[MI 154] Una dieta
Posted: Sun Sep 19, 2021 8:41 pm
Il mio commento
Traccia di mezzanotte: la cucina
Sono riuscito a mozzarle la testa di netto.
Un colpo secco e deciso.
Sto diventando bravo.
Che cos'è questo odore?
Cazzo, le cipolle.
Le ricette con lo zucchero sono le più complicate.
Vuoi caramellarle e loro si bruciano.
E in cucina non funziona nemmeno la psicologia inversa, cazzo.
Perché se tu dici: “Ora le faccio bruciare, così si caramellano”. Niente.
Si bruciano ancora di più.
Però sono buone.
Il miglior contorno, a mio avviso.
Il gusto acidulo delle cipolle smorzato dalla dolcezza dello zucchero.
Imbattibile.
È proprio lo zucchero a dare quel di più.
Forse sa di infanzia?
Non mi intendo di tutte quelle puttanate dei ricordi sbloccati, i sapori collegati alle immagini, ma se ci fanno mille teorie su, qualcosa di giusto ci sarà. Chissà.
In fondo amo anche il caramello.
Ma non sono mai riuscito a farlo in casa. Si brucia ogni volta.
Dopo il terzo pentolino con il fondo nero, mia moglie mi ha proibito di provarci ancora.
«Ti prego, abbi pietà. Ti scongiuro.»
Che fastidio.
Mamma mia, che cazzo di fastidio.
Forse mi frega il sudore.
Perché le prime volte credevo di legare male i bavagli, ma oggi mi sono messo di impegno: ho tirato dove dovevo tirare e stretto dove dovevo stringere.
Evidentemente sudano freddo, mugugnano e il bavaglio scende giù.
Ora mi toccherà rimettere le cose a posto, per non sentirlo.
No, non ne ho voglia.
Accendo la tv a un volume più alto e le urla vengono coperte.
C'è il telegiornale.
Una corrispondente sta dicendo qualcosa a quello in studio, che fa dei cenni di assenso e continua a dire: «Raccontaci tutto, Carmen.»
Carmen ha una voce nasale orribile, che in altri contesti avrei odiato, ma in questo caso è davvero perfetta. Un coprente ideale.
C’è un corteo per i diritti delle persone di colore da qualche parte.
«Black lives matter è un movimento partito negli Stati Uniti e, pian piano, è arrivato anche da noi, con qualche mese di ritardo.»
Quanto sei saccente, Carmen.
Hai proprio un tono da maestrina.
Come se nel cazzo di oceano Atlantico ci fosse la tua bella cattedrina, con la tua bella sediolina e questo sì, questo no, questo forse tra qualche mese, quando saranno maturi.
Decide lei le contaminazioni culturali.
«L’uguaglianza fra esseri umani è un fatto, ma per alcuni è ancora un’opinione e questa gente è oggi qui a combattere contro chi è sordo al cambiamento» dice a conclusione.
Forse era questo il sogno di Martin Luther King.
Forse il militante sta applaudendo dalla tomba la nostra corrispondente.
Spengo la tv.
Non ne posso più di queste stronzate.
Guardo Kumar nell’angolo della cucina: è in ginocchio a fianco al mobiletto della macchina del caffè e ha i grandi occhi bianchi sgranati, in netto contrasto con la pelle color ebano.
Ogni atomo del suo corpo ha paura di me.
Nell’angolo opposto c’è Francesca. Ha la pelle bianca come formaggio spalmabile e la testa mozzata, perché davvero le sue urla erano insopportabili.
Ancora devo cucinare e assaggiare entrambi, ma ti posso dire con certezza, cara la mia saccente Carmen, che c’è un abisso di sapore fra le due razze. Una fossa delle Marianne.
E anche fra uomo e donna.
Ne ho mangiati tanti di esseri umani ed è un’esperienza sensoriale completamente diversa.
Che marcino e combattano pure, ma nel mio piatto resteranno sempre due mondi differenti. Che dico, opposti.
«Eccola qua.»
Mi giro di scatto.
C’è mia moglie sulla porta della cucina.
Ha un sorriso soddisfatto.
Con la mano sinistra trascina una donna imbavagliata e legata, che negli occhi ha, se possibile, un terrore maggiore di quello di Kumar, le cui urla stanno diventando ingestibili.
«Ce l’ho fatta» dice mia moglie, completamente sorda ai lamenti infernali che ci circondano.
«È lei…?» chiedo.
Sono spiazzato, perché l’avevo sfidata neppure due giorni fa a rapire Barbara Confettini, la chef più amata d’Italia e ora me la ritrovo incaprettata sul pavimento della cucina.
Mia moglie è della stessa parrocchia di Carmen.
Per lei non riusciamo mai a dare una spinta in più ai nostri pasti. Hanno tutti lo stesso sapore.
«Le cipolle si sono bruciate, eppure ho seguito la ricetta» dico subito, sulla difensiva.
Ma lei è troppo felice per farsi impensierire dal forte odore, che la cappa non riesce a tirare via.
«Tranquillo. Adesso cucinerà lei per noi.»
La donna alle parole di mia moglie sussulta sul pavimento, con un movimento innaturale del bacino, come fosse un serpente che striscia sulla difensiva.
È disorientata e, nonostante mia moglie sia più brava di me a imbavagliare, emette dei gemiti ritmici, perfettamente udibili oltre il panno.
Probabilmente pensava di essere uccisa, ma il fatto che debba dilettarsi con intingoli a base di carne umana non sembra sollevarla.
Mia moglie però ha poca pazienza e non le darà di certo il tempo per metabolizzare il prossimo impiego.
Le toglie il bavaglio, le stringe le guance tra le mani e le si avvicina fino quasi a sfiorarle il naso.
«Adesso io ti slego mani e piedi e tu cucini questi due per noi. Prova anche solo un secondo a non fare ciò che ti dic-»
«La prego, signora! Mi risparmi! La posso pagare! Tutti i soldi che ho! La scongiuro!»
Kumar ha iniziato a urlare come un ossesso e ha interrotto mia moglie proprio mentre dava indicazioni alla Confettini.
E mia moglie odia più di ogni altra cosa essere interrotta mentre sta parlando.
Lascia per un momento la chef e si volta verso l’uomo originario dell’India. Afferra il manico del coltello, con cui ho tagliuzzato le cipolle, e con un unico movimento lo infila nell’occhio destro di Kumar, arrivando fino in fondo e facendo uscire la punta dalla nuca.
«Cristo» dice la Confettini, con un filo di voce, quindi gira la testa per evitare di guardare.
Nella stanza regna di nuovo il silenzio.
«Non capisco come fai, diventano ingestibili» dice mia moglie, voltandosi verso di me.
«Ho letto che la paura irrigidisce i muscoli e rende la carne più gustosa» dico, sperando di trovare subito il link all’articolo che spiega il processo, perché mia moglie è una che esige le fonti.
«È vero?» chiede lei alla chef, con cui ha recuperato lo stretto contatto interrotto da Kumar.
La Confettini non risponde.
Ha un colorito pallido e le labbra che tremano.
«È vera questa cosa della paura, Barbara?»
Il fatto di essere chiamata per nome ha come il potere di risvegliarla.
La donna ha un sussulto e si limita a dire: «No.»
«Perché?» la incalza mia moglie.
«Perché si riempie di adrenalina e si irrigidisce. Almeno funziona così per la macellazione degli animali» farfuglia la chef.
«E questi due cosa ti sembrano? Non sono forse animali?» intervengo.
Mia moglie mi fulmina con lo sguardo e per la prima volta da quando è rientrata in casa il sorriso calmo le scompare dalle labbra.
«Stiamo cercando di mettere a proprio agio la nostra ospite» mi rimprovera e dà un buffetto affettuoso sulla guancia della Confettini.
«Su, su, al lavoro. Sono molto affamata» le dice infine, quindi la slega e la tira su, spingendola con delicatezza verso il piano cottura.
«Cosa ti serve?» chiedo, pronto a passare utensili e condimenti.
«Intanto taglia una bella porzione di coscia dalla donna» risponde mia moglie e sfila il coltello dalla testa di Kumar.
Mentre mi accingo a una bella sfida con il rigor mortis, la Confettini manda in cottura un soffritto di carote e cipolle.
«Perché lo fate?» chiede d’un tratto. Di nuovo con un tono bassissimo. Paura e curiosità si sono unite in un impasto perfetto nella sua voce.
«È l’unica dieta che ci ha fatto ottenere il peso forma. Siamo rinati. E le abbiamo provate tutte, eh» risponde mia moglie con naturalezza.
«Neppure il veganesimo ha funzionato» dico io, a corollario.
«Ma da quando mangiamo umani ho i capelli più lucenti, la pelle perfetta. Persino le smagliature sono sparite» rincara la dose mia moglie.
La Confettini non parla più e si limita a rosolare la carne che le passo.
Finalmente il puzzo di cipolle bruciate viene coperto da un odore dolciastro, che si diffonde in tutta la cucina.
«Quanto è umami, Barbara? Eh?» chiede mia moglie, ma non riceve risposta.
Traccia di mezzanotte: la cucina
Sono riuscito a mozzarle la testa di netto.
Un colpo secco e deciso.
Sto diventando bravo.
Che cos'è questo odore?
Cazzo, le cipolle.
Le ricette con lo zucchero sono le più complicate.
Vuoi caramellarle e loro si bruciano.
E in cucina non funziona nemmeno la psicologia inversa, cazzo.
Perché se tu dici: “Ora le faccio bruciare, così si caramellano”. Niente.
Si bruciano ancora di più.
Però sono buone.
Il miglior contorno, a mio avviso.
Il gusto acidulo delle cipolle smorzato dalla dolcezza dello zucchero.
Imbattibile.
È proprio lo zucchero a dare quel di più.
Forse sa di infanzia?
Non mi intendo di tutte quelle puttanate dei ricordi sbloccati, i sapori collegati alle immagini, ma se ci fanno mille teorie su, qualcosa di giusto ci sarà. Chissà.
In fondo amo anche il caramello.
Ma non sono mai riuscito a farlo in casa. Si brucia ogni volta.
Dopo il terzo pentolino con il fondo nero, mia moglie mi ha proibito di provarci ancora.
«Ti prego, abbi pietà. Ti scongiuro.»
Che fastidio.
Mamma mia, che cazzo di fastidio.
Forse mi frega il sudore.
Perché le prime volte credevo di legare male i bavagli, ma oggi mi sono messo di impegno: ho tirato dove dovevo tirare e stretto dove dovevo stringere.
Evidentemente sudano freddo, mugugnano e il bavaglio scende giù.
Ora mi toccherà rimettere le cose a posto, per non sentirlo.
No, non ne ho voglia.
Accendo la tv a un volume più alto e le urla vengono coperte.
C'è il telegiornale.
Una corrispondente sta dicendo qualcosa a quello in studio, che fa dei cenni di assenso e continua a dire: «Raccontaci tutto, Carmen.»
Carmen ha una voce nasale orribile, che in altri contesti avrei odiato, ma in questo caso è davvero perfetta. Un coprente ideale.
C’è un corteo per i diritti delle persone di colore da qualche parte.
«Black lives matter è un movimento partito negli Stati Uniti e, pian piano, è arrivato anche da noi, con qualche mese di ritardo.»
Quanto sei saccente, Carmen.
Hai proprio un tono da maestrina.
Come se nel cazzo di oceano Atlantico ci fosse la tua bella cattedrina, con la tua bella sediolina e questo sì, questo no, questo forse tra qualche mese, quando saranno maturi.
Decide lei le contaminazioni culturali.
«L’uguaglianza fra esseri umani è un fatto, ma per alcuni è ancora un’opinione e questa gente è oggi qui a combattere contro chi è sordo al cambiamento» dice a conclusione.
Forse era questo il sogno di Martin Luther King.
Forse il militante sta applaudendo dalla tomba la nostra corrispondente.
Spengo la tv.
Non ne posso più di queste stronzate.
Guardo Kumar nell’angolo della cucina: è in ginocchio a fianco al mobiletto della macchina del caffè e ha i grandi occhi bianchi sgranati, in netto contrasto con la pelle color ebano.
Ogni atomo del suo corpo ha paura di me.
Nell’angolo opposto c’è Francesca. Ha la pelle bianca come formaggio spalmabile e la testa mozzata, perché davvero le sue urla erano insopportabili.
Ancora devo cucinare e assaggiare entrambi, ma ti posso dire con certezza, cara la mia saccente Carmen, che c’è un abisso di sapore fra le due razze. Una fossa delle Marianne.
E anche fra uomo e donna.
Ne ho mangiati tanti di esseri umani ed è un’esperienza sensoriale completamente diversa.
Che marcino e combattano pure, ma nel mio piatto resteranno sempre due mondi differenti. Che dico, opposti.
«Eccola qua.»
Mi giro di scatto.
C’è mia moglie sulla porta della cucina.
Ha un sorriso soddisfatto.
Con la mano sinistra trascina una donna imbavagliata e legata, che negli occhi ha, se possibile, un terrore maggiore di quello di Kumar, le cui urla stanno diventando ingestibili.
«Ce l’ho fatta» dice mia moglie, completamente sorda ai lamenti infernali che ci circondano.
«È lei…?» chiedo.
Sono spiazzato, perché l’avevo sfidata neppure due giorni fa a rapire Barbara Confettini, la chef più amata d’Italia e ora me la ritrovo incaprettata sul pavimento della cucina.
Mia moglie è della stessa parrocchia di Carmen.
Per lei non riusciamo mai a dare una spinta in più ai nostri pasti. Hanno tutti lo stesso sapore.
«Le cipolle si sono bruciate, eppure ho seguito la ricetta» dico subito, sulla difensiva.
Ma lei è troppo felice per farsi impensierire dal forte odore, che la cappa non riesce a tirare via.
«Tranquillo. Adesso cucinerà lei per noi.»
La donna alle parole di mia moglie sussulta sul pavimento, con un movimento innaturale del bacino, come fosse un serpente che striscia sulla difensiva.
È disorientata e, nonostante mia moglie sia più brava di me a imbavagliare, emette dei gemiti ritmici, perfettamente udibili oltre il panno.
Probabilmente pensava di essere uccisa, ma il fatto che debba dilettarsi con intingoli a base di carne umana non sembra sollevarla.
Mia moglie però ha poca pazienza e non le darà di certo il tempo per metabolizzare il prossimo impiego.
Le toglie il bavaglio, le stringe le guance tra le mani e le si avvicina fino quasi a sfiorarle il naso.
«Adesso io ti slego mani e piedi e tu cucini questi due per noi. Prova anche solo un secondo a non fare ciò che ti dic-»
«La prego, signora! Mi risparmi! La posso pagare! Tutti i soldi che ho! La scongiuro!»
Kumar ha iniziato a urlare come un ossesso e ha interrotto mia moglie proprio mentre dava indicazioni alla Confettini.
E mia moglie odia più di ogni altra cosa essere interrotta mentre sta parlando.
Lascia per un momento la chef e si volta verso l’uomo originario dell’India. Afferra il manico del coltello, con cui ho tagliuzzato le cipolle, e con un unico movimento lo infila nell’occhio destro di Kumar, arrivando fino in fondo e facendo uscire la punta dalla nuca.
«Cristo» dice la Confettini, con un filo di voce, quindi gira la testa per evitare di guardare.
Nella stanza regna di nuovo il silenzio.
«Non capisco come fai, diventano ingestibili» dice mia moglie, voltandosi verso di me.
«Ho letto che la paura irrigidisce i muscoli e rende la carne più gustosa» dico, sperando di trovare subito il link all’articolo che spiega il processo, perché mia moglie è una che esige le fonti.
«È vero?» chiede lei alla chef, con cui ha recuperato lo stretto contatto interrotto da Kumar.
La Confettini non risponde.
Ha un colorito pallido e le labbra che tremano.
«È vera questa cosa della paura, Barbara?»
Il fatto di essere chiamata per nome ha come il potere di risvegliarla.
La donna ha un sussulto e si limita a dire: «No.»
«Perché?» la incalza mia moglie.
«Perché si riempie di adrenalina e si irrigidisce. Almeno funziona così per la macellazione degli animali» farfuglia la chef.
«E questi due cosa ti sembrano? Non sono forse animali?» intervengo.
Mia moglie mi fulmina con lo sguardo e per la prima volta da quando è rientrata in casa il sorriso calmo le scompare dalle labbra.
«Stiamo cercando di mettere a proprio agio la nostra ospite» mi rimprovera e dà un buffetto affettuoso sulla guancia della Confettini.
«Su, su, al lavoro. Sono molto affamata» le dice infine, quindi la slega e la tira su, spingendola con delicatezza verso il piano cottura.
«Cosa ti serve?» chiedo, pronto a passare utensili e condimenti.
«Intanto taglia una bella porzione di coscia dalla donna» risponde mia moglie e sfila il coltello dalla testa di Kumar.
Mentre mi accingo a una bella sfida con il rigor mortis, la Confettini manda in cottura un soffritto di carote e cipolle.
«Perché lo fate?» chiede d’un tratto. Di nuovo con un tono bassissimo. Paura e curiosità si sono unite in un impasto perfetto nella sua voce.
«È l’unica dieta che ci ha fatto ottenere il peso forma. Siamo rinati. E le abbiamo provate tutte, eh» risponde mia moglie con naturalezza.
«Neppure il veganesimo ha funzionato» dico io, a corollario.
«Ma da quando mangiamo umani ho i capelli più lucenti, la pelle perfetta. Persino le smagliature sono sparite» rincara la dose mia moglie.
La Confettini non parla più e si limita a rosolare la carne che le passo.
Finalmente il puzzo di cipolle bruciate viene coperto da un odore dolciastro, che si diffonde in tutta la cucina.
«Quanto è umami, Barbara? Eh?» chiede mia moglie, ma non riceve risposta.