[MI151] A tutti i costi
Posted: Sun May 23, 2021 9:16 pm
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Traccia di mezzogiorno. A rebours.
Luglio, venerdì 16, 1992.
La gente furiosa si accalcava di fronte alla stazione dei carabinieri. Era stata una giornata rovente, e il calar del sole, non mitigava l'afa che richiamava le zanzare al solito banchetto di sangue. Sudore e punture, un cocktail micidiale, capace di mandare in bestia chiunque.
Il cordone di sicurezza delle forze dell'ordine, predisposto al di fuori della caserma, indietreggiò sulla spinta della massa inferocita, quando si aprì il cancello elettrico per far passare la volante.
All'interno di essa, sul sedile posteriore, a testa china, qualcuno si nascondeva la faccia per mezzo dei fogli di carta bianca che stringeva tra le mani.
“ Assassino! Infame! Devi morire bastardo!”, prese a urlare la gente che si gettava sull'auto blu, con l'intento di bloccarle la via di fuga. Sulla carrozzeria decine di mani accaldate e vogliose di farsi sentire, presero a sbattere energicamente. L'autista non si fermò, procedette pian piano, obbligando la gente a indietreggiare. Il cordone degli agenti presero a spintonare chi insisteva nel voler ostacolare il passaggio dell'auto, la quale, superate le ultime resistenze, con un vistoso stridio di gomme, scaricò sulla trazione posteriore tutta la potenza del motore Alfa Romeo . E poi l'auto, a sirene spiegate, si diresse verso il carcere circondariale: la nuova dimora di Mirko Scalas.
Erano passati tre giorni da quando un ignaro passante, aveva notato del fumo provenire da un materasso abbandonato per la campagna. La solita passeggiata per portare il cane a correre un po, per quelle stradine sterrate, in mezzo a cumuli di rifiuti abbandonati. Ma l'uomo era stato attirato, non tanto del fumo, ma dai due cani randagi che si aggiravano attorno al materasso, mostrando una strana attenzione. L'uomo si era avvicinato, forte di aver a guinzaglio un poderoso pastore tedesco, con il quale, aveva allontanato i due randagi. Non era insolito che qualche materasso bruciasse per la campagna, ma stando lì vicino aveva avvertito l'odore della carne bruciata. A quel punto aveva ribaltato il materasso, facendo la macabra scoperta che a bruciare era un corpo di un uomo.
Mattia Ortis mancava da casa due giorni. I genitori ne avevano denunciato la scomparsa lo stesso giorno che non era rientrato a casa, come sua abitudine, per le undici. Il giovane ventenne di buona famiglia era un ragazzo tranquillo e pulito. Studiava in modo proficuo e mai era stato immischiato in fatti di natura illegale. La notizia del ritrovamento del corpo semi carbonizzato aveva destato profonda indignazione tra la gente. Chi mai aveva potuto fare una cosa così crudele?
Gli inquirenti avevano dedotto che il giovane era stato ucciso con un forte colpo alla nuca e poi gli era stato appiccato fuoco, non si sa con cosa, ricoperto con materiale vario, tra cui un materasso. Ma era stato proprio questa copertura a inibire il fuoco, e a far sì che lentamente si consumasse, ma senza distruggere quel povero corpo. L'intento dell'autore di far sparire il corpo non era riuscito. Tale operazione pareva fosse opera o di una banda criminale, alla quale poteva essere in ipotesi collegato il vissuto del giovane, o di un sprovveduto maldestro.
Ma un regolamento dei conti parve la strada preferenziale da seguire, perché emerse che il giovane aveva venduto la sua auto il giorno della sua sparizione. Tale fatto risultava dal passaggio di proprietà eseguito regolarmente presso un notaio. Ma i soldi dati in contanti per l'auto di lusso non si erano ritrovati, erano spariti, non si sapeva dove.
Persino i genitori non avevano idea del perché avesse fatto una cosa del genere. L'auto sportiva gliela avevano regalata loro per i suoi vent'anni, e lui, innamorato pazzo per quell'auto, mai se ne sarebbe liberato. In quale brutta storia si era infilato Mattia per essere stato costretto a venderla? A cosa gli erano serviti tutti quei soldi che aveva dichiarato al notaio di prendere in mano dall'amico Mirko Scalas, quest'ultimo felicissimo di fare l'acquisto, in quanto, pure lui appassionato di auto sportive?
Di tale acquisto, Mirko, non ne aveva nascosto il fatto, tant'è, che subito dopo il passaggio di proprietà, se ne era andato in giro per il paese a mettersi in bella mostra, in compagnia del suo inseparabile amico, Daniele Uras. Quella Toyota Celica turbo, rosso fuoco, accendeva l'invidia tra i giovani del paese: era quella la soddisfazione maggiore che provavano Mirko e Daniele, seduti su quei sedili di pelle nera, sellati a mano. Tutti gli amici con la bava alla bocca come degli sfigati, perdenti dalla nascita e destinati a vita a rimanere tali. Questo provava Mirko in sella al bolide dai cerchioni in lega tirati a lucido; lui era arrivato al traguardo che sempre aveva desiderato.
Ma una telefonata arrivò agli inquirenti, a ridosso del funerale del povero Mattia Ortis;
Il notaio che aveva stipulato la vendita dell'auto chiedeva di essere sentito.
Luglio, mercoledì 14, 1992.
Sono le nove del mattino. Mattia Ortis si incontra con il suo amico Mirko, con lui anche Daniele.
Si sono dati appuntamento perché Mirko vorrebbe provare la Celica turbo; anche lui vorrebbe comprarla uguale, ma vorrebbe il favore di vedere come ci si trova, prima di fare l'acquisto.
Mattia acconsente e lo lascia guidare. Percorrono a forte velocità le strade tra il degrado della campagna: “ Ei! Vai piano con le derapate, così mi mangi le gomme!”. Poi la macchina si ferma in una stradina sterrata senza uscita, all'ombra di due alberi di fico. Daniele, seduto sui sedili posteriori, colpisce alla nuca Mattia con un pugno di ferro. Mirko non perde tempo, in mano tiene una cordicella estratta dalla tasca dei pantaloni e la arrotola sul collo del semi cosciente ragazzo.
Mirko prende a stringere forte, più forte che può. Daniele esce dall'auto perché per un momento perde il coraggio e si tira indietro. Mattia muore strangolato da lì a poco. Poi, i due, estraggono il corpo e lo depositano giù nella cunetta. Raccolgono delle sterpaglie e fari rifiuti con cui ricoprono il corpo; accendono. Le fiamme divampano ed è a questo punto che i due gettano sopra anche il materasso abbandonato. Stanno per qualche minuto a guardare e poi salgono sulla Toyota Celica Turbo e si dirigono verso lo studio notarile. Daniele ha in mano i documenti di Mattia Ortis e si spaccia per lui di fronte alla ignara impiegata, che non si preoccupa di nulla e non si accorge dello scambio: “ quando ho fatto la patente avevo i capelli corti!”, esclama con un sorriso Daniele.
In cinque minuti si passa alla firma di fronte al notaio, anche lui non sospetterà niente; Mirko diviene il nuovo proprietario. Poi via a tutto gas, con il bolide sotto il proprio comando, a vantarsi dell'acquisto tra gli amici di bar e quelli delle piazzetta, gli sfigati, come li definisce lui.
Luglio, martedì 13, 1992. Il giorno prima del delitto.
Mirko e Daniele stanno seduti fuori dal bar, sul tavolino due birre. Una Toyota Celica Turbo sta passando per la strada; alla guida Mattia Ortis. I tre si salutano con un cenno di mano.
Mirko Scalas guarda il suo sogno allontanarsi, sputa per terra: “ Che cazzo ci fa con quella macchina la! È il solito sfigato figlio di papà... che coglione! Ma vedrai come la farò andare io quella macchina domani; perché sarà mia a tutti i costi!”.
Luglio, sabato 17, 1992.
Carcere Circondariale. La coscienza non ribolle e non medita. La morte di Mattia è rimasta sterile. Rimane solo l'afa, questa insopportabile afa.
Traccia di mezzogiorno. A rebours.
Luglio, venerdì 16, 1992.
La gente furiosa si accalcava di fronte alla stazione dei carabinieri. Era stata una giornata rovente, e il calar del sole, non mitigava l'afa che richiamava le zanzare al solito banchetto di sangue. Sudore e punture, un cocktail micidiale, capace di mandare in bestia chiunque.
Il cordone di sicurezza delle forze dell'ordine, predisposto al di fuori della caserma, indietreggiò sulla spinta della massa inferocita, quando si aprì il cancello elettrico per far passare la volante.
All'interno di essa, sul sedile posteriore, a testa china, qualcuno si nascondeva la faccia per mezzo dei fogli di carta bianca che stringeva tra le mani.
“ Assassino! Infame! Devi morire bastardo!”, prese a urlare la gente che si gettava sull'auto blu, con l'intento di bloccarle la via di fuga. Sulla carrozzeria decine di mani accaldate e vogliose di farsi sentire, presero a sbattere energicamente. L'autista non si fermò, procedette pian piano, obbligando la gente a indietreggiare. Il cordone degli agenti presero a spintonare chi insisteva nel voler ostacolare il passaggio dell'auto, la quale, superate le ultime resistenze, con un vistoso stridio di gomme, scaricò sulla trazione posteriore tutta la potenza del motore Alfa Romeo . E poi l'auto, a sirene spiegate, si diresse verso il carcere circondariale: la nuova dimora di Mirko Scalas.
Erano passati tre giorni da quando un ignaro passante, aveva notato del fumo provenire da un materasso abbandonato per la campagna. La solita passeggiata per portare il cane a correre un po, per quelle stradine sterrate, in mezzo a cumuli di rifiuti abbandonati. Ma l'uomo era stato attirato, non tanto del fumo, ma dai due cani randagi che si aggiravano attorno al materasso, mostrando una strana attenzione. L'uomo si era avvicinato, forte di aver a guinzaglio un poderoso pastore tedesco, con il quale, aveva allontanato i due randagi. Non era insolito che qualche materasso bruciasse per la campagna, ma stando lì vicino aveva avvertito l'odore della carne bruciata. A quel punto aveva ribaltato il materasso, facendo la macabra scoperta che a bruciare era un corpo di un uomo.
Mattia Ortis mancava da casa due giorni. I genitori ne avevano denunciato la scomparsa lo stesso giorno che non era rientrato a casa, come sua abitudine, per le undici. Il giovane ventenne di buona famiglia era un ragazzo tranquillo e pulito. Studiava in modo proficuo e mai era stato immischiato in fatti di natura illegale. La notizia del ritrovamento del corpo semi carbonizzato aveva destato profonda indignazione tra la gente. Chi mai aveva potuto fare una cosa così crudele?
Gli inquirenti avevano dedotto che il giovane era stato ucciso con un forte colpo alla nuca e poi gli era stato appiccato fuoco, non si sa con cosa, ricoperto con materiale vario, tra cui un materasso. Ma era stato proprio questa copertura a inibire il fuoco, e a far sì che lentamente si consumasse, ma senza distruggere quel povero corpo. L'intento dell'autore di far sparire il corpo non era riuscito. Tale operazione pareva fosse opera o di una banda criminale, alla quale poteva essere in ipotesi collegato il vissuto del giovane, o di un sprovveduto maldestro.
Ma un regolamento dei conti parve la strada preferenziale da seguire, perché emerse che il giovane aveva venduto la sua auto il giorno della sua sparizione. Tale fatto risultava dal passaggio di proprietà eseguito regolarmente presso un notaio. Ma i soldi dati in contanti per l'auto di lusso non si erano ritrovati, erano spariti, non si sapeva dove.
Persino i genitori non avevano idea del perché avesse fatto una cosa del genere. L'auto sportiva gliela avevano regalata loro per i suoi vent'anni, e lui, innamorato pazzo per quell'auto, mai se ne sarebbe liberato. In quale brutta storia si era infilato Mattia per essere stato costretto a venderla? A cosa gli erano serviti tutti quei soldi che aveva dichiarato al notaio di prendere in mano dall'amico Mirko Scalas, quest'ultimo felicissimo di fare l'acquisto, in quanto, pure lui appassionato di auto sportive?
Di tale acquisto, Mirko, non ne aveva nascosto il fatto, tant'è, che subito dopo il passaggio di proprietà, se ne era andato in giro per il paese a mettersi in bella mostra, in compagnia del suo inseparabile amico, Daniele Uras. Quella Toyota Celica turbo, rosso fuoco, accendeva l'invidia tra i giovani del paese: era quella la soddisfazione maggiore che provavano Mirko e Daniele, seduti su quei sedili di pelle nera, sellati a mano. Tutti gli amici con la bava alla bocca come degli sfigati, perdenti dalla nascita e destinati a vita a rimanere tali. Questo provava Mirko in sella al bolide dai cerchioni in lega tirati a lucido; lui era arrivato al traguardo che sempre aveva desiderato.
Ma una telefonata arrivò agli inquirenti, a ridosso del funerale del povero Mattia Ortis;
Il notaio che aveva stipulato la vendita dell'auto chiedeva di essere sentito.
Luglio, mercoledì 14, 1992.
Sono le nove del mattino. Mattia Ortis si incontra con il suo amico Mirko, con lui anche Daniele.
Si sono dati appuntamento perché Mirko vorrebbe provare la Celica turbo; anche lui vorrebbe comprarla uguale, ma vorrebbe il favore di vedere come ci si trova, prima di fare l'acquisto.
Mattia acconsente e lo lascia guidare. Percorrono a forte velocità le strade tra il degrado della campagna: “ Ei! Vai piano con le derapate, così mi mangi le gomme!”. Poi la macchina si ferma in una stradina sterrata senza uscita, all'ombra di due alberi di fico. Daniele, seduto sui sedili posteriori, colpisce alla nuca Mattia con un pugno di ferro. Mirko non perde tempo, in mano tiene una cordicella estratta dalla tasca dei pantaloni e la arrotola sul collo del semi cosciente ragazzo.
Mirko prende a stringere forte, più forte che può. Daniele esce dall'auto perché per un momento perde il coraggio e si tira indietro. Mattia muore strangolato da lì a poco. Poi, i due, estraggono il corpo e lo depositano giù nella cunetta. Raccolgono delle sterpaglie e fari rifiuti con cui ricoprono il corpo; accendono. Le fiamme divampano ed è a questo punto che i due gettano sopra anche il materasso abbandonato. Stanno per qualche minuto a guardare e poi salgono sulla Toyota Celica Turbo e si dirigono verso lo studio notarile. Daniele ha in mano i documenti di Mattia Ortis e si spaccia per lui di fronte alla ignara impiegata, che non si preoccupa di nulla e non si accorge dello scambio: “ quando ho fatto la patente avevo i capelli corti!”, esclama con un sorriso Daniele.
In cinque minuti si passa alla firma di fronte al notaio, anche lui non sospetterà niente; Mirko diviene il nuovo proprietario. Poi via a tutto gas, con il bolide sotto il proprio comando, a vantarsi dell'acquisto tra gli amici di bar e quelli delle piazzetta, gli sfigati, come li definisce lui.
Luglio, martedì 13, 1992. Il giorno prima del delitto.
Mirko e Daniele stanno seduti fuori dal bar, sul tavolino due birre. Una Toyota Celica Turbo sta passando per la strada; alla guida Mattia Ortis. I tre si salutano con un cenno di mano.
Mirko Scalas guarda il suo sogno allontanarsi, sputa per terra: “ Che cazzo ci fa con quella macchina la! È il solito sfigato figlio di papà... che coglione! Ma vedrai come la farò andare io quella macchina domani; perché sarà mia a tutti i costi!”.
Luglio, sabato 17, 1992.
Carcere Circondariale. La coscienza non ribolle e non medita. La morte di Mattia è rimasta sterile. Rimane solo l'afa, questa insopportabile afa.