Finalmente è domani

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Torvo rientra a casa dopo una dura giornata di lavoro lasciandosi alle spalle una tempesta senza fine.
«Non si saluta?» Chiede gioviale. Nessuno sembra accorgersi del suo arrivo. Mentre la moglie cuoce la carne ai fornelli, la figlia apparecchia la tavola. A un angolo, abbattuto e sonnecchiante, c'è il suo cane.
«Milo sta male?» Nessuna risposta.
«È pronto», dice la moglie.
Seduti al tavolo mangiano in silenzio. Al rumore della pioggia si aggiunge quello delle forchette e dei coltelli che sfregano sui piatti. Ogni tanto il boato di un tuono desta il cane dai suoi sogni. Dopo la cena, le luci si spengono. Tutti dormono.

Il giorno seguente Torvo si toglie il cappotto zuppo, posa per terra la borsa da lavoro e, senza aspettarsi alcun saluto, si mette a sedere attendendo la cena.
«È pronto».
Dopo aver concluso si scambiano la buonanotte.
«Riposiamo il corpo in vista di domani», scherza Torvo.

«Che buon odorino!»
La sua sagoma appare buia e immobile sull'uscio della porta. Si avvicina al cane e allunga la mano per accarezzargli la nuca. Milo sembra infastidito da quel gesto e prova a comunicarglielo traendo a sé le zampe.
«Vuoi riposare. Capisco».
«È pronto».
Quando inforca la carne gli sembra di penetrare un mattone.
«Ieri era più buona se non sbaglio». Le parole sembrano essere rivolte alle pareti grigie e disadorne della casa. La moglie e la figlia masticano in silenzio con lo sguardo bloccato sul cibo.

«È pronto».
E ancora un altro giorno. Lui tenta di simulare qualcosa. Un accenno. Un vano tentativo di comunicazione. Non può essere sempre uguale, pensa. Con la bocca piena di carne, che a ogni giorno diventa più nera e insapore, chiude gli occhi. Va alla disperata ricerca di un breve istante, un singolo minuto, che valga la pena di essere raccontato. Desidera condividere una novità. Mentre è intento a sbirciare nell'angusta cantina in cui risiedono i suoi ricordi, si rende conto di non trovare altro se non momenti legati al suo lavoro.
Ecco, vediamo un po' cos'è accaduto oggi. Pensa.
Per un attimo ha come l'impressione di essere nel suo ufficio. Attorno vede alcuni colleghi; i loro volti sono privi di lineamenti, grigi e vuoti come le mura di casa sua.
«Oggi è stata una giornata dura», dice. Moglie e figlia lo guardano all'unisono, anche il cane alza leggermente il capo.

Il giorno dopo, la solita routine perpetrata diligentemente: Torvo, stanco com'è, ha fame; la moglie cuoce la carne; la figlia apparecchia.
Il cane giace morto al suo solito angolo.
Torvo lo osserva di sbieco e pensa a quanto siano ingiuste le differenze sulle aspettative di vita tra una specie e l'altra. «Fortunello, lui», dice per poi sedersi affamato.
«È pronto».

Mentre mangiano, l'incessante temporale si assesta. Le finestre non sbavano più. Loro sembrano meravigliati dell'accaduto, per pochi attimi si scambiano sguardi eccitati e sorrisi accennati.
«A questo punto, se mi è concesso, mi piacerebbe raccontarvi il sogno che ho fatto questa notte».
Gli occhi della moglie tradiscono un forte disprezzo per il marito. La figlia, colta alla sprovvista, si affoga riempendo il silenzio della stanza con un colpo di tosse. Sputa il bolo di cibo che le era rimasto incastrato in gola sul pavimento. I tre osservano pigri il piccolo quadrato di carne rotolare e infine assestarsi accanto al muso di Milo.
«Va bene», dice la moglie. La figlia fa sì con la testa.
«Inutile dirvi che si tratta di un sogno davvero strano, cercherò di raccontarlo al meglio evitando, per quanto mi sia possibile, di aggiungervi parti. Per fortuna lo ricordo molto bene, o almeno credo. Dunque... Mi trovavo a casa, seduto proprio dove sto adesso, e dalla finestra filtrava una luce che sembrava colorare ogni cosa. Era come se la fonte da cui proveniva si trovasse nel cielo al posto della luna. Comunque non me ne curai granché, la mia attenzione era rivolta a Milo che, stranamente, mi fissava con la lingua penzoloni e tutto scodinzolante. Tenevo un oggetto rotondo in mano che se schiacciato emetteva un suono acuto e abbastanza fastidioso. Non mi ci volle molto a capire che era proprio quella cosa che Milo desiderava ardentemente. Dunque, colto da un inaspettato calore in tutto il corpo, una sensazione simile a quella che provo giusto prima di mettermi a tavola, decisi di lanciarglielo facendolo sbattere un po' ovunque. Lui lo rincorse, l'acchiappò, e infine me lo riportò».
Torvo si blocca impietrito. Gli sguardi della sua famiglia sono impauriti e accusatori.
La figlia, per un attimo, sembra volersi voltare per osservare il cane, ma poi ci ripensa.
«Davvero inquietante», commenta la moglie.
«Sì, molto», risponde Torvo.
«Ma è nulla in confronto a ciò che avvenne dopo».
Si schiarisce la voce e prosegue: «Poi, non ricordo come, mi trovai immerso in una piacevole conversazione con te», la sua mano incontra quella della moglie, «sembrava come se avessi chissà cosa da raccontarti su dei dettagli lavorativi, roba molto complessa e articolata. Tu facevi altrettanto. Ma la cosa ancora più strana fu osservare nostra figlia, coricata sul divano, immersa a sfogliare dei fogli di carta. Li guardava avidamente e sembrava divertita. Poi la scena cambiava e la vedevo camminare per casa con una sorta di copricapo alieno che le nascondeva completamente la testa».
A quel punto, con le dita disegna nell'aria la forma di un quadrato.
«Ecco, di questa grandezza. Aveva due fili grigi e metallici che spuntavano da sopra, mentre a coprirle il volto c'era uno strato pieno di immagini e colori che cambiavano, cambiavano e cambiavano».
La voce trema, un forte senso di mestizia lo invade fino a coprirgli gli occhi. La moglie e la figlia osservano sbigottite le lacrime scivolare lente sulle guance di Torvo.
«Poi, d'un tratto, mi trovai all'interno di una stanza immersa nel buio. Al centro c'eravate voi sedute a un piccolo tavolo. Una flebile luce bianca arrivava a schiarire giusto le vostre sagome. Proveniva da un oggetto molto simile a quello descritto prima. La cosa più inquietante fu constatare che, in qualche modo, riuscivate a interagirvi muovendo velocemente le dita su di una superficie, posta frontalmente alla scatola luminosa, che non saprei francamente descrive di quanto era strana».
Torvo è esausto, non è abituato a parlare molto. Dopo una breve pausa, alcune gocce di pioggia si spiaccicano sui vetri delle finestre preannunciando l'imminente ritorno del temporale infinito. Poi riprende: «Ciò che più mi angosciò, e non vi nego che porto ancora dentro quel terrore, fu notare quanto quelle cose ci rendessero... uhm, come dire, felici, ecco».
La moglie si alza incollerita: «ora basta! Stai spaventando nostra figlia».
Torvo sbatte forte il pugno sul tavolo. Poi fa un respiro profondo.
«Non ho ancora finito, rimettiti a sedere per favore».
Il lezzo della carcassa di Milo impregna l'aria ma a nessuno importa.
«A un certo punto, come nei peggiori incubi, mi ritrovai bloccato. Non vedevo né sentivo alcunché.
Desideravo capire in che stato fossi, così, non chiedetemi come, riuscii a separare la mia anima dal corpo. Allora osservai; il mio corpo sembrava affondare su un letto fatto di fili che lo penetravano ovunque. C'era una specie di casco sulla testa da cui uscivano tanti cavi che si attorcigliavano ad altri ricoprendola tutta. L'ultima scena che ricordo è il mio volto che respirava affannosamente, sembrava che godesse. Infine mi svegliai».
La moglie allunga la mano tremante verso il volto di Torvo.
«Non preoccuparti. È stato solo un incubo, te ne dimenticherai presto», gli accarezza la testa.
«Che strano sogno, papà», aggiunge fredda la figlia.
Ancora il temporale. La casa si spegne. È ora di andare a letto.

Il giorno seguente Torvo rientra a casa dopo una dura giornata di lavoro. Le immagini del sogno ancora riecheggiano nel suo cervello, ma ormai sembrano aver perduto sostanza e colore.
«Sono tornato, ho una fame che non vi dico. Milo, sempre a poltrire stai», dice simulando un sorriso.
«È pronto».

Re: Finalmente è domani

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Dougie ha scritto: sab gen 02, 2021 6:07 pm Il giorno seguente Torvo rientra a casa dopo una dura giornata di lavoro. Le immagini del sogno ancora riecheggiano nel suo cervello, ma ormai sembrano aver perduto sostanza e colore.
«Sono tornato, ho una fame che non vi dico. Milo, sempre a poltrire stai», dice simulando un sorriso.
«È pronto».
Ciao Dougie, il tuo racconto mi ha lasciata un po' stranita, devo ammetterlo. L'ho trovato affascinante fino all'inizio del sogno, tutta la parte centrale, che diventa poi anche finale non sono riuscita a collocarla. Non ho ben trovato il senso, cosa dovrebbe dimostrare il sogno? La realtà? Il rpotagonista ha sognato un mondo "più normale"?
Forse sono io che non ho capito bene dove mirava il sogno, addirittura noto che cambia registro il narratore, tutto diventa più difficile da seguire e meno fluido, forse questo non è del tutto un male perché riflette la fatica che il personaggio fa per comprendere quello che sta raccontando, ma se fosse in prima persona si giustificherebbe meglio.
Ho trovato strane due cose a livello di lessico: a un angolo, che forse sarà un regionalismo, ma che dovrebbe diventare in un angolo, oppure nell'angolo; l'altra è l'uso che fai del verbo interagire, tu usi interagirvi, ma interagire non è riflessivo, sarebbe più corretto "non riuscivate a interagire".
In generale, mi piacerebbe molto leggere il seguito di questo racconto senza il sogno, lo trovo interessantissimo.
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Linda e la montagna di fuoco

Re: Finalmente è domani

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Kikki ha scritto: mer gen 06, 2021 4:39 pm Ciao Dougie, il tuo racconto mi ha lasciata un po' stranita, devo ammetterlo. L'ho trovato affascinante fino all'inizio del sogno, tutta la parte centrale, che diventa poi anche finale non sono riuscita a collocarla. Non ho ben trovato il senso, cosa dovrebbe dimostrare il sogno? La realtà? Il rpotagonista ha sognato un mondo "più normale"?
Forse sono io che non ho capito bene dove mirava il sogno, addirittura noto che cambia registro il narratore, tutto diventa più difficile da seguire e meno fluido, forse questo non è del tutto un male perché riflette la fatica che il personaggio fa per comprendere quello che sta raccontando, ma se fosse in prima persona si giustificherebbe meglio.
Ho trovato strane due cose a livello di lessico: a un angolo, che forse sarà un regionalismo, ma che dovrebbe diventare in un angolo, oppure nell'angolo; l'altra è l'uso che fai del verbo interagire, tu usi interagirvi, ma interagire non è riflessivo, sarebbe più corretto "non riuscivate a interagire".
In generale, mi piacerebbe molto leggere il seguito di questo racconto senza il sogno, lo trovo interessantissimo.
Ciao, Kikki. Intanto grazie per aver letto e commentato.
Allora, sì, comprendo bene la sensazione di distacco che hai provato tra le due parti: volevo che il lettore si trovasse in balia di due "realtà" terrificanti che all'apparenza differiscono tra loro. Certo, meno voluto invece il fatto che non si comprendesse il senso, di questo mi spiace. Il mio obiettivo era non lasciare via d'uscita al protagonista, descrivere una monotonia di fondo che è la vita di tutti i giorni per certi versi. Nella sua realtà non esiste nulla che possa incentivare la felicità, la voglia di vivere le proprie giornate: si lavora, si mangia e si va a dormire. Il tutto meccanicamente e senza alcuna sfumatura. Nel sogno, apparentemente, lui vive quella che potrebbe essere una vita più normale: fatta di continue distrazioni atte a illudere in quanto, comunque, sono anch'esse ripetute (giocare con il cane, discutere della propria giornata lavorativa, leggere un libro, guardare la tv, stare al pc e, chissà, magari un giorno rimanere attaccati a una macchina).
Ecco in soldoni il tutto. Mi spiace che tu abbia apprezzato il racconto a metà visto che ritengo la parte del sogno fondamentale. Va beh, pazienza. ( :
Grazie ancora per il tuo feedback.
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