[MI152] Lacrime rivelatrici
Posted: Sun Jun 06, 2021 8:44 pm
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Traccia di mezzanotte
I ricordi tornano nei momenti più inaspettati, come coriandoli nascosti nelle tasche di vecchi cappotti.
Anche la neve svanirà dai tetti e di quest’inverno non rimarrà traccia, fino a quando non rispolvererò dal cassetto qualcosa che mi riporti a questi giorni assurdi, trascorsi a rammendare trame lise e senza speranza.
Prendo la valigia, un’occhiata alle porte affacciate sul corridoio, chiudo per sempre quella d’entrata senza far rumore. Il sole basso di gennaio riverbera stanco sopra i mucchi bianchi addossati ai margini del viale, spingo il pulsante e le luci della mia auto fanno trasalire il gatto che si scaldava sul cofano.
Vado via senza salutare. Percorro la strada sconnessa che mi avvicina a casa mia. Le ultime due settimane sembrano già così lontane, il tempo si slega dalla realtà: non sono mai stata di nuovo in quella casa, non sono mai tornata in questo paese e non ho mai rivisto mia sorella; voglio dimenticare l’oggi e il passato che avevo sepolto qui prima di ritornare.
Torno alla mia vita e alla mia città, senza rimpianti e soprattutto senza rimorsi. Era strano, infatti, pensare di risolvere antichi rancori, tornare nella casa e nel paese dove siamo nate, rivederci, stare un po' insieme, e per cosa? Solo per farci ancora del male.
Eravamo uguali in un certo senso. Io non cedevo mai e tu provocavi sempre: quello che ci mancava non era coesione, ma esempio e attenzione. Non avresti dovuto, io non volevo, tu hai nascosto, io ho scoperto… tutte frasi recitate decine e decine di volte.
So per certo che, giù al fiume, quel giorno tu c’eri, io ti ho vista!
Eri di spalle mentre alzavi le braccia, buttavi indietro la testa, i lunghi capelli e ti lasciavi baciare il collo.
Basta! Non so perché rimugino ancora e non la smetto, erano anni che ormai questa storia non tornava a galla. Perché mi hai chiamata? Al funerale di papà non ci siamo nemmeno guardate e stavo per ripartire, l’avessi fatto!
La strada luccica sotto i raggi che mancavano da giorni, svolto a destra e il fiume mi abbaglia; sotto i rami della quercia c’è il nostro passaggio per raggiungere la riva, troppe le volte che l’ho fatto tutto di corsa. Freno, accosto e scendo dall’auto. Tra le siepi, pesanti di fiocchi, percorro la strada sulle mie orme di bambina.
Sono andata via presto e penso di non essere mai stata qui, dopo averti sorpresa con Andrea, sì, credo che quella sia stata l’ultima volta.
Complici Il tempo e la stagione, non avete avuto nessun pensiero per me, io avrei dovuto essere da tutt’altra parte tranne lì sulla spiaggia, dietro a questo masso. Nascosta, ma neanche tanto, vi ho guardato e ho pianto, fino a quando la sofferenza non mi ha fatto stare così male da fuggire via.
Era un pomeriggio di fine agosto, Il fiume permetteva di bagnarsi e l’acqua calma nell’ansa lambiva la spiaggia. Eravate felici, troppo felici, per me che avevo già scelto l'abito da sposa.
L’acqua vi aveva sorretto, cullato, vi aveva conosciuto amanti e ora scorreva allegra dietro di voi: una cornice stupenda di un quadro terribile. Rimase scolpito nella mia mente per vent’anni, a ricordarmi quanto io sia stata cieca. Per tutto il tempo dell’università, e anche anni dopo, ho avuto quell’immagine di voi e di me che correvo via senza farmi vedere, quante volte mi sono pentita di non avervi chiamato; oggi non ci sarebbero state le tue scuse e le tue bugie.
Toccavo questa pietra e guardavo il fiume come sto facendo ora, voi eravate qui e lo giuro che tu eri avvinghiata all’uomo che che diceva di amarmi.
Lo giuro sulle lacrime che tornano tardive alle mie guance, che mi bagnano ancora le mani dove riluce il ricordo. Un ricordo che ora all’improvviso sembra più schietto, vivido e forse ancora più terribile, diverso.
Tra le lacrime adulte qualcosa si dipana all’improvviso. Una traccia che mi era impossibile valutare prima, porto il palmo sulla bocca, vorrei gridare. Un singhiozzo mi strozza alla gola, non posso credere di aver omesso a me stessa una cosa così ovvia. Torno col pensiero a quel giorno, alla mattina in cui ci siamo svegliate e tu mi dicesti che saresti andata comprare qualcosa per me, io avrei dovuto star fuori tutto il giorno. Ci siamo salutate alla stazione: stavo per prendere il treno, andavo in città per i documenti dell’università e tu tornavi verso la piazza del mercato. Ti eri appena girata, indossavi una camicetta trasparente e del nodo celtico sulla tua spalla sinistra, s’intuiva tutto il tratto. Volevo dirtelo subito per prenderti un po' in giro ma non lo feci, ormai avevamo l’età giusta per lasciar stare certi giochetti.
Soltanto ora vedo con chiarezza, quel tatuaggio, nella tela dei miei ricordi, non poteva scomparire e nemmeno apparire. Ho voluto credere che fossi tu? Sono stata ingannata da un dolore troppo giovane? Da un rancore che ci trascinavamo da sempre o da qualche reminiscenza infantile? Delle volte hai lasciato che io credessi alla mia versione solo per farmi del male, poi tornavi dicendo che scherzavi e che se mi andava di crederlo era solo peggio per me. Ora sono qui, disperata, mi è testimone l’acqua del fiume e delle mie lacrime, non potevi essere tu quella che abbracciava Andrea, non eri tu, semplicemente non eri tu. Né tra le lacrime che offuscavano i ricordi di quel giorno né tra quelle che oggi mi rendono, di te, il bene che non ci siamo mai permesse.
Traccia di mezzanotte
I ricordi tornano nei momenti più inaspettati, come coriandoli nascosti nelle tasche di vecchi cappotti.
Anche la neve svanirà dai tetti e di quest’inverno non rimarrà traccia, fino a quando non rispolvererò dal cassetto qualcosa che mi riporti a questi giorni assurdi, trascorsi a rammendare trame lise e senza speranza.
Prendo la valigia, un’occhiata alle porte affacciate sul corridoio, chiudo per sempre quella d’entrata senza far rumore. Il sole basso di gennaio riverbera stanco sopra i mucchi bianchi addossati ai margini del viale, spingo il pulsante e le luci della mia auto fanno trasalire il gatto che si scaldava sul cofano.
Vado via senza salutare. Percorro la strada sconnessa che mi avvicina a casa mia. Le ultime due settimane sembrano già così lontane, il tempo si slega dalla realtà: non sono mai stata di nuovo in quella casa, non sono mai tornata in questo paese e non ho mai rivisto mia sorella; voglio dimenticare l’oggi e il passato che avevo sepolto qui prima di ritornare.
Torno alla mia vita e alla mia città, senza rimpianti e soprattutto senza rimorsi. Era strano, infatti, pensare di risolvere antichi rancori, tornare nella casa e nel paese dove siamo nate, rivederci, stare un po' insieme, e per cosa? Solo per farci ancora del male.
Eravamo uguali in un certo senso. Io non cedevo mai e tu provocavi sempre: quello che ci mancava non era coesione, ma esempio e attenzione. Non avresti dovuto, io non volevo, tu hai nascosto, io ho scoperto… tutte frasi recitate decine e decine di volte.
So per certo che, giù al fiume, quel giorno tu c’eri, io ti ho vista!
Eri di spalle mentre alzavi le braccia, buttavi indietro la testa, i lunghi capelli e ti lasciavi baciare il collo.
Basta! Non so perché rimugino ancora e non la smetto, erano anni che ormai questa storia non tornava a galla. Perché mi hai chiamata? Al funerale di papà non ci siamo nemmeno guardate e stavo per ripartire, l’avessi fatto!
La strada luccica sotto i raggi che mancavano da giorni, svolto a destra e il fiume mi abbaglia; sotto i rami della quercia c’è il nostro passaggio per raggiungere la riva, troppe le volte che l’ho fatto tutto di corsa. Freno, accosto e scendo dall’auto. Tra le siepi, pesanti di fiocchi, percorro la strada sulle mie orme di bambina.
Sono andata via presto e penso di non essere mai stata qui, dopo averti sorpresa con Andrea, sì, credo che quella sia stata l’ultima volta.
Complici Il tempo e la stagione, non avete avuto nessun pensiero per me, io avrei dovuto essere da tutt’altra parte tranne lì sulla spiaggia, dietro a questo masso. Nascosta, ma neanche tanto, vi ho guardato e ho pianto, fino a quando la sofferenza non mi ha fatto stare così male da fuggire via.
Era un pomeriggio di fine agosto, Il fiume permetteva di bagnarsi e l’acqua calma nell’ansa lambiva la spiaggia. Eravate felici, troppo felici, per me che avevo già scelto l'abito da sposa.
L’acqua vi aveva sorretto, cullato, vi aveva conosciuto amanti e ora scorreva allegra dietro di voi: una cornice stupenda di un quadro terribile. Rimase scolpito nella mia mente per vent’anni, a ricordarmi quanto io sia stata cieca. Per tutto il tempo dell’università, e anche anni dopo, ho avuto quell’immagine di voi e di me che correvo via senza farmi vedere, quante volte mi sono pentita di non avervi chiamato; oggi non ci sarebbero state le tue scuse e le tue bugie.
Toccavo questa pietra e guardavo il fiume come sto facendo ora, voi eravate qui e lo giuro che tu eri avvinghiata all’uomo che che diceva di amarmi.
Lo giuro sulle lacrime che tornano tardive alle mie guance, che mi bagnano ancora le mani dove riluce il ricordo. Un ricordo che ora all’improvviso sembra più schietto, vivido e forse ancora più terribile, diverso.
Tra le lacrime adulte qualcosa si dipana all’improvviso. Una traccia che mi era impossibile valutare prima, porto il palmo sulla bocca, vorrei gridare. Un singhiozzo mi strozza alla gola, non posso credere di aver omesso a me stessa una cosa così ovvia. Torno col pensiero a quel giorno, alla mattina in cui ci siamo svegliate e tu mi dicesti che saresti andata comprare qualcosa per me, io avrei dovuto star fuori tutto il giorno. Ci siamo salutate alla stazione: stavo per prendere il treno, andavo in città per i documenti dell’università e tu tornavi verso la piazza del mercato. Ti eri appena girata, indossavi una camicetta trasparente e del nodo celtico sulla tua spalla sinistra, s’intuiva tutto il tratto. Volevo dirtelo subito per prenderti un po' in giro ma non lo feci, ormai avevamo l’età giusta per lasciar stare certi giochetti.
Soltanto ora vedo con chiarezza, quel tatuaggio, nella tela dei miei ricordi, non poteva scomparire e nemmeno apparire. Ho voluto credere che fossi tu? Sono stata ingannata da un dolore troppo giovane? Da un rancore che ci trascinavamo da sempre o da qualche reminiscenza infantile? Delle volte hai lasciato che io credessi alla mia versione solo per farmi del male, poi tornavi dicendo che scherzavi e che se mi andava di crederlo era solo peggio per me. Ora sono qui, disperata, mi è testimone l’acqua del fiume e delle mie lacrime, non potevi essere tu quella che abbracciava Andrea, non eri tu, semplicemente non eri tu. Né tra le lacrime che offuscavano i ricordi di quel giorno né tra quelle che oggi mi rendono, di te, il bene che non ci siamo mai permesse.