[MI153] Primi passi
Posted: Sun Jun 20, 2021 8:19 pm
Traccia di Mezzogiorno: Dopo la battaglia.
Primi passi
Fred russava come un vecchio motorino all’avvio, ogni tanto il flusso d’aria fuoriusciva dalla bocca con un brontolio più grave e basso, accompagnato da strizzate d’occhi e scatti improvvisi che non pregiudicavano la resa cacofonica del suo riposo.
Odino davanti alla finestra guardava preoccupato verso le strade piccolissime: delle persone camminavano.
«Siamo già a questo punto?»
Si voltò verso Fred che, indomito, continuava a dormire sulla poltrona, a ridosso della la porta. Da quando non c’era più elettricità le serrature elettroniche avevano smesso di funzionare e le porte erano diventate a ventola, come quelle dei saloon. All’inizio aveva usato un mobile per bloccare la sua, ma da quando avevano sfondato da Eva, al piano di sotto, e l'avevano aggredita nel sonno, il russamento di Fred gli era sembrato il deterrente migliore.
Odino fissò la pila di piatti sporchi nell’angolo cottura, i sacchi straripanti di rifiuti e i pensili vuoti. Depresso si annusò le ascelle e si sfilò la felpa lanciandola verso la porta aperta del bagno, direzione: pila di panni. Faceva fresco, ballonzolò fino all’armadio, prese l’ultima 6-XL pulita e la indossò.
«Freddy! Cazzo, svegliati! Dobbiamo andare.»
Fred aprì gli occhi, due mezze lune carnose, lo guardò per due secondi e poi ricadde col testone sconsolato sul bracciolo. I denti inferiori sporgevano in un sorriso tirato, si leccò il naso e sbadigliò seminando bava gocciolante dai lati della grande bocca. Bofonchiò ancora qualcosa mentre cercava di roteare le pliche di grasso in una posizione migliore. Le traversine accumulate in un angolo puzzavano nauseabonde. D’un tratto la poltrona fu strattonata via e il bulldog inglese rotolò per terra. Sollevò la testa verso Odino e guaì risentito, ma la contestazione durò poco.
La discesa fu lenta, a ogni pianerottolo entrambi dovevano fermarsi e riprendere fiato. Fred ansimava fragorosamente e sbavava. Odino si chiedeva dove tenesse nascosti tutti quei liquidi, ma nemmeno lui era messo meglio: sudava copiosamente, anche le mani erano diventate scivolose e quando si reggeva al corrimano doveva far attenzione a non appoggiarsi di peso.
Erano già scesi di 12 piani quando incontrarono Ercole che saliva per la tromba della scala antincendio.
«Odi’… cia’…» Ercole si fermò occupando tutto il pianerottolo e bloccando Odino e Fred sui due scalini superiori. Respirava con affanno, la fronte bagnata, sembrava distrutto. I vestiti erano madidi di sudore, doveva essere stata dura risalire le scale con quella stazza. Aspettarono cinque minuti prima di parlarsi, mentre Fred li guardava a turno, lamentandosi per l’attesa.
«Ercole, allora è vero. È tutto finito?» gli chiese Odino, con più fiato. «Pensavo che avessimo perso la guerra, ma… non ci hanno invaso. Abbiamo perso o no?» Fred si sedette come su un trono, lo sguardo assorto, ogni tanto una tirata d’aria a bocca aperta e qualche travaso di bava.
«Odino. Non vedi? Niente luce, niente ascensori, niente acqua, niente consegne. È finita, siamo finiti. Sono dovuto scendere, pure io!» riprese fiato guardandolo. «La gente cammina!» con gli occhi pieni di terrore prese i lembi della maglia di Odino e li strinse. «Ti rendi conto? È una rovina!» Ercole pianse.
Odino alzò la testa verso i piani superiori cominciando a capire che forse la faccenda era davvero grave. «Non ci credo» finì col dire mesto e con le guance paonazze.
«Questa è l’ultima volta che torno su, non voglio morire in queste cazzo di scale! Ho solo vent’anni!» Ercole sembrava non riuscire a riprendersi. «Ho ancora dieci anni di vita, cazzo! Me li voglio godere!»
Odino si piegò verso l’amico allungando un braccio che pareva un prosciutto e gli posò la mano su una spalla, cogliendo l’occasione per asciugarsela. «Hai ragione, è tutta la vita che ci dicono cosa fare, come e quando e ora che si sono annientati pretendono che facciamo da soli. Uno schifo.»
«Cazzo Odi’, avevamo tutto. Tutto. E ora… camminiamo!»
«Via, fammi andare, che è meglio. A questo punto, non credo che tornerò nemmeno io» sentì salirgli la rabbia.
Ercole annuì più volte «Lo so, ti capisco.»
Odino scese un paio di gradini e si strinse sul pianerottolo a Ercole come in un ultimo ballo, con piccoli passi invertirono le posizioni e solo Fred ebbe la meglio svicolando tra le loro gambe.
«Qui non si sa un cazzo, un cazzo di niente, ma che è? Ci tocca andare a guardare e poi? Non sapremo un cazzo lo stesso» a ogni parolaccia gli partivano degli sputi, ripresero la discesa e la perdita di liquidi.
«Odino! Occhio, non farti fottere. Sta’ attento. Ciao.»
«Ciao Ercole, tieni duro, cazzo!»
Dopo altri otto piani Odino si sentì disorientato, ebbe la sensazione che le ginocchia non lo sostenessero più. Aveva paura di rotolare giù senza riuscire a fermarsi, così si affacciò al piano del suo amico Chen per riposare. Aprì la porta e avanzò di qualche passo, preceduto da Fred. Due delinquenti, armati di estintore, avevano appena sfondato il suo appartamento e stavano cercando di entrare contemporaneamente, ma erano rimasti incastrati nella porta. Dall’interno Chen lanciava grida acutissime. Fred sfuggì alla presa di Odino e si lanciò verso gli aggressori, gli abbaiò e, ringhiando, li azzannò alle gambe cominciando a strattonarli e a lacerargli le carni. I due balordi gridarono di dolore cercando di divincolarsi dalla porta e sfuggire al cane. Dall’interno dell’appartamento, Chen strappò l’estintore di mano a uno dei due e lo attivò su entrambi gridando invasato.
«Hiaaaaaaaaa!»
Fred mollò un polpaccio e corse verso Odino che nel frattempo si era avvicinato. Chen, preso dal furore di vendetta, diresse l’estintore verso tutto ciò che vedeva muoversi, riempiendo il corridoio di polveri, così Odino fu costretto a scappare verso le scale, con moderata velocità, mentre i due aggressori si trascinavano per terra cercando scampo.
Odino e Fred si guardarono affannati. Il più alto cercò di chinarsi piano piano per liberare la bocca dell’altro dai brandelli di stoffa insanguinati.
«Bravo, ma non lo fare mai più! Noi siamo bastardi, ricordalo.» Con le mani gli agguantò le pliche del muso crema e beige e le maneggiò con affetto. Si asciugò la fronte con il dorso della mano e ricominciarono a scendere.
La strada era devastata, le persone camminavano e ogni tanto si accasciavano da qualche parte per riposare. Non un albero, niente verde. I magazzini saccheggiati erano diventati terra di nessuno.
Odino camminava lentamente tenendosi la milza. Uscire da casa era stato uno sforzo devastante per la sua età, così avanzata: 28 anni.
«Odino!» da dietro l’angolo un vecchio amico lo chiamò.
«Ulisse! Sei proprio tu?» Odino lo fissò stupito «sei ancora vivo? Ti credevo fottuto.»
«Eh, ci sono andato vicino! Da quando è saltato Skype, sono stato tra i primi a uscire» posò la schiena contro un muro per riposare.
«Merda! Che coraggio!» posò il sedere sul cofano di un’auto abbandonata.
«Non mi sono più fermato e ora… ho 31 anni!»
«Cazzo, non ci credo!»
«Eh, chissà se è collegata questa cosa», Ulisse guardò Fred: «ma dai! È tuo?»
«Sì, Freddie saluta! Su!» Fred col respiro grosso e scarsa voglia tirò su una zampa e la riabbassò, fissò poi Odino mettendosi a sedere «Cazzo! Non ho nemmeno un premietto. Che schifo. Che fai Ulisse, torni a casa? Sei sciupato.»
Ulisse sorrise con un bel colorito «No, a casa no. Adesso dormo all’aperto, con Ginger» si infilò due dita in bocca e fischiò. Da dietro l’angolo sbucò una cockerina nera. Fred si rialzò improvvisamente colpito da un forte interesse, Ginger iniziò a scodinzolare ricambiandolo. I due si avvicinarono e presero ad annusarsi i posteriori piacevolmente colpiti.
«Ma come fai? A me sembra di morire» Odino guardava Fred, non ricordando l’ultima volta che l’aveva visto così allegro.
«Ti dirò. Non posso escludere che sia così, ma forse non lo è, in fondo chi ce lo dice? Prendila come viene.»
«Infatti Ulisse, qui non si sa un cazzo, un cazzo di niente!»
«Fidati di me: la casa non è il posto migliore dove tornare, la casa siamo noi.»
Odino davanti alla finestra guardava preoccupato verso le strade piccolissime: delle persone camminavano.
«Siamo già a questo punto?»
Si voltò verso Fred che, indomito, continuava a dormire sulla poltrona, a ridosso della la porta. Da quando non c’era più elettricità le serrature elettroniche avevano smesso di funzionare e le porte erano diventate a ventola, come quelle dei saloon. All’inizio aveva usato un mobile per bloccare la sua, ma da quando avevano sfondato da Eva, al piano di sotto, e l'avevano aggredita nel sonno, il russamento di Fred gli era sembrato il deterrente migliore.
Odino fissò la pila di piatti sporchi nell’angolo cottura, i sacchi straripanti di rifiuti e i pensili vuoti. Depresso si annusò le ascelle e si sfilò la felpa lanciandola verso la porta aperta del bagno, direzione: pila di panni. Faceva fresco, ballonzolò fino all’armadio, prese l’ultima 6-XL pulita e la indossò.
«Freddy! Cazzo, svegliati! Dobbiamo andare.»
Fred aprì gli occhi, due mezze lune carnose, lo guardò per due secondi e poi ricadde col testone sconsolato sul bracciolo. I denti inferiori sporgevano in un sorriso tirato, si leccò il naso e sbadigliò seminando bava gocciolante dai lati della grande bocca. Bofonchiò ancora qualcosa mentre cercava di roteare le pliche di grasso in una posizione migliore. Le traversine accumulate in un angolo puzzavano nauseabonde. D’un tratto la poltrona fu strattonata via e il bulldog inglese rotolò per terra. Sollevò la testa verso Odino e guaì risentito, ma la contestazione durò poco.
La discesa fu lenta, a ogni pianerottolo entrambi dovevano fermarsi e riprendere fiato. Fred ansimava fragorosamente e sbavava. Odino si chiedeva dove tenesse nascosti tutti quei liquidi, ma nemmeno lui era messo meglio: sudava copiosamente, anche le mani erano diventate scivolose e quando si reggeva al corrimano doveva far attenzione a non appoggiarsi di peso.
Erano già scesi di 12 piani quando incontrarono Ercole che saliva per la tromba della scala antincendio.
«Odi’… cia’…» Ercole si fermò occupando tutto il pianerottolo e bloccando Odino e Fred sui due scalini superiori. Respirava con affanno, la fronte bagnata, sembrava distrutto. I vestiti erano madidi di sudore, doveva essere stata dura risalire le scale con quella stazza. Aspettarono cinque minuti prima di parlarsi, mentre Fred li guardava a turno, lamentandosi per l’attesa.
«Ercole, allora è vero. È tutto finito?» gli chiese Odino, con più fiato. «Pensavo che avessimo perso la guerra, ma… non ci hanno invaso. Abbiamo perso o no?» Fred si sedette come su un trono, lo sguardo assorto, ogni tanto una tirata d’aria a bocca aperta e qualche travaso di bava.
«Odino. Non vedi? Niente luce, niente ascensori, niente acqua, niente consegne. È finita, siamo finiti. Sono dovuto scendere, pure io!» riprese fiato guardandolo. «La gente cammina!» con gli occhi pieni di terrore prese i lembi della maglia di Odino e li strinse. «Ti rendi conto? È una rovina!» Ercole pianse.
Odino alzò la testa verso i piani superiori cominciando a capire che forse la faccenda era davvero grave. «Non ci credo» finì col dire mesto e con le guance paonazze.
«Questa è l’ultima volta che torno su, non voglio morire in queste cazzo di scale! Ho solo vent’anni!» Ercole sembrava non riuscire a riprendersi. «Ho ancora dieci anni di vita, cazzo! Me li voglio godere!»
Odino si piegò verso l’amico allungando un braccio che pareva un prosciutto e gli posò la mano su una spalla, cogliendo l’occasione per asciugarsela. «Hai ragione, è tutta la vita che ci dicono cosa fare, come e quando e ora che si sono annientati pretendono che facciamo da soli. Uno schifo.»
«Cazzo Odi’, avevamo tutto. Tutto. E ora… camminiamo!»
«Via, fammi andare, che è meglio. A questo punto, non credo che tornerò nemmeno io» sentì salirgli la rabbia.
Ercole annuì più volte «Lo so, ti capisco.»
Odino scese un paio di gradini e si strinse sul pianerottolo a Ercole come in un ultimo ballo, con piccoli passi invertirono le posizioni e solo Fred ebbe la meglio svicolando tra le loro gambe.
«Qui non si sa un cazzo, un cazzo di niente, ma che è? Ci tocca andare a guardare e poi? Non sapremo un cazzo lo stesso» a ogni parolaccia gli partivano degli sputi, ripresero la discesa e la perdita di liquidi.
«Odino! Occhio, non farti fottere. Sta’ attento. Ciao.»
«Ciao Ercole, tieni duro, cazzo!»
Dopo altri otto piani Odino si sentì disorientato, ebbe la sensazione che le ginocchia non lo sostenessero più. Aveva paura di rotolare giù senza riuscire a fermarsi, così si affacciò al piano del suo amico Chen per riposare. Aprì la porta e avanzò di qualche passo, preceduto da Fred. Due delinquenti, armati di estintore, avevano appena sfondato il suo appartamento e stavano cercando di entrare contemporaneamente, ma erano rimasti incastrati nella porta. Dall’interno Chen lanciava grida acutissime. Fred sfuggì alla presa di Odino e si lanciò verso gli aggressori, gli abbaiò e, ringhiando, li azzannò alle gambe cominciando a strattonarli e a lacerargli le carni. I due balordi gridarono di dolore cercando di divincolarsi dalla porta e sfuggire al cane. Dall’interno dell’appartamento, Chen strappò l’estintore di mano a uno dei due e lo attivò su entrambi gridando invasato.
«Hiaaaaaaaaa!»
Fred mollò un polpaccio e corse verso Odino che nel frattempo si era avvicinato. Chen, preso dal furore di vendetta, diresse l’estintore verso tutto ciò che vedeva muoversi, riempiendo il corridoio di polveri, così Odino fu costretto a scappare verso le scale, con moderata velocità, mentre i due aggressori si trascinavano per terra cercando scampo.
Odino e Fred si guardarono affannati. Il più alto cercò di chinarsi piano piano per liberare la bocca dell’altro dai brandelli di stoffa insanguinati.
«Bravo, ma non lo fare mai più! Noi siamo bastardi, ricordalo.» Con le mani gli agguantò le pliche del muso crema e beige e le maneggiò con affetto. Si asciugò la fronte con il dorso della mano e ricominciarono a scendere.
La strada era devastata, le persone camminavano e ogni tanto si accasciavano da qualche parte per riposare. Non un albero, niente verde. I magazzini saccheggiati erano diventati terra di nessuno.
Odino camminava lentamente tenendosi la milza. Uscire da casa era stato uno sforzo devastante per la sua età, così avanzata: 28 anni.
«Odino!» da dietro l’angolo un vecchio amico lo chiamò.
«Ulisse! Sei proprio tu?» Odino lo fissò stupito «sei ancora vivo? Ti credevo fottuto.»
«Eh, ci sono andato vicino! Da quando è saltato Skype, sono stato tra i primi a uscire» posò la schiena contro un muro per riposare.
«Merda! Che coraggio!» posò il sedere sul cofano di un’auto abbandonata.
«Non mi sono più fermato e ora… ho 31 anni!»
«Cazzo, non ci credo!»
«Eh, chissà se è collegata questa cosa», Ulisse guardò Fred: «ma dai! È tuo?»
«Sì, Freddie saluta! Su!» Fred col respiro grosso e scarsa voglia tirò su una zampa e la riabbassò, fissò poi Odino mettendosi a sedere «Cazzo! Non ho nemmeno un premietto. Che schifo. Che fai Ulisse, torni a casa? Sei sciupato.»
Ulisse sorrise con un bel colorito «No, a casa no. Adesso dormo all’aperto, con Ginger» si infilò due dita in bocca e fischiò. Da dietro l’angolo sbucò una cockerina nera. Fred si rialzò improvvisamente colpito da un forte interesse, Ginger iniziò a scodinzolare ricambiandolo. I due si avvicinarono e presero ad annusarsi i posteriori piacevolmente colpiti.
«Ma come fai? A me sembra di morire» Odino guardava Fred, non ricordando l’ultima volta che l’aveva visto così allegro.
«Ti dirò. Non posso escludere che sia così, ma forse non lo è, in fondo chi ce lo dice? Prendila come viene.»
«Infatti Ulisse, qui non si sa un cazzo, un cazzo di niente!»
«Fidati di me: la casa non è il posto migliore dove tornare, la casa siamo noi.»