[MI151] Le stanze

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Traccia di Mezzogiorno "A rebours"


Il freddo della pistola contro la mia tempia.
Sento la canna premere sulla pelle viscida di sudore, di paura.
La misera luce di un’alba grigia s’intrufola tra i tendaggi spessi, dando forma alla stanza disadorna, illuminata solo da una candela al centro del tavolo.
Mi fissano quattro sconosciuti che aspettano solo la mia morte. Non li avevo mai visti prima di questa maledetta nottata, gli auguro di crepare.
Il dito sul grilletto si contrae.
Se fosse possibile, giurerei di poter sentire il lento muoversi degli ingranaggi, il ruotare del tamburo che posiziona il proiettile in linea con la canna, il tendersi del cane un attimo prima di rinculare sulla cartuccia e farmi esplodere il cervello.
Tutto è istantaneo, non c’è realmente il tempo per riconoscere quei movimenti. C'è solamente l’attimo per chiedersi perché. Perché sto per morire? E ricordare un’ora prima, quando allentai il papillon, con gli occhi brucianti del fumo che riempiva l’altra stanza.
Mi tremavano le mani, ero solo. Non doveva andare così, il piano con Marco era un altro e non sapevo come fare senza di lui.
Se ne avessi avuto l’opportunità mi sarei alzato e sarei fuggito, ma non era possibile, non me lo avrebbero permesso. Perdevo quasi due milioni di euro. Soldi che non avevo; né io né il mio amico. Era per quel motivo che mi trovavo lì, con due carte coperte sul panno verde e la decisione della vita da prendere.
Il silenzio era assoluto. Eravamo in quattro a giocarci una fortuna.
Una donna con i capelli legati sulla nuca che lasciavano scoperto il collo, lungo e magro. Con il dito attorcigliava nervosa un filo di perle; perdeva quasi quanto me.
Di fronte a lei un ometto insignificante, con un gilet nero sulla camicia abbondantemente bagnata. Lui vinceva e aveva appena lasciato la mano.
Alla sua destra l’ultimo giocatore, paffuto e con profonde occhiaie scure, grondava sudore sulle fiche davanti a sé. Era più o meno in pari.
Toccava alla donna.
Io tenevo lo sguardo fisso sul dorso blu delle mie carte. Erano due 5: cuori e quadri.
Sul tavolo un asso di fiori, un 2 di picche, un 8 di fiori e gli altri due 5.
Avevo in mano un poker.
La donna avrebbe lasciato e l’altro l’avrebbe imitata, perché rischiare? Avrei recuperato i due testoni e addirittura ne avrei guadagnato uno. La mia vita e quella di Marco sarebbero state salve. Nonostan…
˗All-in!˗ esclamò la pazza, spingendo tutto quel che aveva in mezzo al tavolo.
La vista divenne bianca di panico. Perché? Perché aveva fatto quella mossa disperata? Che carte poteva avere?
Le mani tremarono ancor di più, mentre l’uomo paffuto lasciava il gioco. Eravamo io e lei.
Mi dissi che stava bluffando, mi ripetei di non aver paura.
Ma se avesse avuto un 6 e un 7 di fiori, o anche 3 e 4, avrebbe fatto scala colore. E io avrei perso tutto, compreso il mio futuro:
˗Vedo˗ dissi e “Dove sei, amico mio?” pensai frastornato.
Purtroppo lo sapevo bene.
Solo due ore prima eravamo insieme e felici.
La scatola con le fiche vinte tintinnava lieta mentre entravamo nella seconda stanza, eleganti nei nostri smoking ben stirati.
La fortuna ci aveva arriso e il piano funzionava. Adesso toccava alla mente del mio amico, eravamo al dunque.
La notte era giovane e tra poco saremmo stati sfacciatamente ricchi. Accettammo con piacere i sigari che ci offrì una ragazzetta, seduti sugli sgabelli del bar. Ordinammo due rum e stavo sorseggiando il mio, quando Marco mi diede di gomito. Seguii il suo sguardo fino a due bellezze all’altro estremo del bancone. Ci sorridemmo.
˗Cosa stanno bevendo le signore?˗ chiese al barman, un tizio con il naso storto e la mascella sporgente.
Lui lo guardò confuso:
˗Signore? Quali diavolo di signore?
Gliele indicò e l’altro scoppiò in una grassa risata:
-Justine e Sofie sono signore solo se avete soldi abbastanza! Oddio, ma da dove venite?˗ ci schernì.
Marco non demorse, dicendo che offriva loro un altro giro e che gli dicesse di aspettarci entro mezz’ora, che saremmo stati pieni di soldi.
Poi ci spostammo al banco del blackjack e il mio amico fece il miracolo. Io giocavo, lui stava in piedi dietro di me e mi toccava il braccio in modi diversi a seconda di quel che dovevo fare. La sua memoria prodigiosa contava le carte. Nessuno poteva immaginarlo, perché significava tenerne a mente 104, eppure lui ne era capace e come promesso, dopo neanche trenta minuti il nostro bottino era di quasi trecentomila euro.
Ci spostammo a un tavolino per una pausa, Marco ordinò champagne e quattro bicchieri. Ovviamente invitò le signore a farci compagnia.
Justine e Sofie erano veramente graziose nei loro abitini dorati, con le spalline fini e gli orecchini pendenti. Parlavano un falso accento francese.
˗Da dove venite?
Marco diede la sua classica risposta, sorridendo malizioso:
˗Noi veniamo da Amor.
Risolini falsamente ingenui delle due ragazze, che non capirono lo scherzo. Per cui, come sempre, intervenni io:
-Roma. Amor è Roma al contrario.
-Uffa, io preferivo Amor˗ s’imbronciò Sofie.
Marco prese alcune fiche e s’alzò in piedi. Tese la mano alla ragazza e:
-Allora andiamo˗ disse, mentre lo imitavo con l’altra.
Mezz’ora dopo avevamo ripreso a vincere, carichi e appagati. Tutto andava come previsto, ancora qualche buona mano, poi avremmo perso qualcosa per motivare il nostro abbandono.
Ce ne saremmo andati più ricchi che mai.
Tutto perfetto, finché non notai Justine parlottare con una guardia e Marco stringermi con forza la spalla.
˗Ho fatto una cazzata, amico˗ gli sussurrai.
Capì che mi ero lasciato andare con la signora, che mi ero vantato delle sue capacità. Che ci avevo fottuti.
Mi si gelò il sangue nelle vene, in quel luogo non avevano pietà per bari e complici.
Non ebbi nemmeno il tempo di pensare alla fuga, che già Marco veniva trascinato via da due energumeni e un terzo si piazzava al suo posto:
˗Gioca˗ mi intimò.
Sapevo che avrei perso tutto, era certo, speravo solo che mi lasciassero andare prima di finire rovinato.
Maledicevo la mia stupidità, il mio maledetto piano e la supponenza con cui ci eravamo ficcati in quel guaio.
Avevamo cenato vicino al Valentino. Sui letti della pensione ci aspettavano gli smoking a nolo, in tasca diecimila euro, ricavati vendendo le nostre auto.
˗E se perdiamo tutto, Marco?
˗Non succederà, sarà il destino a guidarci. La prima stanza è quella del bacarat, lì è solo fortuna, io non posso farci niente. Se vinceremo sarà il segno della buona sorte e, se sarà abbastanza, ci inviteranno nella stanza del blackjack. Una volta lì ci penserò io, tranquillo. Ricordi i segni?
Annuii, li avevamo ripassati decine di volte da quando gli avevo parlato di quel casinò clandestino a Torino. Me lo aveva spifferato il figlio della vicina, con un braccio appeso al collo e il volto tumefatto.
˗È senza limiti˗ mi aveva spiegato, ˗Se sei fortunato puoi fare un sacco di grana.
Non ero ancora rientrato a casa che già pianificavo.
L’importante, mi dicevo, è non perdere più di quanto si possiede. Sapevo dal vicino che se fosse accaduto nella stanza del blackjack mi avrebbero spezzato le ossa. Oppure avrei potuto provare a rifarmi nella stanza del poker.
No, non avrei mai chiesto di andarci, perché significava potersi arricchire tanto quanto finire senza un futuro o, se eri abbastanza disperato, dover chiedere di passare nell’ultima stanza: quella dove era possibile azzerare ogni debito e tornare a casa integro.
Quella che si apriva solo quando i disperati erano cinque e dove una pistola veniva caricata con un solo proiettile. Dove ognuno doveva puntarsela alla tempia per spararsi, e se il colpo fosse andato a vuoto, passarla al successivo. A turno, finché non saltava la prima testa.
Ma io già elaboravo il piano, vedendomi ricco e dicendomi che per nulla al mondo sarei finito nell’ultima stanza. Non sarebbe accaduto.
Anche se non potevo fare a meno di rabbrividire, quasi eccitarmi con gli occhi chiusi, immaginandomi in una stanza buia, pregna di terrore, con il freddo della pistola contro la mia tempia, la canna che preme sulla pelle, viscida di paura.
Sì, quasi lo desiderai.

Re: [MI151] Le stanze

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Ciao @L'illusoillusore, il tuo racconto mi è piaciuto molto! La voglia di fare soldi, il piano perfetto che poi non è in realtà così perfetto, il peccato di superbia che li porta a perdere tutto, è un racconto ben misurato, il tuo, che ho letto con piacere. Secondo me hai anche giocato bene con il tema della traccia, qui il fine/inizio è chiaro e funziona molto bene.
L ha scritto: Nessuno poteva immaginarlo, perché significava tenerne a mente 104, eppure lui ne era capace e come promesso, dopo neanche trenta minuti il nostro bottino era di quasi trecentomila euro.
Questa forse è l'unica parte debole del racconto. Contare le carte a blackjack non è così impossibile, e chi gestisce una bisca clandestina i trucchetti li conosce. Per cui quando dici:
L ha scritto: Io giocavo, lui stava in piedi dietro di me e mi toccava il braccio in modi diversi a seconda di quel che dovevo fare.
Di nuovo, un gruppo che gioca a blackjack con un tizio che sta dietro uno dei giocatori e lo tocca a ogni turno è un pò sospetto.

Personalmente ho visto la parte che ho citato qui su come un'altra delle imperfezioni del piano che hanno poi portato a ciò che racconti nell'incipit, quindi non mi ci sono soffermato tanto. Come detto prima, però, davvero carino il tuo racconto.

Ci si legge :D

Re: [MI151] Le stanze

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Ciao! Fantastica l'idea di Amor/Roma. Rende il personaggio "piacione" in un istante fulmineo, senza bisogno di altre descrizioni e ho potuto cogliere tutto l'imbarazzo del primo incontro fra sconosciuti. Bellissimo. Il racconto funziona in modo eccellente per larga parte (anche io ho trovato un po' artificiose le scelte in merito al modo in cui li fai giocare), ma al netto di tutto la storia funziona ed è appassionante vedere come due amici un po' sprovveduti improvvisino questo piano e le difficoltà incontrate. Complimenti! <3

Re: [MI151] Le stanze

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@Ólafr grazie per essere passato!
Sono contento che il racconto ti sia piaciuto.
Riguardo alle tue annotazioni, ti confermo che non ho grande esperienza di casinò e per il "contare le carte" ho fatto riferimento al film Rain man, con Dustin Hoffman e Tom Cruise. D'altronde per me la "tecnica" era un passaggio necessario ma non focalizzante della narrazione.
Invece l'improbabile metodo di segnalazione al blackjack è, come dici tu, voluto. Un sassolino in un piano apparentemente perfetto...

Grazie e a rileggerti!

Re: [MI151] Le stanze

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@Loscrittoreincolore grazie per i complimenti.
Le tecniche sono artificiose un po' perché voluto (per evidenziare una imbranataggine dei due tipi) un po' perché non conosco bene il contesto, un po' perché spiegarle era un male indispensabile per la narrazione, ma gli 8.000 caratteri mi hanno dissuaso da spiegazione più articolate. Insomma, forse sbagliando, non lo vedevo come elemento cardine.

A rileggerti!

Re: [MI151] Le stanze

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L ha scritto: @Loscrittoreincolore grazie per i complimenti.
Le tecniche sono artificiose un po' perché voluto (per evidenziare una imbranataggine dei due tipi) un po' perché non conosco bene il contesto, un po' perché spiegarle era un male indispensabile per la narrazione, ma gli 8.000 caratteri mi hanno dissuaso da spiegazione più articolate. Insomma, forse sbagliando, non lo vedevo come elemento cardine.

A rileggerti!
Sì, ma infatti è una piccolezza che ti ho solo sottilineato qualora volessi riscrivere il racconto più in là, che non inficia affatto la bontà del racconto <3

Re: [MI151] Le stanze

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Ciao @L'illusoillusore
Ci hai abituati alla bella scrittura e questo racconto non è da meno. Una bella interpretazione della traccia con la giusta tensione emotiva. Mi è piaciuta soprattutto la parte iniziale con la descrizione dell’arma e del movimento del tamburo. Poi mi sono lasciata trasportare dalle immagini perché non conosco i giochi di carte e dunque non ho potuto cogliere tutte le finezze che di sicuro hai inserito nella narrazione. 
Sempre un gran piacere leggerti 🌼

Re: [MI151] Le stanze

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Il vizio del gioco, una parola di troppo a un'entraineuse al casinò, e il protagonista viene avvolto in una spirale di follia disperante, attraversando le sale coi vari tavoli approntati per saper vincere o perdere tutto, sino all'ultima stanza, dove ci si gioca la vita alla roulette russa.

Sei stato molto bravo a congegnarlo, @L'illusoillusore   :)

Il pezzo che mi ha colpito di più è questo:
L ha scritto: Mi fissano quattro sconosciuti che aspettano solo la mia morte. Non li avevo mai visti prima di questa maledetta nottata, gli auguro di crepare.
Il dito sul grilletto si contrae.
Ti suggerisco di sostituire la virgola dopo "nottata" con i due punti.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI151] Le stanze

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@Poeta Zaza
ciao e grazie per il commento. Incastrare tutti i passaggi in maniera che fossero il più comprensibili possibile senza svelare troppo non è stato banale. Contento che abbia funzionato, però tu dici che
Poeta Zaza ha scritto: una parola di troppo a un'entraineuse al casinò, e il protagonista viene avvolto in una spirale di follia disperante
Siamo sicuri che sia così? In fondo, immaginando la scena all'inizio della vicenda (la fine del racconto), lo stesso pensa:

L ha scritto: Sì, quasi lo desiderai.
E se avesse fatto tutto apposta?  ;)  

Grazie per il commento e a rileggerti !

PS: sì, metterò  i due punti!

Re: [MI151] Le stanze

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Ciao @L'illusoillusore
Gran bel racconto in stile Casinò Royale, scorrevole, naturale e tambureggiante. Giuro che, fino a quando i due non si sono rivelati un po' degli sbarbati, ho pensato potesse saltar fuori una spy story. :D
L'atmosfera mi è piaciuta parecchio, come avrai capito dal racconto che ho scritto per lo scorso MI, e la parte del poker è scritta bene e in modo chiaro, si vede che è pensata bene. Come dicono sopra, la parte del black Jack è più ingenua, ma ci sta, soprattutto in un corto in cui il gioco è giusto un motore di trama.
I dialoghi, secondo me, sono il punto più alto: hanno quel tono sopra le righe, tanto da divertire in una situazione seria, ma non troppo da risultare fasulli. Soprattutto quelli col barista e con le ragazze sono spassosi e riesco ad immaginarli in un film.
I personaggi sono tracciati quel tanto, come è di solito in questo genere, più da caratteristiche fisiche, particolari e da qualche tic, che non intralciano il ritmo. 
La struttura centra in pieno la traccia senza risultare artificiosa, anzi, ne fa un valore aggiunto. Avrei piazzato uno spazio tra il capoverso iniziale e quello dove c'è il salto temporale, ma è un parere e cambia poco.
(y)  !ovarB  :D

Re: [MI151] Le stanze

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Ciao @L,
Non so se sono riuscita a taggarti...
Un bel racconto dal taglio cinematografico, sarà perché la roulette russa mi fa pensare a un bellissimo film, sarà perché ho pensato anch'io alla scena di Rain man, ma l'ho trovato un racconto molto visivo. 
Scriverei fiche in corsivo, sia perché è una parola straniera e sia per evitare non voluti doppi sensi..
Ecco che ho trovato la prima pistola puntata alla tempia, ora vado a scovare l'altra 😄
Una buona prova!

Re: [MI151] Le stanze

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ciao @L. Quante pistole col colpo in canna in questo MI  :D

Il mondo è pieno di gente che pensa di risolvere tutti i problemi giocando al casinò o in qualsiasi luogo. Alla fine si prova quasi un velo di pietà verso queste persone che finiscono per distruggersi la vita: perché così si finisce, è stato già provato. Il gioco comunque è una droga, che trova il terreno fertile proprio su chi non ha volontà e non conosce disciplina, autostima. Anche a te i complimenti per la tua capacità di raccontare, anche se  il racconto è incentrato sul tavolo da gioco per la maggior parte: è un pò riduttivo. Ciao a presto
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI151] Le stanze

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@L ciao.  Sono andato a rileggermi il tuo racconto per capire se il mio fosse un commento troppo affrettato, a volte capita. Ma in effetti quello che volevo segnalarti è che il tuo racconto, nella parte dove parli della stanza da dove si può uscire senza debiti, quella della roulette russa a cinque, è inverosimile.
Come pure la bisca clandestina senza limite. Detto questo è ovvio che giochi tra il reale e il surreale. Ma nel film da te citato " Il cacciatore" la scena della roulette russa è decisamente drammatica. A parte, questo film stupendo, è stato sceneggiato proprio a rebours,  ma non è un incrocio di reale/ surreale.
Quello che dico è che il riduttivo della trama , si ritrova quando usi l'escamotage del surreale, per riuscire a dare una giustificazione a questa roulette russa. Diciamo, un piccolo difetto di fabbrica. Mi auguro di essere stato chiaro: a volte non lo sono. Ciao (y)
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI151] Le stanze

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@bestseller2020
Grazie del tempo speso per spiegarmi.  Sono un po' confuso perché mi sa che abbiamo pti di vista molto diversi (e per fortuna: sai che noia se fossimo tutti uguali?  :P ).
Intendo dire che per me è inverosimile (spero) che a Torino ci sia un luogo dove si pratichi la roulette russa (invece temo che le bische clandestine senza limite ci siano eccome), quindi non avrei dovuto scrivere nulla ab origine. Ma il piacere di una storia (la sospensione dell'incredulità -se non sbaglio termine-) va oltre quell'aspetto: se si sospende l'incredulità, tutta la narrazione diventa reale, non ci sono giochi tra sur/realtà.
Ho provato a trasmettere un sapore, una serie di sensazioni che ingaggiassero e coinvolgessero come puro divertissement. Probabilmente non ci sono riuscito e mi impegnerò per migliorare!
A rileggerti con altri preziosi spunti di riflessione!
PS il Cacciatore mi ha dato l'idea della roulette russa, lungi da me volerne toccare il livello in 8k caratteri  :metal2:(o infiniti caratteri  :s )

Re: [MI151] Le stanze

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L ha scritto: E se perdiamo tutto, Marco?
Non succederà, sarà il destino a guidarci.
Qui sopra circoscrivi ottimamente il nucleo del dramma del giocatore seriale.
Mi pare davvero ben condotta la sequenza temporale a ritroso, e il racconto si legge molto volentieri. 
L ha scritto: Una donna con i capelli legati sulla nuca che lasciavano scoperto il collo, lungo e magro. Con il dito attorcigliava nervosa un filo di perle; perdeva quasi quanto me.
Di fronte a lei un ometto insignificante, con un gilet nero sulla camicia abbondantemente bagnata. Lui vinceva e aveva appena lasciato la mano.
Alla sua destra l’ultimo giocatore, paffuto e con profonde occhiaie scure
Pochi tratti per contestualizzare in modo egregio la sala del casinò. La descrizione della donna è la più accurata e bella: forse si potrebbe sostituire "insignificante" con qualche tratto distintivo. 
Ti ringrazio per la lettura, @L'illusoillusore.
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