[MI150] Scripta sanguine
Posted: Sun May 09, 2021 9:16 pm
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Traccia di mezzogiorno. Padroni del tempo.
Tutti gli esseri umani devono essere istruiti sul mondo. Io, che sono il Tempo, ho questo arduo lavoro da quando io stesso esisto. Tutti hanno bisogno di me, ma io, più che assistere ed insegnare, cos'altro posso fare.
Alessandro si è alzato dal letto; gli avrà portato consiglio la notte? Si dirige verso il telefono di casa: farà la telefonata che mi aspetto?
“ Ciao papà! Come stai?”. “ Come stai te, semmai! Ti sei ripreso dall'incidente di ieri?”
Lui si porta la mano sulla testa, lì, dove ancora fa male.
Già! Il colpo di ieri. Lui era salito in macchina per andare in ufficio. Portava con sé il progetto pubblicitario per il lancio dell'aceto del dottor Scotti. Era il giorno della presentazione ai clienti ed era certo, che sarebbe stato un successo, con l'acquisizione del contratto della campagna commerciale; ogni suo spot era un successo assicurato: “ Cade rosso e vivo! giù con un sorriso! Il palato a rallegrar!”
Ma non tutti erano entusiasti del suo successo; il vecchio padre non lo era per niente.
“ Meriteresti di essere mandato indietro nel tempo!”, lo aveva ammonito tanto tempo fa.
Non si parlavano più, dal momento che Alessandro, aveva rinunciato alla cattedra di lettere per fare il pubblicitario. Il vecchio padre si era dispiaciuto al punto che ne aveva fatto una malattia. Aveva seguito il figlio in tanti anni di studio, proprio con l'intento di fargli prendere quel posto, che lui stesso aveva ricoperto in trent'anni di onorato insegnamento. Aveva speso la sua vita per la poesia, aggiudicandosi prestigiosi concorsi. Per lui era stata una delusione, un sogno che era svanito e che lo aveva esposto alle critiche dei suoi colleghi; per quel figlio che si era messo a far uso della poesia e della storia per spregevoli fini commerciali: un autentico disonore.
Così, Io, il Tempo, chiamato in causa da questo povero padre, di certo, non potevo rinunciare all'occasione di far valere lo scopo didattico del mio passato.
Attesi nel luogo che avevo preparato per l'appuntamento: una curva a gomito sulla strada in mezzo al bosco, che ogni mattina lui percorreva. Perse il controllo dell'auto e uscì di strada andando giù per la scarpata e infilandosi tra gli alberi. Lo vidi incolume dentro l'auto e da lì feci partire il mio piano: dovevo farlo smarrire tra la folta vegetazione, e fargli fare un doloroso percorso.
“ Ma dove sono finito? Ma la strada che fine ha fatto?”, si domandava nel suo vagare a vuoto. Io avevo preparato tutto per bene... Spuntò dai cespugli un ragazzino, lui ne fu felice, qualcuno lo avrebbe aiutato. “ Ma dove ci troviamo!” domandò. “ Siamo nel bosco senza tempo!” rispose con un leggero sorriso; “ Seguimi, ti porterò dove ti sei perso!”. Alessandro, incuriosito, andò dietro a lui, mentre osservava il tetto di fronde che nascondeva il cielo, dandogli una certa inquietudine, e dal momento che tutto a un tratto, percepì un lamento lontano. “ Ma chi è mai?”, chiese. “ Non sai chi è? Ma è Rachele! Non conosci Rachele?”, fece con disappunto.
Come poteva conoscerla! Io però ancora ricordavo il suo dolore: “ Un lamento si alza da Rama; è Rachele che piange, poiché i suoi figli non sono più.”
Il percorso era stato tracciato; Alessandro si ritrovò dove io conservavo il tempo e la storia degli esseri umani. Uscito dalla folta boscaglia, si ritrovò in aperta campagna; dove per millenni gli eserciti si erano scontrati. Gli aprii gli occhi e gli feci vedere, ogni sorta di crudeltà a cui avevo assistito.
Alessandro si ritrovò, spaurito e sgomento, a percorrere i campi di battaglia, senza poter dire o fare, costretto alla vista del sangue dei morenti. Come un automa, uno spettatore, dentro al susseguirsi della storia umana. Sul campo giacevano gli innocenti sgozzati: i figli di Rachele. Lei stessa teneva in braccio il corpicino senza vita di uno di loro e gridava:
“ Questi sono i miei figli! Io che sono la madre di Israele! Non vi è bastato questo sangue! I miei figli li avete messi nei campi a morire di fame! Solo il fuoco del forno ha scaldato le loro anime, e sono tornati tra le mie braccia come cenere! Cosa ne avete fatto dei miei figli! Voi, duri di cuore, che mai avete ascoltato il mio pianto!”.
Poi l'ho lasciato entrare in questa apoteosi della pazzia umana. Circondato dagli aspri combattimenti; tra il sibilare delle lame, tra carne e resti umani. Il rosso del sangue sulla verde erba, tra i corvi scesi al pasto, i cani rognosi a dissetarsi del sangue sparso. Nel mentre c'è chi scrive ciò che vede, incuranti della propria vita, amanti dei loro struggenti ricordi. Chi lava il sangue di dosso, chi lo raccoglie per custodirlo. Donne e figli nel campo di battaglia ad incitare allo sterminio. Donne, vedove e senza figli, a seppellire i loro uomini. Terra umida e grigia, colore della morte, ancora una mano morta, scarna, sembra emergere dal tumulo ricoperto; cercare una presa salda alla vita, prima che gli inferi la trascinino via.
“ Visi buoni al fuoco, visi buoni al freddo, ai rifiuti, alla morte, agli insulti, alla frusta.
Visi buoni a tutto; ecco il vuoto vi fissa, la vostra morte servirà da esempio.”
“E che ne venne alla donna del soldato da Praga? Le venne la scarpa col tacco. E da Varsavia? La camicetta di lino; da Oslo, il baverino di pelliccia e da Rotterdam? Il cappello olandese. E i fini merletti della terra belga? Quanto li desideravi! Come le vesti di seta della città della luce, Parigi. Ma alla fine il tuo soldato non ti ha portato niente, la terra di Russia è stata avara e col ghiaccio ha ripagato; di morte , lutto, e fame, rivestito.”
Alessandro apparve stordito dalle urla, dai rumori della battaglia. Le palle di cannone squassavano la terra, emettendo un boato che rimbombava nella campagna. Il fumo dei carri andati a fuoco, impregnavano l'aria. Fuggire da quel disastro, questo fu il suo pensiero, che parve realizzarsi, dopo essersi allontanato dal teatro degli scontri. Il silenzio lo avvolse e si sentì al sicuro, ma una folta schiera di donne lo circondò improvvisamente. Alcune vestite di stracci, altre elegantemente, con merletti e cappellini, Tra chi piangeva, chi rideva, chi ballava, chi cantava, chi si disperava, ma tutte ripetevano la stessa frase : “ Ricordati di noi, dei nostri morti, delle nostre vite, nel nostro tempo, delle nostre gioie, delle nostre catene, della nostra infelicità. Scrivi! Scrivi! Scrivi ! Scrivi! Scrivi! Scrivi! “ .
“ Ei! Ei signore! Mi sente! “. Qualcuno prese a scuotere Alessandro che si risvegliò, ritrovandosi seduto al volante della sua auto accartocciata tra gli alberi. Pensò, è stato tutto un sogno.
************************
“ Papà! Ho pensato molto alle tue parole! Ti ricordi. Mi dicesti che meritavo di essere mandato indietro nel tempo”. “ Sì! Ricordo Alessandro”. “ Non ho mai capito il senso di quelle parole, anche perché ti rifiutasti di spiegarmi. Credo di aver afferrato il senso, e mi spiace che non lo abbia capito prima. Se fosse possibile, papà, sarei felice e onorato di avere la tua cattedra all'Università!”.
Le parole volano, e si perdono per sempre, preda del vento e del silenzio. Ma lo scritto rimane per sempre, impresso col sangue del mondo. Io sono il Tempo, testimone su tutti. Sono fatto di carta e mi puoi trovare conservato tra la polvere degli scaffali. La gente si preoccupa del proprio tempo, e poi finisce per gettarlo via. La ricchezza del tempo passato non è dato a tutti comprenderlo, e io, ho ancora tanto da insegnare, purtroppo.
Traccia di mezzogiorno. Padroni del tempo.
Tutti gli esseri umani devono essere istruiti sul mondo. Io, che sono il Tempo, ho questo arduo lavoro da quando io stesso esisto. Tutti hanno bisogno di me, ma io, più che assistere ed insegnare, cos'altro posso fare.
Alessandro si è alzato dal letto; gli avrà portato consiglio la notte? Si dirige verso il telefono di casa: farà la telefonata che mi aspetto?
“ Ciao papà! Come stai?”. “ Come stai te, semmai! Ti sei ripreso dall'incidente di ieri?”
Lui si porta la mano sulla testa, lì, dove ancora fa male.
Già! Il colpo di ieri. Lui era salito in macchina per andare in ufficio. Portava con sé il progetto pubblicitario per il lancio dell'aceto del dottor Scotti. Era il giorno della presentazione ai clienti ed era certo, che sarebbe stato un successo, con l'acquisizione del contratto della campagna commerciale; ogni suo spot era un successo assicurato: “ Cade rosso e vivo! giù con un sorriso! Il palato a rallegrar!”
Ma non tutti erano entusiasti del suo successo; il vecchio padre non lo era per niente.
“ Meriteresti di essere mandato indietro nel tempo!”, lo aveva ammonito tanto tempo fa.
Non si parlavano più, dal momento che Alessandro, aveva rinunciato alla cattedra di lettere per fare il pubblicitario. Il vecchio padre si era dispiaciuto al punto che ne aveva fatto una malattia. Aveva seguito il figlio in tanti anni di studio, proprio con l'intento di fargli prendere quel posto, che lui stesso aveva ricoperto in trent'anni di onorato insegnamento. Aveva speso la sua vita per la poesia, aggiudicandosi prestigiosi concorsi. Per lui era stata una delusione, un sogno che era svanito e che lo aveva esposto alle critiche dei suoi colleghi; per quel figlio che si era messo a far uso della poesia e della storia per spregevoli fini commerciali: un autentico disonore.
Così, Io, il Tempo, chiamato in causa da questo povero padre, di certo, non potevo rinunciare all'occasione di far valere lo scopo didattico del mio passato.
Attesi nel luogo che avevo preparato per l'appuntamento: una curva a gomito sulla strada in mezzo al bosco, che ogni mattina lui percorreva. Perse il controllo dell'auto e uscì di strada andando giù per la scarpata e infilandosi tra gli alberi. Lo vidi incolume dentro l'auto e da lì feci partire il mio piano: dovevo farlo smarrire tra la folta vegetazione, e fargli fare un doloroso percorso.
“ Ma dove sono finito? Ma la strada che fine ha fatto?”, si domandava nel suo vagare a vuoto. Io avevo preparato tutto per bene... Spuntò dai cespugli un ragazzino, lui ne fu felice, qualcuno lo avrebbe aiutato. “ Ma dove ci troviamo!” domandò. “ Siamo nel bosco senza tempo!” rispose con un leggero sorriso; “ Seguimi, ti porterò dove ti sei perso!”. Alessandro, incuriosito, andò dietro a lui, mentre osservava il tetto di fronde che nascondeva il cielo, dandogli una certa inquietudine, e dal momento che tutto a un tratto, percepì un lamento lontano. “ Ma chi è mai?”, chiese. “ Non sai chi è? Ma è Rachele! Non conosci Rachele?”, fece con disappunto.
Come poteva conoscerla! Io però ancora ricordavo il suo dolore: “ Un lamento si alza da Rama; è Rachele che piange, poiché i suoi figli non sono più.”
Il percorso era stato tracciato; Alessandro si ritrovò dove io conservavo il tempo e la storia degli esseri umani. Uscito dalla folta boscaglia, si ritrovò in aperta campagna; dove per millenni gli eserciti si erano scontrati. Gli aprii gli occhi e gli feci vedere, ogni sorta di crudeltà a cui avevo assistito.
Alessandro si ritrovò, spaurito e sgomento, a percorrere i campi di battaglia, senza poter dire o fare, costretto alla vista del sangue dei morenti. Come un automa, uno spettatore, dentro al susseguirsi della storia umana. Sul campo giacevano gli innocenti sgozzati: i figli di Rachele. Lei stessa teneva in braccio il corpicino senza vita di uno di loro e gridava:
“ Questi sono i miei figli! Io che sono la madre di Israele! Non vi è bastato questo sangue! I miei figli li avete messi nei campi a morire di fame! Solo il fuoco del forno ha scaldato le loro anime, e sono tornati tra le mie braccia come cenere! Cosa ne avete fatto dei miei figli! Voi, duri di cuore, che mai avete ascoltato il mio pianto!”.
Poi l'ho lasciato entrare in questa apoteosi della pazzia umana. Circondato dagli aspri combattimenti; tra il sibilare delle lame, tra carne e resti umani. Il rosso del sangue sulla verde erba, tra i corvi scesi al pasto, i cani rognosi a dissetarsi del sangue sparso. Nel mentre c'è chi scrive ciò che vede, incuranti della propria vita, amanti dei loro struggenti ricordi. Chi lava il sangue di dosso, chi lo raccoglie per custodirlo. Donne e figli nel campo di battaglia ad incitare allo sterminio. Donne, vedove e senza figli, a seppellire i loro uomini. Terra umida e grigia, colore della morte, ancora una mano morta, scarna, sembra emergere dal tumulo ricoperto; cercare una presa salda alla vita, prima che gli inferi la trascinino via.
“ Visi buoni al fuoco, visi buoni al freddo, ai rifiuti, alla morte, agli insulti, alla frusta.
Visi buoni a tutto; ecco il vuoto vi fissa, la vostra morte servirà da esempio.”
“E che ne venne alla donna del soldato da Praga? Le venne la scarpa col tacco. E da Varsavia? La camicetta di lino; da Oslo, il baverino di pelliccia e da Rotterdam? Il cappello olandese. E i fini merletti della terra belga? Quanto li desideravi! Come le vesti di seta della città della luce, Parigi. Ma alla fine il tuo soldato non ti ha portato niente, la terra di Russia è stata avara e col ghiaccio ha ripagato; di morte , lutto, e fame, rivestito.”
Alessandro apparve stordito dalle urla, dai rumori della battaglia. Le palle di cannone squassavano la terra, emettendo un boato che rimbombava nella campagna. Il fumo dei carri andati a fuoco, impregnavano l'aria. Fuggire da quel disastro, questo fu il suo pensiero, che parve realizzarsi, dopo essersi allontanato dal teatro degli scontri. Il silenzio lo avvolse e si sentì al sicuro, ma una folta schiera di donne lo circondò improvvisamente. Alcune vestite di stracci, altre elegantemente, con merletti e cappellini, Tra chi piangeva, chi rideva, chi ballava, chi cantava, chi si disperava, ma tutte ripetevano la stessa frase : “ Ricordati di noi, dei nostri morti, delle nostre vite, nel nostro tempo, delle nostre gioie, delle nostre catene, della nostra infelicità. Scrivi! Scrivi! Scrivi ! Scrivi! Scrivi! Scrivi! “ .
“ Ei! Ei signore! Mi sente! “. Qualcuno prese a scuotere Alessandro che si risvegliò, ritrovandosi seduto al volante della sua auto accartocciata tra gli alberi. Pensò, è stato tutto un sogno.
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“ Papà! Ho pensato molto alle tue parole! Ti ricordi. Mi dicesti che meritavo di essere mandato indietro nel tempo”. “ Sì! Ricordo Alessandro”. “ Non ho mai capito il senso di quelle parole, anche perché ti rifiutasti di spiegarmi. Credo di aver afferrato il senso, e mi spiace che non lo abbia capito prima. Se fosse possibile, papà, sarei felice e onorato di avere la tua cattedra all'Università!”.
Le parole volano, e si perdono per sempre, preda del vento e del silenzio. Ma lo scritto rimane per sempre, impresso col sangue del mondo. Io sono il Tempo, testimone su tutti. Sono fatto di carta e mi puoi trovare conservato tra la polvere degli scaffali. La gente si preoccupa del proprio tempo, e poi finisce per gettarlo via. La ricchezza del tempo passato non è dato a tutti comprenderlo, e io, ho ancora tanto da insegnare, purtroppo.