[MI153] I Noi
Posted: Sun Jun 20, 2021 11:26 pm
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Traccia di mezzanotte
Cara Simona,
é la seconda sera che sono qui sul balcone ad aspettarli, ma mi hanno detto che se non ti racconto la mia storia non torneranno più per portarmi con loro. Ma soprattutto non ti faranno mai sapere come si occupano di te.
Hanno dimostrato di essere di parola, quindi adesso tocca a me.
Ho comprato questa fetta di casa per le vacanze con la famiglia, due piani con balcone e giardinetto, una striscia di asfalto a separarla dal mare. Estate dopo estate ho capito che era questo il luogo dove avrei voluto invecchiare. Ma si sa, prima ci sono gli impegni dei figli, poi c’è il lavoro e si pensa di tenere duro fino alla pensione. Poi la bisnonna mi ha lasciato. Se l’è portata via una macchina che non ha rispettato il rosso. L’appartamento era desolato. Alla fine di un processo durato qualche anno, mi hanno versato un risarcimento dal sapore amaro. Come poteva un qualsiasi importo compensare la vita di una donna che sulle strisce pedonali voleva andare al mercato. Nonostante il tempo passato, ogni angolo di casa mi ricordava la sua assenza, e cosí ho deciso: vado a vivere al mare.
Ho vissuto per anni in questa casa intrisa di salsedine senza rendermi conto di condividere i miei spazi con altri esseri, di essere oggetto di cure, di studi e di nutrimento per loro.
Ero convinto che il mare mi facesse semplicemente bene.
Quando mi avevano diagnosticato il cancro al pancreas, mi ero rassegnato subito. Il medico era stato chiaro: ancora qualche mese, dolori atroci e addio mondo. Avevo pensato di dover trovare il modo di morire in casa col profumo di salmastro nel naso. Allora avevo già notato le luci sul mare, luci piccine che si avvicinavano e allontanavano, luci che non sapevo a chi o cosa attribuire. Ma mi importava poco, mi piaceva guardarle prima di addormentarmi. Facevo dei sogni straordinari in quelle notti. Colori che mi turbinavano in testa, la sensazione che mille mani piccine mi accarezzassero dentro e la mattina mi svegliavo arzillo come non mai. Il medico mi aveva raccomandato di tornare dopo tre settimane per prendere in considerazione la terapia del dolore a domicilio e contattare un’infermiera. Secondo lui dovevo farlo finché potevo.
Non sentivo alcun dolore, anzi mi sembrava di essere diventato più agile. Scherzando fra me e me, pensavo che le mie giunture si stessero definitivamente dissolvendo, perché non sentivo nemmeno più quelle. Il medico non voleva credere che mi sentissi bene, mi fece tornare ogni due settimane finché decise che era il caso di fare accertamenti: il cancro al pancreas non perdona, ma io non avevo alcun sintomo.
Il mio caso venne trattato con grande riservatezza, se fosse diventato pubblico c’erano solo due possibilità: l’ennesimo caso di malasanità oppure un miracolo. Il mio cancro era svanito senza lasciare traccia, il mio pancreas era quello di un ragazzino. Ma anche tutti gli altri organi sembrava avessero subito un notevole ringiovanimento, giunture comprese. Mi trattennero per tre settimane, esami di tutti i tipi, comprese alcune biopsie e diversi colloqui con uno psichiatra. Alla fine, diagnosticarono un clamoroso caso di autoguarigione e mi lasciarono libero.
In ospedale dormivo malissimo, mi mancavano i miei sogni, la vista e il profumo del mare con i suoi giochi di luce.
Tornai a casa, ripresi le mie abitudini e anche a sognare. Avevo spostato il letto in modo tale da poter osservare la danza delle luci sull’acqua.
Ero un settantanovenne agile e sveglio. Vedevo i miei coetanei morire, finire in casa di riposo in preda alla demenza oppure afflitti da artriti, artrosi, diabete, pressione alta, cataratta, arteriosclerosi, incontinenza e invece io stavo bene come un fringuello. In paese avevano iniziato a farsi domande e a prendermi in giro. Così millantai di praticare il tai chi e presi a raccontare dei benefici di questa pratica. Si, si, mi dicevano al bar, allora insegnalo anche a noi.
Quella notte faticai ad addormentarmi, metti che volessero sul serio una dimostrazione, come avrei potuto fare?
Dalla finestra entrò lo sciame di luci. Sembravano lucciole impazzite.
All’improvviso sentii un bruciore che dall’orecchio penetrava fino al cervello lasciandosi dietro una scia rovente.
“Scusa. Di solito entriamo mentre dormi.”
Accendo la luce di scatto, ma in camera non c’è nessuno.
“Non ti preoccupare, non entriamo in casa tua. Non siamo ladri. Entriamo nella tua testa.”
Ecco il vecchio più giovane del paese, miracolosamente autoguarito che cade in preda alla demenza.
“Non sei demente. Ci sono davvero nella tua testa, sono un io che fa parte di un noi.”
“Chi sei?”
“Basta che lo pensi, ti sento lo stesso.”
Forza, rispondi, pensai.
“Non lo so chi sono, perché nella tua testa non ho trovato niente che ci possa descrivere adeguatamente. La spiegazione più ragionevole è che siamo coscienze provenienti da un’altra galassia. Abbiamo scoperto da tempo che i corpi sono un grande impiccio nei lunghi viaggi.”
Extraterrestri?
“Direi di si. Abbiamo abitato il tuo corpo per molte notti. I tuoi ricordi ci hanno fatto conoscere questo pianeta e il genere umano. In cambio noi ti ripariamo dall’interno. C’è stato un momento terribile: sembrava che il tuo pancreas volesse uccidere il tuo corpo. Per fortuna i nostri scienziati hanno capito come aggiustarlo e così adesso facciamo solo manutenzione.”
Non mi ero mai accorto di niente.
“Certo che no, di solito non ci facciamo notare. A noi piace venire qui in vacanza, non vogliamo spaventare i corpi che ci ospitano. Tu sei uno di quelli più gettonati per chi ama vacanze tranquille e riposanti. Ma adesso con questa storia del tai chi ti sei agitato e questo non ci piace.”
E quindi?
“Abbiamo preso le nozioni da un altro corpo, te le vorremo caricare. Domani saprai la forma 104, abbiamo dovuto parlarti per fartelo sapere. Ma solo questa volta.”
Caddi in un sonno profondissimo abitato da frenetici sogni colorati.
Al mattino dopo ti chiamai. Dovevi venire subito a trovarmi, eri tu quella del tai chi.
“Nonno, che c’è?”
Ti ricordi quanto ero agitato. Nemmeno eri entrata dalla porta che pretesi da te di fare assieme la forma 104.
“Ma nonno, non è una cosa che si impara così sui due piedi.”
“Come no, Simona! L’ho visto in tv e adesso lo ripasso assieme a te.”
Era davvero un miracolo: lo sapevo fare ed era bellissimo. Non ho sbagliato un respiro, una posizione, sembrava che praticassi da anni.
“Nonno, io capisco che tu abbia i tuoi segreti e non voglio insistere, però non ci credo che l’hai imparato guardando la tv”
La volta dopo mi portasti i pantaloni larghi, quelli giusti, che i miei erano inadatti per insegnare ai quattro vecchi del bar. Venivi con noi in spiaggia a praticare la forma davanti al sole che sorgeva, ti ricordi?
In questo modo iniziò la mia amicizia con i Noi dell’altra galassia.
Volevo anche ringraziarti della festa a sorpresa per i miei centodieci anni. Però da quando ne ho fatti cento ad ogni compleanno mi piombano in casa giornalisti di radio, giornali e tv, manca solo la mondovisione.
Non voglio battere tutti i record, mi mancano ancora sette anni almeno, ma mi sono stufato.
Ho chiesto ai Noi se potessi partire con loro, fare un po’ il turista sul loro pianeta. Mi hanno detto di si, l’unico problema è che qui da noi non si è attrezzati a mantenere in vita un corpo che è stato abbandonato dalla coscienza, anche solo temporaneamente.
Ma che importa, mi sono detto, almeno come coscienza posso viaggiare e vedere posti nuovi, lontano dai soliti polemici invidiosi. Altro che Marco Polo: io vado in un’altra galassia.
Quindi Simona, ti abbraccio e ti saluto. I Noi ti faranno avere mie notizie e ti racconteranno tutto quello che hanno raccontato anche a me, se sarai pronta ad ascoltarli, e non escludo di venirti a trovare ospite nel tuo corpo.
Con affetto
Il tuo bisnonno unico e preferito
Spartaco
Simona si asciuga una lacrima con il dorso della mano, mentre fuori dalla finestra le lucciole sciamano secondo complicate traiettorie.
Traccia di mezzanotte
Cara Simona,
é la seconda sera che sono qui sul balcone ad aspettarli, ma mi hanno detto che se non ti racconto la mia storia non torneranno più per portarmi con loro. Ma soprattutto non ti faranno mai sapere come si occupano di te.
Hanno dimostrato di essere di parola, quindi adesso tocca a me.
Ho comprato questa fetta di casa per le vacanze con la famiglia, due piani con balcone e giardinetto, una striscia di asfalto a separarla dal mare. Estate dopo estate ho capito che era questo il luogo dove avrei voluto invecchiare. Ma si sa, prima ci sono gli impegni dei figli, poi c’è il lavoro e si pensa di tenere duro fino alla pensione. Poi la bisnonna mi ha lasciato. Se l’è portata via una macchina che non ha rispettato il rosso. L’appartamento era desolato. Alla fine di un processo durato qualche anno, mi hanno versato un risarcimento dal sapore amaro. Come poteva un qualsiasi importo compensare la vita di una donna che sulle strisce pedonali voleva andare al mercato. Nonostante il tempo passato, ogni angolo di casa mi ricordava la sua assenza, e cosí ho deciso: vado a vivere al mare.
Ho vissuto per anni in questa casa intrisa di salsedine senza rendermi conto di condividere i miei spazi con altri esseri, di essere oggetto di cure, di studi e di nutrimento per loro.
Ero convinto che il mare mi facesse semplicemente bene.
Quando mi avevano diagnosticato il cancro al pancreas, mi ero rassegnato subito. Il medico era stato chiaro: ancora qualche mese, dolori atroci e addio mondo. Avevo pensato di dover trovare il modo di morire in casa col profumo di salmastro nel naso. Allora avevo già notato le luci sul mare, luci piccine che si avvicinavano e allontanavano, luci che non sapevo a chi o cosa attribuire. Ma mi importava poco, mi piaceva guardarle prima di addormentarmi. Facevo dei sogni straordinari in quelle notti. Colori che mi turbinavano in testa, la sensazione che mille mani piccine mi accarezzassero dentro e la mattina mi svegliavo arzillo come non mai. Il medico mi aveva raccomandato di tornare dopo tre settimane per prendere in considerazione la terapia del dolore a domicilio e contattare un’infermiera. Secondo lui dovevo farlo finché potevo.
Non sentivo alcun dolore, anzi mi sembrava di essere diventato più agile. Scherzando fra me e me, pensavo che le mie giunture si stessero definitivamente dissolvendo, perché non sentivo nemmeno più quelle. Il medico non voleva credere che mi sentissi bene, mi fece tornare ogni due settimane finché decise che era il caso di fare accertamenti: il cancro al pancreas non perdona, ma io non avevo alcun sintomo.
Il mio caso venne trattato con grande riservatezza, se fosse diventato pubblico c’erano solo due possibilità: l’ennesimo caso di malasanità oppure un miracolo. Il mio cancro era svanito senza lasciare traccia, il mio pancreas era quello di un ragazzino. Ma anche tutti gli altri organi sembrava avessero subito un notevole ringiovanimento, giunture comprese. Mi trattennero per tre settimane, esami di tutti i tipi, comprese alcune biopsie e diversi colloqui con uno psichiatra. Alla fine, diagnosticarono un clamoroso caso di autoguarigione e mi lasciarono libero.
In ospedale dormivo malissimo, mi mancavano i miei sogni, la vista e il profumo del mare con i suoi giochi di luce.
Tornai a casa, ripresi le mie abitudini e anche a sognare. Avevo spostato il letto in modo tale da poter osservare la danza delle luci sull’acqua.
Ero un settantanovenne agile e sveglio. Vedevo i miei coetanei morire, finire in casa di riposo in preda alla demenza oppure afflitti da artriti, artrosi, diabete, pressione alta, cataratta, arteriosclerosi, incontinenza e invece io stavo bene come un fringuello. In paese avevano iniziato a farsi domande e a prendermi in giro. Così millantai di praticare il tai chi e presi a raccontare dei benefici di questa pratica. Si, si, mi dicevano al bar, allora insegnalo anche a noi.
Quella notte faticai ad addormentarmi, metti che volessero sul serio una dimostrazione, come avrei potuto fare?
Dalla finestra entrò lo sciame di luci. Sembravano lucciole impazzite.
All’improvviso sentii un bruciore che dall’orecchio penetrava fino al cervello lasciandosi dietro una scia rovente.
“Scusa. Di solito entriamo mentre dormi.”
Accendo la luce di scatto, ma in camera non c’è nessuno.
“Non ti preoccupare, non entriamo in casa tua. Non siamo ladri. Entriamo nella tua testa.”
Ecco il vecchio più giovane del paese, miracolosamente autoguarito che cade in preda alla demenza.
“Non sei demente. Ci sono davvero nella tua testa, sono un io che fa parte di un noi.”
“Chi sei?”
“Basta che lo pensi, ti sento lo stesso.”
Forza, rispondi, pensai.
“Non lo so chi sono, perché nella tua testa non ho trovato niente che ci possa descrivere adeguatamente. La spiegazione più ragionevole è che siamo coscienze provenienti da un’altra galassia. Abbiamo scoperto da tempo che i corpi sono un grande impiccio nei lunghi viaggi.”
Extraterrestri?
“Direi di si. Abbiamo abitato il tuo corpo per molte notti. I tuoi ricordi ci hanno fatto conoscere questo pianeta e il genere umano. In cambio noi ti ripariamo dall’interno. C’è stato un momento terribile: sembrava che il tuo pancreas volesse uccidere il tuo corpo. Per fortuna i nostri scienziati hanno capito come aggiustarlo e così adesso facciamo solo manutenzione.”
Non mi ero mai accorto di niente.
“Certo che no, di solito non ci facciamo notare. A noi piace venire qui in vacanza, non vogliamo spaventare i corpi che ci ospitano. Tu sei uno di quelli più gettonati per chi ama vacanze tranquille e riposanti. Ma adesso con questa storia del tai chi ti sei agitato e questo non ci piace.”
E quindi?
“Abbiamo preso le nozioni da un altro corpo, te le vorremo caricare. Domani saprai la forma 104, abbiamo dovuto parlarti per fartelo sapere. Ma solo questa volta.”
Caddi in un sonno profondissimo abitato da frenetici sogni colorati.
Al mattino dopo ti chiamai. Dovevi venire subito a trovarmi, eri tu quella del tai chi.
“Nonno, che c’è?”
Ti ricordi quanto ero agitato. Nemmeno eri entrata dalla porta che pretesi da te di fare assieme la forma 104.
“Ma nonno, non è una cosa che si impara così sui due piedi.”
“Come no, Simona! L’ho visto in tv e adesso lo ripasso assieme a te.”
Era davvero un miracolo: lo sapevo fare ed era bellissimo. Non ho sbagliato un respiro, una posizione, sembrava che praticassi da anni.
“Nonno, io capisco che tu abbia i tuoi segreti e non voglio insistere, però non ci credo che l’hai imparato guardando la tv”
La volta dopo mi portasti i pantaloni larghi, quelli giusti, che i miei erano inadatti per insegnare ai quattro vecchi del bar. Venivi con noi in spiaggia a praticare la forma davanti al sole che sorgeva, ti ricordi?
In questo modo iniziò la mia amicizia con i Noi dell’altra galassia.
Volevo anche ringraziarti della festa a sorpresa per i miei centodieci anni. Però da quando ne ho fatti cento ad ogni compleanno mi piombano in casa giornalisti di radio, giornali e tv, manca solo la mondovisione.
Non voglio battere tutti i record, mi mancano ancora sette anni almeno, ma mi sono stufato.
Ho chiesto ai Noi se potessi partire con loro, fare un po’ il turista sul loro pianeta. Mi hanno detto di si, l’unico problema è che qui da noi non si è attrezzati a mantenere in vita un corpo che è stato abbandonato dalla coscienza, anche solo temporaneamente.
Ma che importa, mi sono detto, almeno come coscienza posso viaggiare e vedere posti nuovi, lontano dai soliti polemici invidiosi. Altro che Marco Polo: io vado in un’altra galassia.
Quindi Simona, ti abbraccio e ti saluto. I Noi ti faranno avere mie notizie e ti racconteranno tutto quello che hanno raccontato anche a me, se sarai pronta ad ascoltarli, e non escludo di venirti a trovare ospite nel tuo corpo.
Con affetto
Il tuo bisnonno unico e preferito
Spartaco
Simona si asciuga una lacrima con il dorso della mano, mentre fuori dalla finestra le lucciole sciamano secondo complicate traiettorie.