Lisandro

Portogallo

Lisandro

1
La linea sottile dell'oceano si profilò all'orizzonte, al di là delle dune.
Canticchiando una canzone che aveva ascoltato al juke-box la sera prima, dopo un ultimo giro di birre per salutare gli amici, Mauricio seguì la strada bianca che procedeva dritta in direzione dell'acqua. Sotto il pianale sentiva rimbalzare i sassolini sollevati dalle ruote della vecchia utilitaria.
Si arrestò in uno spiazzo erboso, tra sabbia e pietrisco.
Scese e si sgranchì le gambe; aveva guidato per quattro ore di seguito da Lisbona e gli pareva di sentire l'impronta delle molle del sedile sui glutei e sulle cosce. Inspirò a lungo la brezza atlantica e sentì svanire ogni senso di fatica.
Prima di avviarsi a scavalcare le dune sostò un attimo, incerto se chiudere l'auto a chiave; c'erano tutte le sue cose lì dentro e una volta di là non l'avrebbe più avuta sott'occhio.
Chi mai vorrebbe rubare un catorcio del genere?
Accarezzò con un ultimo sguardo la chitarra, che aveva abbandonato sul sedile posteriore perché non gli era stato possibile farla entrare nel minuscolo baule, e s'inerpicò per la breve salita sabbiosa.
Dalla cima lanciò un'occhiata al panorama alle sue spalle; il polverone sollevato per arrivare fin lì non si era ancora depositato del tutto e una nube biancastra galleggiava a mezz'aria sopra lo stradello, che si perdeva a vista d'occhio verso la statale lontana.
Si tolse le sneakers consunte, ne intrecciò i laccetti e li fece passare sotto il colletto della t-shirt. Poi affrontò la china ripida, con le scarpe che gli ballonzolavano contro il petto.
La sabbia si sfaldava al suo passaggio e i piedi nudi vi affondavano. La discesa divenne una corsa audace e gli ricordò quella che, bimbetto scavezzacollo, compiva ogni giorno tra i vicoli dell'Alfama per arrivare al mare, come chiamava il Tejo immenso di cui non riusciva a scorgere la sponda opposta.
L'acqua gelida dell'oceano lo accolse con la consueta vigoria e sembrò volerlo trascinare al largo per le caviglie. Mauricio respirò a pieni polmoni quella frustata di libertà. Mancavano almeno un paio di ore al tramonto e i raggi del sole scaldavano ancora, benché la stagione dei bagni fosse lontana. Nonostante la brezza fresca, si sfilò la maglietta e ripiegò il bordo dei pantaloncini in modo che anche le cosce potessero abbronzarsi, poi si lasciò cadere sulla sabbia con lo sguardo fisso alla distesa verde-azzurra che sciabordava a riva.
Quel tratto di costa selvaggia tra Figueira da Foz e Aveiro era il preferito dai genitori; quanti fine settimana ci aveva passato da bambino... Lui e Lisandro che rincorrevano i loro aquiloni colorati, mentre papà montava la tenda da spiaggia e poi piantava i due ombrelloni antivento sotto cui si sarebbero riparati tutti, nelle ore più calde. E mamma con l'onnipresente crema solare, che si ostinava a volergli spalmare sulle spalle e la schiena; le sue dita esili gli facevano il solletico e lasciavano sulla pelle quella sensazione sgradevole di attaccaticcio...
L'effetto tonificante dell'oceano era già sfumato e la malinconia aveva preso il posto del senso di libertà provato all'arrivo. Sapeva che sarebbe successo, ma non poteva certo andarsene senza dire addio a quei luoghi. Reclinò il capo tra le ginocchia nude e si lasciò avvolgere da quella bolla ovattata di tristezza.

Un brivido improvviso, la sensazione di una presenza.
Si voltò.
«Ciao, signore.»
Con indosso un paio di calzoncini blu, una maglietta rossa e sandali di plastica ai piedi, un bimbetto di sette-otto anni lo stava osservando a pochi passi di distanza. Era di un biondo quasi candido e gli sorrideva.
Mauricio si rizzò di colpo.
«Ciao! Ma che ci fai qui da solo?»
«Abito là» disse, indicando con un ditino oltre le dune.
Dovevano esserci delle abitazioni che non aveva notato.
«Sei qui in vacanza?» gli chiese il bimbo.
«No, sono in... viaggio e mi sono fermato per riposarmi un po'.»
«Non viene mai nessuno qua.»
Con un gesto Mauricio lo invitò a sedersi accanto a lui.
«E tu, ci vieni spesso?» gli chiese.
Anziché rispondere il bambino alzò le spalle.
«È tua la chitarra nella macchina?»
«Sì, me la regalò mio fratello due anni fa, prima di partire.»
«Come si chiama tuo fratello?»
«Lisandro.»
Il bimbo lo fissò con i suoi occhietti azzurri. «Anch'io mi chiamo Lisandro» disse.
Lui lo guardò stranito. «Io sono Mauricio» dichiarò poi, sorridendogli.
«E dov'è andato tuo fratello?»
Era ad Amburgo l'ultima volta che mi ha spedito una cartolina, tre mesi fa. Io non ci arriverò mai lassù, con quel rottame.
«Lontano, una grande città al Nord.»
«E tu dove stai andando?»
Fin dove mi porta l'auto; quando schiatterà, lì mi fermerò. Sto fuggendo, perché Isobel è incinta e non mi va di mettermi a cambiare pannolini a vent'anni.
«Un po' qua, un po' là... Voglio girare il mondo.»
Il bimbo si zittì. Se ne stava lì, lo sguardo assorto, e pareva non avere più domande. Il silenzio si fece presto insopportabile.
«Camminiamo un po'?»
Lisandro annuì e si alzò in piedi. Mauricio gli prese la mano; era calda, e così piccola che ebbe paura di fargli male. Gliela lasciò andare, ma lui allungò il braccio e gli strinse il palmo con i suoi minuscoli ditini. Procedettero così per un po', sguazzando sulla battigia.
«Tu ce li hai il babbo e la mamma?» chiese il bimbo all'improvviso.
Mauricio deglutì.
«Li avevo, ma sono volati in cielo tre anni fa.»
A dire il vero sono caduti dal cielo, dentro quel maledetto aereo.
«Vieni, torniamo indietro» disse poi, facendo dietro-front. «Si sta facendo sera e i tuoi saranno in pensiero.»
«La mamma starà guardando la televisione.»
«E il papà?»
«Lui non c'è, la mamma ha detto che è partito per un lungo viaggio. È tanto che è via, io non mi ricordo nemmeno com'è fatto.»
Cristo, povero piccolo. Il padre è morto e la madre non ha ancora avuto il coraggio di dirglielo.
Gli passò una mano tra i capelli e sentì che gli occhi si inumidivano.
Arrivarono al punto dove aveva lasciato le scarpe. Mauricio si voltò verso la distesa d'acqua, che si stava facendo blu cobalto. Non voleva che Lisandro lo vedesse piangere.
«Adesso è ora che tu torni a casa» disse dopo aver deglutito un paio di volte. «Sei contento se ti riaccompagno?»
Non udì risposta e si girò.
Il bambino era scomparso.
«Lisandro!» gridò.
Silenzio.
Mauricio raccolse le scarpe e si gettò di slancio verso la sommità della duna.
Salire era più complicato che scendere. Scivolò un paio di volte, imprecò, ma alla fine arrivò in cima. Lo chiamò a squarciagola, ma di Lisandro non c'era traccia. E non vide nessuna costruzione.
Si voltò verso l'oceano e guardò giù lungo il pendio.
Non c'erano orme di piedini.

Calzò le sneakers e scese lentamente fino all'auto. Fece un respiro a pieni polmoni per catturare l'ultimo refolo di brezza, poi salì e mise in moto.
Guidò con prudenza fino alla statale e al momento d'imboccarla ebbe un attimo d'indecisione, quindi azionò l'indicatore di direzione destro.
Pensò a Isobel e sorrise.
Aveva un nome da proporle per il loro bambino.

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