Fiaba russa

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Vasilisa si alzava tutti i giorni prima dell’alba. Sorrideva sentendo il sole che si arrampicava dall’altra parte del pianeta per sbucare a illuminare il suo bosco. Vasilisa ridacchiava tra sé e sé, mettendo anche una mano sulla bocca per non farsi sentire. “Se lei sapesse: il mio bosco! Mi prenderebbe a frustate,” pensava la ragazza legandosi i capelli in una coda stretta. “O forse no, forse mi rimanderebbe a casa e basta.”

Devi sapere che Vasilisa portava il nome della più bella delle belle di tutte le fiabe russe, l'eroina per eccellenza; in tutte le storie Vasilisa non solo era la più splendente delle ragazze, ma affrontava avventure incredibili da cui usciva sempre a testa alta, spesso in groppa a un cavallo e con un bel principe al suo fianco. Ormai da molti, moltissi anni, Vasilisa viveva nel bosco con Baba Jaga, la strega del bosco, la signora della foresta: era passato così tanto tempo da quando era partita da casa sua, che non era sicura di ricordarsi più il viso dei suoi fratelli. Per una qualche ragione, stava bene nella casa volante di Baba Jaga, le zampe di gallina che le facevano da base non la spaventavano più e, per una qualche ragione, a lei Baba Jaga non faceva alcuna paura.

Quando Vasilisa era piccola, sua mamma era partita per un viaggio lungo ai confini della Terra. Non pensare che ti stia prendendo in giro, non era morta, era proprio partita per un viaggio, perché era un’avventuriera. Vasilisa, che voleva essere come la mamma, poco tempo dopo aveva infilato gli scarponi foderati ai piedi, il cappotto con la pelliccia, aveva preso una sacca con alcune cose più o meno utili e si era inoltrata nel bosco ammantato di bianco.

Con il nome che le avevano dato era sicura di stare andando incontro a grosse avventure, a un amore romantico che avrebbe vinto su tutto e a lunghe cavalcate con il Re dell’Inverno. Affondava nella neve alta a cuor leggero in uno degli inverni più freddi che la Grande Rus' avesse mai visto. Dai rami ritorti pendevano grappoli di ghiaccioli aguzzi, gli alberi gelati si lamentavano sotto il peso immane della coltre di neve e nessuno, ma proprio nessun animale metteva il muso fuori dalla tana. Solo Vasilisa si trascinava col naso arrossato per aria, pronta a cogliere il nitrito del cavallo del prode principe Ivan o a infilarsi nell’apertura segreta, che l’avrebbe condotta nel mondo degli inferi, tra le radici dell’Albero della Vita, caso mai lo avesse trovato.

Invece si era slogata una caviglia precipitando, come un coniglio al laccio, nella buca scavata da un bracconiere per catturare i cinghiali. Prova e riprova, ma Vasilisa non era proprio riuscita a tirarsi fuori da sola e così si era messa a gridare chiedendo aiuto, mezza sepolta nella neve che le entrava negli stivali e nel collo del cappotto.

L’unica che l’aveva sentita era stata Baba Jaga e da allora era rimasta con lei.

Baba Jaga non era come la descrivevano nelle storie. Be’, brutta era brutta, il naso adunco ce l’aveva, bitorzoli, pustole e tutto il resto. I suoi capelli erano lunghi come strade e fini come seta, tanto bianchi da confondersi con la neve d’inverno e aggrovigliati come il bosco più selvaggio. Si raccontava che avesse una certa predilezione per i bambini giovani e teneri e forse era stato proprio per questo che la strega non si era mangiata Vasilisa che ormai l’infanzia se l’era lasciata alle spalle.

Si raccontavano storie terrificanti sulla strega padrona del bosco, era capace di fare di te quello che voleva, rigirandoti attorno al suo mignolino con il battere di un solo ciglio. A Vasilisa, però sembrava solo un’innocua vecchietta, stanca e con un caratteraccio, una nonna che viveva in solitudine nel punto più profondo del bosco e cominciava ad avere più di un acciacco. Forse ormai, rifletteva Vasilisa, quelle che girano su Baba Jaga erano diventati echi, ombre sfilacciate del passato.

La strega aveva relegato la ragazza a sfregare pentole e pavimenti e tanti altri lavori poco divertenti che alla ragazza non erano mai piaciuti, ma che in casa della strega non le pesavano affatto.

«La mia Kikimora è vecchia e stanca, ben più di me,» aveva detto Baba Jaga dopo averle fasciato la caviglia con tocco delicato. «Puoi decidere di restare e fare il suo lavoro, oppure sei libera di andartene. Non ho voglia di essere cattiva oggi.» La strega aveva sbuffato come se fosse sfinita e forse un po’ delusa di se stessa, poi aveva indicato il portello la cui serratura era costellata di dentacci taglienti.

Vasilisa aveva deglutito rigirandosi nella testa tutte le storie che le avevano raccontato per spaventarla: Baba Jaga mangia i bambini, li fa sedere sullo spiedo e poi li arrostisce. Le ossa biancastre e giallognole di cui erano fatte le pareti sembravano dare ragione a quelle parole. Baba Jaga cancella i sentieri con la sua scopa di betulla argentea, così i viandanti si perdono nel bosco e lei può fare di loro quello che più le piace. La scopa mandava bagliori dall’angolo a fianco della porta, ritta e fiera come una spada d’eroe. Baba Jaga ha dei servi invisibili di cui non bisogna mai chiederle niente. Sono i suoi servitori fidati e uccidono chiunque cerchi di scoprire la loro identità. Ma Vasilisa si era guadagnata in fretta la tenerezza del gatto, la gentilezza del cancello, la protezione del cane e la benevolenza dell’albero e la strega ne era rimasta impressionata.

Persino la Kikimora aveva preso in simpatia la ragazza e la lodava spesso per la sua bravura nei lavori di casa, tanto che lei e Vasilisa erano diventate amiche e ridacchiavano negli angoli come due adolescenti. E la Kikimora era forse un personaggio ancora più difficile da affascinare di Baba Jaga, era lo spirito femminile custode della casa e aveva sempre la luna storta perché nessuno, a suo parere, sapeva più tenere le case ordinate e pulite.

«Mai queste ossa hanno brillato tanto,» diceva la Kikimora da sotto l’acquaio; si grattava le zampe di gallina che aveva al posto delle gambe e lanciava sguardi di rimprovero verso Baba Jaga.

«Per le penne secche di un’oca morta, Kikimora!» gridò un giorno Baba Jaga coi pugni stretti sulle cosce. «Non ti ho mai sentito fare tanti complimenti a nessuno. Sei proprio diventata una vecchia rincitrullita! Tu sei lo spirito maligno della mia casa, se andiamo avanti così finirai per metterti a sfornare biscotti.»

La Kikimora si era talmente offesa che aveva ficcato il becco d’uccello che aveva per naso tra i pentoloni sotto l’acquaio e non si era più girata per giorni.

Un pomeriggio di fine autunno Baba Jaga era uscita a cavalcioni della sua scopa argentea.

«Vado a cancellare un po’ di sentieri prima che cada la neve, non vorrei che troppe persone trovassero la via di casa e non ci rimanesse nessuno sperduto nel bosco da tormentare durante l'inverno.»

Non appena la strega prese il volo, Vasilisa si buttò in ginocchio al fianco della Kikimora.

«Nonna, nonna,» chiamava la ragazza. «Stai bene? Posso fare qualcosa per te?»

Ma la Kikimora non rispondeva. Tanto fece e tanto disse, Vasilisa riuscì a far accomodare la minuscola e spaventosa vecchietta su una seggiolina che la ragazza aveva intrecciato per lei con teneri rametti di betulla. La sistemò sulla soglia di casa in modo che respirasse l’ultima aria tiepida prima del grande freddo. Il bosco era da tempo diventato d’oro e d’arancio, rosso fuoco e umido, i colori si intrecciavano tra gli alberi, Vasilisa rimaneva incantata a cercare di capire dove finiva uno e dove iniziava l’altro.

«Portami il fuso, bambina, ho proprio voglia di filare.»

«Ne sei certa, nonna?» chiese Vasilisa spaventata, distogliendo lo sguardo dalle fronde color ambra. «Se ne sei proprio sicura, io te lo porterò.»

E così fece. La Kikimora filò a lungo, con lentezza e senza sosta. Vasilisa fece ben attenzione a non guardarla e a non uscire di casa, è ben noto infatti che vedere una Kikimora filare sulla soglia di casa preannuncia morte. E la ragazza aveva una gran voglia di vivere.

Toccherà a Baba Jaga, pensò Vasilisa. Tornerà verso l’ora di cena senza aspettarsi di trovare la sua Kikimora che fila sulla soglia. La ragazza ridacchiò divertita, ma smise subito. Darà la colpa a me, dirà che sono stata io a portarla sulla soglia. Dirà che sono stata io a darle il fuso. Dirà che volevo ucciderla.

Vasilisa saltò in piedi. «Devo avvertirla!»

La ragazza si avvolse il capo in uno scialle su cui ancora si distinguevano delle rose sbiadite e delle margherite appassite, chiamò il cane e il gatto.

«Aiutatemi a convincere la serratura ad aprirsi,» pregò la ragazza. «La nostra padrona è in pericolo: devo metterla in guardia!»

Il cane e il gatto non persero tempo, azzannarono la porta e la graffiarono con forza, quella spalancò le fauci e Vasilisa ci ficcò dentro la chiave arrugginita. Con un balzo la ragazza si trovò nel piccolo giardino. Corse dal cancello di legno che stava sul lato della casa, con la coda dell’occhio vide un movimento: di sicuro era la Kikimora che filava sulla soglia. Vasilisa si protesse gli occhi con le mani per essere sicura di non vedere niente nemmeno per sbaglio.

«Cancelletto, mio bel cancelletto,» quasi cantò la ragazza. «Apriti e lasciami passare, te ne prego. La nostra padrona è in pericolo, la Kikimora fila e Baba Jaga tornerà tra poco.»

Il cancelletto di legno fece gridare ai cardini vecchi e sbilenchi tutto il suo sdegno, poi si spalancò sul bosco dorato.

Vasilisa corse affannata dall’albero al limitare del bosco, era il più alto, aveva i rami più lunghi e possenti, le sue foglie erano le più ampie e le più morbide, i colori che lo dipingevano erano i più caldi e armoniosi. Su di lui vivevano intere famiglie di scoiattoli dalla coda attorcigliata, innumerevoli nidi degli uccelli più disparati trovavano riparo tra le sue fronde. Per avere questo aspetto magnifico l’albero aveva giurato di servire Baba Jaga per sempre.

«Albero, mio bellissimo albero,» quasi gridò Vasilisa. «La nostra padrona è in pericolo, la Kikimora fila e Baba Jaga tornerà tra poco. Dobbiamo avvisarla!»

L’albero ebbe un fremito, gli scoiattoli si affacciarono dalla loro tana, gli uccelli sbucarono dai nidi, le foglie vibrarono e la corteccia si mise a scricchiolare.

Scricchiola, scricchiola, nel tronco cominciarono a formarsi degli scalini, degli appigli che salivano su, fino ai rami più sottili che si perdevano nel cielo grigio carico della prima neve.

Vasilisa rimase a guardare la trasformazione con le mani piantate sui fianchi, un po’ delusa a dire il vero: le sarebbe toccato arrampicarsi fino in cima e chissà che vento gelato soffiava lassù tra le nuvole. Ma cosa poteva farci?

Sbuffò un po’, ma non servì a niente, così la ragazza cominciò a salire. Passò a fianco a delle famiglie di scoiattoli che facevano il tifo per lei e correvano su e giù per i rami incitandola a salire più in fretta. Gli uccelli cinguettavano a tutto spiano, volando tra la cima dell’albero e il punto in cui si trovava lei, per informarla se qualcuno avesse avvistato Baba Jaga.

Per molto tempo Vasilisa si arrampicò, le gambe le bruciavano per lo sforzo, il sudore le colava lungo le tempie e poi dentro i vestiti, le mani erano ferite e sanguinanti, ma lei non si fermava. Finché un uccellino non arrivò al suo fianco e le gridò: «Fai più in fretta, ragazza! La tua padrona, la signora del bosco, la grande Baba Jaga è all'orizzonte.»

E allora Vasilisa si arrampicò più in fretta, maledicendo di nuovo il suo nome che la obbligava ad azioni eroiche e chiedendosi in cuor suo perché non potesse essere l’uccellino antipatico e sbruffone a volare dalla strega e consegnarle il messaggio.

Arrivò sulla cima un attimo prima che Baba Jaga la raggiungesse. La vecchia fece frenare la scopa di betulla argentata e la guardò con gli occhi grandi come piattini da tè.

«E tu che ci fai qua sopra?»

«Sono venuta ad avvertirti, Baba Jaga,» disse Vasilisa senza fiato. «La Kikimora fila sulla soglia di casa.»

Alla strega si rizzarono tutti i capelli in testa e la scopa vibrò dall’indignazione.

«Quella disgraziata!»

Baba Jaga scese dalla scopa e si accomodò tra i rami insieme alla sua servetta. La ringraziò molte volte e le fece dei complimenti da far rabbrividire i più coraggiosi. Lodò l’albero, il cane, il gatto e il cancello, suoi servi fedeli. E poi disse: «Aspetteremo, Vasilisa. Aspetteremo finché la Kikimora non sarà più offesa, si renderà conto di essere rimasta sola e tornerà in casa,» disse Baba Jaga. «Solo allora scenderemo ed entreremo in casa, non un attimo prima.»

E così fecero.
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Re: Fiaba russa

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Ciao @Kikki,

Racconto delizioso, di quelli che piacciono a me. C'è il bosco, c'è l'autunno, c'è la magia.
Il ritmo è perfetto, incuriosisce e scorre deliziosamente. Ho apprezzato moltissimo il lessico vario e preciso, senza però essere ricercato. Questo dettaglio aumenta il livello della storia, diciamo così. Nel senso che se anche la trama ha caratteristiche di storia per bambini, sicuramente la ricchezza lessicale lo rende piacevole anche per gli adulti.

Grandi questioni da sollevarti non ne ho, mi sembra un racconto molto curato così com'è. Brava!

Talia :happy-sunny:

Re: Fiaba russa

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Talia ha scritto: mer gen 06, 2021 3:10 pm Grandi questioni da sollevarti non ne ho, mi sembra un racconto molto curato così com'è. Brava!
Talia :happy-sunny:
Non ti sei persa tra i personaggi dai nomi strani? Ti è risultato chiaro chi erano? Questa è una versione revisionata perché all'inizio davo per scontato troppe cose, tipo che tutti sapessero chi è Baba Jaga o la Kikimora; in questa versione ho cercato di spiegare senza troppo spiegare.
Comunque, sono contenta che ti sia piaciuto e ti ringrazio per essere passata da me :)
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Re: Fiaba russa

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Kikki ha scritto: mer gen 06, 2021 4:22 pm Non ti sei persa tra i personaggi dai nomi strani? Ti è risultato chiaro chi erano? Questa è una versione revisionata perché all'inizio davo per scontato troppe cose, tipo che tutti sapessero chi è Baba Jaga o la Kikimora; in questa versione ho cercato di spiegare senza troppo spiegare.
Comunque, sono contenta che ti sia piaciuto e ti ringrazio per essere passata da me :)
Mi sono sentita perfettamente a mio agio con i nomi e i personaggi. Baba Jaga e la Kikimora le conosco un po' (le ho incontrate in una raccolta di fiabe natalizie che leggo alle mie bambine - non so, se posso scriverlo ti cito quale, dimmi tu), conoscevo la loro casa con le zampe di gallina ma non molto altro. Però ho seguito perfettamente il filo della narrazione. Visto che non conosco approfonditamente la leggenda che c'è dietro può darsi che abbia perso qualche riferimento o qualche sfumatura. Ma nel complesso sono rimasta soddisfatta e ho la sensazione di "aver capito tutto".

Talia :happy-sunny:

Re: Fiaba russa

5
Mi è piaciuto moltissimo. Ci ho messo poco ad entrare nella storia e a restarne rapita.
Mi piace il lessico scorrevole che utilizzi e le descrizioni che fai non sono mai scontate. La scrittura ad immagini, poi, aiuta a immergersi nella storia e si ha la sensazione di salire sull'albero con Vasilisia e a sentire la sua stessa impazienza, prima di raggiungere la cima. La storia è molto originale, ma per nulla banale.
Adesso mi hai incuriosito: è un racconto per bambini?

Re: Fiaba russa

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@Kikki mi sono dilettato nella lettura del tuo racconto. Nella brevità hai dato consistenza ai personaggi per la tua capacità di scegliere aspetti e punti di vista da cui inquadrarli e impreziosirli. I dialoghi sono degni di una fiaba, ma non stucchevoli e impolverati. Molto credibili e al tempo stesso capaci di creare quella sospensione magica che affabula i più giovani. La storia è un volano importante e ha il suo portato morale, i suoi elementi sono davvero bilanciati, mai stucchevoli, non indugi mai su sentimentalismo o etica spicciola, ma sempre tieni al centro Vasilisa, le creature e Baba Jaga. La trama quando accelera è avvincente e ben riuscita.

Ho percepito due punti su cui puoi valutare di intervenire.
  • Il primo riguarda la parte iniziale che non appartiene alla vicenda, ma è una sorta di preambolo, dove almeno in un paio di occasioni, come scrittrice, ricorri... nella retorica classica la chiamano "aversio/apostrofe", nel cinema "camera look", non so come si dica in narratologia... robe tipo "sfondare la quarta dimensione"... insomma ti rivolgi direttamente al lettore. Crei un io narrante che si rivolge al lettore/ascoltatore, un io narrante di cui mostri l'esistenza, ma che poi scompare. Quando lo fai riesci a farlo bene, ma è una scelta che rischia di risvegliare il lettore se si è già immerso nel sogno narrativo.
  • Scrivi bene, quindi non c'è molto da eccepire e quindi ti invito a una riflessione stilistica: nella revisione prova a ragionare come una spilorcia e ad usare meno elementi possibili... naturalmente è un esercizio. Ti faccio alcuni esempi. Tu scrivi "Con il nome che le avevano dato / era sicura di stare andando incontro a grosse avventure". Questa è un'anticipazione che poi verrà ripresa, quindi è utile. Tagliando un po' potrebbe essere più scorrevole così, ad esempio: "Con quel nome sapeva di andare incontro a grandi avventure" o "Con il suo nome sapeva che c'erano ad attenderla grandi pericoli/avventure". Naturalmente è opinabile. Un altro punto su cui mi sono interrogato è quello in cui descrivi la caduta nella trappola e aggiungi "come un coniglio al laccio": ecco mi ha confuso, immaginavo una buca e il laccio ha fatto inciampare anche la mia lettura. Io toglierei, ma è un problema mio. Un altro aspetto che è veramente una variante del tutto personale è l'inserimento di qualche elemento del registro linguistico colloquiale (es. caso mai, ben noto, alcune cose utili e meno utili...): queste componenti possono dare l'impressione che vi sia una scelta sbrigativa che meriterebbe invece un approfondimento; io mi chiedo "noti a chi?", "quali cose?"
Gli elementi che sono amalgamati in questo racconto sono sapientemente dosati e vi è un controllo gustoso della lingua. Piacevole e, per rispondere alla tua implicita domanda @Kikki io credo che sia bello da leggere per piccoli e meno piccoli, tanto più che viengono affrontati temi importanti: relazioni intergenerazionali, la diversità (creature insolite), l'altruismo (la salvata che si preoccupa di salvare), il sacrificio e il coraggio. Insomma, se ne esce molto arricchiti dopo questa lettura. Brava!

P.S. - Mi rimane la curiosità di sapere che fine ha fatto la madre di Vasilisa

Re: Fiaba russa

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Ciao @T.D.J. Baw che bel commento, grazie :)
Crei un io narrante che si rivolge al lettore/ascoltatore, un io narrante di cui mostri l'esistenza, ma che poi scompare. Quando lo fai riesci a farlo bene, ma è una scelta che rischia di risvegliare il lettore se si è già immerso nel sogno narrativo.
Hai ragione, avrei dovuto dare almeno un'altra battuta al narratore. In ogni caso, nella letteratura per bambini l'intervento di un narratore che si rivolge al lettore non è raro, anzi.

Hai ragione anche sulla spilorceria e sul coniglio :P Sul fatto di eliminare dal testo informazioni e parole superflue, ho già lavorato, ma non è mai abbastanza; invece, il coniglio non l'avevo preso in considerazione. L'ho usato solo perché è stata la prima immagine a venirmi in mente collegata a bosco, caccia, fuga, ma in effetti non è molto adatta.

Per quanto riguarda il registro colloquiale e le parti che evidenzi, sono state lasciate vaghe e generali a posta, non sono importanti nella narrazione, o almeno io non le ho giudicate tali e sono momenti in cui il lettore può, per esempio, infilare ciò che vuole nella borsa e imamginare di conseguenza senza disturbi alla trama.
l'altruismo (la salvata che si preoccupa di salvare)
su questo non sono tanto d'accordo, infatti, Vasilisa dice:
Toccherà a Baba Jaga, pensò Vasilisa. Tornerà verso l’ora di cena senza aspettarsi di trovare la sua Kikimora che fila sulla soglia. La ragazza ridacchiò divertita, ma smise subito. Darà la colpa a me, dirà che sono stata io a portarla sulla soglia. Dirà che sono stata io a darle il fuso. Dirà che volevo ucciderla.
In poche parole, Vasilisa si preoccupa di non farsi incolpare, ma non va ad avvertire Baba Jaga per altruismo. Diciamo che Vasilisa è molto bella, ma non poi tanto buona ;)

La madre di Vasilisa... eh, questa è tutta un'altra storia, potrebbe essere andata a vivere nella foresta con gli orsi o essere diventata zarina di tutte le Russie, potrebbe anche aver camminato fino al Mar Nero, stanca di stare tutto in tempo in mezzo alla neve.

Grazie ancora per questo bel commento, mi hai dato materiale di riflessione :)
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Re: Fiaba russa

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@Kikki eccomi qui, a commentare la tua favola.
Nessun impedimento, lettura scorrevolissima. Il paesaggio è ben descritto, e ne riporto lo stralcio più significativo:

Affondava nella neve alta a cuor leggero in uno degli inverni più freddi che la Grande Rus' avesse mai visto. Dai rami ritorti pendevano grappoli di ghiaccioli aguzzi, gli alberi gelati si lamentavano sotto il peso immane della coltre di neve e nessuno, ma proprio nessun animale metteva il muso fuori dalla tana. Solo Vasilisa si trascinava col naso arrossato per aria, pronta a cogliere il nitrito del cavallo del prode principe Ivan o a infilarsi nell’apertura segreta, che l’avrebbe condotta nel mondo degli inferi, tra le radici dell’Albero della Vita, caso mai lo avesse trovato.

Il lettore quindi non ha alcuna difficoltà a seguire il personaggio e a incamminarsi con la tua Vasilisa lungo i sentieri del bosco.

Questo potrebbe essere anche il primo aneddoto di una lunga favola (o forse l'ultimo). Lo dico perché mi pare manchi la "conquista" da parte di Vasilisa, sbaglio? Cioè, dopo la caviglia slogata, tutto è andato per il verso giusto, la strega è stata buona fin da subito, lo stesso hanno fatto la Kikomora, il cane, il gatto e tutta la bella compagnia. Forse però sono solo io che cervavo il conflitto, che in una favola, ha caratteristiche diverse. Qui infatti le avversità che fronteggia il personaggio principale sono il freddo inverno e i faticosi scalini dell'albero (non sono esperta di favole per bambini, quindo potrei avere detto una solenne cavolata). Il conflitto vero lo vedo spostato tra Kikomora e Baba Jaga.
Uno dei punti "paurosi", poi, sarebbe la vista delle ossa giallastre a fare da pareti. Ma Visilisa non prova nemmeno un brivido di paura?
Magari non si possono spaventare i bambini, quindi va benissimo così. Le mie sono solo riflessioni inutili.

Ho letto che parlavi di probabile confusione tra i nomi dei personaggi, ma tranquillizzati sono tutti ben distinti, pertanto riconoscibili e ben definiti.

Invece si era slogata una caviglia precipitando,
Dopo "Invece" ci va la virgola (una delle poche regole che conosco. Avrei messo una faccina sorridente, ma non vedo l'opzione).

Non ricordo di avere mai letto fiabe russe e questa mi è piaciuta. Però ammetto che più dell'intreccio ho apprezzato la descrizione dei paesaggi e dei personaggi. L'ambientazione è davvero perfetta, molto bella.

Re: Fiaba russa

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@Adel J. Pellitteri grazie mille del passaggio e delle bele parole :)
Sono contenta che tu abbia notato il paesaggio, sei la prima, ma in effetti c'è stata un'attenzione particolare su questo aspetto nel racconto.
Hai ragione per quanto riguarda il conflitto, non c'è e se c'è è esterno. L'unica sfida che Vasilisa deve affrontare è quella di decidere se rischiare di far morire Baba Jagà con lo sguardo/presenza della Kikimora sulla soglia (e rischiare di finirci in mezzo lei se la strega non fosse morta davvero) oppure se salvarla, ma non vi ho dato abbastanza enfasi perché risuoni come una vera e propria sfida.
Hai ragione: nelle fiabe deve sempre esserci una quest, un conflitto da sbrogliare e risolvere. Ho voluto scrivere una fiaba atipica e lo è anche la protagonista che se ne frega di tutto e tutti e pensa solo a sé senza, per altro, risultare antipatica, ma è quello che fa :)
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Re: Fiaba russa

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Ciao Kikki, sono a commentare la tua fiaba, dato che vorrei riuscire a portare a termine questo tortuoso cammino di pubblicazione del racconto in Caronte da imbranata di codici e link quale sono. Dato che le fiabe mi piacciono, quelle russe in particolare, e la tua è ben scritta, dovrò cercare bene per trovare qualcosa.

L'ho trovata ben costruita e pensata. Ricca di spunti, con personaggi appena delineati che danno modo di articolarla in nuove avventure. L'io narrante non è pesante, il taglio sovverte i luoghi comuni della bella e la bestia (la strega) mettendo il focus in un terzo punto, inatteso. Lasciare spiazzato il lettore crea lo spazio per voler leggere ancora e questo è qualcosa che raramente accade. Quando succede ci si augura sia perchè c'è un messaggio da cogliere, come in questo caso, anzi più di uno dato che l'essere alla mercè di una vecchina arrabbiata, in grado di tenere in scacco due "protagoniste", si apre a molte interpretazioni. Dato che non tutte sono "infantili", mi sembra far avvicinare la fiaba al filone di saggezza popolare e pratica, molto presente in quelle raccolte dai Grimm.

Quindi mi focalizzerò su aspetti 'minori', quali la scioltezza del testo, che però s'infrange nello scoglio dello stile, che è una cosa piuttosto personale.

Scorrevolezza: questo può essere un elemento soggettivo, ma dato che non è una fiaba breve, più scivola meglio è.
Di seguito i passaggi che mi sono sembrati più evidenti.

es. con un bel principe al suo fianco - con un bel principe al fianco
con Baba Jaga, la strega del bosco, la signora della foresta - strega del bosco e signora della foresta

Per una qualche ragione, stava bene nella casa volante di Baba Jaga, le zampe di gallina che le facevano da base non la spaventavano più e, per una qualche ragione, a lei Baba Jaga non faceva alcuna paura. Troppi le , la, e a lei nello spazio di due righe e una ripetizione sulla ragione che non aggiunge mistero. Il primo le, riferito ad una casa, inoltre, è dubbio, anche se siamo in presenza di una casa magica e quindi viva. Si potrebbe sostituire con un ne, eventualmente.
Per una qualche ragione, stava bene nella casa volante di Baba Jaga, le zampe di gallina che le facevano da base non la spaventavano più e nemmeno Baba Jaga le faceva alcuna paura.
il portello la cui serratura era costellata di dentacci taglienti. il portello dalla serratura costellata di dentacci taglienti.

Chiarezza dei personaggi. Sono ben delineati. Eccetto la Kikkimora, nel suo primo apparire nel testo. Non si sa chi sia.
Lo si capisce solo qualche riga dopo la prima citazione. Ma la cosa non disturba dato che poi le viene riservato molto spazio. Anzi diventa una scoperta, quindi da una teorica mancanza, direi che il testo ne guadagna in suspense. Non è un testo lungo, e ricavarci lo spazio per una sorpresa va più che bene, è in linea con il carattere leggermente sovversivo della fiaba e prepara alla sorprea finale, la cui strada era già stata segnata dalla strega rabbonita.
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