L'enigmista

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Era stata tutta colpa di quella ricerca su internet. Sul monitor erano apparse decine di foto di una pianta con lunghe foglie verde spento. Non riusciva a capire come uno stelo secco, che spiccava al centro, potesse sorreggere un batuffoloso salcicciotto marrone. E ancor di più lo stupiva il fatto che quella specie proliferasse dentro l'acqua putrida di laghetti e stagni. C'era una zona palustre nelle vicinanze e Mario decise che il mattino dopo sarebbe andato a vedere.
Così adesso si trovava attaccato da nuvole di moscerini aggressivi, che cercava di scacciare con gesti decisi della mani. Si era anche pentito dei vari strati di vestiario che aveva indossato per evitare possibili contatti con creature avverse, colava sudore da ogni poro per il caldo. Era stata l'ingenuità della prima esperienza: era diventato un esploratore nel giro di poche ore e aveva sbagliato abbigliamento. Lui, che al solo pensiero di insetti, fango e animali vari inorridiva, e che preferiva di gran lunga l'asettico, igienico cemento, si ritrovava ad affondare nel fango. Ebbe un moto di terrore e pensò di tornare indietro per la fatica dell'incedere. Ad ogni passo rischiava di scivolare nella melma che si appiccicava alla suola degli stivaloni anfibi. Erano stati parte della divisa da caccia di suo padre.
La prima cosa che vedeva da bambino quando il padre rincasava la domenica sera con tanta cacciagione e l'aria soddisfatta, erano proprio quegli stivali. Lo accoglieva con un giocattolo in mano, ma il padre era sempre impegnato a discutere con sua madre di fagiani comprati in macelleria, tracce di rossetto sul gilet mimetico e fucili arrugginiti. Così riprendeva in mano il cencio per spolverare, come gli suggeriva il nonno, e lasciava i genitori ai loro discorsi da adulti, dandosi da fare con i soprammobili.
Erano tanti quante le piante di stiancia davanti a lui in quel momento. Vide centinaia di esemplari: una distesa che faceva da cornice al piccolo laghetto alluvionale. La sua attenzione fu completamente calamitata dal motivo della sua avventura che persino l'odore nauseabondo della palude era diventato amichevole.
Osservò la pianta e cercò tutti i particolari di cui aveva letto, quando era ancora comodamente seduto sulla sua poltrona a casa. Tutto era cominciato mentre faceva le parole crociate.
Si era appena preparato una tisana al finocchio a cui aveva aggiunto del ghiaccio. Aveva guardato davanti a sé senza interesse: si era annotato di rimuovere più tardi un filo di polvere sulla cornice del quadro appeso alla parete. Non ricordava chi lo avesse messo lì, sua madre o suo nonno. Si era sempre sentito un po' disturbato dall'albero che vi era dipinto, forse una quercia, in posizone decentrata. Era l'unica cosa verticale che spiccava dall'uniforme campo di grano al tramonto, e non capiva perchè l'artista lo avesse collocato di lato. Era una crosta di nessun valore, tipico delle case anni sessanta, come la sua, che non si era mai preso la briga di rimodernare.
In fondo il mobilio era ancora in buono stato, tutto di legno massello, fatto per durare in eterno. E Mario si era preso cura di quelle cose rendendole quasi incuranti del tempo che passava.
Aveva toccato la tazza ormai tiepida e aveva stabilito che poteva berne un sorso. L'espediente del ghiacciolo era risolutivo per poter gustare la tisana anche d'estate. Produceva il ghiaccio con un nuovo frigo di moderna concezione. Era stato il solo elettrodomestico che aveva dovuto sostituire dopo la morte della madre. Il precedente, scelto dai genitori qualche decennio prima, lo aveva abbandonato un bel giorno di inizio dicembre. Si era spento senza troppo clamore, emettendo solo un piccolo fischio e qualche decilitro di acqua sul pavimento. A volte, pensando al giorno della sua morte, Mario sperava di fare come il suo vecchio frigo: andarsene in fretta senza troppo rumore.
Aveva cercato di scacciare quel pensiero prendendo la rivista di enigmistica che teneva sempre sul tavolino. Quando non era al lavoro aveva sempre certi pensieri e cercava di ignorarli impegnando la mente. Non voleva essere subito sopraffatto dalla noia: erano iniziate le sue ferie estive e, come tutti gli anni, non aveva nessun progetto per quei giorni angoscianti e solitari.
Aveva provato ad evitarle, ma i colleghi, il rappresentante sindacale e il suo capo mostravano sempre molto fastidio. “Tutti hanno bisogno di staccare, non puoi stare qui tutto l'anno, ti alieneresti! E poi le ferie sono un diritto!” diceva il suo collega sindacalista. “Se tu rifiuti le ferie, finisce che crei un precedente, poi non le danno più nemmeno a noi.” sbottavano gli altri impiegati.
A causa di questa situazione si trovava a fissare un quadro e a pensare a un funerale senza corteo e senza lacrime.
Era stato in quel momento che si era imbattuto nella definizione misteriosa:”Pianta palustre detta anche stiancia”.
Dopo averla vista in foto e aver conosciuto le sue abitudini, non era riuscito a darsi pace finchè non l'aveva osservata dal vivo. E adesso era lì davanti a lui. Si rannicchiò per mettersi ad un'altezza appropriata e mosse le foglie. Ne sentì il fruscio leggero e la consistenza ruvida. Strizzò con vigore i salsicciotti marroni che tanto lo avevano incuriosito; si spappolarono sotto la pressione delle sue dita liberando peletti leggeri.
Sulla superficie dello stagno notò delle enormi zanzare, o almeno a prima vista tali gli parvero, appoggiare solo le zampe secche sul pelo dell'acqua. Quel galleggiamento sfidò il suo senso della fisica. Forse erano i famosi insetti pattinatori.
Per poter riflettere una volta tornato a casa, cominciò a fotografare tutto ciò che vedeva. Purtroppo non riuscì a farlo con un fantastico stormo di germani reali che si era alzato in volo all'improvviso. Era controsole e quasi rimase accecato per fissare lo spettacolo. Come pure non riuscì ad immortalare la biscia che gli sgattaiolò tra le gambe impaurita. Fu, invece, molto più semplice avere un ricordo dei placidi rospi grassottelli, che si confondevano con le pietre, sia come colori che come immobilità.
Solo rientrando a casa si rese conto di quanto fosse sporco, sudato e puzzolente. Ma realizzò anche quanto fosse eccitato e pieno di vita. Sotto la doccia si sorprese a cantare stornelli inventati sul momento e continuava a vedere i riflessi del sole nello stagno se chiudeva gli occhi.
Stanco si abbandonò all'abbraccio della sua poltrona, e decise di fare qualche altra parola crociata. Dopo alcune banali definizioni si imbattè in una nuova incognita: “Uccello dai piedi azzurri che si può incontrare nelle Isole Galapagos e in Ecuador”.
Ci pensò un po', poi accese il PC e rimase senza fiato. Apparve una specie di anatra impettita che sfoggiava con orgoglio dei piedi celeste vivace. Con espressione comica si muoveva tra scogli e pozze d'acqua, da cui si lanciava in spettacolari salti acrobatici. Più le sue zampe erano azzurre e più i salti spericolati, maggiori erano le sue probabilità di accoppiamento. A Mario la Sula sembrava un supereroe.
Colto da un vero raptus di eccitazione visiva, trascorse tutto il pomeriggio a spulciare siti web e a prendere appunti. Infine chiamò il suo capoufficio:” Devo urgentemente partire per un lungo viaggio che mi terrà lontano dall'Italia per un po', avrei bisogno di ulteriori giorni di ferie”.
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