La grande onda
Posted: Sat Aug 28, 2021 12:43 am
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Ripropongo questo breve racconto, un po' rivisitato.
La grande onda
Passarono quasi ventiquattro ore dall’ultima grande onda.
Lilith, una maestosa diga, antica come le ingiustizie di questo mondo, si innalzava sopra di noi come una scure, pronta a comandare le nostre esistenze. Si racconta che fu il Governo a costruirla, ma nessuno sa il vero motivo per cui fu eretta.
Non sapevamo neanche se il Governo era composto da uomini o da macchine. Forse da entrambi.
Non sapevamo neanche perché eravamo lì, a valle, vittime sacrificali dei capricci di Lilith.
Noi, nati, cresciuti e morti con i piedi zuppi nel fango.
Quando suonavano le sirene tremavamo. Pochi istanti e fiumi di pece rossastra ci sbattevano e ci trascinavano a valle.
Una valle che accumulava le ipocrisie della società. Una discarica di ruggine ed ossa che si arrampicava sulla battigia, tanto grande da nascondere le più lontane increspature del mare.
Vidi uno stormo di gabbiani spennacchiati e sporchi volteggiare attorno alle tante carcasse. Fino a che, uno dopo l’altro, si fiondarono affamati come mosche sulla merda.
L’olezzo era così intenso da attirare persino neri avvoltoi di altri mondi. Imponenti, brutti e famelici; erano più simili a piccoli draghi che a grossi uccellacci.
Alzai lo sguardo per assistere alla diatriba. Persino in quell’abbondanza di metalli putrefatti, non c’era spazio per la condivisione. Così i gabbiani urlanti si fecero prede, e infine carogne, impastandosi in quella montagna diabolica.
Mi voltai impotente, colpito da un braccio mozzato che scendeva inesorabile, trasportato dalla corrente. Lo spinsi via da me e lo vidi accatastarsi assieme ad altri pezzi di carne, alla base della discarica.
La corrente cresceva, ero spinto da un enorme fiume scuro, gelido e penetrante, che alternava chiazze tiepide e rossastre.
E come me tanti altri, uomini e donne, impregnati fino alle ginocchia. Ognuno con la pelle del proprio colore e con il vestito che pensava di avere scelto.
Una nebbia grigia e rarefatta ci entrava dentro ad ogni respiro, con il suo marcio odore pungente.
Ci guardammo persi, come vecchi cuccioli stanchi della vita.
«Ehi!» gridò una donna, con un bimbo per mano, mentre lo aiutava a non scivolare via.
Mi voltai verso di lei, e forse fui l’unico a farlo.
«Me lo tenete un po’? Che non ce la faccio più» disse la donna, rivolta verso due giovani.
I ragazzi si girarono, quasi scocciati.
«In cambio cosa ci dai? Puttana!» esclamò uno dei due, ridacchiando con l’amico.
La donna si fermò per un attimo.
«È solo un bambino, e tra poco ci sarà un’altra onda» disse ai giovani, con voce rabbiosa.
«Se ci succhi il cazzo te lo teniamo» ribadirono i giovani, con un ghigno animale stampato sul volto.
«Vaffanculo!» gli urlò con le poche forze che le rimasero.
Poi si voltò e fissò i suoi profondi occhi blu su di me.
Vidi un viso solcato dalle fatiche, per restare a galla in quel posto crudele.
Poggiai lo sguardo sulla sua camicia unta e sgualcita, che le copriva i pantaloni fino a metà coscia. Infine notai i nervi della sua mano, tesi ad avvolgere la manina del piccolo.
«Ehi!» mi urlò, «non ce la faccio più, me lo tieni prima che arriva la prossima onda?»
Proprio in quel momento echeggiarono le sirene, fredde e taglienti.
Poco dopo, in lontananza, Lilith ci rigurgitò nuovamente il suo disprezzo.
Il frastuono della melma che si frangeva a terra con violenza catturò l’attenzione di tutti.
Un’altra onda nera stava per abbattersi su di noi.
Tutti iniziarono a prepararsi all’impatto, i più forti si accaparrarono le postazioni migliori, agli altri quello che restava.
In quei momenti ognuno era schiavo del proprio istinto. In quei momenti tutto era così frenetico, a tal punto che, chiudendo gli occhi, mi sembrava di cogliere tutte le paure della gente, racchiuse in ogni schizzo d’acqua, che fluttuava dolcemente attorno a me, fino a congelarsi in un attimo eterno.
«Ehi! Non c’è più tempo!» mi implorò la donna, mentre si avvicinava sempre più.
Aprii gli occhi e per un attimo mi mancò il fiato; l’adrenalina mi riportò subito nel caos della realtà. Così, immerso nella nebbia e nell’acqua, mi avvicinai di fretta a lei e al bambino.
La grande onda iniziava a rovinare sulla valle, portandosi dietro una scia di terrore e distruzione.
«Tieni!» mi disse la donna, porgendomi il piccolo.
Io afferrai quella manina con tutto me stesso, e per un istante noi tre fummo una cosa sola.
Quando la grande onda stava per abbatterci, la donna, sfinita, lasciò il piccolo nelle mie mani.
Il bimbo mi guardò per la prima volta dritto negli occhi.
Non so spiegarmi il motivo, ma rimasi deluso. Una delusione arcaica, profonda.
«Cazzo, ma è un cinese! Non è tuo figlio!» urlai alla donna, irritato.
La donna non aveva più la forza di parlare, ma mi lanciò un’occhiata furibonda che valeva più di mille parole.
Poi successe tutto così in fretta: fummo travolti dall’onda e, mentre la donna si tuffò verso il piccolo, io lasciai la sua mano.
Il bimbo venne inghiottito dalla grande onda nera e la donna, disperata, capì che oramai non c’era più nulla da fare.
Gridò talmente forte, che le sue urla echeggiarono fredde in quell’apocalisse, come graffi sulla pelle.
Poi la grande onda passò e la donna si calmò. Prese aria profondamente e mi guardò con occhi vitrei, senza proferire parola.
Io non le dissi nulla, e in fondo non mi vergognai di quello che feci.
Infine ognuno riprese a fare quello che faceva da sempre: sopravvivere.
Da quel giorno non la vidi più.
Se oggi avessi quella donna di fronte a me, le direi soltanto che: «non me la sono sentita».
Ripropongo questo breve racconto, un po' rivisitato.
La grande onda
Passarono quasi ventiquattro ore dall’ultima grande onda.
Lilith, una maestosa diga, antica come le ingiustizie di questo mondo, si innalzava sopra di noi come una scure, pronta a comandare le nostre esistenze. Si racconta che fu il Governo a costruirla, ma nessuno sa il vero motivo per cui fu eretta.
Non sapevamo neanche se il Governo era composto da uomini o da macchine. Forse da entrambi.
Non sapevamo neanche perché eravamo lì, a valle, vittime sacrificali dei capricci di Lilith.
Noi, nati, cresciuti e morti con i piedi zuppi nel fango.
Quando suonavano le sirene tremavamo. Pochi istanti e fiumi di pece rossastra ci sbattevano e ci trascinavano a valle.
Una valle che accumulava le ipocrisie della società. Una discarica di ruggine ed ossa che si arrampicava sulla battigia, tanto grande da nascondere le più lontane increspature del mare.
Vidi uno stormo di gabbiani spennacchiati e sporchi volteggiare attorno alle tante carcasse. Fino a che, uno dopo l’altro, si fiondarono affamati come mosche sulla merda.
L’olezzo era così intenso da attirare persino neri avvoltoi di altri mondi. Imponenti, brutti e famelici; erano più simili a piccoli draghi che a grossi uccellacci.
Alzai lo sguardo per assistere alla diatriba. Persino in quell’abbondanza di metalli putrefatti, non c’era spazio per la condivisione. Così i gabbiani urlanti si fecero prede, e infine carogne, impastandosi in quella montagna diabolica.
Mi voltai impotente, colpito da un braccio mozzato che scendeva inesorabile, trasportato dalla corrente. Lo spinsi via da me e lo vidi accatastarsi assieme ad altri pezzi di carne, alla base della discarica.
La corrente cresceva, ero spinto da un enorme fiume scuro, gelido e penetrante, che alternava chiazze tiepide e rossastre.
E come me tanti altri, uomini e donne, impregnati fino alle ginocchia. Ognuno con la pelle del proprio colore e con il vestito che pensava di avere scelto.
Una nebbia grigia e rarefatta ci entrava dentro ad ogni respiro, con il suo marcio odore pungente.
Ci guardammo persi, come vecchi cuccioli stanchi della vita.
«Ehi!» gridò una donna, con un bimbo per mano, mentre lo aiutava a non scivolare via.
Mi voltai verso di lei, e forse fui l’unico a farlo.
«Me lo tenete un po’? Che non ce la faccio più» disse la donna, rivolta verso due giovani.
I ragazzi si girarono, quasi scocciati.
«In cambio cosa ci dai? Puttana!» esclamò uno dei due, ridacchiando con l’amico.
La donna si fermò per un attimo.
«È solo un bambino, e tra poco ci sarà un’altra onda» disse ai giovani, con voce rabbiosa.
«Se ci succhi il cazzo te lo teniamo» ribadirono i giovani, con un ghigno animale stampato sul volto.
«Vaffanculo!» gli urlò con le poche forze che le rimasero.
Poi si voltò e fissò i suoi profondi occhi blu su di me.
Vidi un viso solcato dalle fatiche, per restare a galla in quel posto crudele.
Poggiai lo sguardo sulla sua camicia unta e sgualcita, che le copriva i pantaloni fino a metà coscia. Infine notai i nervi della sua mano, tesi ad avvolgere la manina del piccolo.
«Ehi!» mi urlò, «non ce la faccio più, me lo tieni prima che arriva la prossima onda?»
Proprio in quel momento echeggiarono le sirene, fredde e taglienti.
Poco dopo, in lontananza, Lilith ci rigurgitò nuovamente il suo disprezzo.
Il frastuono della melma che si frangeva a terra con violenza catturò l’attenzione di tutti.
Un’altra onda nera stava per abbattersi su di noi.
Tutti iniziarono a prepararsi all’impatto, i più forti si accaparrarono le postazioni migliori, agli altri quello che restava.
In quei momenti ognuno era schiavo del proprio istinto. In quei momenti tutto era così frenetico, a tal punto che, chiudendo gli occhi, mi sembrava di cogliere tutte le paure della gente, racchiuse in ogni schizzo d’acqua, che fluttuava dolcemente attorno a me, fino a congelarsi in un attimo eterno.
«Ehi! Non c’è più tempo!» mi implorò la donna, mentre si avvicinava sempre più.
Aprii gli occhi e per un attimo mi mancò il fiato; l’adrenalina mi riportò subito nel caos della realtà. Così, immerso nella nebbia e nell’acqua, mi avvicinai di fretta a lei e al bambino.
La grande onda iniziava a rovinare sulla valle, portandosi dietro una scia di terrore e distruzione.
«Tieni!» mi disse la donna, porgendomi il piccolo.
Io afferrai quella manina con tutto me stesso, e per un istante noi tre fummo una cosa sola.
Quando la grande onda stava per abbatterci, la donna, sfinita, lasciò il piccolo nelle mie mani.
Il bimbo mi guardò per la prima volta dritto negli occhi.
Non so spiegarmi il motivo, ma rimasi deluso. Una delusione arcaica, profonda.
«Cazzo, ma è un cinese! Non è tuo figlio!» urlai alla donna, irritato.
La donna non aveva più la forza di parlare, ma mi lanciò un’occhiata furibonda che valeva più di mille parole.
Poi successe tutto così in fretta: fummo travolti dall’onda e, mentre la donna si tuffò verso il piccolo, io lasciai la sua mano.
Il bimbo venne inghiottito dalla grande onda nera e la donna, disperata, capì che oramai non c’era più nulla da fare.
Gridò talmente forte, che le sue urla echeggiarono fredde in quell’apocalisse, come graffi sulla pelle.
Poi la grande onda passò e la donna si calmò. Prese aria profondamente e mi guardò con occhi vitrei, senza proferire parola.
Io non le dissi nulla, e in fondo non mi vergognai di quello che feci.
Infine ognuno riprese a fare quello che faceva da sempre: sopravvivere.
Da quel giorno non la vidi più.
Se oggi avessi quella donna di fronte a me, le direi soltanto che: «non me la sono sentita».