[MI 155] Sensazioni di Gregory
Posted: Sun Oct 03, 2021 8:45 pm
Traccia di mezzogiorno: La fobia.
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Gregory avrebbe voluto continuare la scuola con studi classici ma aveva scelto una direzione artistica. Amava la bellezza, immaginava di diventare un pittore, mostrare al mondo il suo ideale di bellezza. Questa idea lo affascinava. Ma sospettava ed ebbe la certezza che il suo passaggio dall’infanzia all’adolescenza non sarebbe stato facile né piacevole come per tutti i suoi compagni.
Alcuni li conosceva dalle medie, non poteva dire di essere loro amico, lui non aveva amici, però si era abituato alla loro presenza e loro alla sua. Ma nel liceo in città era diverso. C’erano tanti alunni, tanti professori, lui non amava trovarsi in mezzo alla gente. Si chiudeva a riccio, voleva diventare invisibile. Veniva notato ancora di più. Aveva i suoi motivi per nascondersi, sapeva di essere brutto.
Quest’aggettivo aveva una connotazione precisa nella sua mente, non potevano esserci scorciatoie. Gregory portava occhiali con lenti a fondo di bottiglia, denti storti, capelli oleosi… tutte cose risolvibili oggi, ma Gregory non si era affacciato alla vita oggi, bensì tanto tempo fa. Chi era come lui rimaneva così in quella lunga eternità che è l’adolescenza. Si era sempre isolato fin da bambino, defilandosi appena vedeva gente. Rimanendo solo il suo carattere si era inasprito, era diventato taciturno, scontroso.
Aveva il terrore dell’ora di ricreazione, quando i professori lasciavano le aule per andare a prendere un caffè al bar di fronte alla scuola. Finché c’era lezione si sentiva come protetto, nessuno poteva fargli del male. Ma alla ricreazione il suo cuore batteva fino a stordirlo, mentre fingeva di controllare con calma appunti e disegni sparsi sul suo banco, l’ultimo della fila, solo. A volte i compagni si disinteressavano di lui, uscivano dall’aula, passeggiavano nei corridoi, andavano a fumare di nascosto nei bagni, flirtavano con le ragazzine… Ma quando non sapevano cosa fare lo circondavano. Si divertivano davvero tanto a scimmiottarlo, alcuni avevano costruito con del filo di ferro trovato in un ripostiglio la sagoma di un paio di occhialoni e con della carta degli enormi denti che si appiccicavano ai loro con saliva, come zanne, poi gli danzavano attorno sganasciandosi dalle risa. Gregory non reagiva, piegava la testa aspettando che tutto finisse. Vedeva in lontananza, attraverso le lenti degli occhiali appannati dalle lacrime le ragazze che in gruppo ridevano. Solo una non rideva, Eleonora, il viso assorto guardando nella sua direzione. Gregory provava dolore al suo sguardo di pena. Voleva provare dolore solo per quello sguardo. Pregava che tutto finisse presto. Finiva. Ma poi ricominciava.
Ormai aveva delle tappe fisse Gregory. La mattina, appena sceso dal bus, andava a scuola lentamente, facendo passare il tempo in modo da entrare per ultimo. Non poteva permettersi di aspettare il suono della campanella nella piazza antistante la scuola, il regno dell’anarchia dove lo avrebbero annientato.
In questo itinerario se la cavava bene, poi c’era il fine lezioni, anche lì doveva calcolare i tempi in modo da uscire di scuola fra i primi, di corsa, per non trovarsi in mezzo a tutti. Era faticoso, ma anche in questo se la cavava bene.
Una mattina che camminava guardando l’orologio si sentì chiamare. Eleonora stava alle sue spalle, sola contrariamente al suo solito. Gregory non era abituato a sentire il suo nome pronunciato da una ragazza, questo gli provocò sensazioni sconosciute. Era sempre paura, nessuno poteva averlo in simpatia, ma questa volta era una paura diversa, non avrebbe saputo spiegare.
— Finiamo assieme la strada? — gli disse lei con il sorriso più bello e più buono del mondo.
— Beh… io…
— Qui allunghi troppo. Vieni, passiamo sotto.
Eleonora voleva scendere in una lunga scalinata che li avrebbe portati direttamente davanti alla scuola; Gregory di proposito non ci passava quasi mai. Ma non se la sentiva di rifiutare quell’invito tutto per lui.
Il primo invito di una ragazza in vita sua… Il cuore gli stava battendo sulle tempie, si sentiva male.
— No, non starmi dietro… Cammina al mio fianco altrimenti inciampi — disse lei sorridendo gentile.
Questo era davvero troppo: Eleonora che gli diceva di camminargli a fianco, come fossero… Ma no, ma no. Gregory non si faceva illusioni, ma forse per la prima volta in vita sua provò una sensazione di leggerezza, di felicità. Era davvero bello essere come tutti gli altri. Quanto era bello.
Si era del tutto dimenticato che si sarebbe trovato davanti alla scuola con i ragazzi ancora fuori. Presto fu notato e che fosse al fianco di Eleonora ancora di più. I ragazzi della sua classe lo guardarono divertiti.
I due gemelli, Valentino e Pieter in particolare erano i più accaniti contro di lui. Bellissimi, biondi e con gli occhi verdi. Inutile dire un sorriso perfetto e luminoso. Tutti amavano questi bravi ragazzini.
Valentino aveva sempre in mezzo a un album da disegno dei denti di carta finti e Gregory provava terrore al pensiero che se li sarebbe messi adesso per prenderlo in giro. Ma non lo fece. Afferrò Gregory per la collottola del giaccone, lo sollevò come un burattino appoggiandolo al portone ancora chiuso della scuola e cominciò a sbattergli la testa ritmicamente.
— Dai, conta. Conta! Su! Dai! Uno, due… Conta! Ma cosa ti sei messo in testa deficiente!
E Gregory contava. Ogni volta che sbatteva la testa contava.
— Uno, due, tre…
I ragazzi ridevano di gusto, spruzzando la loro sacra saliva in faccia a Gregory, che ne sentiva il sapore come un reietto.
— Dai Vale, fai fare anche a me! — diceva Pieter eccitato e diede il cambio al gemello.
Gregory continuava a contare, gli occhiali di sghimbescio in faccia, contava e lacrimava. Vide Eleonora che lo guardava allibita e come indignata, sbalordita che Gregory non reagisse.
Si entrò in classe.
Il professore di ornato e modellato era un tranquillo e nascosto amante del peccaminoso, ma siccome indossava giacca e cravatta passava come rispettabile, in quei tempi come oggi. Alla sua ora faceva mettere tutte le ragazze in prima fila, così dalla sua cattedra, senza troppo clamore, poteva guardare le gambe. Quel giorno inscenò come lezione la fantasia.
— Come vedete ho portato questa bella zucca dell’ortolano — disse mostrando una grossa zucca arancione messa sulla cattedra, — perché la copiate e trasformiate secondo i vostri desideri.
— Possiamo trasformarla come vogliamo?
— Come volete.
— Possiamo mettergli degli occhiali e dei denti finti?
— Ancora meglio. Arte astratta. Ma rispettando la prospettiva.
Tutti risero. I due gemelli applicarono alla zucca gli occhiali di filo di ferro e i dentoni di carta, fissando il tutto con del bostic.
— Bene, copiate. Prospettiva e ombra.
Si sentì in fonda all’aula come un scroscio d’acqua scaraventato a terra d’un colpo. Gregory si era alzato dal banco e aveva vomitato.
Venne l’ora di ricreazione. Gregory era stato tenuto in segreteria in attesa che gli passasse il malessere. All’epoca non intervenivano ambulanze, polizia e giornalisti per eventi considerati naturali.
Gregory si era tolto gli occhiali per lavarsi la faccia in bagno. Sentì delle urla irrompere alle sue spalle. Valentino danzava reggendo in testa la zucca con gli occhiali e i dentoni, Pieter e gli altri tutti dietro di lui. Gregory allungò le mani prese la zucca, spintonò Valentino e corse via come un vento. Tutti lo rincorsero urlando e ridendo. Gregory entrò dentro il ripostiglio del materiale di pulizia.
Valentino, furioso ed eccitato prese a calci la porta che si aprì. Entrò e la porta si richiuse.
Si sentì qualcosa sbattere, un sospiro prolungato, soffocato. Gregory uscì con la zucca tra le mani macchiate di rosso, la scaraventò nella tromba delle scale facendola sfracellare.
Valentino non usciva.
— Vai a trovare il tuo gemellino — disse Gregory a Pieter che entrò e subito si mise a urlare con una voce stridula e sgraziata.
Mentre tutti andavano a vedere, Gregory buttò via una spatola in metallo lunga e appuntita che si usava per rifinire le composizioni di argilla.