Muffa

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Mi rimangono pochi giorni, e non mi dispiace non poterli vivere in altro modo che stando disteso su questa branda. Potessi andare fuori, in strada o al parco, chissà come sprecherei il tempo. Una scusa per non alzarmi era proprio quello che mi serviva, e da quando ho accavallato le gambe e incrociato le mani dietro la nuca per dedicarmi alla contemplazione del soffitto sono passati tre giorni, ma potrebbero essere anche quattro, cinque, come potrebbe essere successo appena cinque minuti fa.
Nella luce scarna colgo solo impressioni della vita che si anima sopra di me. Poco male, quello che non vedo lo invento. Una mosca cerca di sfondare il vetro della lampadina, facendo oscillare in modo impercettibile il bulbo. La ragnatela alla base del filo, che poi corre fino alla finestra, sembra disabitata. Chissà se un ragno porta con sé qualcosa quando se ne va, anche se forse è semplicemente morto. In ogni caso ne sarà contenta la mosca, che poi è solo la dimostrazione di quello che dicevo prima – ma prima quando? È finalmente libera dal suo predatore e l'unica cosa che è capace di fare è sbattere contro il vetro di una lampadina. C'è anche un geco nell'angolo alla mia sinistra, e una fila di formiche porta minuzzoli fuori dalla finestra.
Ciò che fin da subito ha attirato la mia attenzione, però, è stato un luogo a sud est della lampadina. Non so se quello sia veramente il sud-est, ma mi piace immaginare questo soffitto come un continente.
Non c'era niente, lì. Si può dire che fosse un punto morto, una depressione. Poi è spuntata lei. Dapprima era solo una lieve linea azzurro pallido, ma si è espansa a mano a mano dai lembi di una crepa nel soffitto, come sangue da una ferita superficiale. Quella minuscola patina di vita è rimasta incerta per lungo tempo, in equilibrio sull'oblio. L’ho osservata, protendersi e ritrarsi, gonfiarsi e diminuire fino a, diventare solo un’impressione appena più scura della vernice unta del soffitto. E a ogni mutamento il mio cuore palpitava.
Un cielo azzimo, fuori dalla finestra, voleva ucciderla. L’aria secca la strangolava, risucchiandole vitalità.  Quando la cornice della finestra s’è tinta di grigio di nubi, ed è caduta la pioggia, ho ringraziato che non ci siano vetri. L'umidità è esondata nella cella e lei se n’è nutrita, irrobustendosi.
Si è espansa, chiazza di liquido lasciato spillare sulla terra di quel mondo capovolto. Assorbiva tutta la mia attenzione. D'altronde pensare al passato non aveva senso – strepitare, piangere, pentirsi non lo avrebbero mutato di un granello – e, tantomeno, rivolgersi al futuro. Meglio concentrarsi soltanto sull’assoluto presente.
Ha assunto, nel suo fiorire, colori sempre più sgargianti. Mentre alle estremità si tingeva, infatti, d'una sfumatura lillà, carezzandola con lo sguardo incontravo toni di blu acquamarina, viola, nero, bianco e di un giallo che ho visto così pieno soltanto nei narcisi che coltivava mia madre. Ero sereno. Sapere che qualcosa di così esuberante avrebbe continuato a esistere dopo che mi avrebbero condotto via per sempre dava un senso di calma.
Poi, però è accaduto qualcosa.
Cessata la pioggia qualcuno ha acceso un grande fuoco nel cortile. Un fumo nero e acre è entrato dalla finestra, facendomi tossire e lacrimare. Mi sono avvolto le lenzuola sulla testa e mi sono rifugiato sotto la branda, dove il fumo era meno denso. Sentivo le urla e i lamenti degli altri prigionieri, e il clangore delle loro gamelle sbattute sulle sbarre. Io me ne stavo zitto, piangendo in silenzio. Inutile strepitare, nessuno avrebbe spento il fuoco. Sentivo la polvere intasarmi il naso, e i suoi granelli grattarmi la schiena attraverso la tela della camicia. Vedevo il materasso a pochi centimetri dal naso, anch'esso maculato d'infiorescenze, meno affascinanti, però, di quella sul soffitto. Erano soltanto diffuse macchie grigie, striate appena dalla ruggine della rete del letto. Accanto alla mia mano destra c’era un mucchietto d’escrementi di topo. Appena l'aria è tornata ad essere ammorbata solo dai consueti odori – cavolo bollito, urina, paglia bagnata – senza più quello del fumo, sono uscito dal mio riparo.
Lei era avvizzita, morta. Sono rimasto a guardarla, a bocca aperta, inorridito. Le sue propaggini, non più umide, s'erano annodate chinando il capo, fiori estenuati dal troppo calore. I suoi lembi, poco prima gonfi e porosi, adesso si squamavano, scagliando verso il suolo una nevicata pulviscolare.
Che cosa ero, io, se di me non sarebbe rimasta neanche quella muffa?
Mi sono gettato sul secchio che stava in un angolo e, incurante che l'acqua fosse sporca dei miei escrementi, vi ho tuffato una mano, cercando di spruzzare la muffa. Alcune gocce mi sono cadute sulla camicia, fra i peli del petto, fra i capelli. Poco m'importava. Che si debba andare con dignità verso la morte è un’immensa fesseria. Se qualcuno dovesse sottolineare le nostre condizioni ignobili, non avremmo comunque orecchie con cui ascoltarlo.
Comunque, dovevo apparire veramente strano, perché quando la porta si è spalancata, rivelando il volto bugnato del secondino, col collo flaccido che inglobava il bottone del colletto, lui mi ha guardato stupito e ci ha esitato, prima di rivelarmi il messaggio che portava.
«Domani» ha detto. Deve aver letto, poi, la domanda nei miei occhi perché
«Sul far del mattino» ha aggiunto prima di sparire.
Potreste pensare che la mia domanda inespressa servisse a capire quanto ancora mi restasse da vivere, ma vi sbagliate. Volevo sapere quanto tempo avevo per far sì che lei rifiorisse.
M'importava immensamente di più di quella muffa che di tutta la gente che avevo sotterrato nel giardino della villa dei miei. Quella era tutta gente inutile, e ci metto anche i miei genitori, badate bene, mentre lei dava senso ai miei ultimi giorni.
L’ho guardata. Dove l'acqua aveva colpito i pelucchi s’erano afflosciati in una poltiglia scura. Il cuore, invece, era sgonfio, e vi si era aperto un foro da cui emanavano spore, ultimo fiato da una bocca morente. Gridando ho scagliato il secchio contro il muro e sono caduto in ginocchio. Sono rimasto così, singhiozzando, finché non ho sentito il liquame colarmi fra le dita dei piedi. Mi sono arrampicato sul letto e lì, ancora affogando nel pianto, mi sono addormentato.
Sono caduto in un deliquio di sogni febbricitanti, e ho attraversato un acquitrino d'immagini insensate per ritrovarmi, infine, nella mia cella. Era ben diversa dalla realtà. La crepa nel soffitto era un orrido da cui la muffa fuoriusciva tentacolare, foderando tutta la stanza con un tappeto d'infiorescenze. Petali carnosi traspiravano protendendo pistilli di un color paglierino sgargiante. Scrigni di foglie nerborute s'aprivano sbuffando un effluvio di erba tagliata dopo la pioggia, e una lanugine rosata avvolgeva ogni cosa.
Mi sono rannicchiavo sotto le fronde azzurre di un gigantesco fiore, dove le muffe mi pizzicavano il volto. Mi addormentavo, e, mentre giacevo, la muffa mi avvolgeva.
Mi svegliano uno scossone e un cazzotto nelle costole. Il giardino di muffe è sparito. Al suo posto son tornate le solite mura sporche di feci. Le guardie mi sollevano di peso e mi trascinano fin sulla porta. Mi aggrappo al muro. Altri colpi, ma io alzo lo sguardo al soffitto. Lei è lì, rigogliosa. I suoi stami hanno rialzato la testa, germogliando sulla morte dei loro simili, e i suoi colori rilucono cangianti nell’aria opalescente dell’alba. Sorrido, di un sorriso che non s’infrange neanche quando un altro pugno mi squassa lo stomaco. Mi stacco dal muro, una cosa che spero lei non farà mai, e mi lascio portar via. Attraverso oscuri corridoi mi conducono alla forca mentre rido felice.

Re: Muffa

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Ciao @Tracker 
una storia. L'ho trovata interessante e piacevolmente scritta. Buono il ritmo di narrazione.
Il contenuto è insolito e bellissimo.
La vita di ognuno di noi procede verso alti e bassi che sono paragonabili all'espandersi e al ritrarsi di un enorme macchia sul soffitto. Il cielo che ci sovrasta è solo un testimone. Ma poi la vita si allarga, inglobando sogni e disperazioni. Forse anche il nulla, ciò a cui non abbiamo mai pensato.
In fondo ci hai reso testimoni di una riflessione. Che tutti facciamo, anche se non sempre in questi termini.
Poi bisogna intendersi sulle dimensioni del soffitto. Può essere una vita breve, come quella della cella. Oppure una vita lunga, testimone di tanti dolori.
Affogare è una cosa che sappiamo fare molto bene anche quando ci dichiariamo abili a nuotare. Anzi. Soprattutto quando ci crediamo onnipotenti.

Qualcuno o qualcosa tenta, sempre, di riportarci coi piedi per terra. Ci svegliano e ci violentano. Come mosche votate al martirio. Violenza fisica. Gratuita. Che ormai neanche il pane lo è. Ne veniamo, in qualche modo, oltraggiati. Incapaci di vivere i nostri sogni. Rami rescissi dall'albero. 
Forse ci crediamo inadeguati. O il mondo trama affinché noi ci crediamo tali.
Ma a noi piace sognare. Credere di sopravvivere agli altri e a noi stessi. Pensare che la vita ci ha dato qualcosa. E di altre ci è debitrice. Inutile biasimare chi giudica. Sopravviviamo e lo faremo in eterno.
Ecco. Questo è ciò a cui ho pensato leggendoti.

Grazie per aver condiviso.
Atlab

Re: Muffa

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Ciao @Tracker 

Bel racconto, di quelli che lasciano “un certo sapore”. 
Mi ha incuriosita il titolo “Muffa” , così asciutto e davvero perfetto per la storia che hai narrato. Non sapevo cosa mi sarei trovata a leggere ma quando ho iniziato non mi sono più fermata perché hai saputo tenere alta la tensione narrativa.
L’atemporalità che poi si risolve nel finale quando nomini il tipo di condanna a morte rende un buon servizio all’atmosfera “sospesa” . 
Tracker ha scritto: Mi rimangono pochi giorni, e non mi dispiace non poterli vivere in altro modo che stando disteso su questa branda. Potessi andare fuori, in strada o al parco, chissà come sprecherei il tempo. Una scusa per non alzarmi era proprio quello che mi serviva, e da quando ho accavallato le gambe e incrociato le mani dietro la nuca per dedicarmi alla contemplazione del soffitto sono passati tre giorni, ma potrebbero essere anche quattro, cinque, come potrebbe essere successo appena cinque minuti fa.
La primissima frase è poco scorrevole. Ho dovuto rileggerla più volte. La virgola prima della congiunzione e (se letta ad alta voce) crea una interruzione che può essere funzionale a esprimere il concetto anche se avrei preferito un punto fermo. 
Quello dove ci si “intorta”  è non mi di spiace non poterli vivere in altro modo che. Etc.  
Io la metterei al positivo o, al limite, terrei un solo non. Tipo “non avrei immaginato un modo migliore di trascorrerli”  etc.
Stessa cosa nel periodo successivo. La frase  “una scusa per non alzarmi”  ha una costruzione poco fluida.
Sarei partita da “ Mi serviva proprio una scusa per non alzarmi”.
Il passaggio che inizia da “sono passati tre giorni...” trasmette in modo inequivocabile il disorientamento. Complimenti.
Tracker ha scritto: che poi è solo la dimostrazione di quello che dicevo prima – ma prima quando? È finalmente libera dal suo predatore e l'unica cosa che è capace di fare è sbattere contro il vetro di una lampadina
Toglierei quella domanda. Interrompe il flusso e la trovo ridondante.  Un soggetto disorientato non può avere la percezione di quanto lo sia davvero. È troppo lucida questa analisi e “stona” un po’ con quello che hai mostrato fino a ora. Spero di essere chiara altrimenti dimmelo.
Tracker ha scritto: ma mi piace immaginare questo soffitto come un continente.
Questa mi è piaciuta moltissimo!
Tracker ha scritto: Dapprima era solo una lieve linea azzurro pallido, ma si è espansa a mano a mano dai lembi di una crepa nel soffitto, come sangue da una ferita superficiale. Quella minuscola patina di vita è rimasta incerta per lungo tempo, in equilibrio sull'oblio. L’ho osservata, protendersi e ritrarsi, gonfiarsi e diminuire fino a, diventare solo un’impressione appena più scura della vernice unta del soffitto. E a ogni mutamento il mio cuore palpitava.
Ecco che appare la muffa. Bellissima questa descrizione.
Toglierei la virgola dopo diminuire fino a 
Tracker ha scritto: E a ogni mutamento il mio cuore palpitava.
Un cielo azzimo, fuori dalla finestra, voleva ucciderla. L’aria secca la strangolava, risucchiandole vitalità.  Quando la cornice della finestra s’è tinta di grigio di nubi, ed è caduta la pioggia, ho ringraziato che non ci siano vetri. L'umidità è esondata nella cella e lei se n’è nutrita, irrobustendosi.
Formalmente non sarei andata a capo. Stai proseguendo il filo del pensiero sulla macchia di muffa. Se vai a capoverso mi aspetto che tu parli di qualcos’altro. Potresti ovviare reinserendo il nome del soggetto e non solo i pronomi altrimenti ci si perde un po’.
Tracker ha scritto: Sapere che qualcosa di così esuberante avrebbe continuato a esistere dopo che mi avrebbero condotto via per sempre dava un senso di calma.
Questa frase non suona benissimo. Proverei a riscriverla così 

Sapere che qualcosa di così esuberante avrebbe continuato a esistere anche quando non ci fossi stato più, mi dava un senso di calma
Tracker ha scritto: TrackerPoi, però è accaduto qualcosa.
Questa frase la toglierei del tutto. Toglie forza a quello che dici dopo. 
Tracker ha scritto: Lei era avvizzita, morta. Sono rimasto a guardarla, a bocca aperta, inorridito. Le sue propaggini, non più umide, s'erano annodate chinando il capo, fiori estenuati dal troppo calore. I suoi lembi, poco prima gonfi e porosi, adesso si squamavano, scagliando verso il suolo una nevicata pulviscolare.
Molto bello questa “lieson” che fai tra la macchia di muffa e la prossima morte del,protagonista.
Tracker ha scritto: Comunque, dovevo apparire veramente strano, perché quando la porta si è spalancata, rivelando il volto bugnato del secondino, col collo flaccido che inglobava il bottone del colletto, lui mi ha guardato stupito e ci ha esitato, prima di rivelarmi il messaggio che portava.
«Domani» ha detto. Deve aver letto, poi, la domanda nei miei occhi perché
«Sul far del mattino» ha aggiunto prima di sparire.
Questo è il passaggio meno convincente del testo perxhè lo trovo incoerente con quello che hai descritto prima. Se davvero c’è un incendio all’interno del carcere quello che non mi aspetto è che il secondino venga a comunicarmi la data dell’esecuzione il giorno successivo. Qui dovresti lavorarci ancora secondo me.  Visto che la descrizione che fai dell’incendio è molto “fisica” penso che davvero sia scoppiato un casino. Mi sarei aspettata che il protagonista fosse stato abbandonato a morire tra le fiamme o soffocato dai fumi.
A meno che non sia un “delirio” del protagonista. Ma allora dovresti spiegarlo meglio (secondo me)
Tracker ha scritto: Mi svegliano uno scossone e un cazzotto nelle costole. Il giardino di muffe è sparito. Al suo posto son tornate le solite mura sporche di feci. Le guardie mi sollevano di peso e mi trascinano fin sulla porta. Mi aggrappo al muro. Altri colpi, ma io alzo lo sguardo al soffitto. Lei è lì, rigogliosa. I suoi stami hanno rialzato la testa, germogliando sulla morte dei loro simili, e i suoi colori rilucono cangianti nell’aria opalescente dell’alba. Sorrido, di un sorriso che non s’infrange neanche quando un altro pugno mi squassa lo stomaco. Mi stacco dal muro, una cosa che spero lei non farà mai, e mi lascio portar via. Attraverso oscuri corridoi mi conducono alla forca mentre rido felice.
La chiusa finale mi lascia con i miei dubbi. L’uomo ha immaginato tutto?  Il rido felice... non si può leggere. 

In totale, come ti ho detto all’inizio, ho trovato piacevolissima la lettura. Fai un uso delle immagini molto efficace ed è facile visualizzare quello che descrivi. Per mio gusto dovresti lavorarci ancora un po’ per affinare certi passaggi e migliorare la punteggiatura leggendo il testo a voce alta per ottenere la massima fluidità.
Comunque davvero bravo. 👍 

Re: Muffa

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Ciao @Tracker!
Il tuo racconto brilla per il suo contenuto originale.
L'evoluzione della storia è forse poco proporzionata, nel senso che si dilunga più sui momenti di riflessione, mentre nei momenti in cui c'è l'azione (la crescita della muffa, quando al protagonista viene comunicato il giorno dell'esecuzione, il momento in cui lascia la cella per sempre) è molto più incalzante.
 
Il protagonista è peculiare, si capisce che sia una persona disturbata dal contrasto nell'attenzione che riserva alla muffa e quella che afferma di non avere nei confronti delle persone che ha ucciso. Questa è una nota positiva, perché spesso è difficile caratterizzare un personaggio in un racconto breve, bisogna dare delle 'sapienti pennellate'. Mi sarebbe piaciuto qualche rigo in più per i suoi omicidi, o in generale per lasciar intuire maggiormente la sua storia personale. Avrebbero aggiunto un tocco di brivido ulteriore.

La storia dell'attenzione di un condannato a morte verso una muffa è bellissima, per me. Immagino bene un uomo consapevole della sua fine che presta attenzione a quel piccolo segno di vitalità e crescita nella sua cella smorta. Mi ha fatto pensare vagamente alla rosa del Piccolo Principe, reinterpretata in una chiave oscura e introspettiva.

Ho apprezzato particolarmente le descrizioni, molto evocative e capaci di far immergere il lettore nell'ambiente della storia. In particolar modo, mi sono piaciute la descrizione della crescita della muffa e quella del sogno del giardino di muffe. Unico appunto, come da sopra, visto che le descrizioni sono lunghe e ricche, sarebbe meglio alternarle con più omogeneità all'azione, così da non perdere l'attenzione del lettore.

In conclusione, il racconto mi è piaciuto molto.

Re: Muffa

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Tracker ha scritto: come potrebbe essere successo appena cinque minuti fa.
Secondo me è un po' ridondante come osservazione. Si capisce che il protagonista ha perso il senso del tempo.
Comunque, l'effetto sorpresa è interessante, perché non avevo capito, all'inizio, che si trattasse di un carcerato.
Tracker ha scritto: Lei era avvizzita, morta. Sono rimasto a guardarla, a bocca aperta, inorridito. Le sue propaggini, non più umide, s'erano annodate chinando il capo, fiori estenuati dal troppo calore. I suoi lembi, poco prima gonfi e porosi, adesso si squamavano, scagliando verso il suolo una nevicata pulviscolare.
Qui si capisce il suo destino di condannato a morte. L'incendio è un incubo, fa presagire il suo destino e gli brucia il presente-la muffa.
Tracker ha scritto: Domani» ha detto. Deve aver letto, poi, la domanda nei miei occhi perché
«Sul far del mattino» ha aggiunto prima di sparire.
Sinceramente, non avrei staccato questa parte. "deve aver letto, poi, la domanda nei miei occhi perché aggiunse, prima di sparire -sul far del mattino-"

Inoltre non condivido la violenza gratuita che si abbatte sul protagonista. 
Perché viene picchiato brutalmente? Il secondino sembrava essere stato quasi gentile, con lui. Si intuisce che il racconto è ambientato in un paese dove vige la pena di morte e dove le carceri non versano nelle migliori condizioni. All'inizio ho pensato agli stati uniti, ma poi ho letto del secchio con gli escrementi. Esattamente, quindi, dove è ambientato? sembra un carcere brutale.
Inoltre, mi piace l'idea di lui che vuole far rifiorire la muffa (e qui ho avuto un brivido, ammetto che la descrizione della muffa mi abbia quasi inorridito, ma non perché sia stata brutta, ma perché a.me farebbe impressione :P), e capisco che la muffa è forse l'unico segno che sente di lasciare sulla terra.

Secondo me non è male come racconto, ma va sviluppato di più, soprattutto nel rpotagonista: non so niente di lui, neanche il perché sia un condannato a morte. 

a presto @tracker :)

Re: Muffa

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@Monica grazie mille dei tuoi commenti. Ho adottato molti dei tuoi suggerimenti. Ho solo lasciato la scena del fuoco senza modificarla troppo. Ho solo puntato a specificare che non si tratta di un incendio, ma di qualcuno che brucia delle cose nel cortile della prigione. Spero che i tuoi dubbi pertengano a quell'incertezza che è bene che un racconto lasci e non alla struttura generale del racconto.
@@Effy Kaligaris grazie mille mila. Valuto se inserire qualcosa sul passato del protagonista, ma - adesso non ricordo - potrei anche averli omessi per questioni di spazio, visto che l'ho scritto per una call di una rivista e c'era un limite di spazio. 
@Kiarka grazie mille delle tue osservazioni. È vero che il protagonista è poco sviluppato, però, ripeto, potrebbe essere stata una questione di spazio. Però proverò a inserire qualcosa, perché secondo me ci sta molto quello che dici. Sulla violenza gratuita: in realtà il carcere non è ben definito, e questa cosa è voluta, c'è una vaga ispirazione di Kafka, e nemmeno Josef K. sa bene da dove venga la gente che lo perseguita ne perché. Questa violenza non ha un senso, se non che, per come la vedo io, la violenza esiste dove esiste un'istituzione, soprattutto una gerarchica e costrittiva come il carcere.
Grazie mille ancora!

Re: Muffa

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Premetto che il tuo racconto mi ha coinvolto molto e mi é piaciuto moltissimo.
Il contrasto fra a lenta e serena osservazione di ció che accade nella cella e i brevissimi flash sul prigioniero stesso rendono il lettore ammaliato da questo racconto.
Le tue descrizioni dettagliate sono delle fotografie molto belle e per un momento mi hanno dato l'idea di una persona che fosse sdraiata a casa sua semplicemente a fissare il soffitto. Una persona magari costretta a casa per una malattia, una persona che per vincere la noia osserva tutto dalle formiche ( ho imparato una parola nuova: minuzzoli!) alla mosca al geco. Ma la branda, che puó sfuggire a una lettura superficiale, ci dice che non é cosí.

Non si sa che tipo di carcere sia, si intuisce solo che c'é la pena di morte. Di fatto nella parte detentiva il racconto é atemporale, come giá osservato nei post precedenti, e non si trova alcun indizio sul luogo.
Il protagonista é riflessivo, un osservatore quasi scientifico, conscio che lo aspetta un'attesa indefinita e nel momento in cui trova un compito, far vivere la muffa, il tempo riprendere ad essere finito. Il voler raggiungere uno scopo prima dell'esecuzione, lo rende attivo, agisce con quello che ha, come se fosse una vera emergenza, come se la muffa senza di lui non potesse essere, come se fosse un testamento; ancheuna specie di beffa : lascia qualcosa di vivo dietro di se, una virtuale ribellione contro la propria morte. Lascia una vita irrintracciabile e ignorata fino a quando non fa danni, esattamente come la sua vita.

La prima breccia temporale é quando nomini la villa, tomba delle vittime del protagonista. È uno spiraglio di modernitá, collochi il prigioniero fra i "cattivi" serial killer. Per un momento avevo pensato a un prigioniero politico, un dissidente del vecchio regime russo, incarcerato in un luogo decadente senza servizi igienici e senza vetri alle finestre.
Il secondo riferimento temporale potrebbe essere quando arriva il secondino a comunicargli il momento dell'esecuzione. In questo caso trovo, peró che il tempo rimane indefinto, potrebbe essere un guardiano in un castello medievale, come anche un carciere di una prigione vietnamita.
Ammetto che il fuoco in cortile mi ha sviato, assieme all'assenza di vetri alle finestre mi ha fatto pensare a un rogo dell'inquisizione, per cui i cadaveri sepolti in giardino quasi stonavano nella loro attualitá. (Sará anche che guardo troppo criminal minds.). L'impossibilitá di collocare temporalmente il raconto lo rende ancora piú affascinante e per mette di concentrarsi di piú sul protagonista, sul suo amore per questa muffa che deve sopravvivergli a tutti i costi.

Ho sentito la sua pazza risata mente lo trascinano via dopo averlo maltrattato e mi é piaciuta moltissimo. È la gioia per esser riuscito a lasciare un'ereditá clandestina, la certezza che l'esecuzione non lo cancellerá del tutto grazie a una muffa, la risata agghiacciante di unpazzo che ha raggiunto il suo obiettivo.

In sintesi: scrittura fluente e gradevolissima, personaggio ben delineato, descrizione degli ambienti molto bella e finale, per me, molto azzeccato!

Re: Muffa

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Ciao @Tracker 
Un genere di racconto, una modalità descrittiva che amo moltissimo e che mi è congeniale. Tra l’altro scritto molto bene, non ci trovo alcunché da correggere o se c’è è una mera questione di gusto personale che non deve incidere sul modo di scrivere di un altro.
È molto difficile concentrarsi sui particolari della cella che hai messo in rilievo, non perché sia difficile, per me non lo è, amo i particolari talvolta in maniera certosina, ma per il semplice motivo che non tutti li vedono, non tutti sanno che ci sono. Per la maggior parte una cella è solo una cella, non c’è niente o comunque molto poco da descrivere.
Questo detenuto, condannato a morte per efferati omicidi è comunque una mente “superiore”. Non vorrei essere frainteso, non nel senso che sia un Einstein, ma nel senso che ha la capacità di vedere “oltre”, che molti più uomini di quanto si creda hanno. Non è una qualità eccessivamente superiore: consente di sopravvivere in certe circostanze e scrivendo consente di scavare e approfondire in nuove interessanti, proficue vene.
Tanto tempo fa nel WD scrissi un racconto imperniato su miei ricordi di militare, quando mi mettevano di guardia in posti squallidissimi della caserma, isolati, piazzali di cemento chiusi, con parcheggi di camion, retri di mense e cucine con cassoni d’immondezza maleodoranti… Cortili con un solo albero al centro e aiuole deserte… Di notte erano luoghi orridi, nessuno ci voleva andare e passarci due ore, da ragazzi sembrava un tempo infinito. Io mi divertivo da matti e ogni volta ci vedevo un mondo pazzescamente interessante… non sto a tediarti ma per me le pozzanghere dopo la pioggia chiazzate di nafta assumevano la valenza di mondi multicolori in movimento e formazione, sulle quali fantasticavo, per non parlare delle crepe sui muri… mondi oltre Antardide, il filo spinato dei cavalli di frisia delle mura, le nuvole che si formavano dopo la tempesta, le foglie dell’albero che cadevano in autunno e si rincorrevano nel piazzale… le luci gialle dei lampioni… il gracchiare delle rane, l'odore dell'erba... Non mi sentivo mai solo, avevo mondi da vedere e due ore mi passavano in un lampo. Erano stupiti nel trovarmi bello sveglio, allegro, vitale e interessato a tutto, mentre chi montava dopo di me, non vedendo come vedevo io era già distrutto fisicamente e moralmente…
E così per tutto. Puoi vedere un mondo in un parcheggio di cemento invaso da erbacce.
A cosa serve? Tu lo saprai bene come penso di saperlo anche io. La mente umana ha infinite potenzialità di adattamento, penso sia in grado di superare molte avversità, anche dolorose o situazioni piane e noiose della vita. Basta avere il modo giusto di guardare qualsiasi cosa.
A mio parere tu in questo racconto hai dato un bellissimo e interessante esempio.
Mi è davvero piaciuto.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: Muffa

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Alberto Tosciri ha scritto: Ciao @Tracker 
Un genere di racconto, una modalità descrittiva che amo moltissimo e che mi è congeniale. Tra l’altro scritto molto bene, non ci trovo alcunché da correggere o se c’è è una mera questione di gusto personale che non deve incidere sul modo di scrivere di un altro.
È molto difficile concentrarsi sui particolari della cella che hai messo in rilievo, non perché sia difficile, per me non lo è, amo i particolari talvolta in maniera certosina, ma per il semplice motivo che non tutti li vedono, non tutti sanno che ci sono. Per la maggior parte una cella è solo una cella, non c’è niente o comunque molto poco da descrivere.
Questo detenuto, condannato a morte per efferati omicidi è comunque una mente “superiore”. Non vorrei essere frainteso, non nel senso che sia un Einstein, ma nel senso che ha la capacità di vedere “oltre”, che molti più uomini di quanto si creda hanno. Non è una qualità eccessivamente superiore: consente di sopravvivere in certe circostanze e scrivendo consente di scavare e approfondire in nuove interessanti, proficue vene.
Tanto tempo fa nel WD scrissi un racconto imperniato su miei ricordi di militare, quando mi mettevano di guardia in posti squallidissimi della caserma, isolati, piazzali di cemento chiusi, con parcheggi di camion, retri di mense e cucine con cassoni d’immondezza maleodoranti… Cortili con un solo albero al centro e aiuole deserte… Di notte erano luoghi orridi, nessuno ci voleva andare e passarci due ore, da ragazzi sembrava un tempo infinito. Io mi divertivo da matti e ogni volta ci vedevo un mondo pazzescamente interessante… non sto a tediarti ma per me le pozzanghere dopo la pioggia chiazzate di nafta assumevano la valenza di mondi multicolori in movimento e formazione, sulle quali fantasticavo, per non parlare delle crepe sui muri… mondi oltre Antardide, il filo spinato dei cavalli di frisia delle mura, le nuvole che si formavano dopo la tempesta, le foglie dell’albero che cadevano in autunno e si rincorrevano nel piazzale… le luci gialle dei lampioni… il gracchiare delle rane, l'odore dell'erba... Non mi sentivo mai solo, avevo mondi da vedere e due ore mi passavano in un lampo. Erano stupiti nel trovarmi bello sveglio, allegro, vitale e interessato a tutto, mentre chi montava dopo di me, non vedendo come vedevo io era già distrutto fisicamente e moralmente…
E così per tutto. Puoi vedere un mondo in un parcheggio di cemento invaso da erbacce.
A cosa serve? Tu lo saprai bene come penso di saperlo anche io. La mente umana ha infinite potenzialità di adattamento, penso sia in grado di superare molte avversità, anche dolorose o situazioni piane e noiose della vita. Basta avere il modo giusto di guardare qualsiasi cosa.
A mio parere tu in questo racconto hai dato un bellissimo e interessante esempio.
Mi è davvero piaciuto.
Grazie mille di questo tuo commento, mi ha fatto davvero molto piacere ed è a suo modo anche questo poetico. Devo dire che condivido l'apprezzamento per i luoghi "anonimi" e, magari, dimenticati. Fino a  qualche anno fa vicino a casa dei miei c'era un "bellissimo" edificio abbandonato, un ex centro dell'usl in anni lontani dedicato alla cura dei tubercolotici. Era invaso di erbacce e con le finestre tutte rotte. Purtroppo ora ci hanno fatto delle villette a schiera. 

Re: Muffa

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Tracker ha scritto: Mi rimangono pochi giorni, e non mi dispiace non poterli vivere in altro modo che stando disteso su questa branda. Potessi andare fuori, in strada o al parco, chissà come sprecherei il tempo. Una scusa per non alzarmi era proprio quello che mi serviva, e da quando ho accavallato le gambe e incrociato le mani dietro la nuca per dedicarmi alla contemplazione del soffitto sono passati tre giorni, ma potrebbero essere anche quattro, cinque, come potrebbe essere successo appena cinque minuti fa.
Ciao @Tracker  
il tuo è un bellissimo incipit, complimenti. Straniante, cattura fin da subito l'attenzione. Mi piace la frase: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Una scusa per non alzarmi era proprio quello che mi serviva[/font]

Tracker ha scritto: anche se forse è semplicemente morto.
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Non ho colto il senso di questa frase: cosa intendi?[/font]


Tracker ha scritto: Ciò che fin da subito ha attirato la mia attenzione, però, è stato un luogo a sud est della lampadina. Non so se quello sia veramente il sud-est, ma mi piace immaginare questo soffitto come un continente.
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Molto bello il tutto. Ciò che modificherei - forse è una stupidaggine - è la parte iniziale: togli il fin da subito, perché prima ci hai descritto altro, e se questa cosa ti avesse incuriosito da subito, ne avresti parlato all'inizio, no?[/font]


Tracker ha scritto: gonfiarsi e diminuire fino a, diventare solo un’impressione appena
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]refuso, via la virgola :)[/font]

Tracker ha scritto: Mi sono rannicchiavo sotto le fronde azzurre di un gigantesco fiore
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]refuso, "rannicchiato" e non "rannicchiavo".[/font]

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Nel complesso un bel racconto fortemente onirico. Non sono sicuro di aver colto a pieno il significato di tutto, ma è anche questo il bello, no? :)[/font]
Bravo, piaciuto
Alla prossima
Ciao
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