[MI 155] Euripide, l'aquila e la tartaruga
Posted: Sun Oct 03, 2021 9:23 pm
Commento a "Il favore più grande" di Tracker
Traccia di mezzogiorno: la fobia
Quando Socrate si era recato presso l’oracolo di Delfi, la Pizia, la sacerdotessa del tempio, gli aveva svelato, come noto, che era l’uomo più saggio di tutti i tempi. Dài e dài, l’entourage di Euripide aveva quasi convinto il riluttante poeta a intraprendere il viaggio verso Delfi. Dal momento che, in Atene, le sue tragedie non erano granché apprezzate dal pubblico (troppo innovative… gli ateniesi avevano ancora il gusto tarato sull’austerità di Eschilo), se la profetessa di Delfi gli avesse dato una sorta di endorsement, la sua attività poetica in patria ne avrebbe giovato enormemente.
Certo, non poteva pronunciarlo come il più saggio degli uomini del tempo, dal momento che la palma era già andata a quel cencioso Socrate, ma quantomeno, poteva essere dichiarato come “il più divino dei poeti,” o qualcosa di enigmatico (sapete come sono le profetesse…), ma che, in qualche maniera, potesse essere ritorto a suo vantaggio. Non era stato Euripide, come anche Socrate, a lezione dai più grandi sofisti?
Il viaggio per Delfi richiedeva parecchi giorni. Era anche un bell’investimento, per il poeta. Le tragedie, in patria, avevano poco pubblico e non vendevano. Euripide non era di umili natali (come sosteneva quel pestifero Aristofane), ma non era neppure in grado di dedicarsi alla poesia a tempo pieno. Certo, c’erano sempre le vendite delle sue opere all’estero, a sostenere uno stile di vita che non sconfinava nello sfarzoso, ma che non doveva mancare di niente. Però, un viaggio a Delfi poteva essere un fallimento: poteva prosciugare le ultime risorse delle casse del poeta. Il giorno prima della partenza, decise di consultarsi con Socrate. A qualcosa doveva pur servire, quella sorta di piantagrane.
Al solito, lo trovò nel pubblico mercato, dove lui non s’affacciava mai, perché era compito dei servi andare a fare compere. Socrate si stava consultando con un ciabattino su materie di infima importanza, ma che sembravano dilettarlo oltremodo.
«O Euripide, uomo di straordinaria bellezza. Come posso esserti utile?»
Il poeta aveva ampie spalle e una bella barba ma, ormai, passata la settantina, era anche completamente privo di capelli. Si chiese, al solito, se il vecchio sileno lo stesse prendendo in giro. Con lui ci si poteva aspettare di tutto.
«Socrate, come vanno i tuoi commerci col dio?»
«Proprio ora discutevo col buon uomo qui presente se gli dèi s’interessino o meno degli affari umani.»
«Che dice, il buon uomo?»
Il ciabattino arrossì. Voleva soltanto dedicarsi alle sue scarpe. Non capiva cosa volessero quei grand’uomini da lui.
«Da prima, sembrava convinto che gli dèi abbiano altro a cui pensare» disse Socrate, grattandosi il mento. «Poi, abbiamo discusso a lungo, e si è convinto che invece gli dei sono interessati alle faccende umane. Però, non l’ho visto convinto, quindi abbiamo continuato a discutere, fino a quando abbiamo concordato che non è possibile stabilire se le divinità si interessino o meno alle faccende degli uomini, ma non è neanche possibile non stabilirlo. O Euripide, bellissimo uomo: come posso esserti aiutarti?»
Lui sospirò.
«Pensavo di andare a Delfi.»
«Un’ottima camminata.»
«Tu andasti a piedi? Comunque, mi chiedevo se l’oracolo potesse svelarmi qualcosa di utile sulla mia attività poetica. Ti confesso che ho messo gli occhi su questo soggetto, vorrei chiamare l’opera Le baccanti, e...»
«Cos’è l’utile, secondo te, o uomo meraviglioso?» chiese Socrate.
Euripide si sarebbe messo le mani nei capelli, se ne avesse ancora avuti. Si rassegnò a dialogare per due o tre ore con quel terribile Socrate. Era impossibile cavare alcunché di buono da quell’uomo, senza che non lo si accompagnasse nelle sue interminabili interrogazioni
«Ti sei consultato con Socrate?» gli chiese la moglie, quando fu a casa, mentre gli massaggiava le ampie spalle.
«Non mi ci far pensare.»
«Che avete concluso?»
«Non è possibile stabilire che sia utile che io vada a Delfi, ma non è neanche possibile stabilire che sia inutile. Però non è neanche possibile stabilire con certezza cosa sia l’utile o l’inutile, in generale, ma forse è possibile stabilirlo con ulteriori discussioni.»
«Però non ha detto che è inutile.»
«No.»
«Dicono sia l’uomo più saggio dei nostri giorni.»
«Così lo ha pronunciato l’oracolo» concluse Euripide, decidendosi, infine, a intraprendere il viaggio.
«O uomo meraviglioso» disse Socrate, incrociandolo in un parchetto dedicato al dio Apollo, poco fuori le mura di Atene.
Euripide si chiese per qual motivo fosse passato da “bellissimo” a “meraviglioso” nel giro di due settimane. Va detto che girava sotto una sorta di palchetto di legno che si era fatto fabbricare, trainato da due cavalli. Era una vista alquanto buffa.
«Sono stato anch’io a Delfi.»
«Un’ottima camminata.»
«Sono andato a cavallo, io che posso. Comunque, non l’avessi mai fatto.»
«Cosa ti ha detto la Pizia?»
«Che morirò colpito da qualcosa che cade dall’alto.»
«A questo dobbiamo questo curioso catafalco?»
«Sei sempre stato uno spirito acuto» osservò Euripide, amaramente. «Ho seguito il tuo consiglio, sono andato dall’oracolo, e ora la mia vita è finita. Ho anche smesso di scrivere, perché sono in preda al terrore di essere colpito da un momento all’altro, quando metto il becco fuori casa. Però stamane mi è venuto il timore di essere colpito da un lampadario, perciò li sto facendo disinstallare, e per questo sono uscito. Ora, ho di nuovo paura.»
«Non mi pare d’averti consigliato di andare a Delfi.»
«Come ti pare. Tu non ti prendi mai la responsabilità di quello che dici. Intanto, io vivo nel terrore.»
«Terrore…» disse Socrate, toccandosi il mento. «A tuo avviso, è possibile avere terrore di qualcosa che non è ancora avvenuto? E, nel momento in cui ciò avviene, da cosa siamo più terrorizzati?»
«Ricominciamo…»
«Sto cercando di esserti d’aiuto» disse Socrate che, forse, un po’ si sentiva in colpa. «Se stabilissimo se sia razionale provare terrore o meno…»
«Come ti pare» disse Euripide, seccato. Se stava per morire, non voleva certo passare gli ultimi momenti in compagnia di quel figuro.
Come detto, neppure fra le quattro pareti di casa si sentiva al sicuro. Si svegliò a metà della notte, in preda all’angoscia.
«Che fai?»
«Forse ho avuto un’idea. Per giocare l’oracolo.»
«Dormi.»
«Domattina esco.»
«Bene.»
Il giorno dopo, Euripide prese il suo carro e andò in una landa deserta e poco ospitale qualche chilometro fuori da Atene. Mentre era pensabile che, per esempio, un vaso posto su una mensola dell casa gli cadesse in testa, in quel punto, isolato da tutto, sotto il cielo aperto, non era possibile che alcunché lo colpisse.
Si sedette a gambe incrociate, sentendosi finalmene felice, e cominciò a comporre di buona lena la sua ultima opera.
Dopo pochi minuti, passò di lì un’aquila. Fra gli artigli, aveva una tartaruga di cui voleva proprio rompere il guscio. Il lucore di una zucca straordinariamente lucida attrasse il suo sguardo.
Traccia di mezzogiorno: la fobia
Quando Socrate si era recato presso l’oracolo di Delfi, la Pizia, la sacerdotessa del tempio, gli aveva svelato, come noto, che era l’uomo più saggio di tutti i tempi. Dài e dài, l’entourage di Euripide aveva quasi convinto il riluttante poeta a intraprendere il viaggio verso Delfi. Dal momento che, in Atene, le sue tragedie non erano granché apprezzate dal pubblico (troppo innovative… gli ateniesi avevano ancora il gusto tarato sull’austerità di Eschilo), se la profetessa di Delfi gli avesse dato una sorta di endorsement, la sua attività poetica in patria ne avrebbe giovato enormemente.
Certo, non poteva pronunciarlo come il più saggio degli uomini del tempo, dal momento che la palma era già andata a quel cencioso Socrate, ma quantomeno, poteva essere dichiarato come “il più divino dei poeti,” o qualcosa di enigmatico (sapete come sono le profetesse…), ma che, in qualche maniera, potesse essere ritorto a suo vantaggio. Non era stato Euripide, come anche Socrate, a lezione dai più grandi sofisti?
Il viaggio per Delfi richiedeva parecchi giorni. Era anche un bell’investimento, per il poeta. Le tragedie, in patria, avevano poco pubblico e non vendevano. Euripide non era di umili natali (come sosteneva quel pestifero Aristofane), ma non era neppure in grado di dedicarsi alla poesia a tempo pieno. Certo, c’erano sempre le vendite delle sue opere all’estero, a sostenere uno stile di vita che non sconfinava nello sfarzoso, ma che non doveva mancare di niente. Però, un viaggio a Delfi poteva essere un fallimento: poteva prosciugare le ultime risorse delle casse del poeta. Il giorno prima della partenza, decise di consultarsi con Socrate. A qualcosa doveva pur servire, quella sorta di piantagrane.
Al solito, lo trovò nel pubblico mercato, dove lui non s’affacciava mai, perché era compito dei servi andare a fare compere. Socrate si stava consultando con un ciabattino su materie di infima importanza, ma che sembravano dilettarlo oltremodo.
«O Euripide, uomo di straordinaria bellezza. Come posso esserti utile?»
Il poeta aveva ampie spalle e una bella barba ma, ormai, passata la settantina, era anche completamente privo di capelli. Si chiese, al solito, se il vecchio sileno lo stesse prendendo in giro. Con lui ci si poteva aspettare di tutto.
«Socrate, come vanno i tuoi commerci col dio?»
«Proprio ora discutevo col buon uomo qui presente se gli dèi s’interessino o meno degli affari umani.»
«Che dice, il buon uomo?»
Il ciabattino arrossì. Voleva soltanto dedicarsi alle sue scarpe. Non capiva cosa volessero quei grand’uomini da lui.
«Da prima, sembrava convinto che gli dèi abbiano altro a cui pensare» disse Socrate, grattandosi il mento. «Poi, abbiamo discusso a lungo, e si è convinto che invece gli dei sono interessati alle faccende umane. Però, non l’ho visto convinto, quindi abbiamo continuato a discutere, fino a quando abbiamo concordato che non è possibile stabilire se le divinità si interessino o meno alle faccende degli uomini, ma non è neanche possibile non stabilirlo. O Euripide, bellissimo uomo: come posso esserti aiutarti?»
Lui sospirò.
«Pensavo di andare a Delfi.»
«Un’ottima camminata.»
«Tu andasti a piedi? Comunque, mi chiedevo se l’oracolo potesse svelarmi qualcosa di utile sulla mia attività poetica. Ti confesso che ho messo gli occhi su questo soggetto, vorrei chiamare l’opera Le baccanti, e...»
«Cos’è l’utile, secondo te, o uomo meraviglioso?» chiese Socrate.
Euripide si sarebbe messo le mani nei capelli, se ne avesse ancora avuti. Si rassegnò a dialogare per due o tre ore con quel terribile Socrate. Era impossibile cavare alcunché di buono da quell’uomo, senza che non lo si accompagnasse nelle sue interminabili interrogazioni
«Ti sei consultato con Socrate?» gli chiese la moglie, quando fu a casa, mentre gli massaggiava le ampie spalle.
«Non mi ci far pensare.»
«Che avete concluso?»
«Non è possibile stabilire che sia utile che io vada a Delfi, ma non è neanche possibile stabilire che sia inutile. Però non è neanche possibile stabilire con certezza cosa sia l’utile o l’inutile, in generale, ma forse è possibile stabilirlo con ulteriori discussioni.»
«Però non ha detto che è inutile.»
«No.»
«Dicono sia l’uomo più saggio dei nostri giorni.»
«Così lo ha pronunciato l’oracolo» concluse Euripide, decidendosi, infine, a intraprendere il viaggio.
«O uomo meraviglioso» disse Socrate, incrociandolo in un parchetto dedicato al dio Apollo, poco fuori le mura di Atene.
Euripide si chiese per qual motivo fosse passato da “bellissimo” a “meraviglioso” nel giro di due settimane. Va detto che girava sotto una sorta di palchetto di legno che si era fatto fabbricare, trainato da due cavalli. Era una vista alquanto buffa.
«Sono stato anch’io a Delfi.»
«Un’ottima camminata.»
«Sono andato a cavallo, io che posso. Comunque, non l’avessi mai fatto.»
«Cosa ti ha detto la Pizia?»
«Che morirò colpito da qualcosa che cade dall’alto.»
«A questo dobbiamo questo curioso catafalco?»
«Sei sempre stato uno spirito acuto» osservò Euripide, amaramente. «Ho seguito il tuo consiglio, sono andato dall’oracolo, e ora la mia vita è finita. Ho anche smesso di scrivere, perché sono in preda al terrore di essere colpito da un momento all’altro, quando metto il becco fuori casa. Però stamane mi è venuto il timore di essere colpito da un lampadario, perciò li sto facendo disinstallare, e per questo sono uscito. Ora, ho di nuovo paura.»
«Non mi pare d’averti consigliato di andare a Delfi.»
«Come ti pare. Tu non ti prendi mai la responsabilità di quello che dici. Intanto, io vivo nel terrore.»
«Terrore…» disse Socrate, toccandosi il mento. «A tuo avviso, è possibile avere terrore di qualcosa che non è ancora avvenuto? E, nel momento in cui ciò avviene, da cosa siamo più terrorizzati?»
«Ricominciamo…»
«Sto cercando di esserti d’aiuto» disse Socrate che, forse, un po’ si sentiva in colpa. «Se stabilissimo se sia razionale provare terrore o meno…»
«Come ti pare» disse Euripide, seccato. Se stava per morire, non voleva certo passare gli ultimi momenti in compagnia di quel figuro.
Come detto, neppure fra le quattro pareti di casa si sentiva al sicuro. Si svegliò a metà della notte, in preda all’angoscia.
«Che fai?»
«Forse ho avuto un’idea. Per giocare l’oracolo.»
«Dormi.»
«Domattina esco.»
«Bene.»
Il giorno dopo, Euripide prese il suo carro e andò in una landa deserta e poco ospitale qualche chilometro fuori da Atene. Mentre era pensabile che, per esempio, un vaso posto su una mensola dell casa gli cadesse in testa, in quel punto, isolato da tutto, sotto il cielo aperto, non era possibile che alcunché lo colpisse.
Si sedette a gambe incrociate, sentendosi finalmene felice, e cominciò a comporre di buona lena la sua ultima opera.
Dopo pochi minuti, passò di lì un’aquila. Fra gli artigli, aveva una tartaruga di cui voleva proprio rompere il guscio. Il lucore di una zucca straordinariamente lucida attrasse il suo sguardo.