[MI 156] L'ultimo giorno
Posted: Sun Oct 17, 2021 9:23 pm
Il mio commento
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Traccia di mezzogiorno: Isolati.
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Traccia di mezzogiorno: Isolati.
—Svegliati Vittorio, svegliati!
Le parole provenivano da lontano, avvolte in un fiato di tabacco.
Il ragazzo sorrise a occhi chiusi riconoscendo il sergente Marco Ascarò che lo scuoteva sopra la sua branda di tela. Si alzò a sedere stropicciandosi gli occhi e guardando lo stanzone adibito a camerata dove potevano dormire venti soldati, se veniva considerato anche lui che era la mascotte del battaglione.
Il sergente gli aveva ricavato quell’angolino, recuperato una divisa della sua taglia, non ne esistevano per ragazzi di tredici anni e avevano dovuto adattargliene una alla meglio. Vittorio era molto fiero di quella divisa, quei soldati erano la sua famiglia e Marco anche qualcosa di più, perché era stato lui a trovarlo ferito sotto le macerie della sua casa bombardata.
Suo padre, sua madre e le sue tre sorelle erano morti. Sembrava passato tanto tempo e invece erano nemmeno sei mesi prima.
I soldati lo avevano portato con loro, si stavano ritirando e lui li aveva seguiti perché non avrebbe saputo dove andare. Marco gli era stato sempre vicino, pensava a lui, si assicurava che avesse da mangiare e da bere, anche se l’acqua era molto rara e cattiva in quel deserto.
I soldati, attaccati dal nemico che avanzava vittorioso ovunque nelle colonie, erano stati costretti a ritirarsi in un fortino diroccato che sorgeva ai margini del micidiale deserto. A Vittorio piaceva quel posto, sembrava il forte dei suoi libri di avventure che leggeva nel giardino di casa, sotto lo sguardo della mamma e tutti i soldati erano eroi che lo proteggevano.
Per alcuni giorni rimasero tranquilli, ignorati da tutti. Naturalmente avevano issato su un pennone della piazza interna la loro bandiera di guerra.
—Noi non ci nascondiamo. In ogni caso sanno dove siamo— aveva detto il maggiore comandante.
Il nemico transitava in lontananza con le sue colonne e quella bandiera in mezzo ai ruderi li divertiva. Avevano capito che si trattava di un gruppo di sbandati che non avevano più la forza per assalirli. Alla fine, forse per ingannare la routine, il nemico si avvicinò a loro.
Dalle feritoie degli spalti Vittorio, acquattato dietro a Marco, vedeva le colonne dei camion nemici che scaricavano uomini con divise kaki come le loro, che si mischiavano alla sabbia del deserto. Altri mezzi trainavano grossi cannoni.
—Perché non ci attaccano?— chiedeva Vittorio eccitato.
—Aspettano— rispondeva Marco guardando pensieroso, arrotolandosi una sigaretta.
—Mi fai fumare?
—Non ancora. C’è tempo.
—Mi dici sempre così. Dimmi quando.
—Quando ce ne andremo via di qui.
—Uff! Chissà quando!
Marco fumava assorto appoggiato al suo fucile. Altri soldati vicini a lui lo guardavano silenziosi, passandosi la lingua sulle labbra aride, aguzzando lo sguardo verso il deserto.
Venne un’ambasciata del nemico. Un ufficiale che parlava italiano era entrato con una bandiera bianca in mano. Aveva parlato con il maggiore.
Dopo quel colloquio il maggiore aveva radunato in un corridoio i pochi ufficiali e sottufficiali di cui disponeva, fra i quali Marco, e aveva parlato con loro.
Vittorio non sapeva cosa avesse detto il comandante, ma aveva visto le facce serie di tutti, anche di Marco.
Tutto sembrava come sempre, ma si sentiva che c’era qualcosa di diverso, di cambiato. Passarono due giorni di calma sotto il sole rovente. Era possibile bere di più: un camion nemico si era avvicinato all’ingresso del fortino e aveva depositato delle taniche di acqua, sotto lo sguardo attento dei soldati dietro le feritoie. Mai bevuta un’acqua così buona e fresca.
Venne l’alba del terzo giorno. Fra poco ci sarebbe stata l’alzabandiera. Vittorio aspettava l’adunata seduto in un androne che dava nel cortile interno, circondato da mura bianche di calce inondate dal sole, sotto un cielo blu accecante. La figura di Marco si stagliava nitida al centro del cortile, con l’uniforme che si confondeva con la sabbia e con il sole. Venne verso di lui con calma, fucile a tracolla, pistola dentro la fondina, sigaretta in bocca, il fumo che usciva dal naso sopra i baffetti neri.
—Vittorio, devo dirti una cosa.
Il ragazzo alzò la testa verso di lui, sorridendo.
Marco si sedette vicino a lui, pensieroso.
—Cosa devi dirmi?
Marco sospirò. —Io… Tu…— Sospirò ancora —E’ stato molto bello averti qui… per me… Lo sai…
—Si, lo so— Vittorio fece un viso serio guardando Marco negli occhi.
— Io vorrei che tu fossi felice un giorno, da grande.
—Non so… Io sono felice adesso.
Marco si guardò intorno come rassegnato.
—Vittorio, i soldati a volte non tornano a casa.
—Cosa vuoi dirmi?
—Io… vorrei che tu ti salvassi.
—Ci salveremo assieme noi due e tutti gli altri, no?
Marco inspirò un’ultima boccata e gettò la sigaretta. Mise una mano dentro la giacca sgualcita e ne tirò fuori una pezza di lenzuolo bianco.
—Ascoltami. Non devi fare l’alzabandiera oggi. Lascia qui il moschetto, vai verso il portone, apri la porta piccola, esci fuori tenendo questo in mano. E’ molto importante. Devi andare verso il nemico con le mani alzate. Se vedono questo lenzuolo bianco non sparano. Capisci? Non sparano. Devi andare da loro.
Vittorio scuoteva il capo in continuazione e arretrava, come volesse spingere il muro alle sue spalle.
—E tu? Vieni con me? Vieni con me?— ripeteva con angoscia.
—No. Devo stare qui. Ma tu dovrai correre, capito? Sei veloce, lo so, devi allontanarti al più presto…
—Ma io non voglio lasciarti… perché mi dici così?
—Voglio che ti salvi…
—No!— urlò Vittorio alzandosi di scatto. —Tu non mi vuoi più bene! Vuoi lasciarmi solo! Mi hai detto solo bugie! Sei cattivo!
Si alzò e si mise a correre.
—Vittorio! Vittorio! Per amor del cielo non fare così Vittorio!
Ma il ragazzo scomparve.
Il trombettiere suonò l’adunata. I pochi soldati rimasti del battaglione si radunarono nel cortile centrale, sotto il pennone.
Il sergente Marco Ascarò si mise stentatamente in fila con l’animo in subbuglio, girando lo sguardo intorno, cercando di rimanere immobile, mentre il viso si riempiva di lacrime.
Ma non fu notato, anche altri visi erano bagnati di lacrime. La voce del maggiore, ritto davanti a loro in alta uniforme, era commossa.
—Questo è l’ultimo giorno! Abbiamo tutti scelto di restare! Oggi non alzeremo la bandiera bianca come il nemico ha chiesto, ma la nostra bandiera! E’ stato per me un grande onore e un grande privilegio essere il vostro comandante! Vi auguro buona fortuna, Dio vi benedica!
In quel momento comparve Vittorio in mezzo al cortile, come dal nulla. Il viso sporco, disfatto dal pianto, la mano che si asciugava le lacrime, il naso che tirava di continuo, il moschetto in mano con la cinghia penzoloni. Veniva verso gli uomini inquadrati. Il maggiore guardò per un attimo il sergente e Marco, con un guizzo di gioia e di dolore insieme, fece cenno di no: —Non ha voluto… Non ha voluto…
I soldati scalarono silenziosamente di posto, mentre Vittorio si allineava al fianco di Marco, mettendo il fucile calcio a terra in posizione di riposo.
Marco gli sistemò la cinghia del fucile, gli aggiustò la camicia e raddrizzò la bustina sul capo, messa di sghimbescio.
—Mi vuoi bene, Marco?— disse sottovoce Vittorio guardando fisso davanti a sé.
—Si figlio mio. Ho voluto bene solo a te nella mia vita. Solo a te.
—Trombettiere! Alzabandiera! Presentate le armi!— urlò il maggiore con voce stentorea sfoderando la sciabola, mettendosi sull’attenti.
La bandiera si alzò sventolando lentamente al suono rauco della tromba.
Vittorio sorrideva felice presentando le armi, Marco, con le lacrime che scendevano fino al mento, sorrideva anche lui stringendosi quanto più possibile vicino al ragazzo mentre salutavano la bandiera rimanendo impettiti sull’attenti, faccia in alto, presentando i fucili. Soffiò un alito di vento caldo.
Si sentirono dei rombi possenti in lontananza. Come i tuoni di un temporale di mezza estate in una campagna fresca e umida, con odore di paglia bagnata.
Tutto il mondo parve scoppiare all’improvviso nel piazzale, con immensi boati, vampe di fiamme, nubi nere vorticose fino al cielo. Il fortino scomparve alla vista per sempre.