Ti porterò soprattutto
Posted: Wed May 19, 2021 4:51 pm
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«Buongiorno, dottore. Ore otto e cinquantotto.»
«Buongiorno, Galatea. Prego, entri: che fa lì sulla soglia?»
«Mi scusi. Indugiavo, perché questo è il momento più bello. Sto qui, sulla soglia. Non più sul pianerottolo, non ancora nello studio. Sto in una terra di nessuno. Ho un’idea! Perché oggi non facciamo qui la seduta? Che ne dice?»
«Dico che sarebbe un esperimento interessante, ma impraticabile. Le persone entrano ed escono da questa porta in continuazione. Loro darebbero fastidio a noi e noi gli impediremmo il passaggio. Inoltre, la psicoterapia segue regole ben precise, una delle quali è rappresentata dal luogo fisico in cui la seduta si deve svolgere.»
«È vero. Odio dovermi tutte le volte scontrare con la nuda realtà dei fatti. “Sarebbe bello, ma è impossibile.” Sì, mi rendo conto. Va bene, entro.»
«Si accomodi.»
«Dottore, oggi vorrei farmi perdonare per la scortesia dell’ultima volta. Senta cosa ho pensato: se al dottore dà fastidio ricevere regali, di certo ha piacere nel farli. Allora ho preparato un piccolo regalo che lei farà a me. Eccolo. L’ho incartato per bene, ma si tratta sempre di un foglio. Tenga, me lo dia. Oh, grazie, dottore! Lo apro subito. Che bella velina lilla! Ecco, lo scarto: una canzone di Franco Battiato, una delle mie preferite! Che bel pensiero ha avuto. La ringrazio tanto.»
«Posso vedere anch’io di che si tratta? Tanto per partecipare alla pantomima, visto che sono il secondo attore.»
«Ma certo, prego. Tenga.»
«Dunque, ricapitoliamo: lei porta una canzone di Battiato, incartata, affinché gliene faccia dono. Immagina di riceverla dalle mie mani e scarta una cosa che già conosce, fingendo stupore. Ora mi accingo a leggere il testo che nella simulazione le ho appena regalato e di cui ignoro il contenuto.»
«Perfetto. Ha riassunto in modo impeccabile, a parte il “fingendo stupore”. Non fingo mai lo stupore. Sono stupita davvero.»
«D’accordo. Ora vediamo di che canzone si tratta. Ah, bellissima: La cura. Posso leggerla ad alta voce?»
«Ne sarei felice.»
«Allora comincio. “Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie / dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, / dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, / dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai. / Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore / dalle ossessioni delle tue manie / e guarirai da tutte le malattie. / Perché sei un essere speciale / ed io avrò cura di te. / Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza, / percorreremo assieme le vie che portano all’essenza / conosco le leggi del mondo e te ne farò dono / ti salverò da ogni malinconia. / Perché sei un essere speciale / ed io avrò cura di te. / Io sì che avrò cura di te”. Ma non è il testo completo: ne ha omesso una gran parte. Perché?»
«Be’, perché le parti omesse non ci riguardano. Mi ha regalato uno splendido testo in cui si parla del prendersi cura. Grazie, dottore. Esaminiamo le frasi una a una: vede che si tratta proprio di uno psicoterapeuta che parla al paziente?»
«Sotto questo aspetto non l’avevo mai ascoltata. A me è sempre sembrata un’intensa canzone d’amore.»
«Certo che è una canzone d’amore. Per sé stessi e per gli altri. Senza amore non può esserci il prendersi cura. L’analista si prende a cuore il paziente, e vuole aiutarlo. Quindi lo ama, lo ama di un amore salvifico. Io, per esempio, amo le mie vecchiette. Vorrei salvarle dalla solitudine, dal vuoto desolato che spesso colgo nei loro occhi. Lei mi aiuterà a proteggermi dai turbamenti, dall’ipocondria, dalle eccessive malinconie, dai rituali ossessivi. A sollevarmi dai fallimenti, dai rimpianti, dalle colpe. Mi aiuterà a conoscere meglio me stessa, mi farà dono della pazienza e delle leggi del mondo. Perché sono un essere speciale, e lei avrà cura di me. Le racconto come è andata la prima settimana di lavoro al bar di via Flavia?»
«Certo. L’ascolto.»
«Faccio un riassunto veloce o narro con dovizia di particolari, scala uno a uno?»
«Be’, se mi racconta la settimana scala uno a uno, ci mettiamo un’altra settimana.»
«Ha ragione. Sa che questo aspetto della realtà rappresenta una delle mie principali fonti d’angoscia? Se impieghiamo molto del nostro tempo a scattare fotografie, a girare video dei posti nuovi che visitiamo, dei compleanni e dei matrimoni di tutti i parenti e gli amici; dei viaggi, le lauree, le torte, i fiori, i gatti, le occasioni speciali; se sommiamo tutto ciò a foto e film che ci hanno fatto i nostri genitori quando eravamo piccoli e mentre crescevamo, ecco, non le sembra che bisognerebbe rivivere una vita intera solo per poter visionare tutto questo materiale? Da quando, poi, si è passati al digitale, l’angoscia si è moltiplicata. Mio padre, nei viaggi, si portava dietro due o tre rullini da trentasei foto, e, finiti quelli, di solito si fermava. Adesso le foto sono migliaia, migliaia di migliaia, centinaia di migliaia di migliaia: non c’è un limite. A me i limiti piacciono, danno sicurezza. Dunque, dicevamo della settimana di prova. È andata molto bene: sono stata assunta. La divisa è bella: maglietta di cotone a maniche lunghe, color prugna, con un righino nero sul colletto; pantaloni a nostra scelta, perché dal bacino in giù si è coperti da un elegantissimo grembiule di un tono di nero profondo, tagliato un po’ sghembo, che si allaccia di dietro, all’altezza della vita. Sul davanti vi è una tasca molto ampia, per contenere penne e blocchetti vari. Le scarpe somigliano a quelle delle infermiere, però scure. Molto comode. Insomma, è andata bene. Sono stata affidata a una simpatica ragazza, Miriam, della quale seguo con diligenza ogni movimento. È riservata e silenziosa, ma affabile. Mi sono concentrata su ogni particolare e da lei ho imparato molto. Credo che la nostra ora sia finita, vero, dottore?»
«Vero. La seduta con lei è molto frustrante. Arrivederci, Galatea.»
«Arrivederci, dottore.»
Una rabbia potente mi invade. Si sarà domandato il dottore perché mi sono licenziata dalla casa editrice?
Forse una delle scatole in cui hanno rinchiuso la psicoanalisi porta l’etichetta «Mai intromettersi nella vita del paziente con domande che potrebbe percepire come invadenti». Oppure se n’è soltanto dimenticato. Mi confonderà con qualcun altro. O, forse, dovrei cercarmi un’analista donna. Gli uomini, per loro natura, non si interessano, non sollecitano, non parlano, non domandano.
C’è, tra uomo e donna, una discordanza che a volte mi spaventa. Una frattura insanabile, una sospensione. Non è vero che siamo fatti l’uno per l’altra. Anatomicamente, forse. Maschio e femmina percepiscono il mondo in modo diverso: come ci si può comprendere? Dissonanza perenne, disarmonia totale. Se non interviene l’Amore che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta, tra uomo e donna è guerra spietata, incessante.
In seduta mi trattengo dal fare domande perché so che una legge non scritta lo vieta. La tecnica subdola che usano gli analisti è risponderti con un’altra domanda: «Vogliamo capire insieme la profonda motivazione di questa sua istanza?».
Ma quale profonda motivazione. Sono domande, semplici domande. Ti interessa chi hai di fronte e lo manifesti così, chiedendo: qual è il suo dolce preferito? In una scala da uno a dieci, dove piazzerebbe Dersu Uzala? No, loro vogliono essere misteriosi, irraggiungibili. Grande errore. Già va sopportata l’asimmetria inevitabile della relazione, e non è peso da poco.
Attenta, Galatea: sei ingiusta. E anche piena di pregiudizi: leggere testi taoisti non ti è servito a niente?
Questo brano è tratto da un mio romanzo in corso di pubblicazione. Lo posto qui, oggi, come omaggio a Franco Battiato.
«Buongiorno, dottore. Ore otto e cinquantotto.»
«Buongiorno, Galatea. Prego, entri: che fa lì sulla soglia?»
«Mi scusi. Indugiavo, perché questo è il momento più bello. Sto qui, sulla soglia. Non più sul pianerottolo, non ancora nello studio. Sto in una terra di nessuno. Ho un’idea! Perché oggi non facciamo qui la seduta? Che ne dice?»
«Dico che sarebbe un esperimento interessante, ma impraticabile. Le persone entrano ed escono da questa porta in continuazione. Loro darebbero fastidio a noi e noi gli impediremmo il passaggio. Inoltre, la psicoterapia segue regole ben precise, una delle quali è rappresentata dal luogo fisico in cui la seduta si deve svolgere.»
«È vero. Odio dovermi tutte le volte scontrare con la nuda realtà dei fatti. “Sarebbe bello, ma è impossibile.” Sì, mi rendo conto. Va bene, entro.»
«Si accomodi.»
«Dottore, oggi vorrei farmi perdonare per la scortesia dell’ultima volta. Senta cosa ho pensato: se al dottore dà fastidio ricevere regali, di certo ha piacere nel farli. Allora ho preparato un piccolo regalo che lei farà a me. Eccolo. L’ho incartato per bene, ma si tratta sempre di un foglio. Tenga, me lo dia. Oh, grazie, dottore! Lo apro subito. Che bella velina lilla! Ecco, lo scarto: una canzone di Franco Battiato, una delle mie preferite! Che bel pensiero ha avuto. La ringrazio tanto.»
«Posso vedere anch’io di che si tratta? Tanto per partecipare alla pantomima, visto che sono il secondo attore.»
«Ma certo, prego. Tenga.»
«Dunque, ricapitoliamo: lei porta una canzone di Battiato, incartata, affinché gliene faccia dono. Immagina di riceverla dalle mie mani e scarta una cosa che già conosce, fingendo stupore. Ora mi accingo a leggere il testo che nella simulazione le ho appena regalato e di cui ignoro il contenuto.»
«Perfetto. Ha riassunto in modo impeccabile, a parte il “fingendo stupore”. Non fingo mai lo stupore. Sono stupita davvero.»
«D’accordo. Ora vediamo di che canzone si tratta. Ah, bellissima: La cura. Posso leggerla ad alta voce?»
«Ne sarei felice.»
«Allora comincio. “Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie / dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, / dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, / dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai. / Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore / dalle ossessioni delle tue manie / e guarirai da tutte le malattie. / Perché sei un essere speciale / ed io avrò cura di te. / Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza, / percorreremo assieme le vie che portano all’essenza / conosco le leggi del mondo e te ne farò dono / ti salverò da ogni malinconia. / Perché sei un essere speciale / ed io avrò cura di te. / Io sì che avrò cura di te”. Ma non è il testo completo: ne ha omesso una gran parte. Perché?»
«Be’, perché le parti omesse non ci riguardano. Mi ha regalato uno splendido testo in cui si parla del prendersi cura. Grazie, dottore. Esaminiamo le frasi una a una: vede che si tratta proprio di uno psicoterapeuta che parla al paziente?»
«Sotto questo aspetto non l’avevo mai ascoltata. A me è sempre sembrata un’intensa canzone d’amore.»
«Certo che è una canzone d’amore. Per sé stessi e per gli altri. Senza amore non può esserci il prendersi cura. L’analista si prende a cuore il paziente, e vuole aiutarlo. Quindi lo ama, lo ama di un amore salvifico. Io, per esempio, amo le mie vecchiette. Vorrei salvarle dalla solitudine, dal vuoto desolato che spesso colgo nei loro occhi. Lei mi aiuterà a proteggermi dai turbamenti, dall’ipocondria, dalle eccessive malinconie, dai rituali ossessivi. A sollevarmi dai fallimenti, dai rimpianti, dalle colpe. Mi aiuterà a conoscere meglio me stessa, mi farà dono della pazienza e delle leggi del mondo. Perché sono un essere speciale, e lei avrà cura di me. Le racconto come è andata la prima settimana di lavoro al bar di via Flavia?»
«Certo. L’ascolto.»
«Faccio un riassunto veloce o narro con dovizia di particolari, scala uno a uno?»
«Be’, se mi racconta la settimana scala uno a uno, ci mettiamo un’altra settimana.»
«Ha ragione. Sa che questo aspetto della realtà rappresenta una delle mie principali fonti d’angoscia? Se impieghiamo molto del nostro tempo a scattare fotografie, a girare video dei posti nuovi che visitiamo, dei compleanni e dei matrimoni di tutti i parenti e gli amici; dei viaggi, le lauree, le torte, i fiori, i gatti, le occasioni speciali; se sommiamo tutto ciò a foto e film che ci hanno fatto i nostri genitori quando eravamo piccoli e mentre crescevamo, ecco, non le sembra che bisognerebbe rivivere una vita intera solo per poter visionare tutto questo materiale? Da quando, poi, si è passati al digitale, l’angoscia si è moltiplicata. Mio padre, nei viaggi, si portava dietro due o tre rullini da trentasei foto, e, finiti quelli, di solito si fermava. Adesso le foto sono migliaia, migliaia di migliaia, centinaia di migliaia di migliaia: non c’è un limite. A me i limiti piacciono, danno sicurezza. Dunque, dicevamo della settimana di prova. È andata molto bene: sono stata assunta. La divisa è bella: maglietta di cotone a maniche lunghe, color prugna, con un righino nero sul colletto; pantaloni a nostra scelta, perché dal bacino in giù si è coperti da un elegantissimo grembiule di un tono di nero profondo, tagliato un po’ sghembo, che si allaccia di dietro, all’altezza della vita. Sul davanti vi è una tasca molto ampia, per contenere penne e blocchetti vari. Le scarpe somigliano a quelle delle infermiere, però scure. Molto comode. Insomma, è andata bene. Sono stata affidata a una simpatica ragazza, Miriam, della quale seguo con diligenza ogni movimento. È riservata e silenziosa, ma affabile. Mi sono concentrata su ogni particolare e da lei ho imparato molto. Credo che la nostra ora sia finita, vero, dottore?»
«Vero. La seduta con lei è molto frustrante. Arrivederci, Galatea.»
«Arrivederci, dottore.»
Una rabbia potente mi invade. Si sarà domandato il dottore perché mi sono licenziata dalla casa editrice?
Forse una delle scatole in cui hanno rinchiuso la psicoanalisi porta l’etichetta «Mai intromettersi nella vita del paziente con domande che potrebbe percepire come invadenti». Oppure se n’è soltanto dimenticato. Mi confonderà con qualcun altro. O, forse, dovrei cercarmi un’analista donna. Gli uomini, per loro natura, non si interessano, non sollecitano, non parlano, non domandano.
C’è, tra uomo e donna, una discordanza che a volte mi spaventa. Una frattura insanabile, una sospensione. Non è vero che siamo fatti l’uno per l’altra. Anatomicamente, forse. Maschio e femmina percepiscono il mondo in modo diverso: come ci si può comprendere? Dissonanza perenne, disarmonia totale. Se non interviene l’Amore che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta, tra uomo e donna è guerra spietata, incessante.
In seduta mi trattengo dal fare domande perché so che una legge non scritta lo vieta. La tecnica subdola che usano gli analisti è risponderti con un’altra domanda: «Vogliamo capire insieme la profonda motivazione di questa sua istanza?».
Ma quale profonda motivazione. Sono domande, semplici domande. Ti interessa chi hai di fronte e lo manifesti così, chiedendo: qual è il suo dolce preferito? In una scala da uno a dieci, dove piazzerebbe Dersu Uzala? No, loro vogliono essere misteriosi, irraggiungibili. Grande errore. Già va sopportata l’asimmetria inevitabile della relazione, e non è peso da poco.
Attenta, Galatea: sei ingiusta. E anche piena di pregiudizi: leggere testi taoisti non ti è servito a niente?