[MI150] Tick Tick il tempo passa
Posted: Sun May 09, 2021 3:18 pm
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Traccia di Mezzogiorno di @L'illusoillusore "Padrone del tempo"
Traccia di Mezzogiorno di @L'illusoillusore "Padrone del tempo"
Tick aveva sprecato troppo Tempo.
Se lo ripeteva continuamente, mentre si accorgeva delle prime rughe allo specchio, i capelli bianchi che, da rari ospiti, avevano colonizzato la sua zazzera di capelli disordinati.
Anche la barba era ingrigita e, più la lasciava crescere, più si notava. Forse gli occhi, quelli sì, lasciavano ancora intravedere il ventenne pieno di speranze che era stato.
Quanto Tempo aveva perso, sperando che le cose si facessero da sole, pensando che la vita l’avrebbe rimesso sul binario giusto in qualche maniera.
Ogni partita persa a Black Jack, tutte le volte che aveva fatto una scelta dubbia, quando era stato con la donna sbagliata e quando si era fatto guidare dalla pigrizia e dal ‘beh, posso sempre farlo domani’; aveva dilapidato l’unica moneta di valore che esistesse, il tempo.
Ma adesso poteva rimediare.
Avrebbe rimesso tutto a posto, sarebbe tornato all’origine di tutti i guai. Avrebbe terminato l’università e avrebbe cominciato a scrivere quei libri che, per tutta la sua vita mediocre, si era limitato a leggere. Niente più serate a lavare i piatti come uno schiavo e lavoretti saltuari. Basta monolocali ammuffiti in affitto. Basta donne pagate in anticipo.
Si sarebbe comportato meglio anche con Susan, perché lei si meritava di più. L’avrebbe portata sulle coste della Nuova Zelanda, uno dei pochi posti risparmiati dai conflitti e dal progresso, per iniziare una nuova vita come lei sognava.
Questa volta sarebbe finita bene, ne era certo.
Che stranezza, quando erano riusciti a padroneggiare il modo di muoversi nel tempo, era saltato fuori che anche l’età del viaggiatore mutava allo stesso modo, in base alla direzione in cui ci si muoveva. Le applicazioni politiche e militari erano state scarse, se non nulle, dato che si andava a finire in una dimensione parallela, che non poteva influire minimamente su quella presente. Brutto colpo per i governi in conflitto: immagina la possibilità di una crono-guerra senza fine in cui investire.
Invece il Tempo era diventato una valuta alternativa, con un sottobosco di delinquenza associato. Strozzini e scommesse, che spettacolo inebriante.
Ovviamente nessuno era tornato indietro per raccontarlo, erano solo evidenze scientifiche, forse si scompariva semplicemente nel nulla; ma se non avevi più nulla da perdere, ti potevi fidare.
Tick si tirò fuori da tutte queste elucubrazioni fantasiose, toccava a lui.
Il grosso e grasso buttafuori stava imperturbabile a meno di un metro alla sua destra, le palpebre socchiuse, come nel bel mezzo di un sonnellino. Di tutt’altro avviso era il cerchio variegato di scommettitori tutto intorno, eccitati e irrequieti come una scolaresca in gita. Donne già avanti con gli anni, uomini d’affari ben vestiti, chi con espressioni febbrili, chi fumando una sigaretta, alcuni con la fronte imperlata di sudore, tutti appesi a un filo.
Avevano scommesso sul suo tempo, soldi veri, con cui potevi comprare di tutto in quel mondo allo scatafascio. Ma cinodollari, centesimi e spiccioli, valevano più di giorni, ore e minuti? Lascio a voi questa ardua decisione.
Il tizio alla sua destra singhiozzava quasi silenziosamente, un lutto privato a bagnargli appena gli occhi. Indossava un vestito scuro sgualcito, che doveva essere stato bello, un tempo, come l’uomo, anche lui consumato e con radi capelli rimasti ad adornargli la testa. Aveva cercato di darsi un tono, non come Tick, che era venuto senza fronzoli, vestito di tutti i giorni. Aveva sballato – venticinque - ed era finita, finita davvero.
La donna a sinistra - Jackie, aveva detto di chiamarsi? – posò il sottile cigarillo sul bordo del posacenere chiamando: “Carta.”
Aveva un dieci, un cinque e un sorriso sicuro, lievemente alcolico. Era vestita in stile anni ’20, del ventiduesimo secolo ovviamente; forse era l’epoca in cui sarebbe tornata in caso di vittoria. Mi strizzò l’occhio, probabilmente per spezzare la tensione. Occhio che strabuzzò un attimo dopo alla vista del sette che aveva preso.
Un fischio e delle urla arrivarono da chi li accerchiava.
La faccia da bambina a cui hanno rubato il giocattolo preferito completò il quadro e tutto quello che restava da dire.
Restava solo Tick, che era fermo con un Jack e un re di quadri, mentre il banco stava con un asso e una carta coperta.
Non sapeva dove mettere le mani tremanti, mentre il tizio pasciuto in gilet di fronte a lui lo fissava a mettere peso sulla straziante attesa. Il padrone di casa distolse lo sguardo per controllare ancora una volta l’orologio a cipolla, suo compagno inseparabile.
Tossicchiò, prima di girare la carta dal dorso blu decorato.
Dieci. DIECI! Per un totale di ventuno.
Lo sapeva, Tick, che non poteva essere un gioco pulito, ma perché? Il banco vinceva comunque, cinodollari, mentre i perdenti venivano mandati nel futuro l’equivalente in anni di cui il vincente tornava nel passato. Era quell’unica regola a permettere al macchinario di funzionare, mantenere l’equilibrio.
“Perché!? Ci giochiamo la vita!”
Tick era già in piedi, puntando la pistola rubata dalla fondina del buttafuori verso mister Cipolla. La guardia, che aveva abbozzato una reazione, stava ora con le mani troppo piccole per la sua stazza a mezza altezza, l’espressione sonnolenta immutata. L’urlo eccitato della folla si era trasformato in un verso di sospensione.
“Niente di personale… Tick. Cerchiamo di mantenere la calma. Hai mai visto quei giochi a premi? Non vince mai nessuno, ed è questo che li rende eccitante, tutti vogliono essere il primo a farcela.”
“So solo che sarò il primo a spararti. Portami al macchinario.”
Seguì l’organizzatore della serata, mentre nessuno si sognava di fare qualcosa. Gli altri due giocatori sedevano congelati ai loro posti, mentre procedeva, la pistola puntata. Nemmeno sapeva se fosse carica.
Si ritrovò in una sala trasandata ma tecnologica, con due cabine cilindriche connesse da vari ammennicoli metallici, tra le due una sorta di pannello di controllo steampunk.
“Voglio tornare trent’anni indietro. Inserisci i dati. Muoviti!”
Mister cipolla si diede da fare in modo agitato, ma quando il giocatore controllò, i dati sul display sembravano corretti ed era partito un conto alla rovescia. Chiuse l’organizzatore nella capsula contrassegnata con ‘FWD>>’ e si accomodò in quella che recava la dicitura ‘<<RWD’.
Non ci furono fulmini e saette, né effetti spettacolari, solo una luce intensissima, che lo costrinse a chiudere gli occhi, poi il buio.
Quando recuperò la visione, si trovava sul molo di Safe Harbor, seduto su una panchina. Il mare mosso al tramonto e gli strilli dei gabbiani gli riportarono alla mente ricordi di gioventù.
Si sentiva benissimo, leggero.
Quante cose doveva ricostruire daccapo, ma in fondo, aveva tutta la vita davanti. Controllò l’orologio da taschino per l’ennesima volta, prima di alzarsi.
Il banco vince.