Traccia di mezzogiorno: penombra.
Eccoli, arrivano. Puntuali come ogni giorno. Allunga il collo cercando di far passare la testa tra le inferriate del cancelletto, come un animale tra le sbarre della propria gabbia allo zoo. Primavera, chiusa nel piccolo giardino di casa, attende sempre il loro arrivo con ansia.
Si tratta di una coppia di anziani, un uomo e una donna, che ogni giorno percorrono la strada davanti alla sua abitazione per recarsi al cimitero a visitare la tomba del loro unico figlio. L’uomo è scomparso dopo una lunga malattia che ha prosciugato le loro anime e le loro tasche.
Primavera li ha soprannominati “l’espressione” per via della forma delle loro gambe che, viste da lontano, sembrano formare una parentesi tonda e una quadra.
La donna è bassa di statura, ha una corporatura robusta e deve soffrire di artrite alle ginocchia; a causa della stazza non proprio esile gli arti si sono deformati in una forma arcuata che ricorda proprio quella di una parentesi tonda.
L’uomo, al contrario, è alto e ha la schiena incurvata all’altezza delle spalle. La testa perennemente piegata verso il suolo sembra sul punto di staccarsi da un momento all’altro. Cammina con l’ausilio di un bastone. La rigidità delle giunture gli fa avere un’andatura strana: cammina senza piegare le ginocchia con le gambe inteccherite e dritte come una parentesi quadra.
Ogni volta che li vede arrivare, Primavera cerca di attirare la loro attenzione segnalando la sua presenza con dei piccoli colpi di tosse o con qualche lamento pronunciato a voce alta, ma la coppia non si ferma mai. I due affrettano il passo come se temessero di essere interrotti, come se niente o nessuno potesse distoglierli dalla loro missione. Non possono concedersi neppure un minuto di ritardo: il figlio non può attendere.
Visti da lontano fanno tenerezza: camminano tenendosi per mano; come una somma di elementi, essi sembrano chiusi nelle loro parentesi. Il risultato di quella stramba operazione è difficile da comprendere a un primo sguardo: dolore, rassegnazione o, forse, semplicemente amore.
Primavera segue il loro buffo incedere fino a quando non arrivano in fondo alla strada e li vede sparire dietro l’angolo. Quello per lei è il segnale che è ora di rientrare in casa. Compiendo una manovra complicata, recupera la testa mezza incastrata tra le sbarre e chiama, emettendo un suono gutturale e sconnesso, Ljuba, la badante.
Non le è mai stata troppo simpatica, ma la donna ha un nome abbastanza semplice da pronunciare e questo le evita un bel po’ di fastidi, soprattutto quando necessita di andare in bagno. In certi momenti i nomi corti hanno un valore inestimabile.
Ljuba è una signora sulla cinquantina. Forse potrebbe avere qualche anno di meno, ma essendo piuttosto in carne pare più anziana. In realtà, Primavera non conosce la sua età. Sa soltanto che viene dalla Polonia. Paolo, suo figlio, l’ha cercata “col lanternino” come le ha detto quando gliel’ha messa in casa.
«Lei viene dalla terra del Papa Santo e possiamo considerarci fortunati ad averla trovata!»
Quella sottolineatura era stata del tutto irrilevante per lei che da tempo aveva perduto fede e speranza e che anche con la carità non se la cavava più molto bene.
Comunque Ljuba, senza ombra di dubbio, è una donna forte e pragmatica. Primavera non sa che grado di istruzione abbia, ma la cosa buona è che la donna riesce quasi sempre a comprendere e tradurre i suoi “suoni” e i mozziconi di parole nonostante abbia una conoscenza approssimativa della lingua italiana.
Per Ljuba pronunciare il nome Primavera era decisamente troppo complicato, così ha iniziato a chiamarla Vera. È stato uno dei primi motivi di disappunto: Primavera ha sempre amato il proprio nome un po’ speciale. Non udirlo più le ha fatto provare un dolore quasi fisico, una sorta di mutilazione. Ma la perdita del nome non è l’unica cosa che ha dovuto imparare a sopportare. Primavera detesta la cucina di Ljuba, un guazzabuglio di sapori che non le appartengono, odia gli abiti che le fa indossare così scuri molto diversi dai tessuti colorati che le sono sempre piaciuti tanto. E poi, Ljuba puzza: ha un alito terribile che sa di fumo di sigaretta fin dal mattino.
I passi pesanti annunciano l’arrivo. La donna sgancia i freni della sedia a rotelle e la trascina sul selciato.
`«Vera io ti porta dentro ora, ché fa fredo.»
In casa la televisione è perennemente accesa. È fin troppo chiaro che Ljuba sfrutti al massimo la tv satellitare per gustarsi tutti i programmi trasmessi dalla Tv polacca. Una lingua del tutto incomprensibile per Primavera.
Appena entrate, la piazza per ore davanti allo schermo senza rivolgerle la minima attenzione. A Primavera non le resta che chiudere gli occhi e fantasticare. La malattia le ha portato via l’uso della parola e buona parte dell’uso delle mani e delle gambe, ma le ha risparmiato la mente.
Il suo corpo malandato nasconde una mente brillante e creativa come un motore potente fosse sotto il cofano di un’ auto che cade a pezzi.
Non sono i ricordi a tenere insieme i rottami. Da tempo, Primavera ha deciso di rimuoverli: Ha imparato a scegliere i propri pensieri e non vivere all’ombra dei fantasmi del proprio passato. Prima della malattia, amava scrivere poesie e racconti di ogni genere. Certo adesso non può più farlo ma ciò nonostante non ha mai smesso di creare.
Personaggi e storie prendono vita di continuo nella sua testa e lei li accoglie con gratitudine come fossero voci amiche. A volte le capita di immaginare storie tristi e allora lascia che le lacrime le scorrano sul viso fino a bagnarle le mani irrigidite. In altri momenti, sogna racconti allegri e pieni di gioia o, ancora, storie buffe da farla ridere a crepapelle.
Le è capitato di sentire Ljuba riferire lo “strano comportamento di sua mama” al figlio durante una delle rare telefonate per tenere a bada la coscienza. Ma non le importa niente. Che la considerino pure una demente, un peso, una “situazione temporanea alla quale Dio dovrebbe porre rimedio.” Non potranno mai privarla della fantasia e poi, Primavera da qualche tempo si è messa in testa di avere una missione importante da compiere.
L’ ora d’aria quotidiana le ha dato la possibilità di conoscere i due anziani con le gambe a parentesi. Ha in mente di dedicare loro una poesia e ha perfino scelto il titolo: “Espressione d’amore”. Vorrebbe tanto poter parlare con loro, basterebbe che si fermassero davanti al cancello anche solo per un minuto. Vorrebbe stringere loro le mani e confortarli. Se potesse, direbbe loro che comprende il dolore per la perdita del figlio ma che lei, che un figlio vivo ce l’ha ancora, non per questo è più felice.
Ne è sicura, prima o poi riuscirà a comunicare con quelle persone. Dovrà solo imparare ad allungare un po’ di più il collo e tossire più forte.