[MI152] La ballata di John Gloom

1
viewtopic.php?p=17621#p17621

Traccia di mezzogiorno

Bogart cominciava a vedere il fondo della bottiglia e da lì, come da un cannocchiale,
guardava il mondo.
Chi ha detto che l'alcool annebbia il cervello? Quella, la nebbia c'è da prima. Arriva
quando ti distrai un momento, magari mentre dormi, si ingoia tutto e ti ritrovi in mezzo al niente. 
È un'ombra chiara, fredda e col fiato marcio . Ti consuma la carne e
le ossa, specie le dita dei piedi che diventano grigie ma, essendo lontane, non ci badi
troppo. Finché non cominciano a urlare. E allora non badarci diventa obbligatorio.
Perché non puoi fare niente. Solo bere. E aspettare che la nebbia finisca il suo lavoro.
Che se le porti via, le dita e tutto il resto. Insieme al dolore.
"Dovresti piantarla con quel veleno. Ti ucciderà, lo sai?"
Balle. Fosse stato vero sarebbe successo da un pezzo. Aveva sempre bevuto. Almeno
per quanto poteva ricordare. Certo la memoria non era il suo forte, ma andava bene
così. Perché i ricordi fanno male. Come le dita dei piedi. Come quel morso allo
stomaco. Come stare al mondo. Che è una faccenda maledettamente complicata. E lui
lo sapeva bene. Quasi quanto la questione del nome e tutte quelle stronzate che gli
chiedevano ogni volta in commissariato.
Bogart. Si chiamava Bogart. Se lo facessero bastare.
Coglioni, manco sapevano chi fosse, che al cinema ci andavano solo per farselo
palpare da qualche sciacquetta.
Bogart. Che non era il suo. Tanto, quello o un altro era lo stesso. Almeno suonava
bene. E in qualche modo lo riguardava. I nomi dovrebbero avere a che fare con le
persone. I nomi sono importanti. Glielo aveva detto Pit, una vita fa.
-Ti mettono in un punto preciso del mondo. E da lì, con un calcio in culo ti fanno
cominciare.
E Pit aveva sempre ragione. 
Non è vero che non ricordava niente. Avrebbe voluto. Per questo beveva. Ma non era
vero nemmeno quello. Aveva sempre bevuto. Anche quando aveva tutto. Anche
quando aveva perso tutto. Per questo era tornato a casa. Dove tutto era cominciato.
Dove tutto sarebbe finito. Certi animali lo fanno. Basta trovare un santo coglione che
ti paghi il viaggio. Basta schivare certe schegge di vetro " Ma lei non è...?" Ricordi.
Roba che taglia.
"Ma lei non è...?" Certo, lui non era. Forse non era mai stato. Del resto il mondo è
pieno zeppo di cose che non sono. E quindi fanculo il nome. Bogart andava
benissimo.
Glielo aveva dato il ragazzo col mestolo, alla mensa della Caritas. S'era fermato un
momento "Ma lei non è...?"
Quel giorno polpette al sugo. L'odore non era male.
"Il nome, accidenti! Non mi ricordo il nome!" 
Gli appioppò Bogart, una polpetta in più e bene così.
Anche dov’era adesso gli andava bene. Riparato da un cespuglio e dai suoi cartoni.
Tre coperte e un sacco a pelo. Vita da signore. Senza obblighi né doveri. Solo tenersi
stretto tutto il niente che si portava appresso, specie di notte. Del resto al dormitorio non ci resisteva. 
E pure lì non c'era da stare sicuri. È sempre così: in ogni maledetto
posto c'è sempre qualcuno che vuole il tuo niente. E se te lo piglia è colpa tua, che
non ci sei stato attento. E allora meglio fuori. Meglio qui, nel parcheggio dello
SteamBoiler, Caldaia a vapore. Nome del cazzo per un locale. Eppure alla gente
doveva piacere. Ce ne veniva a fiumi . Macchine lucenti, il tiepido dei motori e aiuole
comode con cespugli alti. Gli piaceva quel posto. Magari senza affezionarcisi troppo
che, prima o poi, qualcuno l'avrebbe svegliato con un calcio e la torcia sparata in
faccia. Fino a quel momento, però, vita da signore. Se lo ripeteva ogni giorno, ma era
una cazzata. Colpa delle dita che ricominciavano a mordergli il piede. E di quel
freddo maligno che non lo lasciava mai. Per questo c'era la bottiglia.
Chi ha detto che bere non risolve niente? Basta dargli tempo. Un po' alla volta arriva
la nebbia e allora non ci si fa più troppo caso. Ai piedi, alle spine nella pancia e a
quella stretta al petto che tronca il fiato a mezza strada. Non si sente più niente. Solo
il tintinnio della monetina che quelli lasciano cadere. Quelli che ridono e gridano per
far sapere quanto sono contenti. Che te la buttano addosso per far vedere quanto sono
generosi e sensibili a lei, labbra di papera, "Che dolce che sei"
E tu: -Grazie, signore.- Una monetina -Dio la benedica, signore.
Coglione, lui e labbra di papera. E tutti quelli che ridono troppo forte perché hanno
paura del buio. Avrebbe avuto un paio di cose da spiegare a quei ragazzini.
 
Ma non era vero. Ci fosse stata una magia per scambiarsi di posto l'avrebbe presa al
volo. E avrebbe rifatto da capo ogni cosa. Nello stesso identico modo. Perché le teste
di cazzo non cambiano. Invecchiano soltanto. E lui non faceva eccezione.
Conrad Hotel di Philadelphia.
L'ultimo ricordo di un'altra vita. Prima dell'ombra.
Doveva essere stato Pit a convincerlo.
-Poche parole. Non devi imparare la parte. Solo poche parole. Pagano bene. Me lo
devi.
Gratitudine e soldi. La corona di lampadine attorno allo specchio incorniciava un
grugno che sembrava pompato da un gommista.
John Gloom, star del cinema, sex symbol e, di tutto questo, Ex a tempo pieno. Lo
pagassero e basta.
Due colpetti alla porta - Dottor Gloom, cinque minuti.
- Sì, grazie.
Dottor Gloom. Aveva fatto a calci le superiori e a calci lo avevano buttato fuori.
College, manco a parlarne. Officina sì, che lavorare con le mani gli era sempre stato
facile. E forse avrebbe fatto meglio a continuare così. Ma Holly continuava a trattarlo
da sfigato. Lo faceva anche dopo che avevano scopato. Lo fece quando gli disse di
essere incinta e anche quando la chiese in moglie. Non fosse arrivato il figlio del
pastore Laraby, convinto di essere stato lui, probabilmente avrebbe anche accettato.
Invece arrivò il radiatore sfondato della Chevrolet di Pit.
-Con questa faccia non te ne puoi stare chiuso qui dentro - E se lo portò via.
Gli cambiò anche il nome, che Vincenzo Mancuso non sarebbe andato da nessuna
parte.
-Il nome è importante. Ti mette in un punto preciso del mondo. E da lì, con un calcio
in culo ti fa cominciare.
Aveva ragione. Pit aveva sempre ragione. E infatti arrivò il cinema. E i soldi. Un
mucchio di soldi. Troppi. E quando sono troppi finiscono presto.
Riempì di nuovo il bicchiere e buttò giù. Morsi di fuoco.
Si guardò. Alzò il sopracciglio, sorrise e ammiccò. Gli riusciva ancora bene. Con
quello si era portato a letto le chiappe più sode di Hollywood. Coglione a sposarle.
Ancora più coglione a divorziare. Con gli alimenti ci avrebbe mantenuto un harem.
Due colpetti alla porta - Dottor Gloom, tocca a lei!
- Arrivo.
Si ravviò i capelli, calzò bene la giacca e uscì.
Attraversò il corridoio tra due ali di gente. Brusio ovattato.
Inciampò. Uno stuart in grigio corse a sostenerlo - Chiedo scusa, deve essere stata
una piega della moquette.
Balle, c'era marmo per terra e quello non fa le pieghe.  Bocca asciutta, vista
appannata, si chiedeva come gli sarebbe uscita la voce.
Entrò, raggiunse la pedana, vi salì e restò immobile a guardare la sala sorridendo. E a
cercare di ricordare perché cazzo fosse lì.
"Solo poche parole. Pagano bene." aveva detto Pit.
E lui era John Gloom, star del cinema e sex symbol. John Gloom. Ultima occasione.
Aprì la bocca, biascicò qualcosa e crollò a terra come un sacco di patate.
Così finì John Gloom.
Andrebbe spiegato a quegli stronzetti col macchinone.
Basta niente e arriva l'ombra. E solo quando ci sei dentro capisci che l'ultima
occasione non c'è mai stata, che eri finito da un pezzo. Che se n'erano accorti tutti
tranne te. E allora puoi solo scomparire. Cominci a raccogliere monetine. A
raccontarti mucchi di cazzate sulla libertà, sulla vita vera. E sul motivo per cui bevi
che, tra tutte le cazzate è la migliore. Perché solo al vino dici sempre sì. Pure se ha un
sapore strano. Pure se brucia e morde. Ogni volta di più.
Come l'ombra.
Che adesso sale da dentro.
Grigia, fredda e col fiato marcio.
Consuma la carne e le ossa.
Ma sì, faccia pure. Tanto era finita da un pezzo.
A questo serve l'ombra.
A portarsi via tutto.
Prosit.
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/gia ... /mens-rea/
https://www.facebook.com/profile.php?id=100063556664392
https://emanuelasommi.wixsite.com/manu

Re: [MI152] La ballata di John Gloom

2
aladicorvo ha scritto: Basta niente e arriva l'ombra. E solo quando ci sei dentro capisci che l'ultima
occasione non c'è mai stata, che eri finito da un pezzo. Che se n'erano accorti tutti
tranne te. E allora puoi solo scomparire. Cominci a raccogliere monetine. A
raccontarti mucchi di cazzate sulla libertà, sulla vita vera. E sul motivo per cui bevi
che, tra tutte le cazzate è la migliore. Perché solo al vino dici sempre sì.
Un altro grande pezzo. Ho quotato quello che secondo me è il “core” . Bel personaggio di quelli vissuti e incazzati come solo tu sai dipingere con la penna. Chapeu.

Re: [MI152] La ballata di John Gloom

4
@aladicorvo

Bellissimo racconto. Già da quando ho letto "Bogart" e mi sono immaginata Humphrey Bogart e un'atmosfera da età d'oro di Hollywood ho capito che mi sarebbe piaciuto. Quando hai fatto capire che Bogart è un clochard e hai affrontato l'argomento dell'alcolismo ne ho avuto la conferma. Uno stile secco e amaro come un superalcolico, che mi ha rimandato positivamente a Palahniuk e Bukowski. L'atmosfera c'è tutta, la storia è ben strutturata. Ho apprezzato particolarmente la digressione sull'importanza dei nomi che ricorda il concetto filosofico di significato e significante, soprattutto per l'ironia con la quale applichi la tua riflessione nel racconto. Il protagonista passa dal suo nome di battesimo a John Gloom per intraprendere la carriera d'attore, mentre quando diventa un senzatetto si fa chiamare Bogart, come a beffarsi del mondo del cinema che l'ha masticato e sputato via senza pietà. Complimenti. L'unica correzione la farei qua nei dintorni, perché a mio parere troppe frasi così brevi di seguito possono dare fastidio alla lettura:

"Non è vero che non ricordava niente. Avrebbe voluto. Per questo beveva. Ma non era
vero nemmeno quello. Aveva sempre bevuto. Anche quando aveva tutto. Anche
quando aveva perso tutto. Per questo era tornato a casa. Dove tutto era cominciato.
Dove tutto sarebbe finito. Certi animali lo fanno."  (Scusa, non so ancora come si fa a citare ahahaha)

In questi pezzi dove metti le frasi corte, alcune le riunirei, per esempio lo cambierei così:

"Non è vero che non ricordava niente. Avrebbe voluto. Per questo beveva. Ma non era
vero nemmeno quello. Aveva sempre bevuto, anche quando aveva tutto. Anche
quando aveva perso tutto. Per questo era tornato a casa, dove tutto era cominciato, dove tutto sarebbe finito. Certi animali lo fanno."

In ogni caso racconto molto scorrevole e incisivo, bravo/a!

Re: [MI152] La ballata di John Gloom

6
@aladicorvo 
Un eccellente racconto, a mio gusto molto, molto ben narrato. Mi ha assorbito poco a poco, come sabbie mobili, come la dipendenza alcolica. Il seme di un romanzo pronto a svilupparsi, complimenti!
Mi è particolarmente piaciuto il ritmo che hai dato allo svelamento del perché e il fatto che lo hai composto senza "frasi fatte" o stereotipate. Mi ha lasciato dubbioso il paragrafo dove hai messo quattro o cinque tutto ravvicinati. Vista la tua cura lessicale, immagino tu l'abbia fatto di proposito, ma non mi è sembrato efficace.

Inezie in una grande prova!
:cool:

Re: [MI152] La ballata di John Gloom

8
ciao @aladicorvo. Chissà perché questo tuo lavoro mi pare tanto naif ma allo stesso tempo anche cinico... :hm: i diversi sapori formano a volte dei kochtail favolosi. Cinema, fama, successo, donne, soldi, e poi, l'alcool, la strada, la solitudine. Insomma dalle stelle al baratro... quando l'uomo non riesce a trarre il meglio delle cose della vita e sciupi qualsiasi occasione... questa mi pare la morale del tuo bel racconto... ciao :sss:
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI152] La ballata di John Gloom

9
aladicorvo ha scritto: Basta trovare un santo coglione che
ti paghi il viaggio. Basta schivare certe schegge di vetro " Ma lei non è...?" Ricordi.
Roba che taglia.
In questo punto non ho compreso bene. Qualcosa che è rimasto nell'aria.
Il tuo racconto @aladicorvo  mi ha lasciato una strana sensazione. A volte i personaggi più sfortunati ci fanno provare empatia, per Bogart io non ho provato nulla. Una cosa strana che riguarda soltanto me, certo, ma mi ha fatto riflettere abbastanza e ti ringrazio per queste nuove impressioni, nel fraddo che ho provato, positive comunque.
Complimenti! (y)

Re: [MI152] La ballata di John Gloom

11
Sono sempre molto belli i tuoi racconti, @aladicorvo. Impeccabili in quanto a ritmo e cura della forma.
In questo testo hai descritto perfettamente la caduta di un uomo. Ho avuto solo una piccola perplessità riguardo all'ambientazione. E' chiaramente americana, ma a un certo punto nel testo si parla di mensa della Caritas e questo ha riportato la mia immaginazione in Italia. Probabilmente ci sono anche negli Stati Uniti le mense della Caritas, ma a me ha un po' sviato quel dettaglio (ho pensato infatti a un uomo italiano che si è scelto un nome da attore americano...). Poi nella continuazione della storia questo aspetto si è chiarito. Te lo segnalo nel caso possa servirti.
Ciao!

Re: [MI152] La ballata di John Gloom

12
Nella lettura dei racconti del contest in corso, per la questione dell'aderenza alla traccia, mi è stato molto utile prestare attenzione all'organizzazione del lessico in aree di significato comune. Questi insiemi di parole affini per significato, i "campi semantici", possono naturalmente essere diversificati all'interno di uno stesso testo, e a volte addirittura discordi: se, però, si vanno a leggere consecutivamente le parole appartenenti ai vari insiemi, si noterà che alcune prevarranno come quantità sulle altre, provocando nel lettore sensazioni ben precise, le quali di solito palesano il "significato" intimo del componimento. 
Mi fa piacere, dunque, condividere con te il lavoro svolto sul tuo racconto. La preponderanza di associazioni relative ai campi semantici del freddo, del buio, della morte, del nulla, della solitudine, della devastazione fisica e morale, insieme alla scelta stilistica della paratassi (ricca di suo di metallica spigolosità) mi sono sembrate indicative di un allontanamento dalla traccia. Indipendentemente da questa, il racconto esprime molto bene la drammatica parabola discendente del protagonista. Grazie mille per aver partecipato e per la tua attenzione, @aladicorvo

aladicorvo ha scritto: dom giu 06, 2021 8:33 pm
Bogart cominciava a vedere il fondo della bottiglia e da lì, come da un cannocchiale,
guardava il mondo.
Chi ha detto che l'alcool annebbia il cervello? Quella, la nebbia c'è da prima. Arriva
quando ti distrai un momento, magari mentre dormi, si ingoia tutto e ti ritrovi in mezzo al niente. 
È un'ombra chiara, fredda e col fiato marcio . Ti consuma la carne e
le ossa, specie le dita dei piedi che diventano grigie ma, essendo lontane, non ci badi
troppo. Finché non cominciano a urlare. E allora non badarci diventa obbligatorio.
Perché non puoi fare niente. Solo bere. E aspettare che la nebbia finisca il suo lavoro.
Che se le porti via, le dita e tutto il resto. Insieme al dolore.
"Dovresti piantarla con quel veleno. Ti ucciderà, lo sai?"
Balle. Fosse stato vero sarebbe successo da un pezzo. Aveva sempre bevuto. Almeno
per quanto poteva ricordare. Certo la memoria non era il suo forte, ma andava bene
così. Perché i ricordi fanno male. Come le dita dei piedi. Come quel morso allo
stomaco. Come stare al mondo.
Che è una faccenda maledettamente complicata. E lui
lo sapeva bene. Quasi quanto la questione del nome e tutte quelle stronzate che gli
chiedevano ogni volta in commissariato.
Bogart. Si chiamava Bogart. Se lo facessero bastare.
Coglioni, manco sapevano chi fosse, che al cinema ci andavano solo per farselo
palpare da qualche sciacquetta.
Bogart. Che non era il suo. Tanto, quello o un altro era lo stesso. Almeno suonava
bene. E in qualche modo lo riguardava. I nomi dovrebbero avere a che fare con le
persone. I nomi sono importanti. Glielo aveva detto Pit, una vita fa.
-Ti mettono in un punto preciso del mondo. E da lì, con un calcio in culo ti fanno
cominciare.
E Pit aveva sempre ragione. 
Non è vero che non ricordava niente. Avrebbe voluto. Per questo beveva. Ma non era
vero nemmeno quello. Aveva sempre bevuto. Anche quando aveva tutto. Anche
quando aveva perso tutto. Per questo era tornato a casa. Dove tutto era cominciato.
Dove tutto sarebbe finito. Certi animali lo fanno. Basta trovare un santo coglione che
ti paghi il viaggio. Basta schivare certe schegge di vetro " Ma lei non è...?" Ricordi.
Roba che taglia.
"Ma lei non è...?" Certo, lui non era. Forse non era mai stato. Del resto il mondo è
pieno zeppo di cose che non sono.
E quindi fanculo il nome. Bogart andava
benissimo.
Glielo aveva dato il ragazzo col mestolo, alla mensa della Caritas. S'era fermato un
momento "Ma lei non è...?"
Quel giorno polpette al sugo. L'odore non era male.
"Il nome, accidenti! Non mi ricordo il nome!" 
Gli appioppò Bogart, una polpetta in più e bene così.
Anche dov’era adesso gli andava bene. Riparato da un cespuglio e dai suoi cartoni.
Tre coperte e un sacco a pelo. Vita da signore. Senza obblighi né doveri. Solo tenersi
stretto tutto il niente che si portava appresso
, specie di notte. Del resto al dormitorio non ci resisteva. 
E pure lì non c'era da stare sicuri. È sempre così: in ogni maledetto
posto c'è sempre qualcuno che vuole il tuo niente
. E se te lo piglia è colpa tua, che
non ci sei stato attento. E allora meglio fuori. Meglio qui, nel parcheggio dello
SteamBoiler, Caldaia a vapore. Nome del cazzo per un locale. Eppure alla gente
doveva piacere. Ce ne veniva a fiumi . Macchine lucenti, il tiepido dei motori e aiuole
comode con cespugli alti. Gli piaceva quel posto. Magari senza affezionarcisi troppo
che, prima o poi, qualcuno l'avrebbe svegliato con un calcio e la torcia sparata in
faccia. Fino a quel momento, però, vita da signore. Se lo ripeteva ogni giorno, ma era
una cazzata. Colpa delle dita che ricominciavano a mordergli il piede. E di quel
freddo maligno che non lo lasciava mai.
Per questo c'era la bottiglia.
Chi ha detto che bere non risolve niente? Basta dargli tempo. Un po' alla volta arriva
la nebbia e allora non ci si fa più troppo caso. Ai piedi, alle spine nella pancia e a
quella stretta al petto che tronca il fiato a mezza strada. Non si sente più niente.
Solo
il tintinnio della monetina che quelli lasciano cadere. Quelli che ridono e gridano per
far sapere quanto sono contenti. Che te la buttano addosso per far vedere quanto sono
generosi e sensibili a lei, labbra di papera, "Che dolce che sei"
E tu: -Grazie, signore.- Una monetina -Dio la benedica, signore.
Coglione, lui e labbra di papera. E tutti quelli che ridono troppo forte perché hanno
paura del buio. Avrebbe avuto un paio di cose da spiegare a quei ragazzini.
 
Ma non era vero. Ci fosse stata una magia per scambiarsi di posto l'avrebbe presa al
volo. E avrebbe rifatto da capo ogni cosa. Nello stesso identico modo. Perché le teste
di cazzo non cambiano. Invecchiano soltanto. E lui non faceva eccezione.
Conrad Hotel di Philadelphia.
L'ultimo ricordo di un'altra vita. Prima dell'ombra.
Doveva essere stato Pit a convincerlo.
-Poche parole. Non devi imparare la parte. Solo poche parole. Pagano bene. Me lo
devi.
Gratitudine e soldi. La corona di lampadine attorno allo specchio incorniciava un
grugno che sembrava pompato da un gommista.
John Gloom, star del cinema, sex symbol e, di tutto questo, Ex a tempo pieno. Lo
pagassero e basta.
Due colpetti alla porta - Dottor Gloom, cinque minuti.
- Sì, grazie.
Dottor Gloom. Aveva fatto a calci le superiori e a calci lo avevano buttato fuori.
College, manco a parlarne. Officina sì, che lavorare con le mani gli era sempre stato
facile. E forse avrebbe fatto meglio a continuare così. Ma Holly continuava a trattarlo
da sfigato.
Lo faceva anche dopo che avevano scopato. Lo fece quando gli disse di
essere incinta e anche quando la chiese in moglie. Non fosse arrivato il figlio del
pastore Laraby, convinto di essere stato lui, probabilmente avrebbe anche accettato.
Invece arrivò il radiatore sfondato della Chevrolet di Pit.
-Con questa faccia non te ne puoi stare chiuso qui dentro - E se lo portò via.
Gli cambiò anche il nome, che Vincenzo Mancuso non sarebbe andato da nessuna
parte.
-Il nome è importante. Ti mette in un punto preciso del mondo. E da lì, con un calcio
in culo ti fa cominciare.
Aveva ragione. Pit aveva sempre ragione. E infatti arrivò il cinema. E i soldi. Un
mucchio di soldi. Troppi. E quando sono troppi finiscono presto.
Riempì di nuovo il bicchiere e buttò giù. Morsi di fuoco.
Si guardò. Alzò il sopracciglio, sorrise e ammiccò. Gli riusciva ancora bene. Con
quello si era portato a letto le chiappe più sode di Hollywood. Coglione a sposarle.
Ancora più coglione a divorziare. Con gli alimenti ci avrebbe mantenuto un harem.
Due colpetti alla porta - Dottor Gloom, tocca a lei!
- Arrivo.
Si ravviò i capelli, calzò bene la giacca e uscì.
Attraversò il corridoio tra due ali di gente. Brusio ovattato.
Inciampò. Uno stuart in grigio corse a sostenerlo - Chiedo scusa, deve essere stata
una piega della moquette.
Balle, c'era marmo per terra e quello non fa le pieghe.  Bocca asciutta, vista
appannata,
si chiedeva come gli sarebbe uscita la voce.
Entrò, raggiunse la pedana, vi salì e restò immobile a guardare la sala sorridendo. E a
cercare di ricordare perché cazzo fosse lì.
"Solo poche parole. Pagano bene." aveva detto Pit.
E lui era John Gloom, star del cinema e sex symbol. John Gloom. Ultima occasione.
Aprì la bocca, biascicò qualcosa e crollò a terra come un sacco di patate.
Così finì John Gloom.
Andrebbe spiegato a quegli stronzetti col macchinone.
Basta niente e arriva l'ombra. E solo quando ci sei dentro capisci che l'ultima
occasione non c'è mai stata, che eri finito da un pezzo.
Che se n'erano accorti tutti
tranne te. E allora puoi solo scomparire. Cominci a raccogliere monetine. A
raccontarti mucchi di cazzate sulla libertà, sulla vita vera. E sul motivo per cui bevi
che, tra tutte le cazzate è la migliore. Perché solo al vino dici sempre sì. Pure se ha un
sapore strano. Pure se brucia e morde. Ogni volta di più.
Come l'ombra.
Che adesso sale da dentro.
Grigia, fredda e col fiato marcio.
Consuma la carne e le ossa.

Ma sì, faccia pure. Tanto era finita da un pezzo.
A questo serve l'ombra.
A portarsi via tutto.

Prosit.
https://www.amazon.it/rosa-spinoZa-gust ... B09HP1S45C

Re: [MI152] La ballata di John Gloom

13
@Ippolita cara, un altra volta sicuro che ci faccio più attenzione così mi viene meglio a scrivere, pure se le parole me se ne vanno come li polli appresso a le galline e vassapè che fine fanno. Sempre così fino da scuola e leggere poco, si eno il tempo di una cacata (co rispetto parlando) che faccio fatica tutteddue, malmeno a una pagginetta ci arivo in fondo, pure se so che non abbasta.
E comunque sei gentile te lo voglio propio dire, io non ci perdevo mica tempo che l'analfabeti a zappare.
Paratticamente sempre tua :rosa: 
Aladicorvo 
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/gia ... /mens-rea/
https://www.facebook.com/profile.php?id=100063556664392
https://emanuelasommi.wixsite.com/manu

Re: [MI152] La ballata di John Gloom

14
Ciao @aladicorvo

Sempre piacevole leggere un tuo racconto.
Bogart è stato uno dei miei miti giovanili, forse l’ultimo vissuto fino ai miei 25 anni.
A quel tempo fumavo Esportazioni senza filtro, mi piaceva tenere il colletto della camicia slacciato e la cravatta allentata, tenevo la cicca fra le labbra mentre lavoravo in ufficio.
Ricordo che un mattino con quest’aria négligé, mentre facevo fotocopie, passò di lì la nuova, giovane, responsabile delle risorse umane dell’azienda.
Sì fermò un attimo a osservarmi, poi esordì dicendo: - Le hanno mai detto che con questo look, somiglia a Humphrey Bogart?
Non me lo avevano mai detto, ma la cosa non mi disturbò affatto. Tant’ è che trovai il coraggio di invitarla a cena.
Cosa che accettò, ma non ci fu mai un dopocena perché a casa mi attendeva mia moglie.
Ma questa è un’altra storia.

Parliamo invece del tuo racconto: lo stile è quello tuo solito, asciutto, diretto e solido nel evocare il genere hard boiled, con scenografie di ambienti da downtown di metropoli americane, Philadelphia nel caso.
La storia ci narra della dissoluzione umana di un perdente nel grande sogno americano. Uno che ci ha provato, ma non ce l’ha fatta.
Non ce l’ha fatta perché era troppo debole per reggere il successo e mantenerlo.
“Ci vuole un fisico bestiale, anche per bere e per fumare” cantava Luca Carboni. Niente di più vero.

Il tuo eroe perdente vive, nei fumi consolanti dell’alcol, i ricordi amari di una vita sbagliata: l’amore, il successo, i crolli accompagnati dal fondo della bottiglia, che da vuota diviene un cannocchiale per osservare il mondo attraverso una prospettiva che lo renda sopportabile.
La miseria morale e fisica della vita di strada, col freddo che ti fa marcire le dita dei piedi, quanto la carità pelosa nelle elemosine dei passanti che ti fa marcire l’anima.
Il tema dell’alcolismo come male sociale di un’america senza più sogni è stato toccato da decine di film americani e no.
Un tempo Hollywood riusciva a celare le trasgressioni alcoliche delle celebrity e soprattutto, vi era una diffusa maggior tolleranza per chi eccedeva nel bere. Infatti, non faceva troppo scalpore il fatto che Humphrey Bogart e la bottiglia fossero inseparabili.

Concludendo è un buon racconto “di genere”, con quella misura obbligata di crudeltà autodistruttiva finale, direi molto gradevole da leggere per lettori come me che non amano gli happy end.

Complimenti, a presto rileggerti e buone vacanze.
Ciao :)

Re: [MI152] La ballata di John Gloom

15
Quando leggo un tuo racconto ho sempre aspettative molto elevate e non mi deludi mai.
Mi è piacuto molto lo svelamento del barbone ex sex symbol. A mia volta sono rimasta confusa dalla caritas, ma mi sono immaginata che alla fine Bogart sia tornato in Italia.
Belle le immagini della nebbia, la delusione consapevole, lo spreco delle occasioni, la certezza che non ci sia riscatto.
Letto con tantissimo piacere!

Re: [MI152] La ballata di John Gloom

16
@Almissima sì, hai capito bene: Bogart è tornato in Italia "dove tutto era cominciato tutto sarebbe finito. Certi animali lo fanno. Basta trovare un santo coglione che ti paghi il viaggio"
Grazie cara, le tue parole mi hanno raffrescato la giornata :love:
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/gia ... /mens-rea/
https://www.facebook.com/profile.php?id=100063556664392
https://emanuelasommi.wixsite.com/manu
Rispondi

Torna a “Racconti”