Inseguendo Mirò

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 Inseguendo Mirò


Cominciai a non rispondere più. Neanche a me stesso. Raggomitolato in sogni diurni figli di un malessere appena percettibile, una formica su una foglia. Senza avere contatti, prendere le mani e non sentire più nulla. Forse un solo capolinea dove gettai me stesso alla mercé di qualcosa di indefinibile. A tratti paura. A volte angoscia.
Passai le giornate in meditazione cercando di annullare anche il respiro, nutrendomi delle sole molecole d’aria che riuscivano ad attraversare la bolla di solitudine rocciosa che avevo erto intorno a me.
E mi fu dolce il passare delle ore, ormai non più quantificabili. Farsi beffe del tempo e gridare: tu non esisti!
Poi venne la sete. Un’onda molle che fluiva dentro, accarezzandomi, per poi esplodere attraverso gli occhi, in mille gocce di pura bellezza. Spalancai i pori per farne entrare appena un pò. Ma la detestai presto.
Poi venne la fame. Sentii il corpo ribellarsi mille volte finché la lupa non scomparve.
Continuai a meditare senza contare, avevo annullato il tempo. Le pupille spalancate disegnavano nell’aria fredda del mattino una lunga linea nera che definiva i contorni dei desideri di una vita.
Quella volta che immaginai di volare ma non avevo le ali. La linea nera girò repentinamente su se stessa definendo uno spazio blu. E ricordai quella volta che imparai a saltare ma solo di un metro. Avrei voluto saltarne dieci o venti o addirittura percorrere un chilometro con un balzo. Allora la linea nera definì uno spazio arancione.
Un giorno pensai quanto sarebbe bello riuscire ad amare. Non lo feci mai. E la linea nera divenne sempre più marcata fino ad essere lo spazio nero del ricordo.
Il cielo era un’enorme tela da dipingere con cose che avrei voluto possedere, armi per offendere, spade per trafiggere. Tutto divenne color sangue.
All’improvviso il fuoco divorò il pensiero, la luce delle fiamme preannunciò l’avvento della fenice che portava sulle ali il peso della mia inutile esistenza.
Come fu vana e opaca e pregna di oggetti da attaccare al muro come tante statue immobili di duro granito, una vita da non raccontare per quanto fu folle. 
Solo adesso capivo, riuscivo a capire, di aver passato il tempo a morire. Ora era il momento di rinascere.
Come una linea infinita, sottile, senza alcun colore. Solo una lungo, tortuoso, sogno che non terminerà mai.

E smisi di rispondere
A chiunque mi 
                           rimproverò
                                                              .

Re: Inseguendo Mirò

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Ciao, ho trovato il racconto fortemente introspettivo e interessante. Intanto, mi è sembrato che ci si potesse immedesimare col protagonista, in quanto tutti abbiamo avuto momenti in cui ci siamo rinchiusi in noi stessi perché, in qualche modo, non ci piacevano le risposte del mondo esterno. Nel racconto, questa situazione è portata all'estremo, con un protagonista che addirittura arriva al punto di non mangiare e di non bere, di lasciarsi cioè, morire d'inedia. Non è chiaro, se non nel finale (una chiara accusa a un mondo che non sembra apprezzarlo) il motivo di questo "voler morire." Comunque il racconto, con un segno di rinascita annunciato dalla celebre fenice, si apre alla speranza e sembra darci come insegnamento che non dobbiamo forse troppo badare a quanto ci arriva dall'esterno, ma che dobbiamo trovare in noi la forza di ricominciare, di andare avanti. Io non credo che sia sempre così, ma, in definitiva, sono d'accordo col messaggio di questa storia. Spesso dobbiamo trovare la forza in noi stessi. 
Mi ha interessato quando dici che il protagonista vorrebbe saper amare, perché amare è bello, ma non è capace, quindi si rinchiude ancora più in sé stesso. Perché è così difficile amare, secondo te?  È questa una mancanza del protagonista, o è dovuto ad altro? A una condizione esterna oggettivamente difficile?
Il linguaggio della storia tende a diventare poetico, tanto che ci si chiede se questo materiale non sia forse più adatto a una poesia che a uno spazio di narrativa. Tanto che alla fine si chiude con tre versi poetici.
Sarebbe interessante vedere la stessa storia, oltre che in questo momento d'introspezione, in una visuale più ampia, che ci faccia capire il motivo concreto che porta il protagonista a rinchiudersi in sé stesso.
Ti segnalo un piccolo errore: a un certo punto hai scritto "un pò," ma andava scritto "un po'."

Grazie per aver condiviso l'interessante racconto. A presto,
Domenico
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: Inseguendo Mirò

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Atlab the Alchemist ha scritto: Raggomitolato in sogni diurni figli di un malessere appena percettibile, come una formica su una foglia. 
virgola dopo "diurni"
Atlab the Alchemist ha scritto: Forse un solo capolinea dove gettai me stesso alla mercé di qualcosa di indefinibile. A tratti paura. A volte angoscia.
Il capolinea è uno solo, non è il caso di specificarlo.
Per le frasette brevi, ti dirò; preferisco citarle dopo i classici due punti. Così:

Forse un capolinea dove gettai me stesso alla mercé di qualcosa di indefinibile: a tratti paura, a volte angoscia.
Atlab the Alchemist ha scritto: che avevo erto intorno a me.
che avevo eretto intorno a me.
Atlab the Alchemist ha scritto: Poi venne la sete. Un’onda molle che fluiva dentro, accarezzandomi, per poi esplodere attraverso gli occhi, in mille gocce di pura bellezza. Spalancai i pori per farne entrare appena un pò. Ma la detestai presto.
Poi venne la fame. Sentii il corpo ribellarsi mille volte finché la lupa non scomparve.
Secondo me, hai liquidato  con nonchalance due mostri terribili per l'essere umano.
Atlab the Alchemist ha scritto: Continuai a meditare senza contare, avevo annullato il tempo. 
Dopo "contare" ci vedo meglio due punti al posto della virgola.
Atlab the Alchemist ha scritto: Quella volta che immaginai di volare ma non avevo le ali.
Questa frase non è conclusa.
Atlab the Alchemist ha scritto: Quella volta che immaginai di volare ma non avevo le ali. La linea nera girò repentinamente su se stessa definendo uno spazio blu.
Per concludere la prima frase non devi mettere il punto finale e sostituirlo con una virgola.
Atlab the Alchemist ha scritto: Avrei voluto saltarne dieci o venti o addirittura percorrere un chilometro con un balzo. Allora la linea nera definì uno spazio arancione.
Mi sembra manchi il senso di quell'"allora" con la frase che precede.
Atlab the Alchemist ha scritto: Un giorno pensai quanto sarebbe bello riuscire ad amare. Non lo feci mai. E la linea nera divenne sempre più marcata fino ad essere lo spazio nero del ricordo.
Mi suona strana la frase in neretto. Ti suggerisco:
"Non mi riuscì mai".
Atlab the Alchemist ha scritto: Il cielo era un’enorme tela da dipingere con cose che avrei voluto possedere, armi per offendere, spade per trafiggere. Tutto divenne color sangue.
ti tolgo il superfluo
Atlab the Alchemist ha scritto: Come fu vana e opaca e pregna di oggetti da attaccare al muro come tante statue immobili di duro granito, una quella vita da non raccontare, per quanto fu folle. 
per quanto folle.
Una vita folle di norma merita di essere raccontata ma, visto che intendi affermare il contrario, ti suggerisco le correzioni di cui sopra (compresa la virgola dopo "raccontare").
Atlab the Alchemist ha scritto: mar ago 03, 2021 6:54 pmSolo una un lungo, tortuoso, sogno che non terminerà mai.
Atlab the Alchemist ha scritto: E smisi di rispondere
A chiunque mi 
                           rimproverò
                                                              .
a chiunque mi rimproverasse.

Mi spieghi perché, volutamente, hai usato quel futuro dopo il passato remoto?

Mirò: artista esponente del surrealismo. Hai scritto il tuo racconto (che è più un flusso di coscienza) sulle orme de grande Mirò. 
Direi che ci sei riuscito, secondo me, perché, anche con un titolo diverso, ti avrei detto che hai usato uno stile surreale...
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: Inseguendo Mirò

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Ciao Atlab,
anche se il tuo è un breve racconto, è un flusso di coscienza e di parole piene di significati.
Atlab the Alchemist ha scritto: Cominciai a non rispondere più. Neanche a me stesso. Raggomitolato in sogni diurni figli di un malessere appena percettibile, una formica su una foglia. Senza avere contatti, prendere le mani e non sentire più nulla. Forse un solo capolinea dove gettai me stesso alla mercé di qualcosa di indefinibile. A tratti paura. A volte angoscia.
Passai le giornate in meditazione cercando di annullare anche il respiro, nutrendomi delle sole molecole d’aria che riuscivano ad attraversare la bolla di solitudine rocciosa che avevo erto intorno a me.
L'introspezione che racconti è un'introspezione che nasce dal pessimismo, piena di rimpianti e di rabbia.
Atlab the Alchemist ha scritto: E mi fu dolce il passare delle ore, ormai non più quantificabili. Farsi beffe del tempo e gridare: tu non esisti!
Noto che ci sono anche momenti "dolci" in questo duro esame di coscienza. Anche se poi chiarisci subito la natura di quell'apparente dolcezza.
Atlab the Alchemist ha scritto: Poi venne la sete. Un’onda molle che fluiva dentro, accarezzandomi, per poi esplodere attraverso gli occhi, in mille gocce di pura bellezza. Spalancai i pori per farne entrare appena un pò. Ma la detestai presto.
Poi venne la fame. Sentii il corpo ribellarsi mille volte finché la lupa non scomparve.

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]La sete, la fame, la privazione (o autoprivazione) di acqua e cibo sono da intendere come una via di espiazione per i rimpianti? O una condizione dettata dalla depressione o da qualche forza esterna al narratore?[/font]

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Comunque rimane lo strazio fisico che il protagonista subisce durante la sua introspezione.[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Continuai a meditare senza contare, avevo annullato il tempo. Le pupille spalancate disegnavano nell’aria fredda del mattino una lunga linea nera che definiva i contorni dei desideri di una vita.[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Quella volta che immaginai di volare ma non avevo le ali. La linea nera girò repentinamente su se stessa definendo uno spazio blu. E ricordai quella volta che imparai a saltare ma solo di un metro. Avrei voluto saltarne dieci o venti o addirittura percorrere un chilometro con un balzo. Allora la linea nera definì uno spazio arancione.[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Un giorno pensai [/font][font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]quanto sarebbe bello riuscire ad amare. [/font][font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Non lo feci mai. E la linea nera divenne sempre più marcata fino ad essere lo spazio nero del ricordo.[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Il cielo era un’enorme tela da dipingere con cose che avrei voluto possedere, armi per offendere, spade per trafiggere. Tutto divenne color sangue.[/font]
Questa parte del racconto è più simile ad un sogno/incubo, che ad un'analisi razionale. Con questa linea nera che muta e disegna rimorsi, momenti di rabbia, che degenerano [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]in violenza.[/font]
Atlab the Alchemist ha scritto: All’improvviso il fuoco divorò il pensiero, la luce delle fiamme preannunciò l’avvento della fenice che portava sulle ali il peso della mia inutile esistenza.
Come fu vana e opaca e pregna di oggetti da attaccare al muro come tante statue immobili di duro granito, una vita da non raccontare per quanto fu folle. 
Solo adesso capivo, riuscivo a capire, di aver passato il tempo a morire. Ora era il momento di rinascere.
Come una linea infinita, sottile, senza alcun colore. Solo una lungo, tortuoso, sogno che non terminerà mai.

E smisi di rispondere
A chiunque mi 
                           rimproverò
L'arrivo della fenice, simbolo di rinascita, che "trasporta" e conclude il viaggio interiore, chiudendo con il passato e guardando avanti, con nuove consapevolezze e nuove energie.


Un racconto profondo e crudo, di quelli che piacciono a me!
Ciao

Re: Inseguendo Mirò

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@Atlab the Alchemist non  mi soffermo su particolari che altri ti hanno fatto notare, voglio spaziare sulla natura del tuo testo che ha  più le sembianze di un quadro piuttosto che quelle di un racconto vero e proprio. Sono molte le notizie che mancano per il lettore: Chi è il narratore?  È un uomo o una donna? Oppure hai voluto mantenere un anonimato per "coerenza" con il testo?
Perchè il tuo personaggio si comporta così? Cosa lo ha condotto a questa esistenza inconsistente?
Quando gli è accaduto? Da giovane? Oppure da adulto? Si è risvegliato troppo vecchio? Non riesco ad attribuirgli un'età definita. 
Per il dove possiamo immaginare solo la sua stanza, il come invece è ben dettagliato in modo anche suggestivo. Le parole concrete sono pochissime, mentre abbondano quelle senza forma:
Atlab the Alchemist ha scritto: Cominciai a non rispondere più. Neanche a me stesso. Raggomitolato in sogni diurni figli di un malessere appena percettibile, una formica su una foglia. Senza avere contatti, prendere le mani e non sentire più nulla. Forse un solo capolinea dove gettai me stesso alla mercé di qualcosa di indefinibile. A tratti paura. A volte angoscia.
Passai le giornate in meditazione cercando di annullare anche il respiro, nutrendomi delle sole molecole d’aria che riuscivano ad attraversare la bolla di solitudine rocciosa che avevo erto intorno a me.
E mi fu dolce il passare delle ore, ormai non più quantificabili. Farsi beffe del tempo e gridare: tu non esisti!
Poi venne la sete. Un’onda molle che fluiva dentro, accarezzandomi, per poi esplodere attraverso gli occhi, in mille gocce di pura bellezza. Spalancai i pori per farne entrare appena un pò. Ma la detestai presto.
Le parole che ho segnato in grassetto, ad esempio, sono le uniche ad avere una forma concreta, tutte le altre rimandano all'incoporeità. Il testo procede integralmente nella stessa direzione, in un misto tra poesia e prosa. Hai usato un tono a tratti dolce per descrivere l'insana apatia. Il racconto ha sicuramente delle belle immagini, ma da lettrice devo dire che ho avuto la sensazione di fluttuare tra le parole come in un mare senza porto. 
Atlab the Alchemist ha scritto: Solo adesso capivo, riuscivo a capire, di aver passato il tempo a morire. Ora era il momento di rinascere.
Come una linea infinita, sottile, senza alcun colore. Solo una lungo, tortuoso, sogno che non terminerà mai.

E smisi di rispondere
A chiunque mi 
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Anche il finale non mi è chiaro del tutto, il tuo personaggio comprende  di avere trascorso il tempo a morire e che è giunto il momento  dirinascere, però, prosegue dicendo "come una linea infinita, sottile, senza alcun colore (quindi ancora senza vita!") Solo un (una è refuso) lungo, torutoso, sogno che non terminerà mai. Cioè per lui non cambia nulla?

Una chiusura degna della poesia ermetica. Rimangono quelle pennellate artistiche che potrebbero far parte di un testo più ampio e e completo nella trama. 

Spero di essere riuscita a esprimere in modo chiaro il mio pensiero. 
Ciao e alla prossima

Re: Inseguendo Mirò

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Che bel viaggio mi sono fatta con questo racconto surreale, un po' dentro un quadro di Mirò e un po' come se fosse il racconto di un'eremita assorto in meditazione, in un'altra dimensione, che affronta e supera i propri limiti fisici e rielabora i ricordi e i desideri visualizzandoli con linee sinuose in movimento. Li sintetizza e li analizza nella nuova forma per poi accettarne il rogo e poter rinascere.
Diventare una linea indipendente dalla forma, non dover più  definire i contorni dei propri limiti, né dover più rispondere di essi.
Bello, bello, grazie @Atlab the Alchemist per questo ampio respiro .
"Fare o non fare, non c'è provare." Yoda - Star Wars
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