D.P. - Something about us

1
viewtopic.php?f=8&t=1924&p=20680#p20680 



                                          D.P. - Something about us

«Sai, non pensavo che una Venusiana fosse così dolce.»
Vexha sorrise, mostrando a Mark i suoi canini appuntiti e sporgenti. Poi gli rispose con voce suadente: «Mark, anche nel mio pianeta esistono tanti pregiudizi verso gli umani, ma la verità è che ogni essere è unico. E tu sei il ragazzo più buono che ho mai incontrato in trecento anni».
Mark distolse lo sguardo da lei e si mise ad ammirare le stelle, brillanti e colorate, pronte a riempire il buio ed il vuoto dell’universo.
«Perché passare la vita ad odiare qualcuno o qualcosa? La vita è così breve per noi umani, non ha senso sprecarla.»
Vexha continuò a posare i suoi occhi di ghiaccio sul giovane. In fondo per lei quello spettacolo luminoso non aveva più lo stesso sapore, dopo tutto quel tempo. 
«Vexha…» disse Mark, mentre osservava una meteora.
«Dimmi.»
«È vero che voi Venusiane non invecchiate mai?»
«Non invecchiamo nella pelle, ma anche noi moriremo, prima o poi.»
Mark tornò a guardarla con i suoi occhi scuri e profondi, poi con la mano le accarezzò la spalla, scendendo sul braccio. 
«Sei così perfetta, hai una pelle fantastica. Poi l’azzurro è uno dei miei colori preferiti» aggiunse, sorridendo.
Vexha gradì il complimento, ma le scappò una piccola smorfia, quasi impercettibile, che Mark non colse. 
Prese la mano del ragazzo e lo invitò ad alzarsi da quella panchina.
«Vieni, andiamo a fare due passi, ti voglio mostrare una cosa.»

Lo accompagnò oltre la strada, sul brullo suolo lunare: una distesa irregolare di roccia color avorio, illuminata solamente dalla volta celeste. 
La Luna quella sera era più silenziosa del solito, il frastuono robotico, a cui Mark e Vexha erano abituati, stava scomparendo in lontananza.
I due passeggiarono mano nella mano per tanto tempo, allontanandosi da tutto ciò che li legava a quel pianeta: le macchine estrattrici del sottosuolo lunare, forse l’ultima fonte di energia davvero importante rimasta agli uomini.
Vexha volle portarlo nel punto più distante da tutto, a pochi metri dalla cupola trasparente che avvolgeva e abbracciava il pianeta in una bolla di ossigeno.
Si fermò, scrutò il cielo come mai aveva fatto quella sera, poi puntò il dito in direzione di una manciata di stelle.
«La vedi quella piccola costellazione a forma di aquilone?»
«Sì» rispose Mark.
«Si chiama Trephis, in realtà non è piccola, è soltanto lontana. Io sono nata lì, per l’esattezza nel terzo pianeta che ruota attorno alla stella più luminosa.»
«Ma non sei Venusiana?»
«Sì, ma non sono nata su Venere. Mio padre era un generale delle Forze Venusiane, ed aveva il compito di conquistare quella costellazione. Sai, anche noi Venusiani non siamo un popolo così pacifico. Così, una volta conquistata Trephis, a mio padre fu ordinato di presiedere quella piccola galassia. Poi dopo qualche secolo nacqui io…»
«Wow! Figlia di un Generale delle Forze Venusiane, tu si che hai una storia da raccontare. Io invece? Figlio, nipote e pronipote di una famiglia di estrattori, sai che noia! Ti invidio, sai? Hai visitato mondi e pianeti così lontani e così diversi. Un giorno mollerò tutto questo per vedere cosa c’è oltre questa cupola. Non voglio fare la fine di mio padre.»
«A volte si sta meglio dentro una cupola. L’universo non è come uno se lo immagina, almeno, non è come io me lo immaginavo.»
«Parli come una vecchietta stanca della vita» disse Mark, sorridendo.
Vexha sfilò la mano dal giovane e rispose: «Non sono stanca della vita, ma crescendo ti accorgerai che l’ottimismo di gioventù si schianta inevitabilmente contro la realtà di questi mondi.»
Mark la osservò per un attimo, poi la chiamo a sé.
«Scusami, non volevo offenderti.»
«Non ti preoccupare, è tutto a posto.»

I due rimasero alcuni minuti a scrutare le stelle. Si respirava una certa magia quella notte. 
In lontananza una navicella decollò lentamente verso lo spazio profondo. Si lasciò dietro di sé una scia biancastra, che sfumava pian piano. 
Tutto sembrò rallentare, a tal punto da immortalare quegli attimi nelle memorie dei due.

Ad un tratto Vexha buttò a terra lo sguardo, poi disse: «Torniamo indietro? Domani devo partire presto, lo sai».
Mark lo sapeva bene, ma sperava che quel momento non venisse mai.
«Cosa c’è Mark?»
«È… che… in realtà tu non ti sei mai aperta con me. Io ti ho detto tutto di me, ma di te so poco o niente, ho scoperto solo stasera da dove vieni. Sei come bloccata con me, e mi dispiace.»
«Non sono bloccata con te, anzi, di solito certe cose non le dico a nessuno. Sono una donna riservata, dovresti saperlo ormai. Però con te mi sento libera di parlare, e mi capita con pochissimi altri.»
A Mark però non bastò quella risposta così ragionata.
«Allora dimmi, cos’è successo per farti vivere così? Sempre con lo scudo alzato?»
«Ah… io speravo in un addio più rispettoso.»
«No tu speravi in un addio meno doloroso, invece io voglio sapere chi sei veramente, visto che tu mi piaci, e io mi sono aperto con te!»
Vexha lo guardò con un sorriso amaro, rifletté ancora un po’, poi gli disse: «Sai Mark, io invidio voi umani che vivete tutto in quanto? Novant’anni? Sai perché? Quando passano i secoli, tutto sembra ripetersi. E in effetti è così, la vita mi scorre una goccia alla volta, così prevedibile, così fredda. 
 Lo sapevi che noi Venusiane non possiamo avere figli? O meglio, non possiamo decidere quando averli, e quanti averne».
«Come mai?»
«La nostra specie deve mantenersi controllata nel numero delle nascite, il Governo lo decise ormai venti secoli fa. Così feci come tutte noi, aspettai che mi diedero il permesso di avere un figlio. E finalmente quel giorno arrivò, io fui felice come una bambina a cui regalarono il dono più bello. Ero già sposata da alcuni decenni e anche lui fu contento della notizia. Pochi anni dopo nacque Matiax…» 
La voce di Vexha si fece più sottile, e per un attimo ci fu silenzio. Poi sorrise e riprese a raccontarsi: «Era una bambino stupendo, bello, allegro, straripante di vita. Mi fece aprire gli occhi su tante cose. Sono stati bei momenti.»
Mark cambiò espressione e inspirò più del solito. Forse per la prima volta non sapeva cosa dire, e per un po’ non disse niente. 
«Cos’è successo dopo?» le chiese, per scioglierle quel nodo in gola.
Vexha si schiarì la voce e rispose: «Dopo Mathiax è cresciuto, ed essendo figlio, nipote, pronipote di una stirpe di militari del cazzo, gli fu assegnata subito una missione. Mio padre lo volle a capo di una stupida battaglia per conquistare un’altra stupida galassia. Aveva solo 33 anni…» Mark notò per la prima volta scendere una lacrima dal volto delicato di Vexha, «pochi anni dopo lasciai il mio uomo, e anche se mi mettessi tutto alle spalle e mi innamorassi nuovamente di qualcuno, non potrei comunque più avere figli. 
 Così iniziai a commerciare pietra lunare. Ora eccomi qua, a rimbalzare come un fantasma tra un pianeta ed un altro. Essere Venusiana non è poi così bello, vedi?» 
Mark la ascoltò con profonda attenzione e, prima di aprire bocca, volle ponderare bene le sue parole.
«Ora capisco… e credimi, quello che ti è successo è una coltellata al cuore, ma se ti limiti a sopravvivere, è come se fossi già morta.»
«Non mi sento morta. Ma ho perso la fiducia in tutto questo, e non è facile recuperarla.»
Mark non seppe cosa dire per consolarla. 
«Dai, andiamo, sennò faccio davvero tardi» disse Vexha, facendo un piccolo cenno con la testa.
«Andiamo…» rispose Mark, un po’ giù di corda.

I due, a pochi passi l’uno dall’altro, si voltarono e intrapresero il cammino verso la base. 
Così vicini, eppure così soli e silenziosi. Ognuno perso nel suo viaggio interiore, dove ci si abbandona ad alcuni cupi sentimenti. Vi era una strana quiete purificatrice; stavano cercando di lavarsi di dosso quei mesi trascorsi assieme. Ogni sorriso, ogni sguardo, andava cauterizzato prima che la ferita diventasse troppo profonda. 
Anche la Luna sembrava soltanto uno spoglio ammasso di rocce morte.
Non si dissero una sola parola per tutto quel tempo, fino a che, ormai nei pressi della base, Vexha notò alcuni suoi colleghi intenti a portare alcune valigie nella loro navicella. 
«Ma dov’eri finita? È un’ora che ti cerchiamo?» le disse uno dei due Venusiani.
Vexha si fermò ad alcune decine di metri da loro e rispose che sarebbe arrivata a momenti.
Si voltò verso Mark, non sapendo bene che dire: «Grazie di tutto Mark…»
Vexha non fece in tempo a continuare che il giovane Mark la prese per un braccio, la fissò dritto negli occhi e le disse con voce ferma: «Lascia il tuo lavoro, i tuoi rimpianti, le vostre stupide regole e rimane qui con me. Ti prometto che darò tutto per te. Poi quello che sarà, sarà.»
Vexha non riuscì a reggere lo sguardo del giovane, e fu costretta a guardare altrove, cercando di trattenere una lacrima. Tirò su col naso e, poco dopo aver visto la sua astronave, chiuse gli occhi. 
Mark la strinse più forte, quasi a volerle lasciare un segno sul braccio, poi se la portò a sé.
Lei non potè far altro che tornare a reggere lo sguardo di lui, poi gli disse: «Mark… non avrebbe senso. Ti vedrei invecchiare e morire senza che capiti lo stesso anche a me.»
Il giovane mollò leggermente la presa su di lei e sorridendo le rispose: «Almeno saprò che non dovrò badare a te durante la vecchiaia».
Mark riuscì a strappare un breve sorriso anche a lei, ma poi Vexha tornò a combattere con i suoi rimpianti e le sue paure.
«Vexha, smetti di fare la ragazzina, vieni a darci una mano» urlò un venusiano.
«E sta' zitto un attimo!» ribattè Mark, senza neanche voltarsi. Poi, con il cuore in mano, le disse: «Dammi questa opportunità, non te ne pentirai».

Vexha rimase lì, in silenzio, a guardare quegli occhi così tesi e profondi, cercando di vedere oltre l’animo dolce e gentile di Mark. 

Quella notte avrebbe cambiato per sempre le loro vite.

Per qualche secondo Vexha sembrò sorridere. 
Per qualche secondo Vexha tornò a vivere per davvero.

Re: D.P. - Something about us

2
Carissimo @edotarg 

è la prima volta che leggo un tuo racconto, non ho verificato se qui ne hai pubblicati altri, o se ce ne fossero di tuoi sul vecchio forum, se è così me ne scuso e mi riprometto di farlo in futuro.

Premetto che hai una scrittura fluida che rende leggera la lettura, non mi avventuro sul farti le pulci in merito a refusi ortografici o altro, poiché sono l’ultimo all' interno del sito che può permettersi di farlo, pertanto lascio ad altri questo ingrato, quanto utile compito.

Mi limiterò quindi a esprimerti un mio modesto giudizio sul contenuto della storia.

Sarò molto duro e diretto, poiché ciò che più dispiace nel leggere una storia è l’impiego magro di una potenziale capacità.
In altre parole questo tuo lavoro mi pare si muova su un livello di superficialità che ne fa una storia priva di mordente e in sostanza carente proprio di una “storia” che valga la pena di essere raccontata.
La sensazione è di trovarsi di fronte a un compitino confezionato con correttezza, ma privo di reale impegno, partecipazione e pathos.

Perdonami, ma mancano totalmente elementi di un pur minimo intento drammaturgico che dia corpo e vigore al racconto.
La premessa di ambientarlo in un contesto “fantascientifico”, portando il rapporto su uno scenario lunare futuribile, tra due soggetti, in cui lei è di natura aliena e lui terrestre, non aggiunge quel plus di potenziale narrativo che avrebbe potuto sviluppare.
In sostanza abbiamo una labile storia d’amore, presentata su due comuni e malassortiti innamorati che, a parte la differenza d’età, in virtù del fatto che lei possieda un tempo di vita ben più ampio di lui, avrebbe potuto avere luogo anche a Cusano Milanino, senza scomodare il cosmo.
Mi pare che la location, risulti nell’ economia della storia, più pretestuoso che utile, nell’ intento che la “patina” da Star Wars, desse lustro al racconto, più che esserne scenario in qualche modo determinante.
Non c’è dramma né tensione empatica, il rimpianto del figlio morto in guerra come del desiderio di maternità frustrata, ci appare del tutto accidentale, quasi una debole giustificazione assimilabile all’ indifferenza verso i sentimenti e la vita, a causa del troppo lungo tempo d’esistenza di lei.
Concludendo mi pare, data la tua buona mano nella scrittura, un’ occasione mancata per scrivere un buon racconto.

Mi auguro di leggerti in qualcosa di nuovo, che mi costringa a complimentarmi per quanto risulti avvincente il racconto.

Ciao e buone cose. Alla prossima.

Re: D.P. - Something about us

3
edotarg ha scritto: Sai Mark, io invidio voi umani che vivete tutto in quanto? Novant’anni?
Refuso.
edotarg ha scritto: nipote, pronipote di una stirpe di militari del cazzo,
L'uso del turpiloquio, di punto in bianco, contrasta troppo con la rarefatta meditazione condotta sin qui.
edotarg ha scritto: stavano cercando di lavarsi di dosso quei mesi trascorsi assieme
Questa frase [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]é [/font]di troppo: dovresti "mostrare" questa azione, o perlomeno suggerirla, invece di "renderla esplicita" (il classico detto: "show, don't tell").
edotarg ha scritto: «Mark… non avrebbe senso. Ti vedrei invecchiare e morire senza che capiti lo stesso anche a me.»
Mi sembra che questa frase egoistica contrasti con il senso che vorresti dare alla scena. Se lei fosse veramente innamorata accetterebbe di soffrire vedendo invecchiare solo lui. Giusto?

Ciao @edotarg ,
quello che non mi convince dell'intero racconto é che... non é un racconto! Mi spiego meglio: mi pare più una riflessione scritta in un momento di malinconia, e lo percepisco dai personaggi, poco delineati, dall'ambientazione inutilmente fantascientifica (perché non ambientare un addio ai nostri tempi?) che però ha il vantaggio di permettere alla tua fantasia di spaziare senza limiti né regole. Ecco, se posso permettermi mi sento di suggerirti di darti qualche vincolo (storico, ambientale, caratterizzazone "fuori pagina" dei personaggi per dare loro spessore) al fine di dare consistenza alla storia. 
Infine, appunto, la storia. 
Non importa che sia una trama chissà quanto complessa, ma per lo meno, ricordando che stai scrivendo per il lettore, personalmente apprezzerei il fatto di assistere ad un pezzetto di una storia più grande che solletichi la mia curiosità, e il tutto non si esaurisca in una passeggiata tra le suggestioni dell'autore.
Un utile consiglio che ho letto in "On writing" di Stephen King è immaginare che il tuo racconto debba essere letto "dietro pagamento" dal lettore, per cui é importante dargli qualcosa che valga il prezzo del biglietto. 

A rileggerti!

RC
Rispondi

Torna a “Racconti”