[MI154] Porco a colazione
Inviato: dom set 19, 2021 10:18 pm
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Traccia di Mezzanotte - In cucuna - Chi entra e di chi esce dalla cucina.
Nella grande cucina luminosa a piano terra, Caterina versava il caffè nel bricco di porcellana.
Anna, seduta all'altro capo del tavolo, sfregava il piatto d'argento col panno di feltro. Sospirava e sfregava. Ogni tanto lanciava occhiate interrogative a Caterina, ma quella scuoteva la testa senza una parola.
-E adesso? - si decise a chiedere
-Adesso cosa?
-Adesso che succede? Ci mandano via?
-Perché dovrebbero?
-Ma cristosanto, Caterina! Stanotte sembrava si volessero scannare...
-Non era stanotte. Era stamattina alle sette
-Come ti pare. In ogni caso il padrone se n'è andato e la signora sta mettendo tutto nei bauli. Stanno chiudendo casa, se non te ne sei accorta, e non credo proprio che ci lasceranno dentro a lucidare l'argenteria.
Scrutò una macchia scura sul bordo del piatto, strofinò ancora e alla fine ci sputò sopra, che quello funzionava sempre.
-Non se n’è andato- disse Caterina.
-Ah, no? E allora cos’è andato a fare, una passeggiata col cane ch’è morto da tre anni?
Non le era mai piaciuto il padrone, anche se i padroni le veniva naturale rispettarli perché erano signori, il che stava a significare diversi da lei che aveva fatto solo le scuole primarie e manco le aveva finite. Ma non tanto per i soldi che, fosse per quelli, pure Pietro con la porcilaia ne aveva fatti, e tanti, eppure quando l'aveva chiesta in moglie, l'aveva schifato per via dell'odore.
No. Per come la vedeva lei, essere signore era tutta un'altra faccenda. Era qualcosa che aveva a che fare con la gentilezza e con la distanza Tanto che un signore, uno vero, con le porcilaie non ci avrebbe mai e poi mai avuto niente a che spartire. Né con le porcilaie né con i porci.
E quindi dopotutto il padrone, che con le bestie non ci trattava ma solo con la fabbrica di maioliche, che gentile era gentile e tanta confidenza non la dava, alla fine poteva pure essere un signore.
Ma non c'era verso: non l'aveva mai convinta.
Niente di preciso s'intende, gliel'avessero chiesto non avrebbe saputo dirlo.
L'occhio acquoso forse. Acquoso invece che azzurro. Con quel troppo rosso ai bordi che faceva pensare più all'umido delle cantine che ai laghi di montagna.
O quel suo modo di strofinare il pollice sulle labbra. Quel gesto che divideva la faccia in due. La parte di sopra, quella beneducata e severa, presa dai pensieri importanti di uno che ha studiato e capisce le cose della vita. E la parte di sotto, quella con le labbra e quel dito, che andava e veniva, lentamente, come stesse rimuginando un segreto osceno.
No, il padrone non le era mai piaciuto.
E in fondo, tutti quegli strilli e il fatto che la signora l’avesse cacciato di casa, o qualsiasi cosa fosse, non la sorprendeva nemmeno un po'.
- Ci manderanno via, vedrai. - disse posando il piatto finalmente lucente come appena uscito dal negozio.
- Quando, e se vorranno liberarsi della servitù, ce lo diranno- fece Caterina.
In quel momento entrò Emma. Scarpe, cappotto e un borsone di cuoio scuro.
-Mamma, io vado.
-Fa come vuoi- disse Caterina senza guardarla.
-Vado? Cos’è ‘sta storia?- fece Anna con la fronte aggrottata.
-Zia, per favore! Non ti ci mettere anche te.
- Sono quasi le nove, ci sono le stanze da rifare e la Signorina si mette in ghingheri e se ne va? Ma stiamo scherzando?
-Ti ho detto per favore!- gridò Emma con gli occhi pieni di lacrime.
Caterina si irrigidì e battè un pugno sul tavolo.
Fuori, il rumore di copertoni sulla ghiaia, il tonfo del portone in ingresso.
-Vi voglio bene- fece Emma con la voce rotta, prese il borsone e uscì.
Anna corse alla finestra e li vide. Lei e il padrone. Che le cingeva le spalle, che la faceva salire in macchina. Lo vide caricare il borsone, mettere in moto e partire.
-Se ne sono andati- disse con gli occhi sgranati.
-A quanto pare- disse Caterina continuando a sistemare il vassoio della colazione.
-Ma…
-Ma cosa?
-Ha sedici anni!
-A quell’età, tu avevi già abortito.
-Che c’entra? Io sono stupida. Mamma e papà mi hanno tenuto in campagna invece di mandarmi a scuola. Io non ho avuto una vita come la tua.
-Intendi il bel matrimonio, la casa, la famiglia?
-Sì, proprio quella! E anche Emma poteva averla! Perché l’hai lasciata andare via con quel porco?
Caterina sbottonò il colletto e indicò la cicatrice che le attraversava la gola -Perché non avesse un matrimonio bello come il mio.
Anna abbassò lo sguardo -Perde- disse sottovoce.
-Può essere.
-No, dico il tubo dell’acquaio- aprì lo stipo e tirò fuori straccio e spazzolone- Non c’è stato un idraulico capace di capire che cavolo avesse ‘sta conduttura.
Caterina riprese a sistemare il vassoio con il pane tostato, la ciotola per la marmellata e quella con i fiocchi di burro. Aggiunse un piattino di biscotti ai cereali e controllò che la brocca con il succo d'arancia fosse della temperatura giusta.
-Ci manderanno via, vedrai- disse Anna poggiata allo spazzolone- E, quanto a referenze, mi sa che non siamo messe tanto bene.
-Fino a quel momento penso che dovremmo continuare a fare il nostro lavoro senza immischiarci in cose che non ci riguardano.
- Eppure sembrava una famiglia così…
- SENZA IMMISCHIARCI in cose che non ci riguardano. - tagliò corto Caterina.
-Ma come, un bastardo si porta via la nostra bambina e la cosa non ci riguarda?
-Posso avere un caffè, per favore?- disse una voce alle loro spalle.
Pallida, gli occhi cerchiati, tentava di sorridere.
-Signora- disse Caterina - Ho pensato che una colazione più sostanziosa le avrebbe fatto bene.
La donna guardò il vassoio e scosse la testa -Un caffè andrà benissimo.
-Glielo porto subito. Si accomodi in sala da pranzo.
-Mi piacerebbe restare un po’ qui- disse l’altra- Non vi disturbo, vero?
-Ma che dice?- fece Anna scostando una sedia dal tavolo -Si stavano facendo due chiacchiere, lavorando s’intende, così per… insomma per farci compagnia.
La caffettiera cominciò a brontolare. La donna si girò a guardarla.
-Mi ha sempre fatto pensare al rumore dei cavalli. Arrivano i nostri- disse assorta- Perché i buoni vincono sempre, non è così?
-Ci mangi almeno un biscottino- fece Caterina.
-Non è cattivo.
-Ma scherza? Solo farina burro, zucchero e un pizzico di cannella- disse Anna.
-No, dicevo mio marito.
-Ah quello…
-Venticinque anni. Matrimonio perfetto. Galante, appassionato. Poi il tempo, le prime rughe. E il lavoro. E più il lavoro aumentava, più ringiovanivano le segretarie. Solerti! Me le ritrovavo per casa a tutte le ore. Ora con un documento da firmare, ora con una pratica da definire. Un attaccamento da non credere. E io, come si dice? Non mi faceva mancare niente, così me lo sono fatto andare bene. Ma poi…
Si fermò. La tazzina a mezz’aria, lo sguardo fisso.
-La cosa che più mi ha offeso – continuò - non sono stati i tradimenti, no. È stata la sciatteria. La totale, volgarissima mancanza di attenzione. Come se il fatto che io me ne accorgessi non avesse importanza e, di conseguenza, non avessi importanza nemmeno io. Nessuna donna dovrebbe tollerare una simile umiliazione.
-Sì, certo. Però…- disse Caterina toccandosi il collo.
-Nessuna!
In quel momento un trillo.
-Mi scusi - fece Caterina prendendo il cellulare dal tavolo.
-Mamma! -la voce di Emma.
-Stai piangendo! Che succede?
-Un bastardo! Un maledetto porco! Voleva che io… E quando gli ho detto di no…Oh, mamma!
-Calmati, dove sei?
-Alla stazione degli autobus. Mi ha buttato fuori dalla macchina senza nemmeno fermarsi.
-Ti vengo a prendere.
-Sì, ma fai presto. Ti prego!
Caterina uscì di corsa.
Anna restò a guardare la signora che fissava la tazzina.
-È buono - disse quella.
-Mah…
-Il biscotto, dico.
-Senta, signora, possa farle una domanda?
-Certo.
-Casomai tornasse, suo marito intendo…
-No, non credo.
-Non lo riprenderebbe? Dopo venticinque anni?
-Non credo possa tornare.
-Ne è sicura?
-Con i freni rotti, abbastanza.
Traccia di Mezzanotte - In cucuna - Chi entra e di chi esce dalla cucina.
Nella grande cucina luminosa a piano terra, Caterina versava il caffè nel bricco di porcellana.
Anna, seduta all'altro capo del tavolo, sfregava il piatto d'argento col panno di feltro. Sospirava e sfregava. Ogni tanto lanciava occhiate interrogative a Caterina, ma quella scuoteva la testa senza una parola.
-E adesso? - si decise a chiedere
-Adesso cosa?
-Adesso che succede? Ci mandano via?
-Perché dovrebbero?
-Ma cristosanto, Caterina! Stanotte sembrava si volessero scannare...
-Non era stanotte. Era stamattina alle sette
-Come ti pare. In ogni caso il padrone se n'è andato e la signora sta mettendo tutto nei bauli. Stanno chiudendo casa, se non te ne sei accorta, e non credo proprio che ci lasceranno dentro a lucidare l'argenteria.
Scrutò una macchia scura sul bordo del piatto, strofinò ancora e alla fine ci sputò sopra, che quello funzionava sempre.
-Non se n’è andato- disse Caterina.
-Ah, no? E allora cos’è andato a fare, una passeggiata col cane ch’è morto da tre anni?
Non le era mai piaciuto il padrone, anche se i padroni le veniva naturale rispettarli perché erano signori, il che stava a significare diversi da lei che aveva fatto solo le scuole primarie e manco le aveva finite. Ma non tanto per i soldi che, fosse per quelli, pure Pietro con la porcilaia ne aveva fatti, e tanti, eppure quando l'aveva chiesta in moglie, l'aveva schifato per via dell'odore.
No. Per come la vedeva lei, essere signore era tutta un'altra faccenda. Era qualcosa che aveva a che fare con la gentilezza e con la distanza Tanto che un signore, uno vero, con le porcilaie non ci avrebbe mai e poi mai avuto niente a che spartire. Né con le porcilaie né con i porci.
E quindi dopotutto il padrone, che con le bestie non ci trattava ma solo con la fabbrica di maioliche, che gentile era gentile e tanta confidenza non la dava, alla fine poteva pure essere un signore.
Ma non c'era verso: non l'aveva mai convinta.
Niente di preciso s'intende, gliel'avessero chiesto non avrebbe saputo dirlo.
L'occhio acquoso forse. Acquoso invece che azzurro. Con quel troppo rosso ai bordi che faceva pensare più all'umido delle cantine che ai laghi di montagna.
O quel suo modo di strofinare il pollice sulle labbra. Quel gesto che divideva la faccia in due. La parte di sopra, quella beneducata e severa, presa dai pensieri importanti di uno che ha studiato e capisce le cose della vita. E la parte di sotto, quella con le labbra e quel dito, che andava e veniva, lentamente, come stesse rimuginando un segreto osceno.
No, il padrone non le era mai piaciuto.
E in fondo, tutti quegli strilli e il fatto che la signora l’avesse cacciato di casa, o qualsiasi cosa fosse, non la sorprendeva nemmeno un po'.
- Ci manderanno via, vedrai. - disse posando il piatto finalmente lucente come appena uscito dal negozio.
- Quando, e se vorranno liberarsi della servitù, ce lo diranno- fece Caterina.
In quel momento entrò Emma. Scarpe, cappotto e un borsone di cuoio scuro.
-Mamma, io vado.
-Fa come vuoi- disse Caterina senza guardarla.
-Vado? Cos’è ‘sta storia?- fece Anna con la fronte aggrottata.
-Zia, per favore! Non ti ci mettere anche te.
- Sono quasi le nove, ci sono le stanze da rifare e la Signorina si mette in ghingheri e se ne va? Ma stiamo scherzando?
-Ti ho detto per favore!- gridò Emma con gli occhi pieni di lacrime.
Caterina si irrigidì e battè un pugno sul tavolo.
Fuori, il rumore di copertoni sulla ghiaia, il tonfo del portone in ingresso.
-Vi voglio bene- fece Emma con la voce rotta, prese il borsone e uscì.
Anna corse alla finestra e li vide. Lei e il padrone. Che le cingeva le spalle, che la faceva salire in macchina. Lo vide caricare il borsone, mettere in moto e partire.
-Se ne sono andati- disse con gli occhi sgranati.
-A quanto pare- disse Caterina continuando a sistemare il vassoio della colazione.
-Ma…
-Ma cosa?
-Ha sedici anni!
-A quell’età, tu avevi già abortito.
-Che c’entra? Io sono stupida. Mamma e papà mi hanno tenuto in campagna invece di mandarmi a scuola. Io non ho avuto una vita come la tua.
-Intendi il bel matrimonio, la casa, la famiglia?
-Sì, proprio quella! E anche Emma poteva averla! Perché l’hai lasciata andare via con quel porco?
Caterina sbottonò il colletto e indicò la cicatrice che le attraversava la gola -Perché non avesse un matrimonio bello come il mio.
Anna abbassò lo sguardo -Perde- disse sottovoce.
-Può essere.
-No, dico il tubo dell’acquaio- aprì lo stipo e tirò fuori straccio e spazzolone- Non c’è stato un idraulico capace di capire che cavolo avesse ‘sta conduttura.
Caterina riprese a sistemare il vassoio con il pane tostato, la ciotola per la marmellata e quella con i fiocchi di burro. Aggiunse un piattino di biscotti ai cereali e controllò che la brocca con il succo d'arancia fosse della temperatura giusta.
-Ci manderanno via, vedrai- disse Anna poggiata allo spazzolone- E, quanto a referenze, mi sa che non siamo messe tanto bene.
-Fino a quel momento penso che dovremmo continuare a fare il nostro lavoro senza immischiarci in cose che non ci riguardano.
- Eppure sembrava una famiglia così…
- SENZA IMMISCHIARCI in cose che non ci riguardano. - tagliò corto Caterina.
-Ma come, un bastardo si porta via la nostra bambina e la cosa non ci riguarda?
-Posso avere un caffè, per favore?- disse una voce alle loro spalle.
Pallida, gli occhi cerchiati, tentava di sorridere.
-Signora- disse Caterina - Ho pensato che una colazione più sostanziosa le avrebbe fatto bene.
La donna guardò il vassoio e scosse la testa -Un caffè andrà benissimo.
-Glielo porto subito. Si accomodi in sala da pranzo.
-Mi piacerebbe restare un po’ qui- disse l’altra- Non vi disturbo, vero?
-Ma che dice?- fece Anna scostando una sedia dal tavolo -Si stavano facendo due chiacchiere, lavorando s’intende, così per… insomma per farci compagnia.
La caffettiera cominciò a brontolare. La donna si girò a guardarla.
-Mi ha sempre fatto pensare al rumore dei cavalli. Arrivano i nostri- disse assorta- Perché i buoni vincono sempre, non è così?
-Ci mangi almeno un biscottino- fece Caterina.
-Non è cattivo.
-Ma scherza? Solo farina burro, zucchero e un pizzico di cannella- disse Anna.
-No, dicevo mio marito.
-Ah quello…
-Venticinque anni. Matrimonio perfetto. Galante, appassionato. Poi il tempo, le prime rughe. E il lavoro. E più il lavoro aumentava, più ringiovanivano le segretarie. Solerti! Me le ritrovavo per casa a tutte le ore. Ora con un documento da firmare, ora con una pratica da definire. Un attaccamento da non credere. E io, come si dice? Non mi faceva mancare niente, così me lo sono fatto andare bene. Ma poi…
Si fermò. La tazzina a mezz’aria, lo sguardo fisso.
-La cosa che più mi ha offeso – continuò - non sono stati i tradimenti, no. È stata la sciatteria. La totale, volgarissima mancanza di attenzione. Come se il fatto che io me ne accorgessi non avesse importanza e, di conseguenza, non avessi importanza nemmeno io. Nessuna donna dovrebbe tollerare una simile umiliazione.
-Sì, certo. Però…- disse Caterina toccandosi il collo.
-Nessuna!
In quel momento un trillo.
-Mi scusi - fece Caterina prendendo il cellulare dal tavolo.
-Mamma! -la voce di Emma.
-Stai piangendo! Che succede?
-Un bastardo! Un maledetto porco! Voleva che io… E quando gli ho detto di no…Oh, mamma!
-Calmati, dove sei?
-Alla stazione degli autobus. Mi ha buttato fuori dalla macchina senza nemmeno fermarsi.
-Ti vengo a prendere.
-Sì, ma fai presto. Ti prego!
Caterina uscì di corsa.
Anna restò a guardare la signora che fissava la tazzina.
-È buono - disse quella.
-Mah…
-Il biscotto, dico.
-Senta, signora, possa farle una domanda?
-Certo.
-Casomai tornasse, suo marito intendo…
-No, non credo.
-Non lo riprenderebbe? Dopo venticinque anni?
-Non credo possa tornare.
-Ne è sicura?
-Con i freni rotti, abbastanza.