La grande onda

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Ripropongo questo breve racconto, un po' rivisitato.              



        La grande onda


Passarono quasi ventiquattro ore dall’ultima grande onda.

Lilith, una maestosa diga, antica come le ingiustizie di questo mondo, si innalzava sopra di noi come una scure, pronta a comandare le nostre esistenze. Si racconta che fu il Governo a costruirla, ma nessuno sa il vero motivo per cui fu eretta. 

Non sapevamo neanche se il Governo era composto da uomini o da macchine. Forse da entrambi.

Non sapevamo neanche perché eravamo lì, a valle, vittime sacrificali dei capricci di Lilith. 
Noi, nati, cresciuti e morti con i piedi zuppi nel fango. 

Quando suonavano le sirene tremavamo. Pochi istanti e fiumi di pece rossastra ci sbattevano e ci trascinavano a valle.
Una valle che accumulava le ipocrisie della società. Una discarica di ruggine ed ossa che si arrampicava sulla battigia, tanto grande da nascondere le più lontane increspature del mare.

Vidi uno stormo di gabbiani spennacchiati e sporchi volteggiare attorno alle tante carcasse. Fino a che, uno dopo l’altro, si fiondarono affamati come mosche sulla merda.
L’olezzo era così intenso da attirare persino neri avvoltoi di altri mondi. Imponenti, brutti e famelici; erano più simili a piccoli draghi che a grossi uccellacci.
Alzai lo sguardo per assistere alla diatriba. Persino in quell’abbondanza di metalli putrefatti, non c’era spazio per la condivisione. Così i gabbiani urlanti si fecero prede, e infine carogne, impastandosi in quella montagna diabolica.

Mi voltai impotente, colpito da un braccio mozzato che scendeva inesorabile, trasportato dalla corrente. Lo spinsi via da me e lo vidi accatastarsi assieme ad altri pezzi di carne, alla base della discarica.
La corrente cresceva, ero spinto da un enorme fiume scuro, gelido e penetrante, che alternava chiazze tiepide e rossastre.
E come me tanti altri, uomini e donne, impregnati fino alle ginocchia. Ognuno con la pelle del proprio colore e con il vestito che pensava di avere scelto.

Una nebbia grigia e rarefatta ci entrava dentro ad ogni respiro, con il suo marcio odore pungente.
Ci guardammo persi, come vecchi cuccioli stanchi della vita.
«Ehi!» gridò una donna, con un bimbo per mano, mentre lo aiutava a non scivolare via.
Mi voltai verso di lei, e forse fui l’unico a farlo.
«Me lo tenete un po’? Che non ce la faccio più» disse la donna, rivolta verso due giovani.
I ragazzi si girarono, quasi scocciati.
«In cambio cosa ci dai? Puttana!» esclamò uno dei due, ridacchiando con l’amico.
La donna si fermò per un attimo.
«È solo un bambino, e tra poco ci sarà un’altra onda» disse ai giovani, con voce rabbiosa.
«Se ci succhi il cazzo te lo teniamo» ribadirono i giovani, con un ghigno animale stampato sul volto.
«Vaffanculo!» gli urlò con le poche forze che le rimasero.
Poi si voltò e fissò i suoi profondi occhi blu su di me. 
Vidi un viso solcato dalle fatiche, per restare a galla in quel posto crudele. 
Poggiai lo sguardo sulla sua camicia unta e sgualcita, che le copriva i pantaloni fino a metà coscia. Infine notai i nervi della sua mano, tesi ad avvolgere la manina del piccolo.
«Ehi!» mi urlò, «non ce la faccio più, me lo tieni prima che arriva la prossima onda?»
Proprio in quel momento echeggiarono le sirene, fredde e taglienti. 
Poco dopo, in lontananza, Lilith ci rigurgitò nuovamente il suo disprezzo. 
Il frastuono della melma che si frangeva a terra con violenza catturò l’attenzione di tutti.
Un’altra onda nera stava per abbattersi su di noi.
Tutti iniziarono a prepararsi all’impatto, i più forti si accaparrarono le postazioni migliori, agli altri quello che restava.
In quei momenti ognuno era schiavo del proprio istinto. In quei momenti tutto era così frenetico, a tal punto che, chiudendo gli occhi, mi sembrava di cogliere tutte le paure della gente, racchiuse in ogni schizzo d’acqua, che fluttuava dolcemente attorno a me, fino a congelarsi in un attimo eterno.

«Ehi! Non c’è più tempo!» mi implorò la donna, mentre si avvicinava sempre più.
Aprii gli occhi e per un attimo mi mancò il fiato; l’adrenalina mi riportò subito nel caos della realtà. Così, immerso nella nebbia e nell’acqua, mi avvicinai di fretta a lei e al bambino.
La grande onda iniziava a rovinare sulla valle, portandosi dietro una scia di terrore e distruzione.
«Tieni!» mi disse la donna, porgendomi il piccolo.
Io afferrai quella manina con tutto me stesso, e per un istante noi tre fummo una cosa sola.
Quando la grande onda stava per abbatterci, la donna, sfinita, lasciò il piccolo nelle mie mani.
Il bimbo mi guardò per la prima volta dritto negli occhi.
Non so spiegarmi il motivo, ma rimasi deluso. Una delusione arcaica, profonda.
«Cazzo, ma è un cinese! Non è tuo figlio!» urlai alla donna, irritato.
La donna non aveva più la forza di parlare, ma mi lanciò un’occhiata furibonda che valeva più di mille parole.
Poi successe tutto così in fretta: fummo travolti dall’onda e, mentre la donna si tuffò verso il piccolo, io lasciai la sua mano.
Il bimbo venne inghiottito dalla grande onda nera e la donna, disperata, capì che oramai non c’era più nulla da fare.
Gridò talmente forte, che le sue urla echeggiarono fredde in quell’apocalisse, come graffi sulla pelle.

Poi la grande onda passò e la donna si calmò. Prese aria profondamente e mi guardò con occhi vitrei, senza proferire parola.
Io non le dissi nulla, e in fondo non mi vergognai di quello che feci.
Infine ognuno riprese a fare quello che faceva da sempre: sopravvivere.

Da quel giorno non la vidi più.

Se oggi avessi quella donna di fronte a me, le direi soltanto che: «non me la sono sentita».

Re: La grande onda

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Caro @edotarg 

Questo tuo racconto ci getta in una realtà apocalittica e distopica, che inchioda il lettore alla violenza della narrazione, che attui con un linguaggio ruvido e drammatico come la storia che proponi.
Questo luogo in cui vive (si fa per dire) un’ umanità reietta e ignara delle ragioni stesse del tormento che l’affligge.
Come molte delle sciagure che colpiscono la parte più debole dell’umanità, sovente le vittime sono all ’oscuro di quali siano i motivi che li causa.
Nel tuo racconto intuiamo dell’ esistenza di due livelli di società: quello del potere e dei fortunati che vivono al di là della grande diga e quelli che al di qua, subiscono le ondate dei loro rifiuti liquidi, di fogna o d’altro che ignoriamo, ma che con una periodicità oraria, vengono scaricate su questa moltitudine miserabile di sopravvissuti.
Per quale ragione e con quale criterio si sia deciso di condannare a questo infinito girone infernale questa parte di umanità, non lo sappiamo, si conosce solo la cruda realtà oggettiva, l’esistenza implacabile del danno.
La tradizione orale parla di un remoto governo composto di uomini e forse di macchine, di certo le continue ondate che spazzano il luogo non consentono speculazioni teoretiche o ricerche storiche.
Questo luogo infame ci pare richiami alla mente una punizione biblica, inferta agli uomini per i loro peccati.
Un inferno dove radunare e punire tutti i peccatori, ma allo stesso tempo dimostrando che la punizione non li assolve, non ne cancella i vizi e le umane miserie fatte di egoismi e indifferenza verso le pene e i drammi dei propri simili, anzi, gli stenti acuiscono le brutture della natura umana.
Anche davanti alla vita in gico di un innocente: “homo homini lupus”, gli uomini cercano di ottenere un turpe tornaconto dalla sofferenza della donna e del bambino.
Il tuo eroe nel racconto, non è migliore dei suoi simili, trova una pallida giustificazione per aver negato il suo aiuto ad entrambi.

Trovo che il racconto possieda una grande forza narrativa, le immagini sono di grande impatto visivo, la tensione pervade l’intero racconto.
Ci lascia anche una morale assai amara: non c’è salvezza per l’umanità, la codardia, l’interesse personale, l’indifferenza verso i propri simili, sono alla fine un male endemico della nostra natura.
Forse vale la pena di lasciarci affogare uno alla volta, fino all’ estinzione.
Una conclusione che personalmente condivido con lo spirito del tuo racconto.

Mi permetto ( se non ti offendi ) di richiamare la tua attenzione sull’uso di due termini, che mi appaiono impropri nel contesto:

1) Lilith, una maestosa diga, antica come le ingiustizie di questo mondo, si innalzava sopra di noi come una scure, pronta a

“comandare”

e nostre esistenze. Si racconta che fu il Governo a costruirla, ma nessuno sa il vero motivo per cui fu eretta.

Ecco, quel “comandare” mi suona male.
Forse vedrei meglio un: decretare/ stabilire/ definire.

2) Mi voltai impotente, colpito da un braccio mozzato che scendeva

“inesorabile”

trasportato dalla corrente.

“inesorabile” mi pare poco calzante
Forse vedrei meglio un: macabro/ orripilante

o semplicemente toglierei l’aggettivo:

Mi voltai impotente, colpito da un braccio mozzato che scendeva trasportato dalla corrente.

Complimenti e a presto rileggerti. Un saluto.

Re: La grande onda

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@edotarg  Ciao, ho letto un paio di volte il tuo interessante racconto per essere certo di coglierne lo spirito. Spero d'esserci riuscito, ma mi dirai tu.

Trama: Dopo una breve introduzione, che serve a farci capire la situazione in cui si trovano i personaggi, entriamo subito nel vivo con un'azione molto forte: un'onda sta per travolgere delle persone che cercano di salvare la propria pelle. Sembrano tutti disperati e fondamentalmente interessati a salvare la propria ita, tranne una donna anziana, forse per questo meno interessata alla propria esistenza, che cerca aiuto per salvare il bambino. Il protagonista (l'io narrante) da prima cerca di aiutare, ma infine anche lui pensa a salvare sé stesso. Il bambino (immagino) muore. Del resto, è anche uno straniero, e per questo meno "degno" di sopravvivere. Un'immagine forte che richiama ciò che, purtroppo, accade anche nella realtà. Rimane l'atto d'accusa verso l'io narrante che rappresenta un'umanità egoista.

Personaggi: Non sono particolarmente delineati. Di questa storia, a mio avviso, è più importante il meccanismo, il perché sono lì e cosa rappresentano, dal punto di vista del messaggio universale che vuole lanciare l'autore. Non ho trovato che la scarsa caratterizzazione fosse un difetto del racconto, dato lo scopo che si voleva prefiggere.

Lingua e stile: A mio avviso il punto di forza del racconto è il crudo realismo, direi un tagliente realismo, con cui sono scelti i termini. Non ci sono risparmiate volgarità che non sono fine a sé stesse, ma rappresentano lo stato psicologico e, perché no, lo stato di meschinità morale di alcuni personaggi. Ho trovato lo stile e la lingua efficaci e adatti allo scopo del racconto.

Originalità: La storia mi è parsa tratta da uno spunto originale. Non mi capita spesso di leggere storie del genere. Almeno, a mia conoscenza.

Sintassi: Non ho niente da dire.

Giudizio finale: Sicuramente un racconto duro, interessante, che porta il lettore a riflettere. Obiettivo raggiunto, a mio modo di vedere.

A presto, grazie per aver condiviso la storia.
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: La grande onda

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Ciao @edotarg 
Un racconto che parla della catastrofe umana a cominciare dal nome della diga Lilith, il nome della donna che secondo la cabala ebraica fu la prima compagna di Adamo…
Dare il suo nome alla diga misteriosa l’ho trovato molto indicativo. Una diga non è mai completamente affidabile e mai come in questo caso. Siamo davanti a un mondo, a una società che  sembra quasi l’anticamera dell’inferno, peggio di così è difficile immaginare di vivere per quanto esistano sulla Terra situazioni del genere.
Molto suggestivi nel loro cupo e decadente orrore gli stormi di gabbiani e avvoltoi di altri mondi che si slanciano sui rifiuti di quel mondo. Quei metalli in putrefazione rendo bene l’idea del disfacimento anche materiale della civiltà con i gabbiani famelici che soccombono ai mostruosi avvoltoi di altri mondi.
Anche io ho trovato che la parola “inesorabile” riferita al braccio mozzato che avanza nella corrente stoni un po’, si potrebbe usare un altro termine…
edotarg ha scritto: sab ago 28, 2021 12:43 amUna nebbia grigia e rarefatta ci entrava dentro ad ogni respiro, con il suo marcio odore pungente.
Molto ben calibrato l’inserimento degli odori. Rendono la scena più vivida e reale. Questa umanità sbrancata che vive sotto la tirannia della diga è davvero una trista visione, non sembrano nemmeno più umani per quanto il fatto di riunirsi istintivamente assieme in occasione del pericolo faccia ancora sperare.
La speranza, per quanto flebile, è nella breve scena della donna con il bambino, la sua richiesta di aiuto ai giovani è segno che spera ancora nella vicinanza umana. La loro volgare risposta, il loro squallido mercato è sintomatico di un’umanità che nemmeno nella sorte avversa è in grado di provare pietà, empatia nei confronti dei suoi simili. Un’umanità che merita di terminare, in tutti i sensi, a cominciare dalla miseria materiale e spirituale più abissale, senza avere mai più possibilità di scampo o redenzione.
Il fatto che il bambino sia un cinese accende l’irritazione del protagonista, ci saranno dei motivi pregressi, ma non è dato sapere. Forse la maggioranza di quell’umanità è di razza occidentale, non so.
Il protagonista sembrerebbe essere più sensibile, ma è una parvenza. Anche lui pensa soltanto alla propria sopravvivenza, come un animale braccato. Molto bella la scena quando prende il bambino e per un attimo sente che lui, la donna e il bambino sono una cosa sola. Sembra un barlume di un istintivo ritorno all’umanità, al desiderio di vivere, di avere una famiglia. Ma sono fugaci impressioni, che però riesci a rendere molto bene. Con poche scarne parole sei riuscito a descrivere un mondo in declino, un’umanità degradata ormai arrivata alla fine. Forse il protagonista può essere diverso dagli altri, in quanto si rammarica di non aver più visto la donna della quale ha lasciato andare in acqua il bambino, quand’anche non fosse stato  suo figlio per confessargli in fondo la sua vigliaccheria nel volerlo salvare dall’onda impetuosa che li ha travolti.
Viene davvero voglia di saperne di più su questo mondo e sui personaggi, sulla diga Lilith, su cosa può esserci oltre… Ci sono tutti i presupposti per una storia più lunga che scritta con lo stesso stile  incisivo e sobrio credo di poter intuire che sarebbe avvincente.
Ho apprezzato questo racconto.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: La grande onda

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@edotarg   :)  Ciao!
        La grande onda ha scritto:         La grande onda


Passarono quasi ventiquattro ore dall’ultima grande onda.
Ti suggerisco il trapassato remoto:
 Erano passate quasi ventiquattro ore...
edotarg ha scritto: Passarono Erano passate quasi ventiquattro ore dall’ultima grande onda.

Lilith, una maestosa diga, antica come le ingiustizie di questo mondo, si innalzava sopra di noi come una scure, pronta a comandare le nostre esistenze. Si raccontava racconta che era stato fu il Governo a costruirla, ma nessuno sa  sapeva il vero motivo per cui era stata  fu eretta. 
Il verbo trapassato della prima frase, secondo me, si collega con efficacia con l'imperfetto del seguito. E viceversa alla fine della terza frase.
edotarg ha scritto: Non sapevamo neanche se il Governo era fosse composto da uomini o da macchine. Forse da entrambi.

Non sapevamo neanche neppure perché eravamo lì, a valle, vittime sacrificali dei capricci di Lilith. 
Meglio un sinonimo per non ripetersi.
edotarg ha scritto: sab ago 28, 2021 12:43 am Io afferrai quella manina con tutto me stesso, e per un istante noi tre fummo una cosa sola.
Quando la grande onda stava per abbatterci, la donna, sfinita, lasciò il piccolo nelle mie mani.
Il bimbo mi guardò per la prima volta dritto negli occhi.
Mi piace come dimostri lo slancio dell'altruismo che scaturisce spontaneamente nell'adulto verso i piccoli.
edotarg ha scritto: sab ago 28, 2021 12:43 amNon so spiegarmi il motivo, ma rimasi deluso. Una delusione arcaica, profonda.
«Cazzo, ma è un cinese! Non è tuo figlio!» urlai alla donna, irritato.
Bravo anche nella descrizione, peraltro, di come, nella concitazione e nella drammaticità degli eventi, venga fuori la profondità dei valori o la grezza 
superficie  del connubio dell'egoismo e del razzismo, senza sconti. 
edotarg ha scritto: sab ago 28, 2021 12:43 amPoi successe tutto così in fretta: fummo travolti dall’onda e, mentre la donna si tuffò tuffava verso il piccolo, io lasciai la sua mano.
A senso, non ti suona meglio l'imperfetto?
edotarg ha scritto: sab ago 28, 2021 12:43 am Gridò talmente forte, che le sue urla echeggiarono fredde in quell’apocalisse, come graffi sulla pelle.

Poi la grande onda passò e la donna si calmò. Prese aria profondamente e mi guardò con occhi vitrei, senza proferire parola.
Io non le dissi nulla, e in fondo non mi vergognai di quello che feci.
Infine ognuno riprese a fare quello che faceva da sempre: sopravvivere.

Da quel giorno non la vidi più.

Se oggi avessi quella donna di fronte a me, le direi soltanto che: «Non non me la sono sentita».
Il "che" è superfluo di fronte al discorso diretto.

Un giusto finale, con il protagonista che ammette i propri limiti.

Un bel  racconto, @edotarg    :)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: La grande onda

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@edotarg  pezzo inquietante. Ben rappresentata è un'umanità sottomessa a un governo (fatto di uomini e forse macchine) che non si prende cura di lei. Abbandonata al suo destino, con il susseguirsi delle ondate mortifere, ha sviluppato un egoismo senza eccezioni. Una metafora che racchiude in sè sia gli ultimi della nostra società (e non solo) sia la moria dei clandestini. Simbolico – e nemmeno tanto – il bambino che finisce per annegare. L'ultima frase del tuo personaggio, eroe mancato, la dice lunga, infine, sulla incapacità di comprendere le proprie colpe. 
edotarg ha scritto: Se oggi avessi quella donna di fronte a me, le direi soltanto che: «non me la sono sentita».
Quel "non me la sono sentita" infatti , non è un'esclamazione sofferta, suona piuttosto come una semplice affermazione. 
Sicuramente mancano molti dettagli al tuo racconto, ma ciò non toglie che il messaggio che volevi farci arrivare è arrivato chiaro e ben descritto. La scrittura è visivamente d'impatto, mentre la trama si riallaccia in più punti ad aspetti tangibili della nostra realtà.  Bravo
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