La Rusalki
Posted: Sat Jan 02, 2021 6:22 pm
La Rusalki
il nome Rusalki è un termine antico, usato nella mitologia slava per indicare gli spiriti e i demoni femminili che abitano fiumi e laghi.
Le loro caratteristiche, come i nomi per definirle, sono assai differenti in quelle diverse culture: In Russia sono sono indicate anche come Beregine, nei Balcani, dai bulgari, vengono chiamate Samovile e Vile da serbi e croati.
I loro aspetto era di donne giovani e attraenti con lunghi capelli, occhi verdi e ghirlande di fiori di campo a incoronargli il capo. Sovente si presentavano abbigliate di vesti bianche, ma talvolta erano erano nude. In certe tradizioni venivano anche descritte come creature dall'aspetto cadaverico e notturno.
Il mito le associava all'acqua e ai riti della primavera: influivano sulla fecondità delle donne, sull'abbondanza dei raccolti o della pesca, ma erano anche in grado di causare la morte.
Potevano essere spiriti dannati: anime di giovani donne suicide per annegamento, oppure uccise, in prossimità di laghi e fiumi, dai loro amanti o dalle proprie madri.
Le loro anime prive di pace, perché morte senza Grazia di Dio, tornavano a infestare il luogo in cui erano perite.
La bambina era nata a novembre, nel segno dello Scorpione, nel tempo di mezzo tra due guerre fratricide che avevano insanguinato la terra abitata da mille anni.
Le avevano dato per nome Vesna, il cui significato era: "messaggera". Non aveva mai conosciuto il padre, di sua madre aveva un ricordo lontano e confuso, fermo all'età dei suoi tre anni.
Ora lei ne aveva nove e viveva sola, con sua nonna, in una koliba costruita senza cemento, con pietre sovrapposte a secco e il tetto di paglia.
L'interno della casupola era costituito da un'unica stanza e un angusto stanzino adiacente.
Nella stanza, usata per cucinare e abitare, dormivano insieme nonna e nipote su un ampio pagliericcio. Lo stanzino, privo di finestre, era accessibile solo alla nonna, che vi si chiudeva a recitare le sue preghiere, alla bambina era vietato entrarci.
La casupola era situata nella radura di un bosco nella zona del Kozjansko, nei pressi di un piccolo villaggio in cui il tempo pareva fermo al secolo prima.
Una manciata di modeste abitazioni, in calce e lastroni di roccia carbonica, muri di un candore luminoso nella luce estiva e cupe nei lunghi inverni slavi.
Accanto al villaggio scorreva il torrente, il suo percorso si insinuava all'interno del bosco e le sue sponde lambivano la radura su cui sorgeva la koliba. Il mormorio delle acque, come una musica, accompagnava ogni istante nella vita della piccola, ma la nonna le aveva detto di tenersi lontana dalle rive del torrente, di non andarci mai da sola.
L'altro suono che giungeva fino a loro era solo quello del campanile della chiesa del villaggio: i rintocchi per le funzioni religiose e quelle funebri.
Al termine della stagione fredda, la coltre di neve lentamente andava scomparendo, il profumo invadeva la radura: iniziavano a sbocciare fiori come gli ellebori, i bucaneve, le primule e gli altri fiori primaverili. Più avanti sbocciava l’ elicriso, col suo colore dorato e una fragranza che ricordava la liquirizia.
La nonna ricercava e coglieva fiori ed erbe che lavorava creando pozioni, polveri e unguenti balsamici: la loro abitazione profumava sempre degli aromi delle piante stagionali. Anche ad occhi chiusi la bambina aveva imparato a riconoscerne il nome.
La vecchia le aveva promesso che, divenuta grande, le avrebbe rivelato i segreti delle erbe e delle preghiere, allora anche lei sarebbe potuta entrare nello stanzino della casa.
Dal villaggio e da luoghi più lontani, di continuo, giungevano alla loro porta dei visitatori. Si trattava di donne giovani o mature: chiedevano alla nonna le cose balsamiche che approntava, talvolta si chiudevano con lei nello stanzino e la bambina le udiva parlottare a lungo e pregare insieme.
Raramente venivano uomini: quando lo facevano avevano un'espressione circospetta, si guardavano intorno prima di entrare, per assicurarsi di non essere visti da nessuno.
A compenso di quanto ottenuto, lasciavano ceste colme di vivande, la vecchia non accettava denaro. Non tenevano un orto o animali da cortile per il loro sostentamento, quello che ricevevano bastava ai loro modesti bisogni.
Nelle sere estive, col buio, la bambina usciva sul prato davanti alla casetta per catturare le lucciole con un bicchiere: sulla radura ne venivano a centinaia, pareva che un frammento di cielo stellato fosse caduto in quello spiazzo.
Vesna aveva chiesto di sua madre, la vecchia le aveva messo uno specchio tra le mani e aveva detto: “Guardati e pensa al tuo viso tra dieci anni, siete identiche, sei bellissima come la tua mamma.”
Le aveva raccontato, che a quindici anni sua madre l'aveva messa al mondo e a diciotto era partita per cercare fortuna nella lontana capitale del paese. Nel lasciarla con lei, aveva promesso che sarebbe tornata presto a riprenderla, ma da allora non aveva più dato notizie di sé.
La bambina aveva occhi verdi e lunghi capelli corvini, era felice di somigliare a sua madre.
Quando le veniva nostalgia ed era malinconica, guardava la mamma riflessa nello specchio e pensava che un giorno sarebbe partita a cercarla, poi sarebbero rimaste insieme per sempre.
Vesna faceva un sogno sempre uguale: camminava nel mattino lungo l'argine del torrente, da dietro un grande olmo, compariva una giovane donna avvolta da un'aura di chiarore che le sorrideva con un viso triste. Le sfiorava la guancia con dita fredde e lei veniva colta da un'emozione intensa, allora mormorava piano: “Mamma.”. Si risvegliava col cuore in tumulto e il viso rigato di lacrime.
Quando parlò dei sogni alla nonna, lei prese alcuni pizzichi di polvere dai vasetti in vetro con gli ingredienti per i suoi preparati e insieme a qualche spicchio d'aglio, li racchiuse in un piccolo sacchetto di tela.
Sigillò il sacchetto cucendolo con del filo rosso, fisso un cordino dello stesso colore al sacchetto e lo cinse, come una collana, al collo della bambina: “Non separarti mai da questo amuleto. Ricordati che è importante.”. Infine stese una corposa striscia di sale grosso sulla soglia della capanna.
La bambina frequentava la scuola sulla piazza del villaggio, non aveva amici tra i compagni di classe, la isolavano: nessuno voleva starle accanto. Lei pensava fosse per via dell'odore forte di erbe che emanavano i suoi indumenti, o per quello dell'aglio nel suo amuleto, ma se ne era fatta una ragione, era abituata a stare sola e non ci badava.
Un giorno, all'uscita dalla lezione, venne travolta della corsa di due ragazzi: i figli di tredici e quattordici anni del farmacista. I due giovani erano noti per la tracotanza e la rudezza dei modi. Inseguendosi in qual gioco irruente la investirono, mandandola lungo distesa.
Irritati per l'accidentale interruzione della loro corsa, invece di scusarsi, la aggredirono con spinte e male parole.
“Togliti dai piedi piccola bastarda di uno zingaro e di una troia annegata.” L'apostrofò il primo. “Porta via la tua puzza infernale da questo villaggio, sporca figlia di una Rusalki.” Aggiunse l'altro.
Strattonandola fino a farle spuntare le lacrime per sfregio, le strapparono dal collo il cordino con l'amuleto gettandolo nel pozzo sulla piazza.
Vesna scossa dal pianto corse a casa trafelata, raccontò l'accaduto alla nonna .
Lei le asciugò le lacrime e per darle conforto, le preparò una fragrante cioccolata calda spolverata di vaniglia.
La carezzò dolcemente il capo finché prese sonno: aveva nelle mani una tenerezza infinita, negli occhi la glaciale luce di un'ira antica.
Più tardi nel silenzio, chiusa nello stanzino, accese una candela nera e pregò per il resto della notte.
Due giorni dopo, i rintocchi di campana a morto giunsero fino alla radura, mentre al villaggio procedeva lento il corteo funebre.
I figli del farmacista, erano inspiegabilmente annegati insieme nel torrente.
il nome Rusalki è un termine antico, usato nella mitologia slava per indicare gli spiriti e i demoni femminili che abitano fiumi e laghi.
Le loro caratteristiche, come i nomi per definirle, sono assai differenti in quelle diverse culture: In Russia sono sono indicate anche come Beregine, nei Balcani, dai bulgari, vengono chiamate Samovile e Vile da serbi e croati.
I loro aspetto era di donne giovani e attraenti con lunghi capelli, occhi verdi e ghirlande di fiori di campo a incoronargli il capo. Sovente si presentavano abbigliate di vesti bianche, ma talvolta erano erano nude. In certe tradizioni venivano anche descritte come creature dall'aspetto cadaverico e notturno.
Il mito le associava all'acqua e ai riti della primavera: influivano sulla fecondità delle donne, sull'abbondanza dei raccolti o della pesca, ma erano anche in grado di causare la morte.
Potevano essere spiriti dannati: anime di giovani donne suicide per annegamento, oppure uccise, in prossimità di laghi e fiumi, dai loro amanti o dalle proprie madri.
Le loro anime prive di pace, perché morte senza Grazia di Dio, tornavano a infestare il luogo in cui erano perite.
La bambina era nata a novembre, nel segno dello Scorpione, nel tempo di mezzo tra due guerre fratricide che avevano insanguinato la terra abitata da mille anni.
Le avevano dato per nome Vesna, il cui significato era: "messaggera". Non aveva mai conosciuto il padre, di sua madre aveva un ricordo lontano e confuso, fermo all'età dei suoi tre anni.
Ora lei ne aveva nove e viveva sola, con sua nonna, in una koliba costruita senza cemento, con pietre sovrapposte a secco e il tetto di paglia.
L'interno della casupola era costituito da un'unica stanza e un angusto stanzino adiacente.
Nella stanza, usata per cucinare e abitare, dormivano insieme nonna e nipote su un ampio pagliericcio. Lo stanzino, privo di finestre, era accessibile solo alla nonna, che vi si chiudeva a recitare le sue preghiere, alla bambina era vietato entrarci.
La casupola era situata nella radura di un bosco nella zona del Kozjansko, nei pressi di un piccolo villaggio in cui il tempo pareva fermo al secolo prima.
Una manciata di modeste abitazioni, in calce e lastroni di roccia carbonica, muri di un candore luminoso nella luce estiva e cupe nei lunghi inverni slavi.
Accanto al villaggio scorreva il torrente, il suo percorso si insinuava all'interno del bosco e le sue sponde lambivano la radura su cui sorgeva la koliba. Il mormorio delle acque, come una musica, accompagnava ogni istante nella vita della piccola, ma la nonna le aveva detto di tenersi lontana dalle rive del torrente, di non andarci mai da sola.
L'altro suono che giungeva fino a loro era solo quello del campanile della chiesa del villaggio: i rintocchi per le funzioni religiose e quelle funebri.
Al termine della stagione fredda, la coltre di neve lentamente andava scomparendo, il profumo invadeva la radura: iniziavano a sbocciare fiori come gli ellebori, i bucaneve, le primule e gli altri fiori primaverili. Più avanti sbocciava l’ elicriso, col suo colore dorato e una fragranza che ricordava la liquirizia.
La nonna ricercava e coglieva fiori ed erbe che lavorava creando pozioni, polveri e unguenti balsamici: la loro abitazione profumava sempre degli aromi delle piante stagionali. Anche ad occhi chiusi la bambina aveva imparato a riconoscerne il nome.
La vecchia le aveva promesso che, divenuta grande, le avrebbe rivelato i segreti delle erbe e delle preghiere, allora anche lei sarebbe potuta entrare nello stanzino della casa.
Dal villaggio e da luoghi più lontani, di continuo, giungevano alla loro porta dei visitatori. Si trattava di donne giovani o mature: chiedevano alla nonna le cose balsamiche che approntava, talvolta si chiudevano con lei nello stanzino e la bambina le udiva parlottare a lungo e pregare insieme.
Raramente venivano uomini: quando lo facevano avevano un'espressione circospetta, si guardavano intorno prima di entrare, per assicurarsi di non essere visti da nessuno.
A compenso di quanto ottenuto, lasciavano ceste colme di vivande, la vecchia non accettava denaro. Non tenevano un orto o animali da cortile per il loro sostentamento, quello che ricevevano bastava ai loro modesti bisogni.
Nelle sere estive, col buio, la bambina usciva sul prato davanti alla casetta per catturare le lucciole con un bicchiere: sulla radura ne venivano a centinaia, pareva che un frammento di cielo stellato fosse caduto in quello spiazzo.
Vesna aveva chiesto di sua madre, la vecchia le aveva messo uno specchio tra le mani e aveva detto: “Guardati e pensa al tuo viso tra dieci anni, siete identiche, sei bellissima come la tua mamma.”
Le aveva raccontato, che a quindici anni sua madre l'aveva messa al mondo e a diciotto era partita per cercare fortuna nella lontana capitale del paese. Nel lasciarla con lei, aveva promesso che sarebbe tornata presto a riprenderla, ma da allora non aveva più dato notizie di sé.
La bambina aveva occhi verdi e lunghi capelli corvini, era felice di somigliare a sua madre.
Quando le veniva nostalgia ed era malinconica, guardava la mamma riflessa nello specchio e pensava che un giorno sarebbe partita a cercarla, poi sarebbero rimaste insieme per sempre.
Vesna faceva un sogno sempre uguale: camminava nel mattino lungo l'argine del torrente, da dietro un grande olmo, compariva una giovane donna avvolta da un'aura di chiarore che le sorrideva con un viso triste. Le sfiorava la guancia con dita fredde e lei veniva colta da un'emozione intensa, allora mormorava piano: “Mamma.”. Si risvegliava col cuore in tumulto e il viso rigato di lacrime.
Quando parlò dei sogni alla nonna, lei prese alcuni pizzichi di polvere dai vasetti in vetro con gli ingredienti per i suoi preparati e insieme a qualche spicchio d'aglio, li racchiuse in un piccolo sacchetto di tela.
Sigillò il sacchetto cucendolo con del filo rosso, fisso un cordino dello stesso colore al sacchetto e lo cinse, come una collana, al collo della bambina: “Non separarti mai da questo amuleto. Ricordati che è importante.”. Infine stese una corposa striscia di sale grosso sulla soglia della capanna.
La bambina frequentava la scuola sulla piazza del villaggio, non aveva amici tra i compagni di classe, la isolavano: nessuno voleva starle accanto. Lei pensava fosse per via dell'odore forte di erbe che emanavano i suoi indumenti, o per quello dell'aglio nel suo amuleto, ma se ne era fatta una ragione, era abituata a stare sola e non ci badava.
Un giorno, all'uscita dalla lezione, venne travolta della corsa di due ragazzi: i figli di tredici e quattordici anni del farmacista. I due giovani erano noti per la tracotanza e la rudezza dei modi. Inseguendosi in qual gioco irruente la investirono, mandandola lungo distesa.
Irritati per l'accidentale interruzione della loro corsa, invece di scusarsi, la aggredirono con spinte e male parole.
“Togliti dai piedi piccola bastarda di uno zingaro e di una troia annegata.” L'apostrofò il primo. “Porta via la tua puzza infernale da questo villaggio, sporca figlia di una Rusalki.” Aggiunse l'altro.
Strattonandola fino a farle spuntare le lacrime per sfregio, le strapparono dal collo il cordino con l'amuleto gettandolo nel pozzo sulla piazza.
Vesna scossa dal pianto corse a casa trafelata, raccontò l'accaduto alla nonna .
Lei le asciugò le lacrime e per darle conforto, le preparò una fragrante cioccolata calda spolverata di vaniglia.
La carezzò dolcemente il capo finché prese sonno: aveva nelle mani una tenerezza infinita, negli occhi la glaciale luce di un'ira antica.
Più tardi nel silenzio, chiusa nello stanzino, accese una candela nera e pregò per il resto della notte.
Due giorni dopo, i rintocchi di campana a morto giunsero fino alla radura, mentre al villaggio procedeva lento il corteo funebre.
I figli del farmacista, erano inspiegabilmente annegati insieme nel torrente.