Racconto a tinte giallo cadavere

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Racconto a tinte giallo cadavere


Carlo e la sua sottomissione. Ogni giornata poteva essere l’ultimo apostrofo. Di un racconto a tinte giallo cadavere. Come ogni insetto che considerasse casa un qualsiasi accumulo di spazzatura. Ma non tutti gli uomini sono nati soli.
Aveva avuto le sue occasioni, con una moglie. A cui non aveva mai voluto bene e di questo ringraziava se stesso. Un monolite.
Giada era stata la sua compagna di scuola, solo questo. Era nata per insegnare e cercava di farlo sempre. Anche con lui. Si erano sposati in un giorno di troppo sole e questo poteva costituire un indizio di una vita in comune, troppo vita.
I primi giorni furono dolori senza gioie, a cominciare dal pasto del mattino. Abbondante per lui, reciso per lei. Fondute di nulla in oceani di insalate magre che lui aborriva. Ma Carlo ci credeva e posticipava. Pensava nei momenti di solitudine. Rari. Quegli attimi in cui lei decideva di uscire, lasciandolo con una lista fitta di cose da fare. Ormai la casa dipendeva da lui. Era ciò che avevano deciso tempo prima. Lei con il suo lavoro da insegnante e lui fermo, a badare alla casa.
Certo, il sussidio di infermità mentale faceva comodo a entrambi. Costituiva una rendita sicura a cui lui non aveva mai attinto. Salvo a Natale, quando lei gli prometteva un regalo, modesto, che puntualmente si trasformava nell’ennesimo maglione di lana comprato durante una svendita estiva al centro commerciale. Molto utile per chi non usciva mai di casa.
L’ultimo dicembre, Carlo riuscì ad alzare la voce. Aveva sempre desiderato un telescopio, da piccolo. Gli fu negato dalla madre e più volte dalla moglie. Fino a che decise di fare lo sciopero della fame finché non gli fosse stato concesso.
Ottenne il desiderato. Fu felice, miseramente. Gli sguardi di sufficienza della moglie che gli chiedeva cosa se ne poteva mai fare un ritardato mentale di un simile attrezzo. Concludendo che, visto il costo notevole, gli sarebbe bastato per due o tre natali consecutivi.
Carlo fu contentissimo del regalo. In effetti non gli servì mai per rimirare le stelle. Ma per fantasticare su come fosse mai fatta una donna al di sotto dei vestiti che indossava. Non ne aveva mai vista una, dal vivo s’intende. Perché sul web poteva trovare di tutto e soddisfare le curiosità più spinte. Giada si spogliava in bagno. Poi si ficcava a letto col pigiama, anche d’estate e non si faceva sfiorare dal marito, mai. Così la curiosità crebbe in lui. Cominciò ad osservare la gente in strada col suo telescopio meraviglioso. Adorava fantasticare sulle forme delle donne che vedeva, immaginando che tutte si muovessero al ritmo di una filastrocca che risuonava nella sua testa da quando era nato. Dalla finestra vedeva tutte le forme che voleva, che danzavano sotto i suoi occhi come tante fiammelle. E la cosa gli piaceva fino a ridere a crepapelle quando gli occhi si soffermavano su quelle vestite in modo stravagante. E si convinceva di non essere l’unico ritardato. Forse il solo a passare il tempo alla finestra a guardare il mondo attraverso la lente di un telescopio. La filastrocca andava e diveniva sempre più frenetica man mano che passavano le ore. Solo in un’occasione rallentò. Vide la ragazza bellissima, attraversare la strada. I capelli lunghi, il viso dolce e quella stupenda gonna gialla che le svolazzava intorno, perfettamente a tempo con la musica che aveva in testa. E continuò a vederla ogni giorno alle dieci del mattino. Attraversare la solita strada vestita in modo sempre diverso. Ma a lui piaceva la gonna gialla. Perché in quel momento la musica rallentava fino a sparire del tutto. Carlo era veramente felice quando succedeva. Dimenticava chi era e si trasformava nel principe azzurro delle favole. E lei era la sua principessa con la gonna gialla. Giorno dopo giorno, mattina dopo mattina. All’infinito.
Un martedì principessa non passò. Per tutto il giorno. Neanche in quelli successivi. Carlo impazzì di dolore. Immaginò mille motivi che l’avevano spinta lontano da lui. Pensò anche al vento o alla pioggia o a mille altre possibilità. Alla fine concluse, dopo un mese in cui la musica era tornata prepotentemente a fargli male, che la principessa era morta. Come nelle favole.
Decise di raggiungerla. Ormai nulla poteva avere più senso. Neanche continuare a vivere nell’infelicità più completa.
Attese il ritorno di Giada, come tutti i giorni. Le preparò la cena al meglio che poteva e fu carinissimo per tutto il tempo. Anche quando lei non finiva di disprezzarlo e di urlargli contro per ogni cosa. Sembrava che Carlo fosse il responsabile della notte e del giorno, della luce e del buio.
Giada si mise a dormire alle undici, come d’abitudine. Carlo attese che la moglie si addormentasse e, verso mezzanotte, prese il cuscino e la soffocò.
Fu soddisfatto di se stesso e la musica nella sua testa rallentò di colpo. Spogliò Giada riuscendo a vedere, per la prima volta, come era fatta sotto i vestiti. La musica divenne ancora più leggera. Trovò una maglietta gialla nel guardaroba e gliela adagiò sulle gambe. Poi si sdraiò accanto alla principessa e chiuse gli occhi, felice di averla ritrovata.
E la musica terminò.

Re: Racconto a tinte giallo cadavere

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Atlab the Alchemist ha scritto: Carlo e la sua sottomissione. Ogni giornata poteva essere l’ultimo apostrofo. Di un racconto a tinte giallo cadavere. Come ogni insetto che considerasse casa un qualsiasi accumulo di spazzatura. Ma non tutti gli uomini sono nati soli.
Già si percepisce una tensione che non è bene augurante. Accenni intervallati da punti che sembrano essere collegati ma nello stesso tempo spezzati. Una scelta, immagino.
Atlab the Alchemist ha scritto: Aveva avuto le sue occasioni, con una moglie. A cui non aveva mai voluto bene e di questo ringraziava se stesso. Un monolite.
  Sembra che dal fatto che fosse un monolite derivasse il suo non voler bene. Non sono sicuro che le due cose sono associabili. Una è caratteriale (monolite), l'altra è una scelta o una conseguenza. Forse messo all'inizio darebbe un altro senso.
Atlab the Alchemist ha scritto: Giada era stata la sua compagna di scuola, solo questo. Era nata per insegnare e cercava di farlo sempre.
Una vera tragedia.
Atlab the Alchemist ha scritto: Si erano sposati in un giorno di troppo sole e questo poteva costituire un indizio di una vita in comune, troppo vita.
Questa è una sublime raffinatezza.
Atlab the Alchemist ha scritto: I primi giorni furono dolori senza gioie, a cominciare dal pasto del mattino. Abbondante per lui, reciso per lei. Fondute di nulla in oceani di insalate magre che lui aborriva. Ma Carlo ci credeva e posticipava. Pensava nei momenti di solitudine. Rari. Quegli attimi in cui lei decideva di uscire, lasciandolo con una lista fitta di cose da fare. Ormai la casa dipendeva da lui. Era ciò che avevano deciso tempo prima. Lei con il suo lavoro da insegnante e lui fermo, a badare alla casa.
E chi non andrebbe fuori di testa?
Atlab the Alchemist ha scritto: Certo, il sussidio di infermità mentale faceva comodo a entrambi. Costituiva una rendita sicura a cui lui non aveva mai attinto.
Se non si attinge mai potrei d'accordo, ma è veramente una miseria, elargito dall'inps...

Atlab the Alchemist ha scritto: Cominciò ad osservare la gente in strada col suo telescopio meraviglioso. Adorava fantasticare sulle forme delle donne che vedeva, immaginando che tutte si muovessero al ritmo di una filastrocca che risuonava nella sua testa da quando era nato. Dalla finestra vedeva tutte le forme che voleva, che danzavano sotto i suoi occhi come tante fiammelle. E la cosa gli piaceva fino a ridere a crepapelle quando gli occhi si soffermavano su quelle vestite in modo stravagante. E si convinceva di non essere l’unico ritardato. Forse il solo a passare il tempo alla finestra a guardare il mondo attraverso la lente di un telescopio. La filastrocca andava e diveniva sempre più frenetica man mano che passavano le ore. Solo in un’occasione rallentò. Vide la ragazza bellissima, attraversare la strada. I capelli lunghi, il viso dolce e quella stupenda gonna gialla che le svolazzava intorno, perfettamente a tempo con la musica che aveva in testa. E continuò a vederla ogni giorno alle dieci del mattino. Attraversare la solita strada vestita in modo sempre diverso. Ma a lui piaceva la gonna gialla. Perché in quel momento la musica rallentava fino a sparire del tutto. Carlo era veramente felice quando succedeva. Dimenticava chi era e si trasformava nel principe azzurro delle favole. E lei era la sua principessa con la gonna gialla. Giorno dopo giorno, mattina dopo mattina. All’infinito.
Bellissimo questo periodo. Descrivi la disperazione della persona che cerca con il delirio, fino all'ultimo, di dare un senso all'esistenza.
Atlab the Alchemist ha scritto: Un martedì principessa non passò. Per tutto il giorno. Neanche in quelli successivi. Carlo impazzì di dolore. Immaginò mille motivi che l’avevano spinta lontano da lui. Pensò anche al vento o alla pioggia o a mille altre possibilità. Alla fine concluse, dopo un mese in cui la musica era tornata prepotentemente a fargli male, che la principessa era morta. Come nelle favole.
Decise di raggiungerla. Ormai nulla poteva avere più senso. Neanche continuare a vivere nell’infelicità più completa.
Attese il ritorno di Giada, come tutti i giorni. Le preparò la cena al meglio che poteva e fu carinissimo per tutto il tempo. Anche quando lei non finiva di disprezzarlo e di urlargli contro per ogni cosa. Sembrava che Carlo fosse il responsabile della notte e del giorno, della luce e del buio.
Giada si mise a dormire alle undici, come d’abitudine. Carlo attese che la moglie si addormentasse e, verso mezzanotte, prese il cuscino e la soffocò.
Fu soddisfatto di se stesso e la musica nella sua testa rallentò di colpo. Spogliò Giada riuscendo a vedere, per la prima volta, come era fatta sotto i vestiti. La musica divenne ancora più leggera. Trovò una maglietta gialla nel guardaroba e gliela adagiò sulle gambe. Poi si sdraiò accanto alla principessa e chiuse gli occhi, felice di averla ritrovata.
E la musica terminò.
Hai descritto con il tuo racconto una dinamica molto verosimile, di sottomissione come appare dalla prima riga, ma non solo. Un rapporto che nel suo squilibrio trova un sottile equilibrio fino a quando, però, non ha più nulla su cui sostenersi. Bella la similitudine con le favole, il rifugio in una dimensione dove tutto è possibile, almeno fino a quando non arriva la morte della principessa. Ottima l'idea della litania della filastrocca (Le adoro, forse mi dovrò preoccupare)
Come spesso succede, la condizione di disagio psichico viene alimentata dalla persona che ti sta accanto, che a sua volta l'ha ereditata da altri, come una catena infinita; e il dramma è che nessuno se ne accorge se non colui che succube, incombe.
Una scrittura fatta di pennellate, come questa I primi giorni furono dolori senza gioie, a cominciare dal pasto del mattino. Abbondante per lui, reciso per lei. Fondute di nulla in oceani di insalate magre che lui aborriva. Che ti lasciano un attimo di sospensione.
Non dico che il finale sia l'unico possibile ma come diceva il vicino “Erano strani” lo diceva anche il resto del mondo senza nulla fare.
A rileggerti @Atlab the Alchemist

Re: Racconto a tinte giallo cadavere

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Ciao, @Atlab the Alchemist, piacere di ritrovarti. 
Ho letto con attenzione il tuo racconto e mi permetto di lasciare alcune considerazioni. La trama mi è sembrata interessante, ma vi è una patina di inverosimiglianza che secondo me la scombussola un po', e inoltre un certo disordine nello svolgimento non funzionale alla narrazione. 
Provo a esaminare da vicino il brano così da esemplificare le mie sensazioni. 
Atlab the Alchemist ha scritto: Carlo e la sua sottomissione. Ogni giornata poteva essere l’ultimo apostrofo. Di un racconto a tinte giallo cadavere. 
L'incipit ci presenta come caratteristica precipua di Carlo il suo essere sottomesso, ma nel prosieguo veniamo a sapere che l'uomo è affetto da un disturbo tale per il quale prende il sussidio d'infermità mentale. Inoltre, nell'espressione "avevano deciso tempo prima" mi pare di capire che entrambi, marito e moglie, scelgano che sia lui ad occuparsi delle faccende domestiche. Questo per dirti che non mi è sembrato di ravvisare nel brano elementi che facciano della "sottomissione" la prerogativa principale di Carlo. Anche alla luce del finale, la parte iniziale mi sembra un po' troppo slegata ed eccessivamente paratattica.
Atlab the Alchemist ha scritto: gio mag 13, 2021 12:19 pmCome ogni insetto che considerasse casa un qualsiasi accumulo di spazzatura. Ma non tutti gli uomini sono nati soli.
Qui non ho ben capito a cosa sia collegato il "come". Siccome non mi pare si leghi a ciò che precede, pensavo si collegasse alla frase successiva, ma non mi pare. Anche la considerazione sulla solitudine, posta qui, non mi è molto chiara.
Atlab the Alchemist ha scritto: gio mag 13, 2021 12:19 pmAveva avuto le sue occasioni, con una moglie. A cui non aveva mai voluto bene e di questo ringraziava se stesso. Un monolite.
Giada era stata la sua compagna di scuola, solo questo.
Perdonami, ma mi sorge una domanda che può apparire banale: se Carlo non ama Giada e lei evidentemente lo detesta fino ad umiliarlo, perché mai i due si sono sposati?
E poi, in che modo l'essere un "monolite" si aggancia alla caratteristica comportamentale della "sottomissione", cui si dà gran peso in quanto posta nella prima riga del racconto? La paratassi reiterata, che divide il testo in blocchi, non aiuta a mio avviso la comprensione.
Atlab the Alchemist ha scritto: gio mag 13, 2021 12:19 pmI primi giorni furono dolori senza gioie, a cominciare dal pasto del mattino. Abbondante per lui, reciso per lei. Fondute di nulla in oceani di insalate magre che lui aborriva. Ma Carlo ci credeva e posticipava. Pensava nei momenti di solitudine. Rari. Quegli attimi in cui lei decideva di uscire, lasciandolo con una lista fitta di cose da fare. Ormai la casa dipendeva da lui. Era ciò che avevano deciso tempo prima. Lei con il suo lavoro da insegnante e lui fermo, a badare alla casa.
Non mi è chiaro perchè il pasto del mattino (intendi la prima colazione, o il nostro pranzo? la presenza dell'insalata farebbe pensare al secondo) possa essere fonte di dolore solo per il fatto che le quantità di cibo ingerite dai due sono diverse. (Dal punto di vista formale, sostituirei inoltre "reciso" con "contenuto", o "parco".)
A cosa credeva Carlo, posticipandolo? E inoltre, perché sono definiti "rari" i suoi momenti di solitudine, visto che la moglie va al lavoro e lui sta solo in casa?
Perdona le numerose domande, ma mi piacerebbe capire.
Con i successivi episodi dei regali di Natale, il maglione e il telescopio, abbandoni lo stile paratattico per una modalità opposta, gonfia e quasi lamentosa. A questo punto, l'orizzonte cambia repentinamente e veniamo a sapere che la donna (non si sa perché) non si è mai concessa al marito, il quale non solo non ha mai visto una donna nuda, ma utilizzerà il tanto desiderato telescopio per fantasticare sui corpi femminili che osserva dalla finestra.
Segue un'altra virata: il testo diviene gradevolmente poetico nella descrizione della bella ragazza dai lunghi capelli e dalla gonna gialla. Costei diviene la principessa dei sogni di Carlo.
Atlab the Alchemist ha scritto: gio mag 13, 2021 12:19 pmDalla finestra vedeva tutte le forme che voleva, che danzavano sotto i suoi occhi come tante fiammelle. E la cosa gli piaceva fino a ridere a crepapelle quando gli occhi si soffermavano su quelle vestite in modo stravagante. (...) Vide la ragazza bellissima, attraversare la strada. I capelli lunghi, il viso dolce e quella stupenda gonna gialla che le svolazzava intorno.
La parte finale, invece, mi ha convinta e la considero molto interessante, soprattutto il particolare, eccellente, della maglietta gialla posta a mo' di gonna sulle gambe della moglie morta.
Sono del parere che, riorganizzando la parte iniziale e collegandola meglio col resto, possa venire fuori un racconto misterioso e particolare. 
Mille grazie per la lettura, e un saluto.
Atlab the Alchemist ha scritto: gio mag 13, 2021 12:19 pmCarlo attese che la moglie si addormentasse e, verso mezzanotte, prese il cuscino e la soffocò.
Fu soddisfatto di se stesso e la musica nella sua testa rallentò di colpo. Spogliò Giada riuscendo a vedere, per la prima volta, come era fatta sotto i vestiti. La musica divenne ancora più leggera. Trovò una maglietta gialla nel guardaroba e gliela adagiò sulle gambe.
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Re: Racconto a tinte giallo cadavere

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Ciao @Ippolita 
tante domande. Dunque. Lo stile "paratattico" è una caratteristica della mia scrittura che ho spesso sacrificato in favore della leggibilità. Tuttavia ho deciso di scrivere di getto, esattamente come le cose mi vengono in mente. Perdonami ma io scrivo così, se non lo facessi non sarei "io".
Carlo è sottomesso alla vita che la moglie ha deciso per lui. La sua vita è come quella di un insetto, spazzatura compresa. Carlo è un monolite della sottomissione.

Giada mirava al sussidio del marito per vivere "comodamente". E' la sola ad interessarsi a lui in quanto malato per cui Carlo la segue per non restare solo ma la filastrocca non smette di tormentarlo. Si rende conto che la moglie non è la "sua" principessa.

I momenti di solitudine di Carlo sono frequenti, quelli in cui riesce a "pensare" rari.
Spero di aver dissipato qualche dubbio.
Se vorrai leggermi in futuro (spero) vedrai che troverai cose poco comuni e non ti aspettare il solito sost-verb-complement.
Sono sempre stato un farabutto della parola.

A presto
Atlab

Re: Racconto a tinte giallo cadavere

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@Atlab the Alchemist ciao!
mi trovo a esprimere un pensiero sul tuo racconto per poter partecipare a MI152.  Ho scelto di cimentarmi con Racconto a tinte giallo cadavere perché mi è piaciuto ma al contempo spiazzato.
Cerco di spiegarmi meglio sul generico per poi entrare nei dettagli. Ovviamente se qualcosa ti è utile, prendilo, se no, non ti curar di me e passa innanzi.
Allora:
mi è piaciuta molto l'idea e con essa i tempi di sviluppo che hai dato. è un racconto che prende spazio, prende aria, come un progressivo alzarsi della nebbia che svela un paesaggio inaspettato. Sì, perché mi hai portato dove non avrei immaginato!
mi piace molto anche lo stile spezzettato, a micro frasi, anche se qui, forse, in alcuni passaggi hai un po' forzato (ci torno dopo).
mi è piaciuta la caratterizzazione dei due personaggi, ma solo "abbastanza" perché secondo me hai forzato troppo gli estremi, perdendo un po' di verosimiglianza. Il protagonista viene presentato come sottomesso, sì, ma con pensieri normali, mentre poi scopriamo la sua problematicità. Interpreto la filastrocca come un pensiero alienante e ricorrente: se così è, lo renderei più esplicito per far emergere le tare.
Anche il personaggio della moglie è molto estremo: vuole insegnare, mangia dietetico, non si fa vedere nuda (non fa sesso), lo accusa d'ogni male: ma perché se l'è sposato?
Un'altra cosa su cui rifletterei è il flusso della narrazione, che lascia un senso di disordine. Come se fosse buttato giù di getto e non revisionato.
Vediamo qualche dettaglio:

Carlo e la sua sottomissione. Ogni giornata poteva essere l’ultimo apostrofo. Di un racconto a tinte giallo cadavere. Come ogni insetto che considerasse casa un qualsiasi accumulo di spazzatura. Ma non tutti gli uomini sono nati soli.
L'incipit mi lascia perplesso. Ti ho scritto che mi piacciono gli stili spezzettati, ma secondo me qui hai forzato troppo. Credo che "Ogni giornata poteva essere l’ultimo apostrofo di un racconto a tinte giallo cadavere." sarebbe più efficace. Poi, aiutami a capire Ma non tutti gli uomini sono nati soli, non capisco come si lega con il matrimonio.


Era nata per insegnare e cercava di farlo sempre
WOW: una frase e il personaggio è delineato, bravo!


Si erano sposati in un giorno di troppo sole e questo poteva costituire un indizio di una vita in comune, troppo vita.
Anche qui! Sei davvero bravo nel sintetizzare situazioni e persone con immagini vivide ed efficaci.


I primi giorni furono dolori senza gioie
Scritto così lascia intendere che dopo migliora. Forse varrebbe la pena di iniziare con "Fin dai".


E si convinceva di non essere l’unico ritardato
Forte!


Decise di raggiungerla
Non ho capito perché uccide la moglie, se decide di farla finita per la morte della ragazza o forse la ragazza era la moglie?
chiuse gli occhi, felice di averla ritrovata.

Ok, mi fermo. Spero di non aver scritto insensatezze.
Era la prima volta che ti leggevo ed è stato un piacere.
A rileggerti.

Re: Racconto a tinte giallo cadavere

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Ciao @L'illusoillusore 
uccide la moglie per farla diventare la ragazza dei suoi sogni. Quella col vestito giallo.
Decide la maschera in cui immergere il volto della donna che ha accanto. 
E fingere, per una volta, di stare con colei che, nel suo immaginario, lo ama.
(La moglie l'aveva sposato per i soldi dell'invalidità, una rendita sicura).

Spero di aver dissipato qualche nube.
A presto 
Atlab

Re: Racconto a tinte giallo cadavere

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Ciao @Atlab the Alchemist . Titolo attraente e inquietante. Perfetto per questa storia a tinte forti. Trovo che tut abbia osato molto con la punteggiatura e il risultato è veramente efficace nel far entrare nella testa del personaggio e nella sua follia.
Atlab the Alchemist ha scritto: Ma non tutti gli uomini sono nati soli.
Questa frase mi ha messa un po’ I crisi. Ci sono rimasta appesa a pensare e ti dirò che mi ė sembrata più una frase a effetto che un’affermazione di un significato profondo. In realtà qualcuno al momento della nascita c’è sempre. Non so...
Atlab the Alchemist ha scritto: Aveva avuto le sue occasioni, con una moglie.
Altro particolare che mi ha fatto riflettere soprattuto col procedere della storia. Come ha fatto a sposarsi? Era un uomo benestante? Perché mai Giada avrebbe dovuto sposare un uomo con evidenti problemi di infermità mentale?
Atlab the Alchemist ha scritto: Aveva sempre desiderato un telescopio
Altra stranezza. Utilizzare il telescopio come un binocolo. Una cosa scomodissima e anche piuttosto complessa. Io possiedo un telescopio (per osservare il cielo... 🙃) ma ti posso assicurare che non è tanto semplice da montare né da utilizzare. Certo non per un infermo mentale. (Ammesso che il tuo personaggio lo sia davvero). Perché non un binocolo? 
Atlab the Alchemist ha scritto: In effetti non gli servì mai per rimirare le stelle. Ma per fantasticare su come fosse mai fatta una donna al di sotto dei vestiti che indossava
Questa punteggiatura così spinta alla lunga la trovo un po’ fastidiosa. Il ritmo si spezza di continuo e la fluidità ne risente.
Un testo intero con questa costruzione mi pare un po’ pesante.
Atlab the Alchemist ha scritto: Vide la ragazza bellissima, attraversare la strada. I
Anche qui la punteggiatura non mi aiuta. Toglierei la virgola prima di attraversare.
Atlab the Alchemist ha scritto: era fatta sotto i vestiti. La musica divenne ancora più leggera. Trovò una maglietta gialla nel guardaroba e gliela adagiò sulle gambe. Poi si sdraiò accanto alla principessa e chiuse gli occhi, felice di averla ritrovata.
E la musica terminò.
Scusa, ti ho sottolineato solo aspetti migliorabili. Quello che invece trovo particolarmente riuscito è il climax. La storia è un crescendo fino al finale drammatico che è davvero ben costruito. 
La chiusa con la musica che termina è efficace e lascia comunque immaginare un prosieguo a tinte scure.

Trovo tu abbia fatto un ottimo lavoro di sperimentazione, del resto a questo servono i laboratori.  Il racconto ha una propria personalità e comunque tiene il lettore incollato fino alla fine. Quindi l’esperimento mi pare riuscito!👍
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