[MI159] Fuochi d'artificio
Posted: Sun Nov 28, 2021 10:56 pm
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traccia di mezzogiorno
Li ho visti quegli occhi pieni di stelline, la bocca spalancata a guardare i fuochi d’artificio.
Lo raggiungo dalla spiaggia.
È in prima fila sul lungomare affinché veda bene tutto lo spettacolo, anche lui col naso all’insù come le migliaia di persone in vacanza a Ferragosto.
Mi chino e gli chiedo se è felice, risponde di non aver mai visto uno spettacolo così meravigliosamente bello, proprio bello da morire.
I nostri occhi si incontrano per un’istante, due estranei che si guardano, un ragazzino in sedia a rotelle e un uomo che impugna un bisturi.
Come se lo accarezzassi, gli passo la lama da un orecchio all’altro. La sua testa fa in tempo a cadere in avanti prima che uno schizzo di sangue colpisca la donna vicina a lui.
Un muro di persone mi impedisce di vedere la mia prima vittima, urlo anch’io, sfodero il cellulare, fingo di chiamare il 112. Qualche metro più in là nessuno si accorge di nulla. I botti scoppiettano indifferenti in cielo, altre bocche spalancate, altri occhi rivolti verso l’alto.
Fermo ai margini fisso questa calca, mi devo ricordare i colori, gli odori, i movimenti, i rumori, la musica che si rincorre da un locale all’altro.
Sento le sirene che si avvicinano, sguardi distratti che si voltano.
Lo spettacolo è finito, le persone risalgono viale Ceccarini. Solo i sanitari dell’ambulanza si muovono controcorrente verso il ragazzo in sedia a rotelle. Nella brezza umida dal mare osservo la donna chinata sul corpo riverso in sedia a rotelle.
È ora, il mio bisturi e io ce ne andiamo tranquilli verso la macchina.
Arrivato a Milano, prima fermata ai navigli e l’arma del delitto scompare nell’acqua.
Le istruzioni sono chiare per ottenere il mio milione devo scrivere quello che ho fatto e tornare al confessionale di Sant’Ambrogio.
Alla mia scrivania con vista sul muro cerco di riordinare le idee. Mi sfuggono.
Pensavo di sentirmi diverso, di provare qualcosa. Invece sento solo sollievo per essere di nuovo a casa, stupore per non essermi macchiato di sangue.
Non mi sono mai chiesto come si inizia un racconto, e forse non importa. Scrivo.
“Credo ancora che lei sia il diavolo. Il fatto di esserci incontrati in chiesa non ha fugato i miei dubbi. Io al bar ho solo detto di voler incontrare l’uomo dei soldi e nel giro di due giorni lei mi ha chiamato, una circostanza quasi diabolica. È vero che lei mi ha chiesto una vita, non la mia anima: ma può un’omicida aspettarsi qualcosa di diverso dall’inferno?
In ogni caso io ho accettato e soddisferò il nostro patto fino in fondo.
Dopo aver parlato con lei, pensavo di far finta di niente. Avrei trovato il denaro in un altro modo. Me la sarei cavata anche questa volta e avrei rinunciato al mio sogno di scomparire in Costarica. In fondo il mio debito ammonta a soli ottantamila euro, i restanti novecentoventimila servono per una nuova vita.
Quindi me ne sono andato a cuor leggero.
Succede però che per un momento ho sentito il peso di quel denaro sul mio bancomat, una vetrina ha acceso il mio desiderio. Di colpo ho pensato a mia nonna che decapitava le galline prima di passarle nell’acqua bollente. Una vita è pur sempre una vita, che grande differenza tecnica poteva passare fra l’uccisione di una gallina e quella di una persona? Il tarlo della curiosità aveva agganciato la mia mente. Non potevo certo decapitare una persona, ma forse dissanguarla come faceva mio nonno con i maiali appesi a testa in giù, forse si. Il gesto era lo stesso. Al posto del coltellaccio un bisturi sarebbe stato più adeguato a una gola umana.
Una possibilità si stava trasformando in un progetto.
Io però, in tutta la mia vita non ho mai desiderato uccidere nessuno, tranne forse Giulio, mio compagno di banco, quando a voce alta ha gridato il mio amore per Ambra in seconda elementare.
Certo l’omicidio privo di movente è l’omicidio perfetto, destinato a rimanere insoluto, con qualche accorgimento.
Il progetto stava diventando realizzabile.
Fingevo il gioco intellettuale, ero certo che mai l’avrei fatto.
Eppure, già pensavo a Riccione, alla sera di Ferragosto, alle strade affollate di turisti, ai giovani che lanciano gavettoni a destra e manca, a me anonimo nella massa.
Sarei arrivato presto per scegliere la vittima, l’avrei seguita per tutto il giorno fino a trovare il momento opportuno oppure sarebbe stato meglio passare di fianco a qualcuno e semplicemente alzare il braccio con un gesto armonioso e squarciare la carne.
Ecco il dettaglio che mi avrebbe fregato: sarei stato ricoperto di sangue da capo a piedi, altroché vita nuova in Costarica. Avrei passato il resto dei miei giorni in gabbia.
Con questo pensiero mi sono coricato assieme alla mia buona coscienza. Tanto era solo un gioco, non l’avrei mai fatto.
Ma al mattino dopo assieme al caffè ho pensato: se la vittima fosse seduta e io dietro di lei, il corpo stesso mi avrebbe protetto dal sangue. La questione mi incuriosiva parecchio.
A pranzo avevo deciso che la vittima sarebbe stata una qualsiasi persona seduta al momento e al posto giusto per la mia missione. Non rimaneva altro che aspettare due giorni e nel frattempo procurarsi un bisturi.
Non è stato difficile. È bastata una visita al pronto soccorso, un momento di distrazione e ce lo avevo in tasca nella sua confezione asettica.
La mattina di Ferragosto alle tre in punto sono partito con la mia Clio alla volta di Riccione. Per quanto sognassi di avere una Tesla del tutto inutile in Costarica, ero ancora certo di fare questa viaggio per una mera curiosità.
Alle sette del mattino parcheggiavo nella zona di viale Ariosto.
Era una giornata splendida, la città ancora dormiva nella salsedine. Visto che c’ero, potevo far finta di essere in vacanza anch’io.
Ho affittato un ombrellone a strisce gialle e bianche che armonizzava perfettamente con il cielo blu. Gli altoparlanti del bagno 85 non smettevano nemmeno per un istante di trasmettere musica e di invitare chiunque al meraviglioso spettacolo pirotecnico della sera stessa. Immerso nel chiacchiericcio delle signore mi sono addormentato sulla mia sdraio.
Al risveglio una piadina con squacquerone e rucola accompagnato da una birra gelida per sentirmi davvero al mare.
Ancora ero certo di tornare a Milano innocente, ma non volevo rinunciare ai fuochi d’artificio.
Dopo la spiaggia, una pizza e qualche vasca in viale Ceccarini, mi sembravano un buon modo per arrivare all’ora giusta. Sembrava tutto normale, un normale giorno di vacanza.
Sembrava.
Passeggiando studiavo tutte le persone sedute ai bar, valutavo l’inclinazione della gola, scartavo quelle con i capelli lunghi o con una collana che mi avrebbe potuto intralciare. Escludevo anche i vecchi che magari la pappagorgia li salvava dal taglio letale.
Mi rimanevano tutti quelli con il collo lungo e nudo, e la gola ben esposta. Non erano moltissimi. Li fissavo incantato, sentendomi davvero generoso a non sgozzarli. Avrei voluto che mi fossero grati per aver salvato loro vita, per non averli strappati alle loro costose frivolezze che mai mi sarei potuto permettere, non fosse per quel milione che mi aspettava a Milano.
L’unico ostacolo fra me e la futura vittima era composto da immaginari funerali, futuri incompiuti e qualcosa di vago a cui nemmeno più sapevo dare un nome.
La spiaggia era il luogo giusto per non cedere alla tentazione e ripartire con le mani pulite.
Ma ho sentito come un richiamo e l’ho visto in prima fila, seduto, il collo lungo e negli occhi quel tipo di felicità che ti fa dire: se morissi adesso…
Ho capito che era lui. La punta del bisturi, attratta dalla sua gola, mi ha permesso di scambiare solo poche parole prima di svolgere il suo compito.
E sa che c’è?
Sto bene, me la sono cavata e sono un uomo ricco.”
Depongo la mia lettera nel confessionale. Vedo l’uomo dei soldi che la intasca.
Controllo il mio conto corrente seduto nell’ultima panca: il milione c’è.
Gli pianto la siringa nel collo, lo stantuffo gli inietta una bolla d’aria.
[font="Calibri", sans-serif]Nella lettera mi sono dimenticato di aggiungere che ci ho preso gusto.[/font]
traccia di mezzogiorno
Li ho visti quegli occhi pieni di stelline, la bocca spalancata a guardare i fuochi d’artificio.
Lo raggiungo dalla spiaggia.
È in prima fila sul lungomare affinché veda bene tutto lo spettacolo, anche lui col naso all’insù come le migliaia di persone in vacanza a Ferragosto.
Mi chino e gli chiedo se è felice, risponde di non aver mai visto uno spettacolo così meravigliosamente bello, proprio bello da morire.
I nostri occhi si incontrano per un’istante, due estranei che si guardano, un ragazzino in sedia a rotelle e un uomo che impugna un bisturi.
Come se lo accarezzassi, gli passo la lama da un orecchio all’altro. La sua testa fa in tempo a cadere in avanti prima che uno schizzo di sangue colpisca la donna vicina a lui.
Un muro di persone mi impedisce di vedere la mia prima vittima, urlo anch’io, sfodero il cellulare, fingo di chiamare il 112. Qualche metro più in là nessuno si accorge di nulla. I botti scoppiettano indifferenti in cielo, altre bocche spalancate, altri occhi rivolti verso l’alto.
Fermo ai margini fisso questa calca, mi devo ricordare i colori, gli odori, i movimenti, i rumori, la musica che si rincorre da un locale all’altro.
Sento le sirene che si avvicinano, sguardi distratti che si voltano.
Lo spettacolo è finito, le persone risalgono viale Ceccarini. Solo i sanitari dell’ambulanza si muovono controcorrente verso il ragazzo in sedia a rotelle. Nella brezza umida dal mare osservo la donna chinata sul corpo riverso in sedia a rotelle.
È ora, il mio bisturi e io ce ne andiamo tranquilli verso la macchina.
Arrivato a Milano, prima fermata ai navigli e l’arma del delitto scompare nell’acqua.
Le istruzioni sono chiare per ottenere il mio milione devo scrivere quello che ho fatto e tornare al confessionale di Sant’Ambrogio.
Alla mia scrivania con vista sul muro cerco di riordinare le idee. Mi sfuggono.
Pensavo di sentirmi diverso, di provare qualcosa. Invece sento solo sollievo per essere di nuovo a casa, stupore per non essermi macchiato di sangue.
Non mi sono mai chiesto come si inizia un racconto, e forse non importa. Scrivo.
“Credo ancora che lei sia il diavolo. Il fatto di esserci incontrati in chiesa non ha fugato i miei dubbi. Io al bar ho solo detto di voler incontrare l’uomo dei soldi e nel giro di due giorni lei mi ha chiamato, una circostanza quasi diabolica. È vero che lei mi ha chiesto una vita, non la mia anima: ma può un’omicida aspettarsi qualcosa di diverso dall’inferno?
In ogni caso io ho accettato e soddisferò il nostro patto fino in fondo.
Dopo aver parlato con lei, pensavo di far finta di niente. Avrei trovato il denaro in un altro modo. Me la sarei cavata anche questa volta e avrei rinunciato al mio sogno di scomparire in Costarica. In fondo il mio debito ammonta a soli ottantamila euro, i restanti novecentoventimila servono per una nuova vita.
Quindi me ne sono andato a cuor leggero.
Succede però che per un momento ho sentito il peso di quel denaro sul mio bancomat, una vetrina ha acceso il mio desiderio. Di colpo ho pensato a mia nonna che decapitava le galline prima di passarle nell’acqua bollente. Una vita è pur sempre una vita, che grande differenza tecnica poteva passare fra l’uccisione di una gallina e quella di una persona? Il tarlo della curiosità aveva agganciato la mia mente. Non potevo certo decapitare una persona, ma forse dissanguarla come faceva mio nonno con i maiali appesi a testa in giù, forse si. Il gesto era lo stesso. Al posto del coltellaccio un bisturi sarebbe stato più adeguato a una gola umana.
Una possibilità si stava trasformando in un progetto.
Io però, in tutta la mia vita non ho mai desiderato uccidere nessuno, tranne forse Giulio, mio compagno di banco, quando a voce alta ha gridato il mio amore per Ambra in seconda elementare.
Certo l’omicidio privo di movente è l’omicidio perfetto, destinato a rimanere insoluto, con qualche accorgimento.
Il progetto stava diventando realizzabile.
Fingevo il gioco intellettuale, ero certo che mai l’avrei fatto.
Eppure, già pensavo a Riccione, alla sera di Ferragosto, alle strade affollate di turisti, ai giovani che lanciano gavettoni a destra e manca, a me anonimo nella massa.
Sarei arrivato presto per scegliere la vittima, l’avrei seguita per tutto il giorno fino a trovare il momento opportuno oppure sarebbe stato meglio passare di fianco a qualcuno e semplicemente alzare il braccio con un gesto armonioso e squarciare la carne.
Ecco il dettaglio che mi avrebbe fregato: sarei stato ricoperto di sangue da capo a piedi, altroché vita nuova in Costarica. Avrei passato il resto dei miei giorni in gabbia.
Con questo pensiero mi sono coricato assieme alla mia buona coscienza. Tanto era solo un gioco, non l’avrei mai fatto.
Ma al mattino dopo assieme al caffè ho pensato: se la vittima fosse seduta e io dietro di lei, il corpo stesso mi avrebbe protetto dal sangue. La questione mi incuriosiva parecchio.
A pranzo avevo deciso che la vittima sarebbe stata una qualsiasi persona seduta al momento e al posto giusto per la mia missione. Non rimaneva altro che aspettare due giorni e nel frattempo procurarsi un bisturi.
Non è stato difficile. È bastata una visita al pronto soccorso, un momento di distrazione e ce lo avevo in tasca nella sua confezione asettica.
La mattina di Ferragosto alle tre in punto sono partito con la mia Clio alla volta di Riccione. Per quanto sognassi di avere una Tesla del tutto inutile in Costarica, ero ancora certo di fare questa viaggio per una mera curiosità.
Alle sette del mattino parcheggiavo nella zona di viale Ariosto.
Era una giornata splendida, la città ancora dormiva nella salsedine. Visto che c’ero, potevo far finta di essere in vacanza anch’io.
Ho affittato un ombrellone a strisce gialle e bianche che armonizzava perfettamente con il cielo blu. Gli altoparlanti del bagno 85 non smettevano nemmeno per un istante di trasmettere musica e di invitare chiunque al meraviglioso spettacolo pirotecnico della sera stessa. Immerso nel chiacchiericcio delle signore mi sono addormentato sulla mia sdraio.
Al risveglio una piadina con squacquerone e rucola accompagnato da una birra gelida per sentirmi davvero al mare.
Ancora ero certo di tornare a Milano innocente, ma non volevo rinunciare ai fuochi d’artificio.
Dopo la spiaggia, una pizza e qualche vasca in viale Ceccarini, mi sembravano un buon modo per arrivare all’ora giusta. Sembrava tutto normale, un normale giorno di vacanza.
Sembrava.
Passeggiando studiavo tutte le persone sedute ai bar, valutavo l’inclinazione della gola, scartavo quelle con i capelli lunghi o con una collana che mi avrebbe potuto intralciare. Escludevo anche i vecchi che magari la pappagorgia li salvava dal taglio letale.
Mi rimanevano tutti quelli con il collo lungo e nudo, e la gola ben esposta. Non erano moltissimi. Li fissavo incantato, sentendomi davvero generoso a non sgozzarli. Avrei voluto che mi fossero grati per aver salvato loro vita, per non averli strappati alle loro costose frivolezze che mai mi sarei potuto permettere, non fosse per quel milione che mi aspettava a Milano.
L’unico ostacolo fra me e la futura vittima era composto da immaginari funerali, futuri incompiuti e qualcosa di vago a cui nemmeno più sapevo dare un nome.
La spiaggia era il luogo giusto per non cedere alla tentazione e ripartire con le mani pulite.
Ma ho sentito come un richiamo e l’ho visto in prima fila, seduto, il collo lungo e negli occhi quel tipo di felicità che ti fa dire: se morissi adesso…
Ho capito che era lui. La punta del bisturi, attratta dalla sua gola, mi ha permesso di scambiare solo poche parole prima di svolgere il suo compito.
E sa che c’è?
Sto bene, me la sono cavata e sono un uomo ricco.”
Depongo la mia lettera nel confessionale. Vedo l’uomo dei soldi che la intasca.
Controllo il mio conto corrente seduto nell’ultima panca: il milione c’è.
Gli pianto la siringa nel collo, lo stantuffo gli inietta una bolla d’aria.
[font="Calibri", sans-serif]Nella lettera mi sono dimenticato di aggiungere che ci ho preso gusto.[/font]