirando l’aria del mattino, correre tra le nuvole, tuffarsi nell’oceano controcorrente. Non siamo tutte fatte per essere madri!”
Tania si svuotò di tutte quelle parole pesanti, che tratteneva da troppo tempo.
Poi ci fu uno strano silenzio. Sarà durato qualche secondo, ma mi sembrò lungo un giorno.
Prima di morire volevo dirglielo, ma poi non mi sentii meglio. Anzi, se solo avessi messo da parte il mio onore, ce ne saremmo andati diversamente; magari in un lungo abbraccio, come due fossili di Pompei.
Ma come potevo accettare quel gesto? Quale uomo avrebbe mai accettato?
“Mi fai schifo, sei una merda di donna” le dissi, senza riflettere più di tanto.
“E tu mi fai ancora più schifo, ecco, questo è quello che sei veramente! Una persona arida, cattiva, sei cattivo in fondo! Con i tuoi giudizi prevenuti!”
“Sei una merda di donna Tania, hai ucciso mio figlio” le dissi con tono fermo, facendo un passo in avanti.
“E lo rifarei…” rispose, trattenendo le lacrime.
Appena udii quelle parole mi precipitati contro quella donna, serrando a più non posso il pugno della mia mano destra.
“Ora mi paghi tutto quanto…” le dissi.
Sono sicuro che dentro ognuno di noi riposa un demone. Un peso che ci trasciniamo fin dal primo momento della nostra vita.
Giace lì, immobile, come i draghi addormentati delle leggende medioevali.
Molti neanche sanno della sua esistenza, ed alcuni moriranno senza averlo mai guardato negli occhi.
Ma la maggioranza delle persone lo ha conosciuto almeno una volta nella vita. E loro sanno quanto è potente il demone. Quanto è difficile cavalcare il drago, mentre brucia quello che hai costruito con amore.
Non sto dicendo che sono innocente. Troppo facile scaricare le colpe al mio demone.
Ma non voglio neanche piangermi addosso, come quei mezzi uomini che picchiano le proprie donne e poi invocano il loro perdono.
Io non chiedo misericordia cristiana.
Qui, ora, a pochi minuti dalla fine di questo mondo, pensi che me ne frega qualcosa di apparire migliore di quello che sono?
Alzai lo sguardo, la luna rovinava su di me come un asteroide impazzito.
Poi mi guardai le mani, e lasciai colare il suo sangue fino ai gomiti.
Infine la guardai, giaceva a terra, immobile.
Era sdraiata a pancia in su, con le braccia buttate a caso. Il suo viso poggiava da un lato, sporco del suo sangue e dei suoi capelli. Quello che mi colpì davvero furono i suoi occhi: spenti, ma rivolti verso di me.
Fu una sensazione strana, come quando incroci lo sguardo di una bambola. Solo che Tania non era una bambola. Doveva essere la madre dei miei figli…