[MI 154] La morte dolce
Posted: Sun Sep 19, 2021 11:57 pm
[MI154] Il decadimento del falso vuoto (commento)
Traccia di mezzanotte
Traccia di mezzanotte
Abbiamo trascorso in cucina tutta la serata, forse la migliore degli ultimi sei mesi.
Giada -chissà se si chiama davvero così - meno vistosa dell’ospite di sabato scorso, era più simpatica ed elegante e ha saputo conversare con garbo. Dev’essere più istruita di me, ci vuole poco a capirlo, ma ha cercato di non mostrarlo. Forse una studentessa che deve mantenersi all’università, parecchie arrotondano così.
Poco importa, sono un uomo semplice, un lavoratore che ha il diritto di divertirsi ogni tanto.
Mi affaccio alla vetrata: la luna piena inargenta i filari delle viti arrampicati in semicerchi ordinati sul fianco della collina. Li coltivo con cura e orgoglio, come mio padre, il nonno e il bisnonno. Purtroppo non ho figli, passeranno a quelli di mio fratello, vignaioli anche loro. Il cielo è sereno, il tempo dovrebbe reggere, e la vendemmia ormai prossima promette bene.
«Che magnifica cucina» ha esclamato Giada appena varcata la soglia. Lo dicono tutte, ma lei si è avvicinata a ogni suppellettile, ha commentato la disposizione, chiesto dei legni e se l’avevo progettata io stesso.
“L’idea sì, e i materiali li ho scelti di persona, a disegnarla mi ha aiutato un amico e al paese c’è un bravissimo falegname”.
«E tu devi essere un ottimo cuoco, nessuno finora ha insistito per cenare a casa.»
Verissimo, una dote ereditaria che mi è piaciuto coltivare. Preparavo la cena ogni sera anche ai tempi di Francesca: lei cucinava benino, ma non c’era confronto, l’ha riconosciuto subito e ne sembrava contenta.
«Vivi da solo per scelta o per… Scusami, non dovevo chiederlo»
Quando capita, provo fastidio e non rispondo, ma lei mi è sembrata diversa dalla altre e, quasi senza volerlo, ho detto la nuda verità.
“Perché ogni tanto tradivo mia moglie, non qui si capisce, e lei se n’è accorta. Quei rapporti non significavano niente, però mi ha lasciato.”
Giada è stata zitta, che avrebbe potuto dire? Con ragazze come lei, sì, le preferisco. Ho cominciato da giovane e ripreso, a intervalli, dopo neppure un anno dal matrimonio. Non avrei dovuto, d’accordo. Se avessimo avuto figli, chissà, o forse mia moglie si sarebbe rassegnata.
Abbiamo subito cambiato argomento e ce n’era uno già bello e pronto. Anche Giada ama la cucina, ne capisce parecchio per la sua età, così abbiamo parlato di cibo per tutto il tempo.
Dopo le (meritate) lodi, ha chiesto le ricette di ogni piatto, segnando svelta le mie varianti su un taccuino, vini compresi. Oltre ai prosecchi, ho servito del bardolino e un montello.
Per antipasto avevo azzardato delle sarde in saor, nella versione ingentilita da uvette e pinoli; il primi erano un classico: risotto all’amarone con radicchio trevigiano e “bruscandoli”, che Giada ha riconosciuto perché li usava sua nonna, e un assaggio di bigoli. Quanto al secondo, mi ero divertito a proporre, non la cucinavo da anni, un’impeccabile lingua di vitello salmistrata al forno con contorno di erbette.
Il dolce veneto per eccellenza rimane il tiramisù, ma ho optato per una variante, usando una base di “fregolotta”, ammorbidita con il caffè e cosparsa di crema di mascarpone, accompagnata un ottimo recioto.
Durante il pasto, quasi dimentico del motivo per cui Giada era lì, mi sono comportato da ospite cortese; le abbondanti libagioni hanno però prodotto il loro effetto.
«Saliamo in camera?» ho proposto sbrigativo. Lei però si è diretta al vecchio divano davanti al camino acceso.
«Qui al caldo staremo meglio» e ha cominciato a svestirsi.
Ingoiata in un attimo la pillolina azzurra che per fortuna avevo messo in tasca, ho ridotto le luci e mi sono affrettato a raggiungerla.
Chiudo le imposte e torno al divano. Mi sento stanco, non sono più un giovanotto e ho pure la pressione un po’ alta. Avverto un capogiro e un irregolare battito del cuore. Mi verrà mica un accidente?
Quando riprendo il contatto con la realtà devono essere passati pochi minuti e sto bene, almeno credo. Avevo sparecchiato, dovrei mettere i piatti nella lavastoviglie. Abbandono il divano.
Al centro del tavolo c’è una bottiglia con due bicchieri, la guardo meravigliato: com’è arrivata qui dalla cantina? Polverosa, con un’etichetta di carta quasi illeggibile che reca la scritta “Amarone” e, decifro a fatica, la mia data di nascita. Ma sì, dev’essere quella regalatami dal nonno. “Ha poteri magici” ripeteva scherzando. Anche lui aveva ricevuto la sua alla nascita e al momento giusto si era rivelata preziosa. “Però dovrai essere bravo come me”, e mi spiegava il da farsi. Una favola, insomma.
Però bottiglia e bicchieri sono davanti a me e lei…
C’è anche Lei, nell’angolo più buio delle cucina, accanto alla credenza: alta, magra e nero vestita.
Si avvicina come scivolando sul pavimento, mi pianta in viso gli occhi verdi e dice, senza quasi muovere le labbra sottili: «Sai perché sono qui, versa e beviamo.»
Avverto una fitta nel petto e un sudorino freddo mi imperla la fronte, ma le parole del nonno mi tornano tutte in mente: anche lui era un grande cuoco.
«Fai il tuo lavoro perché devi, ma non ti credo malvagia. Concedimi una morte dolce!»
Lei inclina appena il capo. Dal frigo prendo la torta, da un ripiano la bottiglia di recioto.
«Con questa non possiamo bere l’amarone vecchio di sessant’anni, occorre un passito all’altezza!»
Un sorrisetto stira la bocca esangue. Servo il dolce nei piattini, le porgo una forchettina, riempio i bicchieri. Un lieve luccichio delle iridi verdi rivela il suo gradimento.
«Tornerò, lo sai, -dice posando il bicchiere vuoto – e potrai offrimi solo quello.»
Se ne va, prendo l’amarone e i bicchieri per riporli nella credenza.
Mi sveglio sul divano, intontito e con la testa pesante, la schiena mi duole. Devo darmi una regolata, ridurre l’alcol e lasciar perdere il viagra, magari anche le ragazze. Ho fatto un brutto sogno, cerco di ricordarlo e in parte ci riesco. Vado alla credenza: la bottiglia polverosa è lì, in attesa.